TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-03-23, n. 202305109

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-03-23, n. 202305109
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202305109
Data del deposito : 23 marzo 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/03/2023

N. 05109/2023 REG.PROV.COLL.

N. 06772/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6772 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato C C, con domicilio eletto presso il suo studio in Treviso, via Isola di Mezzo 26;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del decreto ministeriale -OMISSIS-, emesso in data 23.03.2017 e notificato in data 26.04.2017, recante il diniego della domanda di concessione della cittadinanza italiana ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f), Legge n. 91/1992 presentata il 05.10.2012.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 10 febbraio 2023 la dott.ssa A G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I. - Il ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 5 ottobre 2012.

II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione ha respinto la domanda dell’interessato, ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza, essendo emerso dal certificato del casellario giudiziale a suo carico un decreto penale di condanna del -OMISSIS-, emesso dal GIP presso il Tribunale di -OMISSIS-, divenuto esecutivo il 14.05.2010, per i reati commessi nel 2006 di cui all’art. 12, comma 1, d. lgs. 25/07/1998 n. 286 ( atti diretti a procurare l’ingresso illegale ) e all’art. 480 c.p. ( falso ).

III. – Il ricorrente eccepisce l’illegittimità dell’atto impugnato, chiedendone l’annullamento dell’efficacia in quanto asseritamente affetto dai seguenti vizi:

Violazione di legge: violazione dell’art. 6, co. 3, L. 91/1992

Eccesso di potere: erronea valutazione dei fatti – difetto di istruttoria – motivazione inadeguata.

Il provvedimento viene censurato alla luce dell’intervenuta riabilitazione nelle more del procedimento e del livello di integrazione nel tessuto sociale nazionale raggiunto dall’istante.

IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato.

V. – All’udienza straordinaria del 10 febbraio 2023, svolta in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm., la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. - Il ricorso è infondato.

II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).

L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi , dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “ può ” - e non “ deve ” - essere concessa.

La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, n. 1796/2008;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.

II.1. - In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “ concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa ”).

In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009;
Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022;
n. 4121/2021;
n. 7036 e n. 8233 del 2020;
n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa;
il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
Sez. IV, n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

IV. – Alla luce del quadro ricostruito, è possibile ritenere prive di pregio le censure formulate da parte attrice, volte a confutare l’operato dell’amministrazione resistente che ha formulato un giudizio di inaffidabilità del ricorrente e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale sulla base delle risultanze del certificato del casellario giudiziario.

Il diniego giunge a valle dell’attività istruttoria condotta dall’amministrazione da cui è emerso la riconducibilità al richiedente di condotte penalmente rilevanti – di favoreggiamento ingresso illegale di clandestino e falsità ideologica, poste in essere nel decennio antecedente il momento di presentazione della domanda - che hanno finito ragionevolmente per riflettersi in maniera negativa sulla formulazione del giudizio prognostico di idoneità da parte dell’amministrazione, chiamata a contemperare l’interesse pubblico composito da tutelare, come in premesse individuato, e l’interesse vantato dal richiedente.

V. – Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione dell’art. 6, comma 3, L. 91/1992.

Il rilievo deve essere disatteso in quanto, per la cittadinanza per concessione non trova applicazione l’art. 6, comma 3, che, in caso di riabilitazione, prevede il venire meno delle ragioni ostative alla concessione di cittadinanza di cui al comma 1.

Detta disposizione riguarda esclusivamente le istanze di cittadinanza per matrimonio con cittadino italiano di cui all’art. 5 della legge n. 91/1992 – che, in quanto vero e proprio diritto soggettivo per il richiedente (a tutela dell’unità familiare del cittadino italiano), incontra limiti solo al ricorrere delle ipotesi tassativamente predeterminate dal legislatore - e non anche con riguardo alle domande di concessione per residenza, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 91/1992, quale quella in esame, in cui, invece, il legislatore ha preferito non precludere all’Amministrazione la possibilità di valutare “caso per caso” la situazione dell’istante e la sua meritevolezza di fare ingresso in maniera stabile e irreversibile nella comunità nazionale (cfr., da ultimo, Cons. Stato sez. III, 14 maggio 2019, n. 3121;
id., 21 ottobre 2019, n. 7122).

Non è dunque predicabile un’applicazione estensiva della norma in esame alle richieste di cittadinanza per naturalizzazione, per quanto anche in queste ipotesi è possibile ricollegare un effetto riespansivo all’intervenuta riabilitazione, che tuttavia riguarda l’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, non più vincolata da un bilanciamento degli interessi in conflitto compiuto a monte dal legislatore.

La ritenuta irrilevanza della riabilitazione – successiva al momento della presentazione dell’istanza - non può quindi integrare ex se un vizio di legittimità del provvedimento, specie in presenza di reati di tal fatta.

In proposito, questa Sezione ha di recente chiarito nella sentenza n. 5131 del 27 aprile 2022: « La prospettazione attorea non merita condivisione, dato che, al riguardo la giurisprudenza in materia ha già chiarito che, mentre per quanto riguarda la richiesta di cittadinanza ex art. 5 soprarichiamata l’intervenuta riabilitazione comporta l’automatica cessazione dell’effetto preclusivo all’acquisto “di diritto” di tale status , per cui il legislatore ha ritenuto preminente la tutela del nucleo familiare come diritto fondamentale della persona, predeterminando una serie tassativa di fattori ostativi e sancendo l’automatico venir meno di tali condizioni preclusive, con piena “riespansione” del diritto soggettivo attribuito al coniuge del cittadino/a italiana;
nel caso, invece, della richiesta di naturalizzazione, ai sensi dell’art. 9, legge n. 91/1992, la riabilitazione non esclude la possibilità dell’Amministrazione di valutare la condotta dell’interessato, come “fatto storico”, al fine di formulare quel giudizio, ad essa demandato, sull’opportunità di inserimento del nuovo elemento nello Stato-comunità sopra ricordato

Per tali ragioni la giurisprudenza ha costantemente ribadito che, in presenza di reati di non lieve entità, le risultanze penali anche se molto risalenti nel tempo si possono valutare negativamente sul piano amministrativo e a prescindere dagli esiti processuali o dall’eventuale riabilitazione, come peraltro ricordato nella motivazione del provvedimento (“ CONSIDERATO che le valutazioni finalizzate all’accertamento di una responsabilità penale si pongono su di un piano assolutamente differente ed autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo, con possibilità di valutare sfavorevolmente, in sede amministrativa, le risultanze fattuali oggetto delle vicende penali, anche a prescindere dall’intervenuta riabilitazione ”).

In tale prospettiva, il Collegio, operando entro i limiti di un sindacato formale ed estrinseco, ritiene che il giudizio dell’Amministrazione, che ha valutato il “fatto storico”, a prescindere dall’intervenuta riabilitazione, quale “indice sintomatico di inaffidabilità e non compiuta integrazione desumibile dal rispetto delle regole di civile convivenza” non appare manifestamente illegittimo e rende il provvedimento immune dai dedotti vizi di insufficienza ed illogicità della motivazione, eccesso di potere, violazione degli artt. 6 e 9 legge n. 91/1992, di carenza di motivazione, vista anche la gravità del reato contestato, tenuto conto del disvalore attribuito alla condotta dal legislatore (di contro il giudizio sulla lievità e scarsa significatività della condotta del ricorrente) ».

Invero, i provvedimenti di riabilitazione, estinzione della pena e persino i provvedimenti collettivi di clemenza non incidono sulla capacità dell’Amministrazione di negare il richiesto status civitatis , proprio perché, invece, confermano l’esistenza di un fatto storico adeguatamente accertato e sanzionato dal Giudice Penale, contrario alle regole proprie della Comunità nazionale, consentendo poi l’accesso a misure di ripristino e/o alternative che, sebbene inibiscano la pienezza della sanzione penale, non obliterano la capacità valutativa dell’Amministrazione in sede di accertamento, prognostico e complessivo, dei presupposti di concessione della cittadinanza.

D’altronde, tale conclusione rappresenta il precipitato applicativo del noto fenomeno della “pluriqualificazione” dei fatti giuridici, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, etc. a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite, invocato dalla giurisprudenza amministrativa anche in relazione alla circostanza dell’estinzione e della riabilitazione pronunciata dal giudice penale. Difatti, sul piano amministrativo, visto che la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento, la condotta comunque posta in essere dall’interessato rileva per il particolare valore sintomatico che può assumere in quel procedimento (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1057;
id. 28 maggio 2021, n. 4122;
id., 16 novembre 2020, n. 7036;
id., 23 dicembre 2019, n. 8734;
id., 21 ottobre 2019, n. 7122;
id., 14 maggio 2019, n. 3121;
sez. IV, n. 1788/2009, n. 4862/2010;
T.A.R. Lazio sez. V bis, nn. 2944, 4469 e 4651 del 2022;
sez. II quater, n. 10590/12;
10678/2013).

Sulla scorta dei postulati enucleati, il primo motivo di ricorso è da considerare privo di fondamento.

VI. – Anche il secondo motivo di ricorso, con cui la parte deduce i vizi di eccesso di potere: erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria e motivazione inadeguata, non può essere accolto.

I precedenti contestati e in particolare le violazioni della normativa in materia di immigrazione riguardano condotte che sono ragionevolmente valutate in maniera negativa dalla PA ai fini della concessione della cittadinanza, dato che la naturalizzazione potrebbe agevolare la commissione di tali infrazioni, che destano particolare allarme sociale, in quanto colpiscono principi fondamentali per l’ordine e la sicurezza pubblica, tanto che sono pregiudizievoli anche al rilascio e rinnovo di titoli per l’autorizzazione del soggiorno sul territorio nazionale (cfr., Cons. Stato, sez. III, n. 8734/2019;
TAR Lazio, sez. V bis, n. 5130/2022).

Inscrivendo nel suddetto quadro la condotta tenuta dal ricorrente, in quanto in grado di mettere in pericolo la tenuta dell’ordinata e civile convivenza, è possibile considerare la determinazione dell’autorità di rigettare l’istanza di cittadinanza espressione di un esercizio ponderato, puntuale, razionale del potere altamente discrezionale normativamente previsto.

Il provvedimento impugnato, emesso sulla base di quanto emerso dagli atti istruttori, infatti, fornisce evidenza del fatto che, ad avviso dell’amministrazione, chiamata a formulare un giudizio di idoneità del soggetto che ambisce a diventare cittadino, il quadro personale non dava garanzia di un suo proficuo stabile inserimento nell’ambito della comunità nazionale, in quanto con il comportamento ha palesemente violato norme a fondamento del nostro sistema giuridico, ponendosi in contrasto con la civile convivenza. E l’asserita gravità del fatto – in dispregio alle osservazioni attoree - deve essere valutata proprio da tale angolo prospettico, tenuto conto che la presunta inosservanza di regole poste a presidio di beni e valori costituzionalmente protetti assume significativa pregnanza, con inevitabile condizionamento in senso negativo, nell’ambito di un procedimento volto a verificare la compiuta integrazione e integrale assimilazione dei valori fondamentali su cui si regge la comunità in cui del soggetto ambisce ad essere integrato (TAR Lazio, sez. V bis, n. 4621/2022;
n. 6609/2022).

E nel caso di specie il richiedente ha posto in essere atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altro Stato del quale la persona non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente ex art. 12 comma 1 d.lgs. 25/07/1998 n. 286 e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in certificati tentato in concorso ex art. 56, 110, 480 c.p.

Inoltre, come accennato, a sostegno della fondatezza dell’operato dell’amministrazione, tenuto conto degli elementi istruttori raccolti al momento del procedimento e dello stato degli atti, milita altresì la vicinanza temporale al momento della proposizione della domanda dei comportamenti censurati. Sull’importanza del c.d. “periodo di osservazione”, rappresentato dal decennio precedente il momento della domanda, rilevante ai fini della valutazione dell’acquisizione dei requisiti per la cittadinanza, incluso quello dell’irreprensibilità della condotta, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 91 del 1992, l’insegnamento della giurisprudenza può dirsi pressoché univoco (cfr. Cons. St., sez. VI - 10/01/2011, n. 52;
TAR Lazio, sez. II quater, n. 10678/13, n. 1833/2015;
TAR Lazio, sez. I ter, n. 5917/21;
da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945 e 2946 del 2022).

Tali circostanze hanno pertanto legittimamente indotto l’Amministrazione ad effettuare una valutazione sfavorevole del grado di condivisione dei valori fondamentali dell’ordinamento ed a formulare un giudizio prognostico negativo sull’utile inserimento del ricorrente nella comunità di cui chiede di far parte integrante anche al fine dell’esercizio dei cd. diritti politici.

Quindi, il comportamento addebitato, a lume dei postulati delineati, appare in grado di assicurare un adeguato sostrato motivazionale e istruttorio al diniego avversato, a prescindere dagli esiti sul piano penale.

In estrema sintesi, l’Amministrazione è chiamata, in presenza del “fatto storico” comunque, ad effettuare la delicata valutazione discrezionale in ordine alla effettiva e complessiva integrazione dello straniero nella società e l’interesse del richiedente deve essere comparato con l’interesse della collettività sotto il profilo più generale della tutela dell’ordinamento, ovvero con lo scopo di “ proteggere il particolare rapporto di solidarietà e di lealtà tra esso e i propri cittadini nonché la reciprocità di diritti e di doveri, che stanno alla base del vincolo di cittadinanza ” (Corte di giustizia UE, causa Rotmann, punto 51).

VII. - Quindi, alla luce di quanto argomentato, il giudizio di non idoneità formulato dall’Amministrazione appare sorretto da un corredo motivazionale in grado di giustificare una non favorevole valutazione della posizione del ricorrente ad essere inserito, a tutti gli effetti, nella collettività nazionale, con l’acquisizione a pieno titolo dei relativi diritti e doveri, ad onta, come nel caso di specie, della dedotta integrazione nel tessuto sociale italiano dell’interessato.

Sul punto questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale ( ex multis , Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).

L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento se ha dimostrato di non condividerne i fondamentali valori di solidarietà e sicurezza.

In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.

VIII. – Infine, non si ritiene rilevante, ai fini del giudizio di meritevolezza richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino, l’ulteriore elemento ostativo dedotto dall’Amministrazione della dichiarazione non veritiera circa siffatto precedente in sede di presentazione della domanda, dato che si tratta di un elemento contestato solo in sede di memoria di costituzione e di cui non vi è cenno nella motivazione del provvedimento, pena l’elisione del principio dell’inammissibilità di una motivazione postuma.

Ciò, tuttavia, non inficia la legittimità del provvedimento impugnato, in quanto quest’ultimo poggia su gli ulteriori motivi ostativi scandagliati.

IX.- In ogni caso, si tenga conto che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto), per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “ interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente ” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici) - dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima. Quindi, per il provvedimento impugnato, con cui, nel bilanciamento degli interessi pubblici e privati in gioco, si è ritenuto recessivo l'interesse del privato ad essere ammesso come componente aggiuntivo del Popolo italiano, l’irragionevolezza è altresì esclusa alla luce della circostanza che il diniego di cittadinanza provoca il solo svantaggio temporale sopraindicato, il quale risulta “giustificato” ove si consideri la rilevanza degli interessi in gioco e l’irreversibilità degli effetti connessi alla concessione dello status di cittadino. Da tale punto di vista, infatti, risulta inopportuno ampliare la platea dei cittadini mediante l'inserimento di un nuovo componente ove sussistano dubbi sulla sua attitudine a rispettare i valori fondamentali per la comunità di cui diviene parte essenziale con piena partecipazione all’autodeterminazione delle scelte di natura politica.

X. - In conclusione, il Collegio, muovendosi nell’angusto solco di un sindacato meramente estrinseco e formale, ritiene che il ricorso deve essere respinto, non avendo rinvenuto, per tutto quanto osservato, la presenza di elementi in grado di scalfire la legittimità dell’operato della p.a. nell’esercizio del potere altamente discrezionale attribuitole dal legislatore, alla luce dei vizi dedotti con l’atto introduttivo del presente giudizio.

XI. - Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

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