TAR Roma, sez. I, sentenza 2015-04-17, n. 201505711
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N. 05711/2015 REG.PROV.COLL.
N. 07765/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7765 del 2014, proposto da:
L F, S D, M M nonchè UIL - Ricerca Università AFAM, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi dall'avv. D D R, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Via G.G. Belli, 36;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica, CNR - Consiglio Nazionale delle Ricerche, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma, Via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento, previa sospensione,
- della circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento della Funzione Pubblica n. 2/2014 del 17.2.2014 avente ad oggetto "decreto legge n. 101 del 31 agosto 2013, convertito in legge n. 125 del 30 ottobre 2013 - Disposizioni urgenti per il perseguimento degli obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni" - art. 4 comma 16 bis - assenze per visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici";
- della direttiva del Consiglio Nazionale delle Ricerche del 3 aprile 2014 avente ad oggetto "Assenze per visite, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici - art. 4 comma 16 bis del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 2/2014";
- di tutti gli atti comunque presupposti, connessi e consequenziali, ivi compresa la nota del Consiglio Nazionale delle Ricerche n. 0027311 del 7.4.2014 di trasmissione della precedente direttiva del 3.4.2014.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Funzione Pubblica e del CNR - Consiglio Nazionale delle Ricerche, con la relativa documentazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 25 febbraio 2015 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato, i sig.ri L F, S D e M M, quali dipendenti del C.N.R., e la UIL – Ricerca Università AFAM, quale Organizzazione sindacale firmataria dei cc.nn.ll. del comparto ricerca e maggiormente rappresentativa all’interno del CNR (UIL RUA), chiedevano l’annullamento, previa sospensione, della circolare e della direttiva in epigrafe.
In particolare, la circolare n. 2/2014, rivolta a tutte le pubbliche amministrazioni, era inerente all’applicazione dell’art. 55-septies, comma 5 ter, d.lgs. n. 165/2001, come introdotto dall’art. 16, comma 9, l. n. 111/2011 e successivamente modificato dall’art. 4, comma 16 bis, d.l. n. 101/2013, conv. in l. n. 125/2013. Tale norma prevede ora che “ Nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all'orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica ”.
Tale testo legislativo, nella sua precedente conformazione, prevedeva invece - per quel che rileva nella presente sede - l’espressione “l'assenza è giustificata” in luogo di quella “il permesso è giustificato” e dopo le parole "di attestazione" non prevedeva l’espressione “anche in ordine all'orario”.
Ebbene, sulla base della novella legislativa in questione, il Dipartimento della Funzione Pubblica adottava la suddetta circolare ove era precisato tra l’altro che, a seguito della sua entrata in vigore, “…per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire dei permessi per documentati motivi personali, secondo la disciplina dei CCNL, o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)…”;a tale osservazione seguivano poi ulteriori indicazioni in merito alle modalità di compilazione dell’attestazione in questione.
Dal canto suo il C.N.R. emanava la direttiva in epigrafe con la quale, in riferimento alla circolare, specificava che “… alla luce della nuova disposizione, per l’effettuazione di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il dipendente deve fruire: - dei permessi per documentati motivi personali previsti dall’art. 8, co 1, lettera d), del CCNL del 21/02/2002;- oppure per le ore eccedenti i permessi retribuiti o qualora gli stessi siano stati già fruiti, delle ore lavorate in eccesso …” ..
I ricorrenti, quindi, richiamando tali atti e riportando il testo dell’art. 8 CCNL cit. e delle altre normative operanti in punto di assenza per malattia, lamentavano, in sintesi, quanto segue.
“I. Violazione e falsa applicazione dell’art. 55-septies, comma 5-ter, del d.lgs. 30.3.2001 n. 165 come novellato dall’art. 16-bis del decreto legge 31.8.2013 n. 101 convertito in legge 30.10.2013 n. 125. Eccesso di potere per falsità nei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà” .
Il legislatore – secondo la ricostruzione dei ricorrenti – con l’utilizzo della locuzione “permesso” voleva solo evitare la ripetizione della parola “assenza” di cui al testo precedente e non fare riferimento ai permessi di cui all’art. 8 CCNL cit., di numero limitato e previsti per specifiche incombenze (nascita figli o gravi motivi personali, per un massimo di tre giorni o 18 ore in totale, non cumulabili), come invece desumibile dalla circolare e dalla direttiva impugnate.
La conclusione cui pervenivano i ricorrenti era legata a un profilo letterale, in quanto la locuzione “il permesso” non era seguita da alcuna specificazione ulteriore che avrebbe giustificato l’interpretazione invece evidenziata dall’Amministrazione (ad es. la specificazione: “regolamentato dai contratti collettivi nazionali di lavoro”), nonché a un profilo sistematico, in quanto l’art. 71 l. n. 133/2008, concernente la regolamentazione delle assenze per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti della pp.aa., non risultava abrogato e non prevedeva alcuna correlazione tra l’assenza per malattia e la concessione di un “permesso”.
“ II. Violazione dell’art. 71 della legge 6.8.2008 n. 133. Sotto altro profilo, violazione e falsa applicazione dell’art. 55-septies, comma 5-ter, del d.lgs. 30.3.2001 n. 165 come novellato dall’art. 16-bis del decreto legge 31.8.2013 n. 101 convertito in legge 30.10.2013 n. 125. Eccesso di potere per falsità nei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà”
L’assenza per malattia per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici è sempre giustificata in quanto tale, trattandosi dell’espletamento di un diritto del dipendente pubblico tutelato dall’art. 32 Cost., ferma restando la sola mera decurtazione economica nei primi dieci giorni di assenza per tale motivo, di cui all’art. 71 l. n. 133/08 cit., per cui, anche sotto tale profilo, il richiamo ai permessi di cui all’art. 8 CCNL cit. appariva illegittimo.
“ III. Sotto altro profilo, violazione dell’art. 71 della legge 6.8.2008 n. 133 e dell’art. 55-septies, comma 5 ter, del d.lgs. 30.3.2001 n. 165 come novellato dall’art. 16-bis del decreto legge 31.8.2013 n. 101 convertito in legge 30.10.2013 n. 125, nonché dell’art. 17 del ccnl ricerca 1998-2001. Eccesso di potere per falsità nei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta, contraddittorietà” .
La censurata interpretazione non teneva conto della circostanza per la quale i permessi di cui all’art. 8 CCNL cit. sono in numero limitato e il dipendente potrebbe averli già esauriti al momento della necessità per malattia o dovrebbe rinunciare ad ottenerli qualora, al contrario, li avesse già utilizzati a tale scopo ma ne avesse necessità per le ragioni originariamente previste, quali nascita figli e/o gravi ragioni personali.
La relativa previsione, che impone il recupero in questi casi avvalendosi dell’istituto del c.d. “monte ore”, è palesemente illegittima in quanto l’art. 71 l. n. 133/08 cit. non fa alcun riferimento ad ulteriori forme di decurtazione diverse da quella economica ivi indicata e così pure lo stesso art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01, come novellato, non richiama tale istituto, che costringerebbe altrimenti il dipendente a ore di lavoro “straordinario” coattive per recuperare le ore utilizzate per l’assenza per malattia.
Si costituivano in giudizio le Amministrazioni in epigrafe, chiedendo la reiezione del ricorso.
In prossimità delle due camere di consiglio, di cui la prima rinviata a istanza di parte, del 25 giugno e del 9 luglio 2014, i ricorrenti depositavano memorie illustrative e ulteriore documentazione.
Alla seconda camera di consiglio suddetta la trattazione della questione era rinviata al merito.
Per la pubblica udienza entrambe le parti costituite depositavano ulteriori memorie a sostegno delle rispettive tesi.
In particolare le Amministrazioni resistenti, oltre a confutare nel merito le censure dei ricorrenti, eccepivano anche l’inammissibilità del ricorso, in quanto avente ad oggetto l’impugnativa di una “circolare”, nonché la carenza di interesse ad agire dei ricorrenti, in assenza di un atto lesivo della loro posizione.
La causa era quindi trattenuta per la decisione di merito all’udienza del 25 febbraio 2015.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, deve rilevare l’inammissibilità del ricorso proposto dai sig.ri F, D e M, quali dipendenti C.N.R.
E’ nota infatti la giurisprudenza secondo la quale, nel processo amministrativo, l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c. e che sono legati alla prospettazione di una lesione concreta e attuale della sfera giuridica del ricorrente e all'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato. Ne consegue che il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all'interesse sostanziale del ricorrente, con la precisazione che l'individuazione dell'interesse all'impugnazione deve essere effettuata in rapporto al “bene della vita” cui il ricorrente aspira, il che determina che l'interesse a ricorrere deve essere, oltre che personale e diretto, anche attuale e concreto, ossia tale che, in caso di accoglimento del gravame, il soggetto consegua subito il vantaggio di vedere rimosso il pregiudizio effettivo ed immediato derivante dal provvedimento amministrativo (per tutte: TAR Campania, Na, Sez. I, 12.7.11, n. 3725).
Come ulteriore corollario è stato altresì specificato che il requisito dell'”attualità” dell'interesse non è rilevabile allorchè il pregiudizio derivante dall'atto amministrativo impugnato è meramente eventuale, vale a dire quando l'emanazione del provvedimento non è di per sé stata in grado di arrecare una lesione (diretta) nella sfera giuridica del soggetto ricorrente né è certo che una siffatta lesione comunque si realizzerà in un secondo tempo, per cui è inammissibile anche un ricorso proposto per ottenere una pronuncia “di principio” che possa essere fatta valere in un futuro giudizio con riferimento a successivi comportamenti dell'Amministrazione, atteso che la tutela di un interesse strumentale deve aderire in modo rigoroso all'oggetto del giudizio, con carattere – come detto - diretto e attuale (Cons. Stato, Sez. VI, 19.6.09, n. 4125 e 14.1.09, n. 111).
Ebbene, nel caso di specie, i tre ricorrenti sopra indicati non hanno dimostrato di aver subito una lesione personale, diretta, attuale e concreta dai provvedimenti impugnati, lesione che in effetti subirebbero comunque solo con l’adozione di uno specifico atto applicativo nei loro confronti (Cons. Stato, Sez. IV, 18.11.13, n. 5451), individuabile nel diniego del “permesso” in questione o nell’obbligo di ricorrere a tutte le circostanze alternative rappresentate da loro stessi nel ricorso, solo avverso il quale reagire in sede giurisdizionale, peraltro avanti al Giudice dotato della relativa giurisdizione.
Né possono valere le osservazioni contrarie illustrate dagli stessi ricorrenti nella memoria per l’udienza pubblica, in quanto essi fanno riferimento ad una generica e futura necessità di “comportarsi diversamente da quanto avveniva anteriormente all’adozione degli atti impugnati…” (pag 10 mem. cit.) ma ciò, oltre a valere per tutti i dipendenti del C.N.R., escludendo quindi l’interesse personale e attuale sopra rammentato, conferma che allo stato non vi è stata ancora una lesione precisa e circostanziata né i medesimi hanno provato di dovere necessariamente e immediatamente dare luogo ad assenza per le pratiche legate alla verifica della propria situazione sanitaria di cui si occupano gli atti impugnati.
A diversa conclusione deve invece pervenirsi per quel che riguarda l’organizzazione sindacale pure ricorrente.
E’ principio generale, infatti, quello che vuole le organizzazioni in questione legittimate ad agire per la tutela di un interesse collettivo, quale è quello, nel caso di specie e per quanto sarà in prosieguo specificato, del rispetto della contrattazione collettiva di settore.
Esse sono legittimate ad agire in giudizio a tutela delle proprie prerogative, in quanto istituzioni esponenziali di una determinata categoria di lavoratori e degli interessi collettivi della categoria stessa, interamente considerata (per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 10.3.11, n. 1540 e 30.1.07 n. 351 nonché TAR Lazio, Sez. II q, ord. 20.5.14, n. 5290), come accade nel caso di specie.
Nella concreta fattispecie, quindi, l'associazione sindacale ricorrente, in quanto maggiormente rappresentativa all’interno del “comparto ricerca” (UIL RUA) - con affermazione contenuta nella memoria per l’udienza pubblica e non smentita dalla difesa erariale - nonché firmataria dei cc.nn.ll del comparto in questione, risulta senz'altro titolare di una posizione soggettiva che la legittima ad agire al fine di tutelare proprio le posizioni collettive da essa rappresentate con la sottoscrizione contrattuale suddetta, tra cui rientrano anche quelle relative alle modalità di fruizione e “conteggio” dei permessi per assentarsi dalla prestazione lavorativa.
Non si riscontra neanche l’inammissibilità del ricorso per avere questo ad oggetto una circolare, in quanto risulta impugnata anche la direttiva del C.N.R. del 3 aprile 2014, quale atto applicativo della medesima e, in quanto tale, lesivo della posizione giuridica dell’organizzazione ricorrente per quanto detto in precedenza.
E’ noto infatti l’ulteriore principio giurisprudenziale che esclude l’impugnabilità della circolare non direttamente precettiva ma solo in assenza di atto applicativo lesivo;qualora tale atto sia stato adottato ed impugnato, nella medesima sede giurisdizionale ben può impugnarsi anche l’atto presupposto ritenuto illegittimo su cui esso si fonda (per tutte: TAR Friuli, 8.5.09, n. 320), come accaduto appunto nel caso di specie.
Chiarito ciò in via preliminare e passando ad esaminare il merito del ricorso, il Collegio rileva la fondatezza del medesimo in relazione a quanto dedotto principalmente con il terzo motivo.
Per quel che riguarda il primo e secondo motivo, infatti, il Collegio osserva che le censure ivi illustrate si fondano essenzialmente sull’assunto che il legislatore abbia voluto soltanto evitare la riproduzione della parola ”assenza” invece presente due volte nel precedente testo del comma 5 ter cit.e sulla considerazione che l’assenza del dipendente si fondi sempre su uno stato patologico che richiede l’espletamento di indagini diagnostiche.
In realtà, sul punto, appaiono condivisibili le osservazioni di cui alla difesa erariale, laddove evidenziano che l’utilizzo della parola “permesso”, in luogo della seconda espressione “assenza” invece presente nel precedente testo, non è stato logicamente introdotto a meri fini linguistici, per evitare una ripetizione dello stesso concetto, ma per fare riferimento a modalità di regolazione della mancata prestazione lavorativa legate agli istituti contrattualmente previsti per giustificare un’assenza diversi dalla malattia intesa come stato patologico in atto.
La norma infatti, già peraltro nella prima stesura, fa riferimento non solo a “terapie” e “prestazioni specialistiche”, che potrebbero ben collegarsi a stati patologici, ma anche a generiche “visite” ed “esami diagnostici”, che tali stati – auspicabilmente peraltro – potrebbero non rilevare.
E’ evidente, infatti, che un soggetto può sottoporsi a indagini diagnostiche per mero fine esplorativo nonché a visita medica a mero scopo preventivo e/o di controllo di uno stato di buona salute.
Non appare quindi condivisibile ogni richiamo alla normativa già esistente che regola lo stato di “malattia” e i collegati diritti costituzionalmente protetti, che non appaiono messi in discussione dalla novella legislativa, la quale – si ribadisce – appare posta al fine di regolare situazioni di assenza dal lavoro non direttamente collegate ad uno stato patologico acclarato.
Come pure affermato nelle difese erariali, da un punto di vista sistematico, la novella in questione è stata disposta perché si era riscontrato abuso nel ricorso all’istituto della “assenza per malattia” da parte di pubblici dipendenti in caso di visite specialistiche o di terapie di breve durata.
Ciò è confermato dalle stesse Amministrazioni nella loro memoria per l’udienza pubblica, secondo cui “…non vi è alcun dubbio che in caso di patologia e in ogni altro caso in cui il medico curante a sua insindacabile valutazione ritenga esistente l’inabilità al lavoro, l’assenza viene giustificata a titolo di malattia con la produzione della relativa attestazione. Ciò avviene quindi ogni qual volta il dipendente debba effettuare esami diagnostici, terapie, visite e il medico ritenga sussistente la malattia o gli esami e le terapie abbiano essi stessi carattere invalidante…Né la circolare o la legge hanno inteso sopprimere l’istituto dell’assenza per malattia, che continua ad essere applicabile”, così come continuano ad essere applicabili, in tal caso, l’art. 71 l. n. 133/08 nonché l’art. 17 del CCNL richiamati dall’organizzazione sindacale ricorrente, aggiunge il Collegio.
Sotto tale profilo, quindi, si richiama la conclusione delle Amministrazioni costituite, secondo cui “…nella volontà del legislatore, la parola ‘permesso’ non può che essere ricondotta all’istituto giuridico dei permessi già previsti nei diversi CCNL di comparto e non all’istituto dell’assenza per malattia, in quanto la necessità di sottoporsi ad una visita o ad un controllo medico non necessariamente presuppone la presenza di una patologia in atto e quindi di una certificazione medica”.
Tale conclusione, però, ad avviso del Collegio, risulta condivisibile solo per la seconda parte, laddove – appunto – fa riferimento alla non necessaria presenza di patologia in atto per sottoporsi a visita o esame diagnostico, ma non per la prima, laddove si afferma che la parola “permesso” non può che essere ricondotta all’istituto giuridico dei permessi già previsti nei diversi CCNL di comparto.
In primo luogo il Collegio osserva che la norma di cui all’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01, nell’attuale conformazione, non fa alcun riferimento in questo senso, limitandosi ad affermare che “il permesso” è giustificato mediante la presentazione di una determinata attestazione.
Condivisibili sono questa volta, sotto tale profilo, le affermazioni dell’organizzazione sindacale ricorrente, secondo cui se avesse voluto dire quanto sostenuto dalle Amministrazioni resistenti, il legislatore avrebbe fatto uso di locuzioni del tipo “il permesso regolato dai vigenti contratti collettivi nazionali di comparto” o simili e non avrebbe dato luogo a un generico riferimento a “il permesso”.
Ciò vuol dire che un’interpretazione logicamente e sistematicamente orientata dalla norma non può essere quella proposta con la circolare e la direttiva impugnata, che direttamente ritengono di richiamare, rispettivamente, i permessi per “documentati motivi personali secondo la disciplina dei CCNL o di istituti contrattuali similari o alternativi (come i permessi brevi o la banca delle ore)” e i permessi “per documentati motivi personali previsti dall’art. 8, comma 1, lettera d), del CCNL del 21/02/2002”.
Ciò perché, evidentemente, tali permessi, e la relativa contrattazione di comparto, erano stati individuati nella vigenza della normativa precedente, che non faceva distinzione sull’assenza per malattia, come sopra evidenziato. E’ chiaro che tali “permessi” riguardavano le ragioni più varie indicate dall’organizzazione sindacale ricorrente ma non anche le assenze per terapie e simili di cui all’art. 55-septies cit.
L’utilizzo imposto immediatamente di tale tipo di permessi comporterebbe indubbiamente uno sconvolgimento nell’organizzazione di lavoro e personale del dipendente che – come condivisibilmente osservato nel ricorso e ribadito nelle successive memorie – ben potrebbe aver già usufruito di tali forme di giustificazione di assenza, confidando di poter avvalersi dell’ulteriore modalità di “assenza per malattia” prima prevista dalla conformazione della richiamata norma e del CCNL applicabile o, viceversa, non potrebbe più avvalersi di tali “permessi” per documentati “motivi personali” diversi dallo svolgimento di terapie, visite e quant’altro.
Ne consegue, ad opinione del Collegio, che la novella legislativa in esame non può avere un carattere immediatamente precettivo ma deve comportare, per la sua applicazione anche mediante atti generali quali circolari o direttive, una più ampia revisione della disciplina contrattuale di riferimento.
Tale conclusione appare confermata dalla stessa Amministrazione, secondo la documentazione depositata in giudizio da parte ricorrente.
Infatti, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha inviato a vari enti, con nota protocollata dal C.N.R. il 13 giugno 2014, una “Ipotesi di atto di indirizzo quadro all’ARAN per la sottoscrizione di un CCNQ in materia di rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti”, sulla base delle “stratificazioni regolative in materia” che hanno indotto nel tempo “problematiche interpretative di diversa natura”.
Nello specifico, è evidenziata proprio la problematica relativa alla novella dell’art. 55-septies, comma 5.ter, cit., laddove si sottolinea che “Le assenze dal servizio per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici richiedono una specifica disciplina contrattuale, con carattere di omogeneità per tutti i comparti e le aree di contrattazione” e che “Tali assenze presentano la caratteristica di non essere assimilabili in tutto all’assenza per malattia, in quanto manca il presupposto della patologia in atto e di essere entro certi limiti giustificabili per la particolare causa, consistente nella esigenza di cura o di prevenzione”. Segue poi una dettagliata descrizione delle ipotesi di individuazione di specifici permessi legati a tale tipologia di assenza, diversi da quelli già previsti dalla contrattualistica vigente e ideati per scopi ulteriori, nella vigenza della normativa precedente all’entrata in vigore dell’art. 4, comma 16-bis, d.l. n. 101/13, conv. in l. n. 125/13, nonché una dettagliata descrizione dell’oggetto della futura contrattazione relativa a congedi parentali, per maternità, monte-ore”.
Ne consegue, quindi, che i provvedimenti impugnati sono illegittimi per quanto dedotto essenzialmente nel terzo motivo di ricorso, in quanto la materia oggetto della novella trova il suo naturale elemento di attuazione nella disciplina contrattuale da rivisitare e non in atti generali disomogenei riconducibili a singoli enti pubblici o assimilati in riferimento a CCNL già sottoscritti.
Per quanto dedotto, perciò, il ricorso deve essere accolto, con conseguente annullamento della circolare e della direttiva impugnate, laddove impongono di avvalersi, ai sensi dell’art. 55-septies, comma 5-ter, d.lgs. n. 165/01 nella nuova formulazione, dei permessi per documentati motivi personali già previsti dalla contrattazione collettiva, in particolare dall’art. 8, , comma 1, lettera d), del CCNL del 21/02/2002.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi sia per la novità della fattispecie sia per la parziale dichiarazione di inammissibilità del ricorso.