TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-24, n. 202410509

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-24, n. 202410509
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202410509
Data del deposito : 24 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 24/05/2024

N. 10509/2024 REG.PROV.COLL.

N. 09685/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9685 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati F R, G C, R B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Presidenza della Repubblica, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

previa sospensione,

del decreto del Presidente della Repubblica prot. n. -OMISSIS- del 18.10.2022 con il quale è stato annullato, in autotutela, il precedente decreto del 28.12.2015 di concessione della cittadinanza italiana;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 aprile 2024 il dott. G V e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. - Con il ricorso in esame il ricorrente ha domandato l’annullamento, previa sospensione cautelare, del decreto del Presidente della Repubblica prot. n. -OMISSIS- del 18.10.2022 con il quale è stato annullato, in autotutela, il precedente decreto del 28.12.2015 che gli aveva concesso la cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f) , della legge n. 91 del 1992.

La motivazione, che assiste il provvedimento di autotutela impugnato, ha rilevato che il decreto di concessione della cittadinanza, dopo la prestazione del giuramento di rito da parte dell’interessato, “ è diventato oggetto del procedimento penale presso il Tribunale di Roma (n. 4196/2017/2018 R.G.N.R. PM e n. 13469/2017 R.G. Ufficio G.I.P.-G.U.P.), attualmente nella fase dell’udienza preliminare, instaurato a seguito dell’indagine compiuta dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, volta ad accertare l’avvenuta definizione favorevole, pur in presenza di gravi elementi ostativi, di circa 500 pratiche di concessione della cittadinanza, tra le quali risulta ricompresa anche quella dell’istante ”. Rispetto a tale procedimento penale – si legge nell’atto impugnato - era stato stralciato, tempo addietro, un ulteriore procedimento, “ il n. 43898/2017, definito con giudizio abbreviato con la sentenza n. 13711/2018 del Tribunale di Roma, che ha condannato una dipendente della Direzione centrale per la cittadinanza del Ministero dell’Interno per i reati di cui agli artt. 615 ter e 615 quater c.p., per aver definitivo positivamente, nonostante l’istruttoria fosse alterata, circa 100 istanze di cittadinanza, mediante accesso abusivo al sistema informatico e manipolazione dei dati dietro corrispettivo ”. La sentenza del Tribunale di Roma, si legge ancora nell’atto, “ è stata confermata in secondo grado, con la sentenza n. 14467/2019 della Corte d’Appello di Roma, e in ultimo grado, a seguito della pronuncia della Corte di Cassazione nr. 14189/2020, diventando definitiva ”. Il provvedimento di concessione della cittadinanza, nei confronti dell’odierno ricorrente, sarebbe pertanto risultato “ carente in via assoluta di istruttoria e non altrimenti sanabile, per via delle circostanze emerse in sede penale e non addebitabili all’Amministrazione ”.

Nella motivazione dell’atto, inoltre, si dà conto della nota ministeriale, datata 22.12.2021 e notificata il 2.05.2022, con la quale, nei confronti dell’odierno ricorrente, è stata data comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 7 e dell’art. 10- bis della legge n. 241 del 1990, e si aggiunge che “ non sono stati forniti nuovi elementi utili per una decisione favorevole ”.

Viene, infine, esclusa la sussistenza di un affidamento tutelabile in capo alla parte privata, ai sensi dell’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990, “ sulla base della considerazione che il decorso del tempo non può ingenerare un affidamento in buona fede in capo a coloro che hanno ottenuto la cittadinanza in conseguenza di comportamenti penalmente rilevanti, tenuto peraltro conto che l’Amministrazione è venuta a conoscenza degli ulteriori fatti criminosi solo con la recente richiesta di rinvio a giudizio ”. L’amministrazione, dunque, si sarebbe mossa “ tempestivamente ”, pur nella consapevolezza che non sarebbe applicabile il termine “ ragionevole ” di cui all’art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990 allo specifico procedimento di concessione dello status di cittadino, e ciò “ per incompatibilità con i valori fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, secondo consolidata giurisprudenza ” (sono qui richiamate alcune sentenze di questo TAR).

Sono, infine, spese ulteriori considerazioni atte a sostenere la sussistenza e la prevalenza dell’interesse pubblico, concreto e attuale, alla rimozione dell’atto di concessione della cittadinanza, anche nel bilanciamento con il contrapposto interesse della parte privata, nel soddisfacimento dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza, tenuto altresì conto che all’interessato “ è consentito il mantenimento dello status civitatis d’origine o, quantomeno, l’accesso alla cittadinanza indiana d’oltremare, a seguito dell’annullamento del succitato d.P.R. di concessione della cittadinanza italiana ”.

2. – Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di censura:

a) “ Illegittimità del procedimento amministrativo per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 legge 241/90 – eccesso di potere ”;

b) “ Eccesso di potere per violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui all’art. 21 nonies legge 241/90 ”;

c) “ Eccesso di potere. difetto d’istruttoria. illogicità e contraddittorietà del provvedimento assunto. violazione del principio di buon andamento ed imparzialità della p.a. (art. 97 cost.) ”.

Il ricorrente lamenta, essenzialmente, che:

- la comunicazione di avvio del procedimento sarebbe carente di una pluralità di elementi normativamente indicati dall’art. 7 della l. n. 241/1990, in particolare dell’indicazione del responsabile del procedimento amministrativo, della data entro la quale lo stesso deve concludersi nonché, in particolare, delle modalità – telematiche e non – attraverso le quali la parte può prendere visione degli atti oggetti del procedimento stesso;

- il provvedimento impugnato sarebbe affetto da vizio di motivazione giacché non specifica adeguatamente le ragioni poste a sostegno dell’annullamento d’ufficio della cittadinanza, riportando sinteticamente elementi di fatto in base ai quali è stata annullata la concessione della cittadinanza che sono comunque del tutto inconferenti rispetto alla posizione personale del ricorrente, il quale è totalmente estraneo alla vicenda sottesa al procedimento penale citato nel provvedimento, tanto che il suo nominativo neanche compare nelle pronunce penali di condanna degli imputati;

- il gravato decreto sarebbe anche affetto da difetto di istruttoria, in quanto egli era comunque in possesso di tutti i requisiti per la concessione della cittadinanza, di modo che l’amministrazione avrebbe dovuto approfondire se davvero l’istruttoria sia stata carente e/o insufficiente, indicando analiticamente le carenze riscontrate, non esplicitate nel corredo motivazionale del provvedimento di autotutela;

- il provvedimento di autotutela è stato emesso sei anni dopo la concessione della cittadinanza italiana, in aperta violazione del termine di dodici mesi previsto dall’art. 21- nonies legge n. 241/1990 e senza tener minimamente conto, peraltro, dell’interesse del ricorrente, frustrando il suo legittimo affidamento sulla stabilità di uno status che avrebbe dovuto essere considerato intangibile.

3. – Si è costituito il Ministero intimato per resistere al ricorso, depositando anche il prospetto riepilogativo delle irregolarità - riscontrate a carico, tra gli altri, dell’odierno istante - accluso all’informativa di reato, predisposta dal Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche della Polizia di Stato (C.N.A.I.P.I.C.).

4.- L’istanza cautelare è stata respinta con ordinanza cautelare n. 4862 del 3.8.2023, successivamente riformata dal Consiglio di Stato con ordinanza n. 4386 del 27.10.2023 che, in accoglimento dell’appello cautelare, ha accolto l’istanza cautelare in primo grado, disponendo la sospensione degli effetti dell’atto impugnato, salvi gli ulteriori motivati provvedimenti.

5.- In data 7.3.2024 il ricorrente ha depositato memoria difensiva, mentre in data 9.3.2024 il Ministero resistente ha depositato una relazione dell’Amministrazione nonché l’ulteriore documentazione riguardante il sotteso processo penale, in particolare:

a) la richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, comprensiva quindi della specifica indicazione delle 500 pratiche alterate alle quali fa riferimento il provvedimento impugnato, tra le quali rientra quella dell’odierna parte ricorrente;

b) la correlativa sentenza di patteggiamento ex artt. 444 e 445 c.p.p. n. 1638/2022 dell’11 maggio 2022 pronunciata dal GUP del Tribunale di Roma riguardante la funzionaria infedele, nella quale risulta, ancora, il numero della pratica dell’odierno ricorrente.

6.- Con memoria di replica depositata il 15.03.2024, il ricorrente ha preliminarmente eccepito la tardività del suddetto deposito e, in ogni caso, ne ha dedotto l’irrilevanza ai fini della decisione, in quanto nulla dimostrerebbe in ordine all’asserita carenza d’istruttoria della domanda presentata dal ricorrente.

7.- Alla pubblica udienza del 10 aprile 2024 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

8.- Preliminarmente, il Collegio ritiene, in parziale accoglimento dell’eccezione di tardività sollevata dalla parte ricorrente, di dichiarare l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, della sola relazione ministeriale, siccome prodotta il 9.3.2024 e, dunque, oltre i termini di cui all’art. 73, comma 1, c.p.a. che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, hanno carattere perentorio in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale a tutela del principio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice.

Per converso, rileva il Collegio che gli altri documenti (relativi al sotteso processo penale), sebbene anch’essi tardivamente prodotti, consistano negli “ atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato ” che l’Amministrazione resistente, ai sensi del disposto di cui all’art. 46, comma 2, c.p.a., ha l’obbligo di depositare in giudizio e che, nel caso di mancata produzione, potrebbero in ogni caso essere acquisiti su ordine del giudice a norma dell’art. 65, comma 3, c.p.a.

Si tratta, in definitiva, di atti e documenti che, in quanto attinenti al procedimento amministrativo, devono comunque essere acquisiti al giudizio e non possono essere stralciati.

Ne consegue che, al fine di salvaguardare il principio del contraddittorio e il diritto di difesa, al ricorrente che ne faccia espressa richiesta deve essere senz’altro concesso un termine a difesa onde controdedurre alla documentazione tardivamente prodotta dall’Amministrazione, richiesta che, nel caso di specie, non è stata tuttavia formulata. Peraltro, nella memoria di replica il ricorrente ha articolato puntuali argomentazioni difensive avverso l’anzidetta documentazione, sicché il diritto di difesa è stato pienamente esercitato senza alcuna menomazione.

Alla luce delle considerazioni che precedono, non si terrà conto, ai fini della decisione, della sola relazione ministeriale, tardivamente prodotta in data 9.3.2024.

9. – Nel merito, il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.

La vicenda oggetto del presente scrutinio è nota alla giurisprudenza della Sezione, che su di essa si è già pronunciata con diversi precedenti.

Si tratta della vicenda che ha visto coinvolta una funzionaria infedele del Ministero dell’interno la quale, a seguito di un procedimento penale, è stata condannata per aver alterato, a seguito di indebiti accessi nelle rispettive procedure informatiche, un numero notevole di pratiche afferenti alla concessione della cittadinanza italiana in favore di richiedenti stranieri. Le fondamentali circostanze di fatto della vicenda, che hanno orientato l’amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, sono sufficientemente e adeguatamente descritte nella motivazione dell’atto gravato, nel quale si dà conto del procedimento penale stralciato dal filone principale, conclusosi con la condanna definitiva, dopo tre gradi di giudizio, nei confronti della funzionaria infedele. La relazione depositata in giudizio dall’amministrazione aggiunge un ulteriore, e rilevante, dato di fatto, ossia l’avvenuta condanna, in primo grado, della medesima funzionaria anche per le imputazioni di cui al filone principale, nell’ambito del quale risulta compresa la pratica di cittadinanza dell’odierno ricorrente. Si legge, infatti, nella relazione che “ L’attuale procedimento penale costituisce il filone principale della nota vicenda conclusasi, in un procedimento stralcio, con la condanna in tutti i gradi del giudizio di una dipendente del Ministero dell’interno per l’illegittima concessione di circa 100 cittadinanze ” e che “ In relazione a tale ulteriore procedimento, la suddetta dipendente e il coniuge della medesima, pure coinvolto, hanno presentato richiesta di patteggiamento, che è stata accolta dal G.U.P. presso il Tribunale di Roma, il quale in data 11.05.2022 ha emanato nei loro confronti una sentenza di condanna. Il suddetto Giudice ha inoltre disposto il rinvio a giudizio di tutti gli altri imputati ”.

Dagli atti versati in giudizio emerge chiaramente – come si anticipava – che la pratica di cittadinanza dell’odierno ricorrente risulta compresa tra quelle inquinate dall’intervento illecito della funzionaria infedele.

Invero, l’Amministrazione ha prodotto in giudizio, innanzitutto, il prospetto riepilogativo delle irregolarità riscontrate in relazione alla pratica riguardante l’odierna parte ricorrente, dal quale risulta in particolare quanto segue: “ utilizzo illecito della credenziale “dirigente area terza” per la definizione - mancata richiesta notizie dopo aggiornamento casellario con reati che ha portato all'esclusione dalla decretazione semplificata - redditi dichiarati in domanda insufficienti - mancata richiesta aggiornamento reddituale - assenza del timbro di accettazione della prefettura sulla domanda e marca da bollo”.

Ma soprattutto, sono stati depositati gli atti del processo penale, dai quali risulta che la pratica in oggetto del ricorrente , con il numero di protocollo -OMISSIS-, veniva menzionata nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma datata 7.7.2020 e anche nella correlativa sentenza di patteggiamento n. 1638/2022 del GUP del Tribunale di Roma, risultando ivi indicata sia nell’elenco delle 486 pratiche alterate sotto la descrizione del capo di imputazione ex artt. 110, 48 e 479 c.p., contestandosi qui, nei confronti di diversi soggetti, la “ manipolazione del sistema informatico SICITT, in uso al Ministero dell’Interno, nonché la formazione di attestazioni false concernenti il reddito, requisito necessario per l’ottenimento della cittadinanza italiana ”, sia nell’elenco delle 299 pratiche per le quali risultano essere state utilizzate le credenziali del dirigente dell’area. Si tratta, in quest’ultimo caso, del capo di imputazione ex artt. 81, capoverso, 615- ter , comma 1, comma 2, numero 1), e comma 3, e 615- quater c.p., concernente specificamente la persona della funzionaria infedele, la quale, “ con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, dopo essersi abusivamente procurata le credenziali di accesso altrui, abusivamente si introduceva e si manteneva nel sistema informatico denominato SICITT del Ministero dell’Interno, sistema di interesse pubblico munito di misure di sicurezza, per manipolare i dati in esso contenuti e consentire a numerosi stranieri, sprovvisti dei requisiti necessari, di acquisire la cittadinanza italiana ”.

Giova precisare che tale notizia di reato è quella che ha aperto il filone principale del procedimento penale (n. 4196/2017), attualmente – come per l’appunto riferito e documentato in giudizio dall’amministrazione resistente – giunto alla sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) per la funzionaria infedele (e il coniuge, pure coinvolto), nonché alla richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli altri imputati.

10. – In base a queste risultanze, dunque, risulta destituita di fondamento l’asserzione secondo cui, tra le pratiche inquinate, non figurerebbe quella della parte ricorrente;
al contrario, essa è espressamente indicata nell’elenco di cui ai capi di imputazione e, conseguentemente, rientra tra quelle di cui alla relativa sentenza di patteggiamento n. 1638/2022 sopra menzionata. Peraltro, si legge nella sentenza che i fatti criminosi contestati alla funzionaria infedele, anche con riferimento alla pratica dell’odierno ricorrente, si riferiscono al periodo “ tra il gennaio 2015 ed il marzo 2017 ”, sicché comprendono anche il procedimento di concessione della cittadinanza qui in esame ed esitato con il decreto concessorio del 28.12.2015.

Ne deriva, pertanto, che l’amministrazione, a fronte dell’acclarata manipolazione abusiva della pratica in oggetto affetta, dunque, da un grave e insanabile vizio di difetto di istruttoria, ha ragionevolmente avviato – e concluso - il procedimento di autotutela, esitato con l’impugnato annullamento d’ufficio del precedente decreto di concessione dello status civitatis .

Quanto all’ulteriore profilo secondo cui non sarebbe possibile, con certezza, desumere un effettivo inquinamento della pratica, anch’esso è parimenti destituito di fondamento, in base a quanto è dato ricavare dagli atti versati in giudizio.

Invero, come si evince dal prospetto riepilogativo delle irregolarità riscontrate a carico, tra l’altro, dell’odierno istante, accluso alla informativa di reato del CNAIPIC, anche la pratica del medesimo (come, del resto, tutte le altre) risultava affetta da macroscopici vizi afferenti all’istruttoria: emergevano, invero, diverse irregolarità, e precisamente, come già si è rimarcato, le seguenti: “ utilizzo illecito della credenziale “dirigente area terza” per la definizione - mancata richiesta notizie dopo aggiornamento casellario con reati che ha portato all'esclusione dalla decretazione semplificata - redditi dichiarati in domanda insufficienti - mancata richiesta aggiornamento reddituale - assenza del timbro di accettazione della prefettura sulla domanda e marca da bollo ”.

Appare evidente, pertanto, che l’istruttoria della relativa pratica di cittadinanza non poteva considerarsi conclusa, tenuto conto – oltre che della circostanza dell’accesso abusivo con le credenziali del dirigente –della rilevata carenza del requisito reddituale, anche considerata la mancata richiesta dell’aggiornamento reddituale.

Sotto il profilo da ultimo indicato, peraltro, occorre richiamare la sentenza del Consiglio di Stato, sez. III, 9 giugno 2022, n. 4687, con la quale si è precisato che “ in tale contesto, l’eventuale sussistenza del requisito reddituale – che peraltro non potrebbe essere verificata recta via dal giudice amministrativo – non sarebbe sufficiente ad emendare il provvedimento di concessione della cittadinanza da un vizio a monte e, come ben rilevato dal giudice di primo grado, intrinsecamente insanabile, siccome inerente alla derivazione del provvedimento – vero e proprio “prodotto” del reato – da una vicenda criminale giudizialmente accertata in modo definitivo: ciò anche in forza del principio di necessaria unità dell’ordinamento, in base al quale non potrebbe ammettersi la permanente efficacia di un atto che risulti essere il frutto di una attività nei cui confronti è stato emesso il più forte giudizio di disvalore da parte dell’ordinamento, quale appunto si esprime nell’applicazione, nei confronti dei suoi responsabili, della sanzione penale ”.

Ne consegue, dunque, che non può valere ad inficiare la legittimità del gravato provvedimento neanche la dedotta circostanza dell’estraneità del ricorrente al sotteso procedimento penale, in quanto ciò che vale a viziare ab origine il decreto di concessione annullato in autotutela è la circostanza che questo abbia costituito il “frutto” di un’attività criminosa e che fosse, quindi, radicalmente inficiato da un grave deficit istruttorio (cfr., Cons. Stato, sez. III, 5 giugno 2023, n. 5508, secondo cui tale difetto istruttorio deve ritenersi “ con ogni evidenza, ex se idoneo a concretizzare la fattispecie invalidante che legittima l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio, sussistendone le altre condizioni e a prescindere da ogni ulteriore accertamento in ordine alla situazione sottostante, relativa alla situazione personale dell’interessato ”).

D’altronde, occorre rimarcare l’eccezionale gravità dei fatti sottesi alla vicenda in esame, che attengono a quello che è stato definito una sorta di “mercato” delle pratiche della cittadinanza, in relazione al quale è possibile presupporre l’esistenza di un accordo criminoso e il conseguente coinvolgimento di un gran numero di soggetti a vario titolo interessati.

In definitiva, come già affermato dalla Sezione in ordine ad altre pratiche pure ricomprese nell’elenco di quelle che formano oggetto del procedimento penale principale (oggi conclusosi, come detto, con una sentenza di patteggiamento nei confronti della funzionaria infedele e del coniuge), non può ragionevolmente porsi in discussione, proprio sulla base delle predette risultanze, il fatto che la funzionaria infedele abbia avocato a sé le pratiche di cittadinanza, attribuendo ai richiedenti lo status , nonostante non fossero in possesso dei requisiti (o comunque, anche ove posseduti, abbia anticipato i tempi di concessione dello stesso, con ingiustificata priorità rispetto ad altri richiedenti che si sono trovati per conseguenza “scavalcati”), in tal modo perpetrando un favoritismo in contrasto con i valori di uguaglianza che costituiscono principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico (in tal senso, di recente, TAR Lazio, Roma, questa Sezione V- bis , sentenze n. 2105 e n. 2106 del 2023).

Sotto quest’ultimo profilo, infatti, la citata sentenza del Consiglio di Stato n. 5508/2023 ha ribadito che “ appaiono irrilevanti ” le “ argomentazioni difensive volte a sostenere che l’appellante presentava e presenta tutti i requisiti per l’ottenimento dello status civitatis , tant’è che la sua pratica sarebbe completa di tutti i necessari pareri favorevoli (…)” e ciò in quanto, “ in ogni caso, la pratica dell’interessato è stata illecitamente trattata al di fuori dell’area di competenza della funzionaria infedele, che si è ingerita nella procedura di rilascio del decreto concessorio, utilizzando abusivamente le credenziali della Dirigente dell’area terza (con l’effetto finale di esautorare la stessa competenza dirigenziale), proprio allo scopo di accelerarne la trattazione e di assicurarne, comunque, il buon esito, nel perseguimento di un interesse di carattere esclusivamente privato ”.

11. – Deve pertanto essere richiamato l’orientamento già espresso dalla Sezione (cfr., di recente, ex plurimis , le sentenze n. 17073 del 2022, n. 3560 e n. 3561 del 2023), come confermato anche dal Consiglio di Stato, in ordine alla piena legittimità dell’atto di annullamento d’ufficio adottato dall’amministrazione resistente. Quest’ultima si è, infatti, trovata di fronte ad esiti illegalmente alterati delle varie pratiche di cittadinanza coinvolte – a causa della mancanza di una previa, rigorosa e limpida istruttoria procedimentale – e ha dovuto, conseguentemente, intervenire per porvi rimedio, sul presupposto che, in tale contesto, << la soluzione meglio idonea a realizzare il giusto contemperamento degli interessi contrapposti è quella consistente nell’”azzeramento” della vicenda procedimentale così radicalmente inficiata dalla menzionata condotta criminosa, trasferendo la tutela dell’interesse sostanziale del richiedente la concessione della cittadinanza al nuovo procedimento concessorio che dovesse essere instaurato a seguito dell’eventuale rinnovazione, da parte del medesimo, della relativa istanza >>
(Consiglio di Stato, sentenza n. 4687/2022 cit.).

Del resto, come già argomentato dalla Sezione, in presenza di una concessione radicalmente illegittima del massimo status giuridico nazionale, solamente un contrarius actus può costituire valido rimedio (cfr. TAR Lazio, questa sez. V- bis , sentenza n. 3170 del 2022;
sez. I- ter , sentenza n. 9069 del 2021), vieppiù nel caso di specie, in cui l’illegittimità è riconducibile ad un fatto costituente reato, in grado di mettere in pericolo al massimo grado quegli stessi interessi pubblici, presidiati dal complesso di controlli e verifiche rigorose che si impongono nell’esercizio del potere concessorio de quo .

A questo proposito, come è stato sottolineato anche dai precedenti di questa Sezione ( ex plurimis , sentenze n. 1975, n. 2943, n. 2945 e n. 3026 del 2022), si deve ricordare che alla base del provvedimento di cittadinanza vi è una valutazione altamente discrezionale del soggetto pubblico, che pone in essere un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, oltre che nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, consistenti nel dovere di difenderlo anche a costo della propria vita in caso di guerra (il “ sacro dovere ” di difendere la Patria, sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52, primo comma, Cost.), nonché, in tempo di pace, nell’adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, che richiedono di apportare il proprio attivo contributo alla comunità di cui si entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

Ancora, come pure è stato rimarcato dalla giurisprudenza, a differenza dei normali procedimenti concessori (i quali esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto tra pubblica amministrazione e amministrati), l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (popolo), incide sul rapporto tra individuo e Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo: si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 104 del 2022;
nonché, in precedenza: Cons. Stato, sez. IV, decisioni n. 798 del 1999 e n. 4460 del 2000;
sez. VI, sentenza n. 3006 del 2011;
sez. III, sentenze n. 6374 del 2018 e n. 1390 del 2019;
nello stesso senso, cfr. anche TAR Lazio, Roma, sez. II- quater , sentenze n. 10588 e n. 10590 del 2012, e n. 3920 e n. 4199 del 2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, proprio perché sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l’interesse dell’istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale. E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato (cfr., in tal senso, da ultimo, della Sezione, le sentenze n. 16247 e n. 16842 del 2022).

12. – Dai rilievi sinora esposti emerge, evidentemente, la sussistenza di un interesse pubblico prevalente rispetto al sacrificio imposto al privato destinatario del provvedimento concessorio, anche alla luce di quanto precisato nella citata sentenza n. 4687/2022 del Consiglio di Stato in ordine alla insussistenza di una posizione di affidamento meritevole di tutela tenuto conto della compartecipazione dell’istante alla realizzazione dell’illecito, “ quantomeno nella forma, minima ed incontestabile, del suo consapevole apporto all’aggiramento delle procedure ordinarie e della tempistica che le scandisce, in funzione acceleratoria della chiusura favorevole del procedimento concessorio ed in palese violazione dei principi di imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa ”.

Nella medesima ottica depone, peraltro, anche la menzionata sentenza n. 5508/2023 del Consiglio di Stato, che ha ribadito che “ la compartecipazione del beneficiario dell’atto alla consumazione dell’illecito, anche se non giudizialmente accertata, purché ragionevolmente desumibile dal concreto svolgersi della vicenda, comprime, fino ad annullarla, la legittima aspirazione al mantenimento di un assetto di interessi prevalentemente incentrato sulla egoistica realizzazione di un interesse privato in contrapposizione con quello pubblico, anziché in una doverosa e opportuna sinergica relazione con esso ”.

In questa prospettiva, del resto, è ormai consolidato il principio secondo cui, qualora l'amministrazione sia stata indotta in errore da un comportamento doloso (equiparabile alla colpa grave e corrispondente, nella specie, alla mala fede oggettiva) del privato, neanche è configurabile un legittimo affidamento meritevole di tutela che permea di sé l'intera disciplina sull'autotutela, anche con riferimento ai limiti temporali dell’annullamento d’ufficio stabiliti dall’art. 21 - nonies della legge n. 241/1990 (Consiglio di Stato sez. V, 12/04/2021, n.2971).

13.- Deve, inoltre, essere disatteso anche l’ulteriore motivo di censura riguardante l’asserita violazione dell’art. 7 della legge n. 241/1990, in quanto, sostiene il ricorrente, la comunicazione di avvio del procedimento del 22.12.2021 sarebbe carente di una pluralità di elementi normativamente indicati, in particolare dell’indicazione del responsabile del procedimento amministrativo, della data entro la quale lo stesso deve concludersi nonché, in particolare, delle modalità – telematiche e non – attraverso le quali la parte può prendere visione degli atti oggetti del procedimento stesso.

Al riguardo, infatti, pacifico che l’interessato abbia avuto conoscenza, a mezzo della comunicazione di avvio del procedimento, del motivo sotteso al preannunciato provvedimento di autotutela consistente nel suddetto processo penale, occorre evidenziare che egli è stato comunque in grado di presentare le proprie osservazioni in sede procedimentale, pertanto eventuali vizi dell’atto potrebbe ritenersi comunque sanati in virtù del principio del raggiungimento dello scopo.

Sotto un diverso profilo, inoltre, emerge chiaramente come l’Amministrazione abbia adeguatamente dimostrato nel presente giudizio – ai sensi e per gli effetti del noto meccanismo di sanatoria processuale previsto dall’art. 21- octies , comma 2, della legge n. 241 del 1990 - che il contenuto del provvedimento finale non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato, avuto riguardo agli esiti del procedimento penale fin qui raggiunti e alla relativa conferma delle ipotesi accusatorie in ordine all’avvenuto inquinamento della pratica di cittadinanza del ricorrente nonché tenuto conto delle irregolarità riscontrate a carico dell’istante.

Ne discende, pertanto, che anche la doglianza in esame va respinta.

14.- Da ultimo, come precisato anche nella prefata sentenza del Consiglio di Stato n. 4687/2022, nemmeno può sostenersi che il provvedimento impugnato non realizzerebbe una soluzione equilibrata dal punto di vista della tutela dei figli minori. In primo luogo, come evidenziato dall’Amministrazione, l’interessato, in conseguenza del provvedimento di annullamento, non è venuto a trovarsi in una condizione di apolidia, essendo stato accertato che il suddetto mantiene la cittadinanza di origine. In secondo luogo, con la nota n. 874 del 30 gennaio 2020, l’Amministrazione ha dato indicazione agli Uffici interessati affinché, nel caso di annullamento della concessione della cittadinanza, detto provvedimento avesse effetto solo nei confronti del genitore e non anche nei confronti degli eventuali figli minori.

15.- In conclusione, il ricorso proposto è integralmente da respingere.

Quanto alle spese di lite, si ritiene che sussistano giusti motivi per disporne la compensazione integrale tra le parti, tenuto conto della controvertibilità delle questioni trattate.

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