TAR Torino, sez. I, sentenza 2021-02-17, n. 202100159

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Torino, sez. I, sentenza 2021-02-17, n. 202100159
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Torino
Numero : 202100159
Data del deposito : 17 febbraio 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/02/2021

N. 00159/2021 REG.PROV.COLL.

N. 01060/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1060 del 2018, proposto da
-OMISSIS-, -OMISSIS-, rappresentati e difesi dall'avvocato G C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Gianfrancesco Torre, in Susa, via Roma, n. 80;

contro

Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo Torino, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via Arsenale, n. 21;

nei confronti

-OMISSIS- non costituito in giudizio;

per l'annullamento, previa sospensione

della nota della Prefettura di Torino recante n. -OMISSIS- Area I bis Ant. resa dal Prefetto di Torino il -OMISSIS-, con la quale è stato ritenuto che nei confronti del Sig. -OMISSIS- e della -OMISSIS-, della quale egli è legale rappresentante, sussistono elementi che fanno ritenere possibili tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi, nonché per l’annullamento, della comunicazione di diniego all’iscrizione della suddetta Società alla whitelist della Prefettura di Torino del -OMISSIS-.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Torino;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2020 la dott.ssa Flavia Risso;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Nel gravame indicato in epigrafe, si afferma che da parte della -OMISSIS-, veniva richiesta, in relazione al progetto denominato “-OMISSIS-”, il rilascio di informazione antimafia ai sensi dell'art. 91 del d.lgs. n. 159/2011, nei confronti della -OMISSIS-, evidenziando che la suddetta società svolge la propria attività, prevalentemente nel settore edilizio.

Con il gravame, parte ricorrente ha impugnato la nota della Prefettura di Torino, con la quale è stato ritenuto che nei confronti del sig. -OMISSIS- e della -OMISSIS-, della quale egli è legale rappresentante, sussistevano elementi che facevano ritenere possibili tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi, nonché la comunicazione di diniego all’iscrizione della suddetta Società alla whitelist della Prefettura di Torino.

Avverso gli atti impugnati parte ricorrente ha dedotto l’illegittimità per: violazione di legge e falsa applicazione di legge (d.lgs. n. 159/2011, in particolare gli artt. 67, 83, 84 e segg., 91 e seguenti del d.lgs. n. 159/2011 e s.m.i., legge n. 241/1990 in particolare l’art. 3), eccesso, carenza e sviamento di potere, difetto di istruttoria e motivazione, travisamento dei fatti e illogicità e contraddittorietà.

All’udienza camerale del 9 gennaio 2019 la parte ricorrente ha dichiarato di rinunciare all’istanza cautelare e di non avere più interesse alla domanda di accesso, avendo il Ministero prodotto la documentazione richiesta.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'Interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Torino.

All’udienza pubblica del 16 dicembre 2020 il Collegio ha dato atto che nessuna delle parti aveva chiesto la discussione orale ai sensi del combinato disposto degli artt. 25, comma 1 del d.l. 137/2020 e 4, comma 1 del d.l. n. 28/2020 e la causa è passata in decisione ai sensi dell’art. 25, comma 2 del d.l. n. 137/2020.

DIRITTO

1. – Il ricorrente con un unico motivo di gravame sostiene che le motivazioni poste a base della nota prefettizia oggetto di impugnazione, non appaiono in alcun modo idonee ad ipotizzare un pericolo di infiltrazione mafiosa nell'attività esercitata, né concrete possibilità di connessioni con la criminalità organizzata.

Il ricorrente sostiene che la nota prefettizia si fondi su dati travisati ed erronei riguardanti soggetti assolutamente estranei all'attività del ricorrente, nonché su circostanze risalenti a periodi passati e quindi non idonee a poter fare presumere un pericolo attuale di infiltrazione mafiosa nell'attività svolta dello stesso.

Più nello specifico, il ricorrente evidenzia quanto segue:

- di non essere mai stato indagato nell'ambito del processo “-OMISSIS-”, ma semplicemente sentito come persona informata dei fatti;

- che l’informativa dei Carabinieri risale al -OMISSIS- e che pertanto essa non può in alcun modo assurgere a elemento indiziante di un’attuale possibilità di infiltrazione mafiosa nella compagine imprenditoriale del ricorrente;

- quanto alle risultanze del processo -OMISSIS- in relazione alle persone del sig. -OMISSIS- e il sig. -OMISSIS-, il primo risulta deceduto e quindi il reato era estinto per morte del presunto reo;

- che invece il sig. -OMISSIS- era stato condannato per mera corruzione elettorale per effetto della sentenza della Corte di Cassazione n. 826/2016, che aveva riqualificato il reato contestatogli inizialmente di scambio elettorale mafioso;

- l'intercettazione telefonica tra il sig. -OMISSIS- e il sig. -OMISSIS- sarebbe del 2009, mentre l'acquisto da parte della Società -OMISSIS- di un ramo di azienda della Società -OMISSIS- sarebbe del 2010 e quindi si tratterebbe di vicende prive di attualità e risalenti a quasi 10 anni fa e, in ogni caso, l’intercettazione di che trattasi non rivelerebbe alcun progetto illecito degli interlocutori, ma si trattava della costituzione di una semplice ATI per partecipare a gare di lavori pubblici;

- la Società -OMISSIS- sarebbe stata costituita nel 2009, avrebbe acquistato, nel 2010, un ramo di azienda dalla Soc. -OMISSIS- (di proprietà della sorella del ricorrente) e non risulterebbe mai essere stata oggetto di interdittive o informative antimafia;

- per quanto riguarda l’ATI costituita dalla società -OMISSIS- (di proprietà della sorella del ricorrente) nel -OMISSIS- con la società -OMISSIS-, poi fallita nel 2011, il cui socio al 35% era il sig. -OMISSIS-, aveva avuto durata di 1 anno ed era cessata più di 10 anni fa, che comunque il sig. -OMISSIS- era stato assolto nel procedimento -OMISSIS-, e non risultava avere avuto rapporti con il ricorrente e che nulla rilevava il fatto che la società -OMISSIS-, riconducibile alla famiglia -OMISSIS-, avesse subito un’interdittiva nel 2016;

- per quanto riguarda i rapporti economici con -OMISSIS-, con il quale, in base a quanto evidenziato nell’interdittiva, egli avrebbe rivestito la carica di amministratore unico all’interno della -OMISSIS-, il ricorrente sottolinea che il sig. -OMISSIS- non risultava essere più socio della Soc. -OMISSIS- dal -OMISSIS-, cioè ben 12 anni fa, e che comunque la nota prefettizia non riferisce in alcun modo quando sarebbe stato condannato il sig. -OMISSIS-, se la condanna era passata in giudicato e eventuali contiguità mafiose di quest'ultimo;

- per quanto riguarda i rapporti economici con il sig. -OMISSIS-, al quale avrebbe ceduto la proprietà di una società, arrestato l'anno successivo per detenzione illegale di 400 Kg di stupefacenti, il ricorrente sostiene che la vicenda sarebbe assolutamente irrilevante, non emergendo alcun elemento di contiguità, o di rapporti tra il sig. -OMISSIS- e l'attività del sig. --OMISSIS- e che tra le parti si sarebbe svolto un mero atto di compravendita;

- infine, per quanto riguarda il fatto che il ricorrente, 11 anni fa, sarebbe stato identificato tra i presenti in una riunione (che secondo il ricorrente era una semplice cena), presso l'abitazione del sig. -OMISSIS-, dove avrebbero partecipato anche noti esponenti ndranghesti e imprenditori coinvolti in affari illeciti, il ricorrente sostiene che la notizia sarebbe stata riferita in modo assolutamente generico, che non si comprenderebbe se fosse stato accertato che la presenza del ricorrente fosse casuale e inconsapevole, o rilevasse cointeressi con i partecipanti, e che comunque era certo che non risultava che lo stesso fosse mai stato indagato e tantomeno imputato per reati di mafia o relativi a rapporti con la criminalità organizzata.

In via preliminare, si evidenzia che la c.d. interdittiva prefettizia antimafia, di cui agli artt. 91 e ss., del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159 "Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione", costituisce una misura preventiva volta ad impedire i rapporti contrattuali con la Pubblica Amministrazione di società, formalmente estranee ma, direttamente o indirettamente, comunque collegate con la criminalità organizzata.

L'interdittiva antimafia è cioè diretta ad impedire che possa essere titolare di rapporti, specie contrattuali, con le Pubbliche Amministrazioni un imprenditore che sia comunque coinvolto, colluso o condizionato dalla delinquenza organizzata (Cons. Stato, sez. III, 9 maggio 2016, n. 1846).

Come ha condivisibilmente osservato il Consiglio di Stato “l'introduzione delle misure di prevenzione, come quella qui in esame, è stata la risposta cardine dell'Ordinamento per attuare un contrasto all'inquinamento dell'economia sana da parte delle imprese che sono strumentalizzate o condizionate dalla criminalità organizzata. In tale direzione la valutazione della legittimità dell'informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e di fatti che, valutati nel loro complesso, possono costituire un'ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del "più probabile che non", integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio” (Cons. Stato, sez. III, 9 ottobre 2018, n. 5784;
Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

In quest’ottica dunque verrà valutato il provvedimento impugnato.

L’Amministrazione, nel provvedimento impugnato, ha evidenziato plurimi indizi che complessivamente valutati portano a ritenere ragionevole la valutazione circa la sussistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa nell'attività esercitata dal ricorrente secondo la logica del “più probabile che non”.

Più nello specifico, la Prefettura di Torino fa riferimento ai legami personali ed imprenditoriali con soggetti organici e/o contigui alla criminalità organizzata, tra i quali, in particolare, -OMISSIS- e -OMISSIS-, legami che non vengono smentiti dal ricorrente, il quale infatti si limita ad evidenziare che -OMISSIS- era deceduto, e che quindi il reato era estinto per morte del presunto reo, e che -OMISSIS- era stato condannato per mera corruzione elettorale.

Nel provvedimento impugnato, peraltro, si evidenzia che i rapporti economici e imprenditoriali emergono dalle trascrizioni delle numerose conversazioni registrate nel corso processo -OMISSIS-.

Le vicende societarie che hanno interessato la -OMISSIS- e la -OMISSIS- hanno una loro rilevanza nel quadro generale, anche tenuto conto che nell’interdittiva (e tale circostanza emerge anche dalla nota n. -OMISSIS- del -OMISSIS- del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Torino che richiama a sua volta l’informativa del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Torino n. -OMISSIS--1^ Sez. del -OMISSIS-) si fa riferimento ad una condanna del ricorrente per il reato di intestazione fittizia di beni previsto dall’art. 12 quinquies del decreto legge n. 306/1992 e si evidenzia che le quote della società -OMISSIS-, nel febbraio del 2006, sono state cedute alla sorella del ricorrente, attuale proprietaria.

Per quanto riguarda il sig. -OMISSIS-, dall’interdittiva risulta essere stato condannato per il delitto di associazione mafiosa ai sensi dell’art. 416 bis c.p., mentre il sig. -OMISSIS- per il delitto di corruzione elettorale di cui all’art. 96 del d.P.R. n. 361/1957 (che risulta essere stato così riqualificato dalla Cassazione, mentre prima risulta essergli stato contestato il reato di scambio elettorale politico-mafioso ai sensi dell’art. 416 ter c.p.).

La circostanza che il sig. -OMISSIS- sia deceduto non elimina il fatto storico della condanna per il delitto di associazione mafiosa ai sensi dell’art. 416 bis c.p.

Inoltre, in relazione al reato di corruzione elettorale di cui all’art. 96 del d.P.R. n. 361/1957, il Consiglio di Stato si è espresso in questi termini “Alla luce di tali criteri, il Collegio ritiene che: - sia irrilevante la circostanza che la sentenza della Corte di Cassazione n. 27655 dell’11 luglio 2012 abbia ritenuto non configurabile l’aggravante di cui all’art. 7 del D.L. n. 152/1991;…- sia irrilevante che il reato attribuito al Mac. sia stato riqualificato in voto di scambio (art. 96 DPR 30 marzo 1957, n. 361);
8.1. - Il contesto di criminalità organizzata in cui si è consumato il reato per cui il Mac. (marito convivente dell’attuale amministratrice della -OMISSIS-) ha riportato condanna, unitamente alle vicende di cessione di quote della società a terzi e di trasferimento dell’intero capitale sociale e della carica di amministratore unico in favore di Rua. Lui. Ter., sono elementi sufficienti a far ritenere sorretta da idonea motivazione e istruttoria la valutazione compiuta dal Prefetto di Milano… Secondo la giurisprudenza penale, i reati di corruzione elettorale si pongono in un contesto di possibile configurazione di concorso interno o esterno alle finalità politiche-elettorali di associazioni mafiose” (Cons. Stato, sez. III, 31 agosto 2016, n. 3754).

Di rilievo è anche la circostanza evidenziata nell’interdittiva che nell’ottobre del -OMISSIS- e nel luglio del -OMISSIS-, la --OMISSIS- si fosse costituita in ATI con la società -OMISSIS- S.p.A., già di proprietà della famiglia -OMISSIS-.

Nel provvedimento impugnato si evidenzia che il sig. -OMISSIS- era stato coinvolto in prima persona nell’ambito dell’operazione -OMISSIS- e che la società -OMISSIS-, sempre riconducibile alla stessa famiglia, era stata attinta in data -OMISSIS- da un provvedimento interdittivo di diniego dell’iscrizione nell’elenco dei fornitori, in ragione dei rapporti di -OMISSIS- di qualificata prossimità con soggetti organici e/o contigui alla criminalità organizzata di matrice ndranghetista, tra i quali l'imprenditore -OMISSIS-, condannato per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa di cui all'art. 416 bis c.p. ad esito del giudizio ordinario scaturito dall'inchiesta -OMISSIS-.

Non privi di rilievo, nel complesso quadro generale, risultano essere anche i riferiti reciproci trasferimenti (anche tramite la moglie) di quote sociale della -OMISSIS-, all’interno della quale, nell’interdittiva si legge, che il ricorrente rivestiva la carica di amministratore unico con -OMISSIS- che, dal provvedimento impugnato, risulta essere stato condannato nell’ambito del processo -OMISSIS- per il reato di usura di cui all’art. 644 c.p., nonché la riferita cessione della proprietà della società -OMISSIS- in data -OMISSIS- al sig. -OMISSIS- che, sempre dal provvedimento impugnato, risulta essere stato tratto in arresto dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dei Carabinieri di Cagliari in data -OMISSIS- in quanto ritenuto responsabile della detenzione illegale di 400 kg di sostanze stupefacenti, secondo le previsioni dell'art.73 del d.P.R. n. 309/1990.

Nel provvedimento impugnato si evidenzia altresì che il sig. -OMISSIS- risulta essere titolare dell'omonima impresa individuale, recentemente cancellata dall'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori (c.d. white list ) della Prefettura di Torino con provvedimento n.-OMISSIS-, in considerazione dei costanti, durevoli e consolidati rapporti di frequentazione e collaborazione con soggetti organici e/o contigui all'organizzazione malavitosa di origine calabrese.

Alla luce di tutte le circostanze sopra evidenziate e riportate nel provvedimento impugnato acquista rilevanza anche la riferita circostanza che il Nucleo Operativo della Compagnia dei Carabinieri di Ivrea, nel corso del sopralluogo effettuato in data -OMISSIS--, avesse identificato il ricorrente alla riunione svoltasi presso l'abitazione di -OMISSIS-, alla quale, la Prefettura precisa, avevano partecipato noti esponenti dell'associazione `ndranghetista condannati all'esito dell'operazione -OMISSIS-, nonché taluni imprenditori coinvolti a vario titolo in indagini concernenti l'infiltrazione illecita della consorteria nel settore degli appalti pubblici.

Sulla risalenza dei fatti, il Collegio si limita ad evidenziare quanto sul punto condivisibilmente evidenziato dal Consiglio di Stato: “…i fatti sui quali si fonda tale misura di prevenzione possono anche essere risalenti nel tempo nel caso in cui vadano a comporre un quadro indiziario complessivo, dal quale possa ritenersi attendibile l'esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata. Come chiarito dalla Sezione (21 gennaio 2019, n. 515), il mero decorso del tempo, di per sé solo, non implica, cioè, la perdita del requisito dell’attualità del tentativo di infiltrazione mafiosa e la conseguente decadenza delle vicende descritte in un atto interdittivo, né l’inutilizzabilità di queste ultime quale materiale istruttorio per un nuovo provvedimento, donde l’irrilevanza della ‘risalenza’ dei dati considerati ai fini della rimozione della disposta misura ostativa, occorrendo, piuttosto, che vi siano tanto fatti nuovi positivi quanto il loro consolidamento, così da far virare in modo irreversibile l'impresa dalla situazione negativa alla fuoriuscita definitiva dal cono d'ombra della mafiosità…” (Cons. Stato, sez. II, 2 gennaio 2020, n. 2).

Infine, per quanto riguarda l’osservazione secondo la quale il ricorrente non sarebbe mai stato indagato nell’ambito del procedimento penale scaturito dall’inchiesta -OMISSIS-, ma meramente ascoltato come persona informata sui fatti, si evidenzia che dalla nota n. -OMISSIS- del -OMISSIS- del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Torino, risulta che il ricorrente sia stato deferito all’A.G. dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri di Torino con l’informativa n. -OMISSIS--1^ Sez. del -OMISSIS- nell’ambito delle “ulteriori indagini sull’organizzazione criminale denominata ‘ndrangheta con particolare riferimento alla sua presenza nel tessuto territoriale del Canavese e alle attività imprenditoriali di -OMISSIS- Giovanni, esponente del locale di Cuorgnè (TO)”.

Il fatto che il ricorrente non sia stato rinviato a giudizio è irrilevante ai fini dell’adozione del provvedimento interdittivo, in quanto lo strumento della documentazione antimafia differisce dal giudizio penale sia per la ratio ad esso sottesa, sia per lo standard probatorio richiesto.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha evidenziato che “La enunciata regola causale del “più probabile che non” integra un criterio di giudizio di tipo empirico-induttivo, che ben può essere integrato da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (qual è quello mafioso) e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio, poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell’informazione antimafia, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante” (Cons. Stato, sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343), che “gli elementi posti a base dell’informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

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