TAR Napoli, sez. I, sentenza 2021-03-03, n. 202101423
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Pubblicato il 03/03/2021
N. 01423/2021 REG.PROV.COLL.
N. 01920/2020 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1920 del 2020, integrato da motivi aggiunti, proposto da
-OMISSIS-, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati G L L e G M, elettivamente domiciliati in Napoli, alla via del Parco Margherita n. 31 e con recapito digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
- -OMISSIS-, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato R M, elettivamente domiciliato in Napoli, al vico Nocelle n. 46/E e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
- Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore,
- Prefettura – Ufficio territoriale del Governo (UTG) di Napoli, in persona del Prefetto pro tempore,
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria ex lege in Napoli, via Diaz 11 e con recapito digitale come da PEC da Registri di giustizia;
Gruppo Ispettivo Antimafia, Dia di Napoli, Questura di Napoli, Comando Generale Arma dei Carabinieri, Ministero della Difesa, Comando Carabinieri di Marano non costituiti in giudizio;
per l'annullamento,
riguardo al ricorso introduttivo ed al ricorso per motivi aggiunti:
1) della nota interdittiva Area I Ter OSP Antimafia prot.n.-OMISSIS-della Prefettura di Napoli, con la quale il Prefetto di Napoli ha informato che, nei confronti della società ricorrente “…sussistono tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata e tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi” previsti dagli artt. 84, 89 bis e 91 della L.159/2011;
2) dell'ordinanza n.-OMISSIS-con cui il Dirigente dell'Area Tecnica del -OMISSIS-ha disposto la cessazione immediata dell'attività commerciale di “bar e gelateria” in -OMISSIS-della ricorrente;
3) di ogni altro atto collegato, connesso e conseguente, se ed in quanto lesivo degli interessi della ricorrente, compreso, per quanto di ragione, la nota della Questura di Napoli del -OMISSIS-, la nota dei Carabinieri di -OMISSIS-del -OMISSIS-, la relazione DIA richiamata nel provvedimento sub lett.a), il verbale del GIA del -OMISSIS-.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del -OMISSIS-nonché dell’Avvocatura distrettuale per conto del Ministero e della Prefettura;
Visti i decreti presidenziali -OMISSIS-;
Vista l’ordinanza presidenziale -OMISSIS-;
Vista l’ordinanza cautelare di questo TAR -OMISSIS-;
Vista l’ordinanza di appello cautelare -OMISSIS-del Consiglio di Stato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. G P, nell'udienza pubblica del giorno 2 dicembre 2020, svoltasi con modalità da remoto, ai sensi dell’art. 25 del D.L. 137/2020, convertito nella L. n. 176/2020, e dell’art. 2, comma 2, D.P.C.S. n. 134/2020;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.- Con ricorso introduttivo, notificato il 17 e 18 giugno 2020 e depositato lo stesso 18, la -OMISSIS- ha impugnato, per l’annullamento, previa richiesta di misure cautelari urgenti, la nota interdittiva Area I Ter OSP Antimafia prot. n. -OMISSIS-, con la quale il Prefetto di Napoli ha informato che, nei suoi confronti, “…sussistono tentativi di infiltrazione mafiosa da parte della criminalità organizzata e tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi” previsti dagli artt .84, 89 bis e 91 della L.159/2011.
La società ricorrente ha impugnato anche la conseguente ordinanza n. -OMISSIS-con la quale, per effetto dell’interdittiva di cui sopra, il Dirigente dell'Area Tecnica del -OMISSIS-ha disposto la cessazione immediata dell'attività commerciale di “bar e gelateria” svolta nel territorio -OMISSIS-.
Con ordinanza presidenziale -OMISSIS-, è stata disposta a carico della Prefettura – UTG di Napoli e del -OMISSIS- il deposito di tutti gli atti ed i documenti richiamati negli atti impugnati e sui quali questi ultimi si fondano.
Con decreto presidenziale n. -OMISSIS-, è stata respinta la richiesta di misure cautelari provvisorie.
La Prefettura ha adempiuto con deposito di documentazione in data 29 giugno 2020.
Il -OMISSIS-si è costituito in giudizio e, con memoria depositata il 13 luglio 2020, ha chiesto il rigetto del ricorso.
La Prefettura ed il Ministero si sono quindi costituiti, per il tramite dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, con atto formale depositato il 14 luglio 2020.
Con ordinanza cautelare -OMISSIS-, la Sezione ha accolto la richiesta di sospensione cautelare dell’esecuzione dei provvedimenti impugnati.
2.- Alla luce degli ulteriori elementi ricavati dal deposito di documentazione della Prefettura, in data 29 giugno 2020, parte ricorrente ha presentato ricorso per motivi aggiunti, notificato il 9 settembre 2020 e depositato il successivo 14.
Nel frattempo, in sede di appello cautelare, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. -OMISSIS-, ha riformato l’ordinanza di questo TAR n. -OMISSIS-.
La causa è stata quindi iscritta al ruolo dell’udienza pubblica del 2 dicembre 2020, svoltasi con modalità da remoto, svoltasi con modalità da remoto, ai sensi dell’art. 25 del D.L. 137/2020, convertito nella L. n. 176/2020, e dell’art. 2, comma 2, D.P.C.S. n. 134/2020;la stessa è stata quindi introitata per la decisione.
DIRITTO
1.- Col ricorso introduttivo, la società ricorrente ha formulato le seguenti censure.
1) Avverso il provvedimento della Prefettura: violazione degli artt. 84, comma 4, 89-bis e 91 comma 5, d. lgs n. 159/2011;difetto del presupposto;travisamento, illogicità manifesta, arbitrarietà, contraddittorietà, assenza totale del requisito di attualità;violazione della l. n. 24171990 per difetto d’istruttoria e di motivazione
Nel caso in esame non si verserebbe in alcuna delle ipotesi previste dalla normativa antimafia.
Non ricorrerebbe, infatti, l’ipotesi di cui all’art.67 d. lgs. 159/2011, in quanto l’amministratore non è sottoposto ad alcuna misure di prevenzione né è stato dimostrato, atteso che nel provvedimento non vi sarebbe al riguardo alcuna motivazione, che la persona sottoposta a misura di prevenzione, tal -OMISSIS-, determini o condizioni, come prescritto dal comma 4 del citato art.67 DLgs.159/2011, “in qualsiasi modo scelte ed indirizzi” della società.
Né ricorrerebbe l’ipotesi di cui all’art. 91, comma 6, d. lgs. 159/2011, posto che l’amministratore della società, -OMISSIS-, non è sottoposto ad alcuna misura di prevenzione né tanto meno il dipendente in servizio presso la società sarebbe in grado di condizionarne l’attività, consistente da anni nell’esercizio di bar e pasticceria nonché di somministrazione di bevande.
2) Avverso il provvedimento dell’amministrazione -OMISSIS-: illegittimità derivata. A seguito dell’adozione dell’interdittiva antimafia, il -OMISSIS- ha ordinato alla ricorrente l’immediata cessazione dell’attività senza alcuna altra motivazione, tale per cui i vizi rilevati avverso il provvedimento prefettizio si riverberano sull’ordinanza -OMISSIS-.
2.- Col ricorso per motivi aggiunti, parte ricorrente ha censurato la violazione degli artt. 6 e seguenti del d. lgs. 159/2011;la violazione dei principi di umanità e di dignità della persona.
La misura cautelare personale a carico di un dipendente e non dell’amministratore non integrerebbe l’ipotesi di cui al citato art. 84 d. lgs 159/2011.
Tra le situazioni dalle quali si può desumere un’infiltrazione che dia luogo all’adozione dell’interdittiva antimafia, vi sono i provvedimenti che dispongono una misura cautelare ovvero che recano una condanna anche non definitiva per i reati elencati nella disposizione;tra questi, pertanto, non potrebbe rientrarvi anche la misura personale della sorveglianza speciale a carico di un dipendente, senza alcun ruolo nell’organizzazione e nelle scelte societarie.
Per di più, tale misura non riguarda l’amministratore della società ed è, come è noto, finalizzata al recupero del reo, in linea con i principi costituzionali (art. 27 Cost.) e della legislazione carceraria di cui alla L. n. 354/1975.
Il provvedimento interdittivo violerebbe quindi il principio di non contraddizione ove si consideri il finalismo rieducativo della pena.
3.- Ai rilievi di parte ricorrente ha replicato la difesa erariale, valorizzando quali elementi di collegamento rilevanti ai fini dell’assunzione del provvedimento interdittivo, le circostanze che -OMISSIS-, dipendente della società ricorrente, non solo risulta condannato in via definitiva per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa, ai sensi dell’art. 416-bis c.p., ma è figlio di -OMISSIS-, uno dei fratelli del capoclan -OMISSIS-, esponente di spicco dell’omonimo “-OMISSIS-”, tra i più influenti e storicamente consolidati sodalizi criminosi presenti nel territorio di -OMISSIS-, insieme al “-OMISSIS-”.
Siffatte circostanze, ad avviso della difesa erariale, sono da ritenersi ben note, o quantomeno conoscibili, anche al titolare della società ricorrente o al soggetto che, nell’interesse di quest’ultima, aveva disposto l’assunzione di -OMISSIS-.
La difesa dell’amministrazione -OMISSIS-, a supporto dell’impugnato provvedimento di sospensione dell’attività commerciale, replica alle censure della ricorrente nel senso che l’informativa prefettizia produce un effetto interdittivo automatico il quale impedisce ogni rapporto con la pubblica amministrazione. Ne deriva che, ove il Prefetto adotti l’interdittiva antimafia, l’amministrazione -OMISSIS-, agendo a valle, non può che adeguarsi a questa decisione, inibendo ogni attività economica della società coinvolta.
4.- Il ricorso ed i relativi motivi aggiunti meritano accoglimento nei sensi di seguito indicati.
4.1.- Giova premettere che, secondo costante giurisprudenza amministrativa, l’informazione antimafia, e con essa i conseguenti provvedimenti negativi, implica una valutazione discrezionale dell’autorità prefettizia in merito al pericolo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa.
Al riguardo, il Consiglio di Stato ha chiarito che siffatto: <<pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (cfr., per tutte, Cons. St., sez. III, 3 maggio -OMISSIS-, n. 1743 e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata).>>(Cons. Stato, Sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758).
Sempre il Consiglio di Stato ha aggiunto che: <<Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che «può» – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata» … la formulazione della fattispecie normativa a struttura aperta, propria dell’informazione interdittiva antimafia, consente all’autorità amministrativa e, ove insorga contestazione in sede giurisdizionale, al giudice amministrativo di apprezzare, in sede di sindacato sull’eccesso di potere, tutta una serie di elementi sintomatici dai quali evincere l’influenza, anche indiretta (art. 91, comma 6, d. lgs. n. 159 del 2011), delle organizzazioni mafiose sull’attività di impresa, nella duplice veste della c.d. contiguità soggiacente o della c.d. contiguità compiacente, elementi che sfuggirebbero, invece, ad una rigorosa, tassativa, asfissiante tipizzazione di tipo casistico, che elenchi un numerus clausus di situazioni “sintomatiche”. …>>(cfr. Cons. Stato, 758/2019, cit.).
4.2.- L’interdizione antimafia ha conseguenze rilevanti perché determina un’ipotesi d’incapacità giuridica ex lege ad essere titolare di rapporti giuridici con la pubblica amministrazione. Il legislatore, infatti, vieta alle amministrazioni di stipulare, approvare o autorizzare contratti o subcontratti, autorizzare, rilasciare o, comunque, consentire concessioni ed erogazioni di denaro a favore di operatori economici, nei confronti dei quali sussista una causa di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67 o un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all’art. 84, comma 4, ed all’art. 91, comma 6, d.lgs. n. 159/2011 (art. 94, d.lgs. 159/2011). Secondo giurisprudenza consolidata, l’incapacità in parola ha natura parziale in quanto limitata ai rapporti giuridici con la pubblica amministrazione e temporanea in quanto può cessare o per effetto dell’annullamento (amministrativo o giudiziario del provvedimento de quo) o per effetto di un successivo provvedimento del Prefetto, che attesta il venire meno delle condizioni ostative precedentemente riscontate, nel senso di precludere all’imprenditore (persona fisica o giuridica) la titolarità della posizione soggettiva, che lo renderebbe idoneo a ricevere somme dovutegli dalla pubblica amministrazione, anche a titolo risarcitorio in relazione ad una vicenda sorta dall’affidamento (o dal mancato affidamento) di un appalto (Cons. Stato, Ad. plen. n. 3 del 2018).
4.3.- Nell’ambito delle attività antimafia, vi sono altresì da considerare le misure di cui all’art. 89-bis d. lgs. 159/2011- articolo inserito dall’art. 2, comma 1, lett. d) d. lgs. n. 153/2014 – il quale dispone, al comma 1, che “Quando in esito alle verifiche di cui all'articolo 88, comma 2, [verifiche a seguito della consultazione della banca dati nazionale, ndr] venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, il prefetto adotta comunque un'informazione antimafia interdittiva e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, senza emettere la comunicazione antimafia.”. Il comma 2 aggiunge che “L'informazione antimafia adottata ai sensi del comma 1 tiene luogo della comunicazione antimafia richiesta”.
Di recente, la Corte Costituzionale, con la sentenza 26 marzo 2020 n. 57, ha chiarito che l'informazione antimafia interdittiva adottata dal Prefetto nei confronti delle attività private delle imprese, oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa, non viola il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata perché, pur comportandone un grave sacrificio, è giustificata dall'estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana.
Quest’ultimo tipo di informativa – che, come sopra illustrato, ha superato il vaglio del giudice delle leggi - implica comunque una valutazione tecnico-discrezionale dell'autorità prefettizia in merito al pericolo di infiltrazione mafiosa: da una parte, devono essere considerati una serie di elementi fattuali tipizzati dal legislatore (cc.dd. delitti spia;cfr. art. 84, comma 4, d. lgs 159/2011) e, dall'altra, il tentativo di infiltrazione mafiosa piò essere desunto da altri fatti, secondo il prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell'autorità amministrativa (cfr. art. 91, comma 6, d. lgs. 159/2011).
Tuttavia, versandosi nell’ambito dei rapporti tra privati, ispirati al generale principio della libera iniziativa economica, tutelato dalla Costituzione con l’art. 41, l'azione amministrativa soggiace oltremodo al principio di legalità sostanziale oltre che formale, a garanzia effettiva delle posizioni giuridiche soggettive private.
Il che comporta il dovere di un’equilibrata ponderazione dei contrapposti interessi giuridici e valori costituzionali in campo, il cui rispetto richiede alla Prefettura un'attenta valutazione dei diversi elementi tramite i quali è possibile risalire ad un quadro chiaro, completo e convincente circa il pericolo d’infiltrazione mafiosa (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, n. 565/2017). Tale quadro deve, poi, consolidarsi in una motivazione accurata.
5.- Ciò premesso, nella fattispecie in esame, l’interdittiva trova il suo antefatto nel provvedimento sanzionatorio del -OMISSIS-, col quale la stessa Prefettura aveva disposto la sospensione per dieci giorni delle attività svolte dalla ricorrente, a seguito del sequestro penale effettuato, in data -OMISSIS-, dal Comando dei Carabinieri di -OMISSIS-, per violazione delle disposizioni di cui all’art.1 del D.P.C.M. dell’11 marzo 2020, di contrasto alla diffusione del contagio da COVID-19, di cui al D.L. n. 6 del 2020.
5.1.- Ai fini che in questa sede più strettamente interessano, nel verbale prodromico al predetto sequestro si fa riferimento alla presenza nei locali dell’impresa, al momento del sopralluogo, di tal -OMISSIS-, dipendente della società ricorrente in qualità di “addetto alle vendite”.
Al riguardo, la Questura, con nota del -OMISSIS-, ha informato che -OMISSIS-, conosciuto anche come “-OMISSIS-”, è figlio di -OMISSIS-, uno dei fratelli di -OMISSIS-, capo dell’omonimo “-OMISSIS-” operante, insieme al -OMISSIS-, nel territorio del -OMISSIS-di Napoli.
Come chiarito dalla nota prot. n. -OMISSIS-del Comando Provinciale di Napoli dei Carabinieri, a dispetto del differente cognome, il legame parentale con i componenti del -OMISSIS- è confermato dal fatto che il nonno di -OMISSIS-, a lui omonimo, nato il -OMISSIS-, era fratello di -OMISSIS-, nato il -OMISSIS-, il quale ha dato i natali ai reggenti del suddetto clan.
5.2.- In ogni caso, oltre ai rapporti di parentela, sono apparsi di significativo spessore i trascorsi giudiziari di -OMISSIS- nonché il fatto di essere sottoposto, alla misura personale di prevenzione consistente nella sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di tre anni, disposta con decreto n. -OMISSIS-dal Tribunale di Napoli.
L’esigenza di adottare la misura preventiva trova la sua fonte nei numerosi precedenti giudiziari a carico di -OMISSIS-, tra i quali l’associazione di tipo mafioso e l’ associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti aggravato dal metodo mafioso (art. 416-bis c.p;art. 74 d.p.r. n. 309/1990 e art. 7 L. n. 203/1991).
Dai certificati penali (carichi pendenti e casellario giudiziale) della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli risulta inoltre che l’interessato è stato:
- condannato alla pena di anni 5 di reclusione per "associazione di tipo mafioso e acquisto e vendita di sostanze stupefacenti" (art. 416/bis c.p. e art. 73 D.P.R. n. 309/90), con sentenza emessa il -OMISSIS-dalla Corte di Appello di Napoli, passata in giudicato;
- condannato alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione per "detenzione illegale di armi o parti di esse e porto abusivo in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi o parti di esse" (art. 10 legge 497/1974), aggravati dal metodo mafioso (art. 7 legge n. 203/1991), con sentenza emessa il -OMISSIS- dalla Corte di Appello di Napoli;
- imputato nel procedimento penale n. -OMISSIS-PM - n. -OMISSIS- e n. -OMISSIS- Sezione del Tribunale di Napoli per diversi reati tra cui “associazione finalizzata al traffico illegale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso" (art. 74 D.P.R. n. 309/1990 e art. 7 legge n. 203/1991), con udienza fissata per il -OMISSIS-;
- dal 16 maggio 2018, è stato riconosciuto quale facente parte "del nucleo familiare che ha costituito la radice della omonima consorteria camorristica".
6.- Il complesso ed il peso di queste circostanze è dunque ben noto al Collegio, il quale considera tuttavia che, per la fattispecie in esame, difettino i presupposti fattuali e normativi per l’adozione dell’interdittiva.
6.1.- Tra le situazioni dalle quali può desumersi un’infiltrazione mafiosa, tale da dare luogo all’adozione dell’interdittiva, vi sono le misure di prevenzione, tra le quali la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, ovvero la condanna anche non definitiva per i reati elencati al menzionato art. 84 d. lgs. 159/2011.
Nel caso di specie è, tuttavia, rilevante il fatto che la misura cautelare personale disposta a carico di -OMISSIS-, riguardi un dipendente e non l’amministratore della società .
Sul punto, il Consiglio di Stato ha chiarito che non vi può essere un automatismo fra l'assunzione di dipendenti pregiudicati e il tentativo di infiltrazione criminale ai fini dell'adozione di un informativa antimafia. Del resto, se così non fosse, se ne ricaverebbe che un soggetto pregiudicato non possa mai essere assunto da alcuna impresa, non solo se attiva nel mercato delle commesse pubbliche (e, più in generale, dell'economia pubblica), ma anche se operante nell'economia privata.
Rileva, pertanto, non il dato in sé, ossia che un'impresa possa avere alle proprie dipendenze soggetti pregiudicati oppure sospettati di essere contigui ad ambienti mafiosi, quanto piuttosto che la presenza di questi soggetti possa essere ritenuta indicativa, alla luce di un quadro indiziario complessivo, del potere della criminalità organizzata di incidere sulle politiche di assunzione dell'impresa e, in questo modo, inquinarne la gestione a propri fini (cfr., Cons. Stato, sez. III, 25 maggio 2018, n. 3138).
Il che comporterebbe, a sua volta, che un dipendente controindicato possa essere, qualora già assunto, immediatamente e legittimamente licenziato (circostanza che, nella fattispecie in esame si è effettivamente verificata il 12 giugno 2020), ma ciò non sarebbe in linea con i più recenti approdi ermeneutici del giudice del lavoro, che invece sembrano inclinare per una maggior cautela prima di risolvere il rapporto (Corte Cass., Sezione Lavoro, 10 gennaio 2018, n. 331).
6.2.- Quest’orientamento non esclude che, nell’assenza di ulteriori elementi, l’assunzione da parte di un’impresa di persone controindicate possa assumere in sé valore sintomatico della contiguità con gli ambienti della criminalità organizzata. Siffatta evenienza, tuttavia, richiede che gli operatori economici siano dotati dal legislatore di adeguati meccanismi preventivi per venire a conoscenza della possibile sussistenza di ragioni di controindicazione a fini antimafia, pur genericamente formulate.
E’ il caso dei settori percepiti dal legislatore “a rischio”, come, ad esempio, quelli contemplati dall’art. 1, comma 53, della legge 6 novembre 2012, n. 190 ( in particolare: trasporto di materiali a discarica per conto di terzi;trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi;estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti;confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume;noli a freddo di macchinari;fornitura di ferro lavorato;noli a caldo;autotrasporti per conto di terzi;guardiania dei cantieri), nei quali la pervasività del fenomeno mafioso è statisticamente e qualitativamente più evidente. Si richiama anche l’ipotesi in cui l’imprenditore sia iscritto alla cd. white list, di cui al D.P.C.M. 18 aprile 2013 (equipollente all’informativa antimafia liberatoria), o i casi nei quali le plurime e contestuali nuove assunzioni conseguano all’adempimento di un obbligo giuridico, come accade con la cd. clausola sociale, la quale, si rammenta, è volta a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato presso il gestore uscente, ed è imposta, nella formulazione dei bandi di gara, dall’art. 50 del d. lgs. 50/2016, il vigente codice dei contratti pubblici.
6.3.- E’ pur vero, altresì, che il condizionamento mafioso, che conduce all’interdittiva, può derivare dalla presenza di soggetti che non svolgono ruoli apicali all’interno della società, ma siano o figurino come meri dipendenti, entrati nella compagine dell’impresa senza alcun criterio selettivo o filtri preventivi;ovvero che lo stesso si possa desumere anche dalla presenza di un solo dipendente “infiltrato”, del quale la criminalità organizzata si serve per controllare o guidare dall’esterno l’impresa, nonché dall’assunzione o dalla presenza di dipendenti aventi precedenti legati alla criminalità organizzata, benché non emergano specifici riscontri oggetti sull’influenza nelle scelte dell’impresa.
Tuttavia, come chiarito dal Consiglio di Stato (Sez. III, 14 settembre 2018, n. 5140), il criterio guida è di non impedire alle imprese di effettuare liberamente le assunzioni quando non abbiano rapporti con le pubbliche amministrazioni. Ne consegue che, al contrario, ove intendano avere tali rapporti, le stesse imprese sono onerate a vigilare scrupolosamente affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti contigui al mondo della criminalità organizzata.
7.- Nel caso specifico, la società ricorrente opera da circa sette anni nel settore commerciale del bar e della gelateria, con clientela quasi esclusivamente privata;a far data dal 2013 è amministrata da -OMISSIS- che ha assunto -OMISSIS- a fare data dal -OMISSIS-.
E’ inoltre significativa la circostanza che la misura cautelare personale disposta a carico di -OMISSIS-, riguardi un dipendente e non l’amministratore della società.
7.1.- Né il provvedimento interdittivo né gli atti istruttori ad esso presupposti riportano alcuna precisa indicazione sul fatto che -OMISSIS-, anziché limitarsi, quale lavoratore subordinato, ai compiti tipici di addetto alle vendite, abbia in realtà assunto un ben altro ruolo sostanziale, tale da determinare o condizionare “in qualsiasi modo scelte ed indirizzi” societari, come richiesto dal comma 4 del citato art. 67 d. lgs. 159/2011.
Né tantomeno ricorre l’ipotesi di cui all’art. 67 d. lgs. 159/2011, in quanto l’amministratore della società colpita da interdittiva non è sottoposto ad alcuna misura di prevenzione.
Per questa stessa ragione non appare ricorrere neanche l’ipotesi di cui all’art. 91, comma 6, del D.Lgs.159/2011. Quest’ultima disposizione precisa che: “Il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall'articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all'articolo 92, rilascia l'informazione antimafia interdittiva.”.
Nel caso in questione, si ribadisce, l’amministratore della società non è sottoposto ad alcuna misura di prevenzione né tanto meno il dipendente presso la società – per come sopra illustrato - appare in grado di condizionare in qualche modo l’attività della società.
7.2.- Peraltro, proprio in virtù del particolare regime di sorveglianza speciale al quale è sottoposto -OMISSIS-, con conseguente controllo continuo delle forze di Polizia, appare quanto meno incongruente che la Prefettura abbia appurato l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, a distanza di due anni dall’instaurazione del rapporto di lavoro, in assenza di elementi nuovi che abbiano potuto in qualche modo giustificare l’adozione del provvedimento interdittivo.
Inoltre, non va trascurato che la misura di prevenzione a carico di -OMISSIS- è anche finalizzata al recupero del reo, in linea con i principi costituzionali, sanciti dall’art. 27 Cost., delle finalità rieducative della pena, nonché dalla legislazione, fissata dalla L. n. 354/1975, sul regime carcerario e sul recupero dei condannati.
Per questo aspetto, il provvedimento interdittivo sembra collidere col principio di non contraddizione, posto che, se da un lato l’ordinamento si orienta nel tentativo di riabilitare il condannato, dall’altro sanziona e colpisce proprio l’imprenditore che coopera per realizzare quel tentativo, mettendo a disposizione la sua struttura aziendale ai fini del reinserimento del pregiudicato nel mondo del lavoro.
La sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno - disciplinata dagli artt.6 e ss. del D.L.gs.159/2011 - ha, tra l’altro, lo scopo di consentire all’autorità di pubblica sicurezza di vigilare sulla persona per verificare l’osservanza di tutte le prescrizioni ritenute opportune dal Tribunale, allo scopo di evitare che determinati soggetti mantengano i contatti con gli ambienti criminali.
La misura preventiva in esame comporta quindi un incisivo controllo dell’autorità di pubblica sicurezza ed una significativa limitazione della libertà personale in forza dell’imposizione di prescrizioni obbligatorie previste dall’art. 8 del D.lgs. 159/2011.
Il che sarebbe di forte impulso per neutralizzare, laddove ancora esistenti, i legami con le organizzazioni criminali.
8.- In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, il provvedimento interdittivo della Prefettura non sembra allo stato retto da adeguata istruttoria e da conseguenti elementi indiziari certi, univoci e concordanti tali da rendere apprezzabile il collegamento tra il dipendente della società interdetta e le organizzazioni mafiose, al di là del rapporto di lavoro subordinato con soggetto gravato da significativi precedenti penali e dai legami di parentela col -OMISSIS-.
Sono fatti salvi, ovviamente, gli ulteriori approfondimenti ed il riesame complessivo della vicenda, laddove ritenuti opportuni dall’autorità prefettizia.
Va da sé che l’accoglimento del ricorso con riferimento al provvedimento interdittivo della Prefettura comporta l’accoglimento anche con riguardo al provvedimento adottato dall’amministrazione -OMISSIS- di sospensione dell’attività commerciale. Come ammesso infatti dalla stessa difesa del comune resistente, la sospensione si pone quale decisione doverosa, derivante per automatismo legislativo dalla sanzione prefettizia e che, pertanto, soffre dei vizi di quest’ultima per invalidità derivata.
9.- Il Collegio ravvisa la sussistenza delle giuste ed eccezionali ragioni, in considerazione della materia controversa, per compensare integralmente le spese del giudizio, salvo il contributo unificato che va posto in solido a carico delle amministrazioni resistenti.