TAR Venezia, sez. I, sentenza 2021-02-08, n. 202100173
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 08/02/2021
N. 00173/2021 REG.PROV.COLL.
N. 00828/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 828 del 2020, proposto da
E D B, rappresentata e difesa dagli avvocati S C e A B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Istruzione dell'Università e della Ricerca non costituitosi in giudizio;
nei confronti
Istituto Comprensivo Ic Treviso 5 - Coletti e Istituto Comprensivo Ic Treviso 1 - A. Martini - Tvic870002 non costituitisi in giudizio;
per l’ottemperanza
e l’esatta esecuzione della sentenza n. 211/17 della Corte d’Appello di Venezia - Sez. Lavoro, del 9 marzo 2017, passata in giudicato il 19 novembre 2017.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2020 il dott. S M e uditi per le parti i difensori in modalità videoconferenza come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
La ricorrente, che ha lavorato in qualità di docente di scuole elementari a partire dal 1997 stipulando una serie di contratti a tempo determinato, ha promosso un’azione avanti al Giudice del Lavoro di Treviso per ottenere il riconoscimento dell’illegittimità, in applicazione della normativa comunitaria, della sequenza dei contratti a tempo determinato, e per la condanna del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca al riconoscimento dell’anzianità maturata, sotto il profilo giuridico ed economico, con corresponsione delle differenze retributive.
Il Giudice del Lavoro di Treviso con sentenza 20 marzo 2015, n. 149, ha accolto la domanda.
La sentenza è stata sostanzialmente confermata in secondo grado con sentenza della Corte d’Appello appello di Venezia 18 maggio 2017, n. 211, la quale si è limitata a stabilire che la data di decorrenza del riconoscimento dell’anzianità di servizio deve intendersi fissata al 10 luglio 2001.
L’Amministrazione con decreto n. 408 del 7 novembre 2017, ha dato esecuzione alla sentenza riconoscendo un’anzianità complessiva di servizio svolta in base ai contratti a tempo determinato di 9 anni e 17 giorni, con il riconoscimento della somma di € 23.567,02.
La ricorrente con nota del 10 settembre 2018, ha contestato all’Amministrazione la non corretta esecuzione della sentenza lamentando la mancata applicazione delle disposizioni dell’art. 2 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 4 settembre 2011 che ha rimodulato le posizioni stipendiali del personale del comparto scuola. L’ulteriore somma richiesta ammonta ad € 36.552,02.
Con il ricorso in epigrafe, notificato il 17 luglio 2020, la ricorrente chiede l’ottemperanza della predetta sentenza, passata in giudicato, del Giudice civile, sostenendo l’inesatto ed insufficiente adempimento da parte dell’Amministrazione degli obblighi discendenti dalla pronuncia.
In particolare la ricorrente, citando la giurisprudenza sopravvenuta (ovvero le sentenza della Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 16 dicembre 2019, n. 33138;id. 7 febbraio 2020, n. 2924), sostiene che nel calcolo dell’anzianità va tenuto conto del servizio prestato nel corso dei contratti a termine maggiorato degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per il lavoratore assunto a tempo indeterminato (ad es. il congedo e l’aspettativa retribuiti, la maternità e gli istituti assimilati), con il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e quantitative, sarebbe stato attribuito all’insegnante assunto a tempo indeterminato, con conseguente obbligo di corrispondere la somma di € 36.552,02, oltre accessori di legge dalle singole scadenze fino al giorno del soddisfo effettivo.
L’Amministrazione, nonostante sia stata regolarmente intimata, non si è costituita in giudizio.
Alla camera di consiglio del 2 dicembre 2020, prospettata al difensore della parte ricorrente ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., la sussistenza di profili di inammissibilità del ricorso per il mancato adempimento delle forme necessarie per l’instaurazione del giudizio di ottemperanza e per la proposizione di pretese che esulano da contenuto conformativo della sentenza di cui è chiesta l’esecuzione, è stata rinviata la trattazione della controversia al fine di permettere la presentazione di controdeduzioni sul punto.
Alla camera di consiglio del 16 dicembre 2020, in prossimità della quale la parte ricorrente ha depositato una memoria, la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è inammissibile sotto un duplice profilo.
In primo luogo perché la sentenza della Corte d’Appello di cui è chiesta l’ottemperanza è stata notificata unicamente, priva di formula esecutiva, il 30 giugno 2017 (è passata in giudicato il 19 novembre 2017) presso gli uffici dell’Avvocatura distrettuale dello Stato.
L’art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 (“Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato”) dispone che:
“ Tutte le citazioni, i ricorsi e qualsiasi altro atto di opposizione giudiziale, nonché le opposizioni ad ingiunzione e gli atti istitutivi di giudizi che si svolgono innanzi alle giurisdizioni amministrative o speciali, od innanzi agli arbitri, devono essere notificati alle Amministrazioni dello Stato presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria innanzi alla quale è portata la causa, nella persona del Ministro competente.
Ogni altro atto giudiziale e le sentenze devono essere notificati presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’Autorità giudiziaria presso cui pende la causa o che ha pronunciato la sentenza.
Le notificazioni di cui ai comma precedenti devono essere fatte presso la competente Avvocatura dello Stato a pena di nullità da pronunciarsi anche d’ufficio ”.
La norma si riferisce esclusivamente agli atti processuali e alle sentenze che definiscono i giudizi a cui si riferiscono (al fine della decorrenza del termine per l’impugnativa), con esclusione degli atti che hanno natura extragiudiziale (come i precetti e gli altri atti a questi assimilati) i quali, per i fini perseguiti, debbono essere notificati all’amministrazione presso la sua sede reale (cfr. Tar Lombardia, Milano, Sez. III, 5 ottobre 2018, n. 2224).
La medesima conclusione può trarsi dall’art. 14 del decreto legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito in legge 28 febbraio 1997, n. 30, che impone alle Amministrazioni di completare le procedure per l’esecuzione dei provvedimenti comportanti l’obbligo di pagamento di somme di danaro entro centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo, da intendersi effettuata presso la sua sede.
Ciò premesso va osservato che la notificazione della sentenza effettuata dalla ricorrente presso gli uffici dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, è utile ai fini del passaggio in giudicato della sentenza di cui è chiesta l’esecuzione per la decorrenza del termine breve di impugnazione, mentre il titolo esecutivo ai fini dell’adempimento, quale atto stragiudiziale necessario ai sensi dell’art. 14 del decreto legge n. 669 del 1996, non rientra nell’ambito degli atti soggetti alla disciplina delle norme sulla notificazione degli atti presso gli uffici dell’Avvocatura dello Stato e avrebbe pertanto dovuto essere notificato all’Amministrazione nella sua sede reale (cfr. Tar Puglia, Lecce, 21 marzo 2013, n. 629) munito di formula esecutiva ai fini del decorso del termine dilatorio di cui al citato art. 14 del decreto legge n. 669 del 1996.
Per tali ragioni il ricorso è inammissibile.
Per completezza va soggiunto che ricorre altresì un’ulteriore ed autonomo profilo di inammissibilità, in quanto il giudizio di ottemperanza, con riferimento alle sentenze del giudice ordinario che attengono evidentemente a questioni sulle quali il giudice amministrativo non ha giurisdizione, vede i poteri del giudice amministrativo, proprio perché privo di giurisdizione sulla res litigiosa , limitati alla stretta esecuzione di quanto statuito nella decisione oggetto di ottemperanza (cfr. T.A.R. Piemonte, Torino, sez. I, 7 agosto 2020, n. 513).
Nel caso in esame le pretese che la ricorrente intende far valere mediante il giudizio di ottemperanza non sono desumibili né, automaticamente, dalle disposizioni legislative regolanti la materia, che devono peraltro essere integrate con elementi di fatto non allegati, né dalla sentenza di condanna di primo grado confermata in appello, la quale non contiene tutti i dati certi ed utili all'operazione matematica che dovrebbe determinare il petitum reclamato dalla parte ricorrente, dato che ha fatto semplice riferimento nel dispositivo all’obbligo di “ riconoscere ad ogni effetto sia giuridico che economico in favore della parte ricorrente l’anzianità di servizio maturata nei periodi effettivamente lavorati come se il rapporto fosse stato costituito fin dall’inizio a tempo indeterminato ”, con la precisazione, contenuta nella motivazione, che “ l’equiparazione retributiva deve essere limitata ai periodi effettivamente prestati poiché non sono stati allegati atti di messa in mora all’Amministrazione datrice di lavoro relativi ai periodi non lavorati ”, inciso quest’ultimo che a livello letterale preclude il riconoscimento, in sede di ottemperanza, di somme non riferibili a periodi nei quali non si sia effettivamente svolto il rapporto di lavoro.
In definitiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione esime il collegio dal dover pronunciare sulle spese di giudizio.