TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2017-02-08, n. 201702161
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Pubblicato il 08/02/2017
N. 02161/2017 REG.PROV.COLL.
N. 10491/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10491 del 2016, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
A D P, rappresentata e difesa dall'avvocato M C, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale Giulio Agricola, 52;
contro
Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale Lazio, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
S F non costituito in giudizio;
per l'annullamento
del silenzio diniego sulla richiesta di prendere visione ed estrarre copia dei dati e dei documenti fiscali del proprio marito attestanti l'esatta consistenza patrimoniale.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agenzia delle Entrate - Direzione Regionale Lazio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 gennaio 2017 la dott.ssa Maria Laura Maddalena e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe, la ricorrente agisce per ottenere l’accesso a documenti concernenti la situazione economica e patrimoniale del coniuge.
Espone di aver presentato formale richiesta all’Agenzia delle entrate di accesso:
1) alle dichiarazioni dei redditi del marito
2) alle comunicazioni inviate dagli operatori finanziari alla sezione “archivio rapporti finanziari” dell’anagrafe tributaria.
Su tale istanza, tuttavia, l’Agenzia è rimasta silente.
Tanto premesso, impugna il silenzio serbato dalla amministrazione, e l’accertamento del proprio diritto di accesso.
L’Agenzia si è costituita e ha depositato una memoria nella quale ha riferito che con nota 3 agosto 2016, non comunicata per errore alla ricorrente, l’Agenzia aveva risposto, con riferimento alle dichiarazioni dei redditi, che la richiesta è stata inoltrata all’ufficio di competenza.
Per quanto riguarda l’archivio dei rapporti finanziari, invece, l’Agenzia ha sostenuto che esso non è ostensibile perché assistito da particolari misure di riservatezza e il suo accesso è limitato agli organi investigativi e giudiziari, l’UIC e il Ministero dell’interno. Esso inoltre non darebbe informazioni sullo stato di consistenza patrimoniale, non contenendo saldi contabili ma solo un flusso di dati, il quale peraltro dovrebbe essere elaborati dalla amministrazione. Essi infine non costituirebbero stricto sensu documenti amministrativi.
Infine, l’Agenzia a ricordato che l’art. 155 sexies delle disp. Att. Cod.civile ha subordinato l’accesso alle banche dati della p.a. all’autorizzazione del giudice del procedimento. (DL 3 maggio 2016)
All’odierna udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.
Va preliminarmente rilevato che per quanto attiene alla richiesta di ostensione delle dichiarazioni dei redditi del coniuge, l’amministrazione non ha opposto alcun rifiuto ma ha indirizzato la richiesta all’ufficio competente.
In relazione a questo profilo, dunque, l’odierna impugnativa è inammissibile per carenza di interesse.
Con riferimento, invece, alla richiesta di accesso alle comunicazioni dei “rapporti finanziari” del coniuge in sede di giudizio di separazione, il Collegio non vede ragioni per discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale inaugurato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2472/2014, e poi fatto proprio da numerose pronunce del giudice amministrativo ( cfr. ex multis: Tar Bari, sez. III, 3 febbraio 2017, n. 94;T.A.R. Lazio Roma Sez. III, Sent., 17-04-2015, n. 5717;T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, Sent., 08-10-2012, n. 363;T.A.R. Abruzzo L'Aquila Sez. I, Sent., 29-09-2011, n. 466).
Il Consiglio di Stato, nella citata sentenza, ha chiarito che la normativa a cui l’Agenzia delle entrate (art. 7 del d.P.R. nr. 605 del 1973, come modificato dal d.l. 4 luglio 2006, nr. 223, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, nr. 248), la quale ha previsto l’obbligo per ogni operatore finanziario di comunicazione, in un’apposita sezione dell’Anagrafe tributaria, denominata Archivio dei rapporti finanziari, dell’esistenza e relativa natura dei rapporti finanziari intrattenuti con qualsiasi soggetto, non prevede affatto che queste informazioni, una volta riversate nell’Archivio dei rapporti finanziari da parte delle banche e degli operatori finanziari, possano essere utilizzate
"unicamente" dall’Amministrazione finanziaria e dalla Guardia di Finanza, limitandosi a precisare che si tratta di atti certamente utilizzabili da tali soggetti per l’azione di contrasto all’evasione fiscale, senza affrontare per nulla il tema della loro ostensibilità e dell’eventuale conflitto con il diritto alla riservatezza del soggetto cui gli atti afferiscono.
Dunque, per risolvere la questione della estensibilità di tali dati occorre riferirsi alle norme dettate dalla l. 241/90 e in particolare dall’art. 24, comma 7, a mente del quale: "…Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici. Nel caso di documenti contenenti dati sensibili
e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale"), da cui emerge la necessità di effettuare un attento bilanciamento di interessi tra il diritto che si intende tutelare con la visione o l’accesso al documento amministrativo e il diritto alla riservatezza dei terzi.
Al riguardo, la disciplina di riferimento si rinviene nel d.m. 29 ottobre 1996, nr. 603 (recante "Regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell’art. 24, comma 2, della L. 7 agosto 1990, n. 241" ), laddove alcuna previsione si rinviene nel senso sostenuto dalle Amministrazioni odierne appellanti: e, anzi, i documenti per cui è causa appaiono riconducibili alla previsione dell’art. 5 di tale norma (lettera a) : "documentazione finanziaria, economica, patrimoniale e tecnica di persone fisiche e giuridiche, gruppi, imprese e
associazioni comunque acquisita ai fini dell’attività amministrativa"), il quale precisa che, pur trattandosi di documenti sottratti all’accesso, va però garantita "la visione degli atti dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per la cura o la difesa degli interessi giuridicamente rilevanti propri di coloro che ne fanno motivata richiesta".
La stessa sentenza ha inoltre definitivamente chiarito che le "comunicazioni" relative ai rapporti finanziari costituiscono documento ai sensi della normativa in materia di accesso, trattandosi di atti
utilizzabili dall’Amministrazione finanziaria per l’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, ancorché non formati da questa. Infatti, è proprio l’art. 7 del d.P.R. 29 settembre 1973, nr. 605, a disciplinare compiutamente la forma, i contenuti e le modalità di trasmissione di dette "comunicazioni", nonché la loro destinazione e i loro possibili impieghi da parte dell’Amministrazione (oltre alla loro conservazione e tenuta): di modo che non è possibile sostenere né che si tratti di atti interni privi di ogni rilevanza giuridica, né che si tratti di mere informazioni, rispetto alle quali sarebbe richiesta all’Amministrazione una non esigibile attività di elaborazione e/o estrapolazione.
Infine, per quanto attiene alla asserita mancanza di autorizzazione del giudice del procedimento di separazione, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155 sexies c.p.c. e dell’art. 492 bis cod. proc. civ., introdotto dal Decreto legge 12 settembre 2014, n. 132 convertito dalla Legge 10 novembre 2014, n. 162, il Collegio ritiene di richiamare quanto affermato dal TAR Bologna nella sent. n. 753 del 2016, secondo il quale il combinato disposto degli artt. 492 bis c.p.c. e 155 sexies c.p.c., che prevede l'applicabilità delle modalità di ricerca telematica anche quando l'autorità giudiziaria deve adottare provvedimenti in materia di famiglia, costituisce un semplice ampliamento dei poteri istruttori del giudice della cognizione già previsti dal codice di procedura civile ai sensi dell'art. 210 cod. proc. civ., ma non rappresenta un'esclusione dal diritto d'accesso dei documenti contenuti nell'Archivio dei rapporti finanziari.
In sostanza, le citate norme non hanno comportato alcuna ipotesi derogatoria alla disciplina in materia di accesso alla documentazione contenuta nelle banche dati della pubblica amministrazione, avendo invece il legislatore voluto ampliare con l'art. 155 sexies c.p.c. i poteri istruttori del giudice ordinario nell'ambito dei procedimenti in materia di famiglia.
Le due discipline pertanto sono complementari poiché il giudice che tratta la vicenda matrimoniale può utilizzare i poteri di accesso ai dati della P.A. genericamente previsti dall’art. 210 c.p.c. come ampliati dalle nuove norme inserite nel 2014, ma questa rimane una facoltà non un obbligo del giudice.
Deve pertanto conservarsi la possibilità per il privato di ricorrere agli ordinari strumenti offerti dalla L. 241/1990 per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare all’Amministrazione di consegnare.
In conclusione deve essere affermato il diritto della ricorrente ad ottenere l’accesso anche ai documenti di interesse ricavabili dall’Archivio dei rapporti finanziari del coniuge, nelle forme della sola visione, senza estrazione di copie.
Nel caso di specie, infatti, le esigenze di tutela degli interessi economici e dell’assetto familiare, soprattutto nei riguardi del figlio minore, prevalgono o quantomeno devono essere contemperate con il diritto alla riservatezza previsto dalla normativa vigente in materia di accesso a tali documenti "sensibili" del coniuge.
Il ricorso, in questi termini va accolto.
Le spese possono essere compensate, sussistendo giusti motivi attesa la parziale novità della questione.