TAR Napoli, sez. III, sentenza 2023-10-12, n. 202305558
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Pubblicato il 12/10/2023
N. 05558/2023 REG.PROV.COLL.
N. 02936/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2936 del 2000, proposto da Del Barone M C, rappresentata e difesa dagli avvocati A C e M C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di San Giuseppe Vesuviano - non costituito in giudizio;
Ente Parco Nazionale del Vesuvio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli, presso la cui sede è legalmente domiciliato, in Napoli, via Diaz, n. 11 e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
“a) dell'ordinanza n. 213 del 10.12.1999, notificata in data 6.1.2000, con la quale l'Ente Parco Nazionale del Vesuvio ha ingiunto alla ricorrente la demolizione del manufatto rustico al piano terra realizzato in San Giuseppe Vesuviano, alla via Telese;”
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2023 la dott.ssa R G e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Del Barone M C a seguito della sentenza con cui il Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 9609 del 3 novembre 2022 ha annullato la sentenza n. 3500 del 27 giugno 2017, con la quale questa Sezione aveva dichiarato la perenzione del presente giudizio ai sensi dell’art. 81 c.p.a. con rinvio a questo T.A.R., con ricorso in riassunzione, depositato in data 15 febbraio 2023 ai sensi dell’art. 105, comma 3, c.p.a., ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza n. 213 del 10 dicembre 1999, notificata in data 6 gennaio 2000, con la quale l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio ha ingiunto nei suoi confronti la demolizione delle seguenti opere: “ un piano terra con pilastri in c.a., solaio di copertura parzialmente gettato e cassa scala con n.2 rampe scala gettate, il tutto per una volumetria di mc.763 c.a.;al lato Nord ha costruito un muro di recinzione in calcestruzzo cementizio con sottostante trave di fondazione con soprastante ringhiera in ferro. ” in San Giuseppe Vesuviano, in località via Telese, ritenute abusive in quanto “ realizzate in zona 2 del Parco Nazionale del Vesuvio prevista dalla Ordinanza del 22.4.93 all'art. 6 e dal DPR 5/6/1995 all'art. 7, in assenza di autorizzazione da parte dell'Ente Parco Nazionale del Vesuvio; ”, trascrivendo integralmente il ricorso inizialmente proposto.
A sostegno del gravame sono state dedotte le seguenti censure: I) Eccesso di potere, presupposto erroneo, difetto di istruttoria, violazione dell’art, 6 della L. n. 394/1991, del D.M. 4 novembre 1993 e del d.P.R. 5 giugno 1995, per l’erroneità dell’affermazione contenuta nel provvedimento impugnato laddove è rappresentato che le opere sono state realizzate in zona 2 del Parco del Vesuvio con la conseguenza che si rendeva necessario acquisire la preventiva autorizzazione dell'Ente Parco. Infatti, come si evincerebbe dalla richiesta di concessione in sanatoria presentata da ella ricorrente, le opere edilizie sarebbero state realizzate prima del dicembre del 1993, ovvero quando il Parco non era stato ancora perimetrato e l’Ente non istituito. In particolare la perimetrazione è avvenuta con D.M. 4 novembre 1993, mentre con d.P.R. 5 giugno 1995 è stato istituito il relativo ente di gestione;pertanto la realizzazione dell'opera edilizia precede l'introduzione del regime di tutela dell'area con la conseguenza che non sarebbe stato necessario, né sarebbe stato possibile, acquisire l'autorizzazione menzionata nell'ordinanza impugnata.
II) Violazione e mancata applicazione dell'art, 38 della L. n. 47/1985, eccesso di potere, difetto di istruttoria, intempestività dell'azione amministrativa perché l'Ente Parco del Vesuvio ha disposto la demolizione delle opere per le quali pende istanza di condono, mentre la normativa epigrafata prescrive che la presentazione della domanda sospende il procedimento penale e quello per le sanzioni amministrative.
III) Violazione dell'art, 32 della L. n. 47/1985, eccesso di potere, difetto di motivazione perché le opere ricadono in area vincolata ex lege n. 1497/39. Ne conseguirebbe che ai sensi dell'art. 32 della L. n. 47/1985 il rilascio della concessione in sanatoria sarebbe subordinato al parere favorevole dell'amministrazione preposta alla tutela del vincolo stesso.
IV) Violazione dell'art. 7 della L. n. 241/1990 perché sarebbe stato omesso il procedimento partecipativo prescritto dalla normativa epigrafata. In considerazione del fatto che le opere sono state da tempo completate, alcuna ragione di celerità ostava alla partecipazione, che avrebbe precluso all'ente di conoscere fatti e circostanze che avrebbero portato all'adozione di altro provvedimento.
Parte ricorrente dà atto che l’esecutività del provvedimento impugnato era stata sospesa con ordinanza cautelare n. 2031/2000 “ Considerato che la ricorrente, in relazione all’opera sanzionata, ha presentato domanda di condono ex L. n. 724/94 sulla quale l’amministrazione all’obbligo di pronunciarsi con provvedimento espresso e adeguatamente motivato; ”.
Inoltre, dopo aver ripercorso le vicende successive relative al medesimo immobile oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata, tra cui l’avvenuta demolizione d’ufficio del manufatto al piano terra realizzato in San Giuseppe Vesuviano, alla via Telese, oggetto di contestazione con il provvedimento impugnato, e l’adozione del diniego di condono del 18 marzo 2015, chiede, ai fini della decisione del presente ricorso in riassunzione, di tenere conto di due dati dirimenti, ovvero che: I) non vi sarebbe spazio per disporre la demolizione dell’immobile, che si palesa in concreto priva di oggetto mancando lo stesso bene, non più esistente;II) in ogni caso, è sopravvenuto un provvedimento di diniego del condono del 18 marzo 2015 presentato da ella ricorrente, il che avrebbe comunque comportato il venir meno dell’interesse a contestare i pregressi provvedimenti repressivi, ivi compresa l’ordinanza n. 213 del 10 dicembre 1999 dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, oggetto di impugnazione. In particolare sostiene che l’atto sopraggiunto implicherebbe il dovere per l’Amministrazione comunale di emettere eventualmente una nuova ordinanza di demolizione, con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi, e quindi concentrandosi l’interesse dell’istante a contestare il sopravvenuto provvedimento di diniego della sanatoria, nei termini e nei limiti in cui essa è stata richiesta.
Si è costituito a resistere in giudizio l’Ente Parco Nazionale del Vesuvio, a mezzo dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato, con atto di stile;l’Avvocatura Distrettuale ha successivamente prodotto documentazione ed una memoria con la quale dopo aver ripercorso le vicende successive alla proposizione del presente ricorso inizialmente dichiarato perento, ha in particolare rappresentato che i beni abusivi oggetto dell’ordinanza impugnata n. 213/1999 emessa dall’Ente Parco Nazionale del Vesuvio non ci sono più in quanto demoliti d’ufficio in esecuzione dell’ordine contenuto nella sentenza penale di condanna della ricorrente nella procedura Re.SA n.131/2013 della Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli passata in giudicato, il che confermerebbe la legittimità del provvedimento impugnato. Ha chiesto, pertanto, il rigetto della domanda come riassunta in quanto il provvedimento emanato dall’Ente Parco non avrebbe potuto avere un esito diverso in quanto le opere oggetto delle ordinanze di demolizione furono realizzate in assenza del preventivo nulla osta del Parco nazionale del Vesuvio e, come tali, sarebbero abusive ed insanabili ai sensi dell’art.13 della L. n. 394/1991, alla luce del quale la realizzazione di interventi, impianti ed opere all’interno del Parco era sottoposto al preventivo nulla osta del Parco stesso.
Parte ricorrente ha prodotto una memoria per l’udienza pubblica insistendo per l’accoglimento del ricorso.
All’udienza pubblica del 20 giugno 2023 il Collegio ha eccepito la possibilità della sopravvenuta carenza di interesse, in quanto l’opera abusiva è stata, nella specie, demolita d’ufficio in esecuzione dell’ordine contenuto nella sentenza penale di condanna nei confronti della ricorrente;il difensore delegato di parte ricorrente ha dichiarato di avere interesse anche ai fini risarcitori. Alla medesima udienza la causa è stata assunta in decisione.
Il Collegio ritiene di confermare l’eccezione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, sollevata d’ufficio all’udienza pubblica del 20 giugno 2023, alla luce delle vicende successive che hanno interessato l’immobile abusivo sanzionato con l’ordinanza n. 213 del 10 dicembre 1999 dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio ed in particolare dell’avvenuta demolizione delle opere contestate con la suddetta ordinanza in esecuzione della procedura R.E.S.A. n. 131/2013.
Quanto alla dichiarazione di interesse ai fini risarcitori del difensore delegato di parte ricorrente all’udienza pubblica del 20 giugno 2023, il Collegio ritiene che la relativa dichiarazione di interesse risulta irritualmente proposta solo a verbale della suddetta udienza di discussione del ricorso.
Ed invero, alla luce dei principi di diritto affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 3 luglio 2022, n. 8, condivisi dal Collegio, “ - (sul primo quesito) "per procedersi all'accertamento dell'illegittimità dell'atto ai sensi dell'art. 34, comma 3, cod. proc. amm., è sufficiente dichiarare di avervi interesse a fini risarcitori;non è pertanto necessario specificare i presupposti dell'eventuale domanda risarcitoria né tanto meno averla proposta nello stesso giudizio di impugnazione;la dichiarazione deve essere resa nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 cod. proc. amm.";
- (sul secondo quesito) "una volta manifestato l'interesse risarcitorio, il giudice deve limitarsi ad accertare se l'atto impugnato sia o meno legittimo, come avrebbe fatto in caso di permanente procedibilità dell'azione di annullamento, mentre gli è precluso pronunciarsi su una questione in ipotesi assorbente della fattispecie risarcitoria, oggetto di eventuale successiva domanda". ”,
deve rilevarsi che nella fattispecie per cui è causa la dichiarazione di interesse ai fini risarcitori non è stata resa “ nelle forme e nei termini previsti dall'art. 73 cod. proc. amm. ” ma è stata proposta solo a verbale della udienza di discussione del 20 giugno 2023 e pertanto, in quanto resa irritualmente, essa deve essere dichiarata inammissibile.
Inoltre il Collegio, al fine della dichiarazione di sopravvenuto difetto di interesse del presente giudizio in riassunzione, ritiene di dover ripercorrere in ordine cronologico le vicende successive relative all’immobile oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata.
Il Comune di San Giuseppe Vesuviano in merito ai beni oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata ha adottato il provvedimento prot. n. 009290/2015 del 18 marzo 2015 di diniego della domanda di condono edilizio prot. n. 5291 del 1° marzo 1995 e l’ordinanza prot. Reg. gen. n. 55 del 2 aprile 2015, di acquisizione al patrimonio dell'Ente Parco Nazionale del Vesuvio dell'area di sedime e di pertinenza fino a dieci volte la superficie occupata dall'abuso, impugnati dall’odierna ricorrente con ricorsi per motivi aggiunti nell’ambito del ricorso n. 2874 del 2014, deciso da questa Sezione con la sentenza n. 2166 del 28 aprile 2016, confermata dal Consiglio di Stato, Sezione VI, in sede di giudizio di appello con la sentenza n. 6967 del 10 dicembre 2018.
Con la suddetta sentenza n. 2166 del 28 aprile 2016 questa Sezione ha: dichiarato inammissibili per difetto di giurisdizione il ricorso introduttivo e i primi motivi aggiunti (depositati in data 11 settembre 2014);respinto i secondi motivi aggiunti (depositati il 7 aprile 2015);accolto i terzi motivi aggiunti (depositati il 1 luglio 2015), annullando l’atto di acquisizione coattiva dell’area su cui sorgeva il manufatto abusivo.
In particolare ha respinto i motivi aggiunti depositati il 7 aprile 2015 e il 1° luglio 2015, per la parte relativa al diniego della domanda di condono edilizio, e analizzando gli stessi motivi aggiunti depositati il 1° luglio 2015, limitatamente all’impugnativa dell’acquisizione al patrimonio dell'Ente Parco Nazionale del Vesuvio di cui al provvedimento del Responsabile del Servizio Urbanistica e Edilizia prot. Reg. gen. n. 55 del 2 aprile 2015, per quello che in questa sede interessa, dopo aver dato atto che “ Risulta dagli atti di causa (cfr. la produzione del Comune del 13/6/2014) che, con R.E.S.A. n. 131/2013 del 12/2/2013, la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Napoli - Settore Demolizioni richiedeva al Comune di effettuare i necessari accertamenti in ordine al manufatto, alla cui demolizione la ricorrente era stata condannata con sentenza della Corte di Appello di Napoli del 30/3/1998, passata in giudicato il 30/5/1998 (è noto che, in base all’art. 31, nono comma, del D.P.R. n. 380/01: “Per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita”). ”, e che “ …la Procura emetteva l’ingiunzione a demolire del 22/5/2013, disponendone la notifica alla ricorrente, con assegnazione di un termine di 60 giorni per provvedervi e con comminatoria di esecuzione d’ufficio (nonché con nomina del difensore d’ufficio). ”, ha ritenuto “ È fondata la censura con cui si fa valere che difetta il presupposto per l’acquisizione, atteso che l’opera abusiva è stata, nella specie, demolita d’ufficio in esecuzione dell’ordine contenuto nella sentenza penale di condanna della ricorrente.
Difatti, il meccanismo di cui all’art. 31, terzo e quarto comma, del D.P.R. n. 380/01 opera solamente in presenza degli indefettibili presupposti dati dall’ingiunzione a demolire impartita dall’Autorità amministrativa e del successivo accertamento dell’inottemperanza alla spontanea rimozione dell’opera abusiva.
L’effetto di sottrarre il bene al suo proprietario può quindi prodursi nell’ambito dell’iter delineato, valendo a consentire al Comune di entrarne in possesso per demolire l’opera o destinarla a scopi di pubblico interesse (art. 31, quinto comma).
All’infuori della procedura dettata dalla suindicata norma, non v’è quindi spazio per disporre l’acquisizione, che si palesa in concreto priva di oggetto (mancando lo stesso bene da acquisire, non più esistente, senza che l’acquisizione possa riguardare autonomamente l’area di sedime e le pertinenze), finendo per essere disposta per uno scopo sviato dalla finalità di legge a cui essa è preordinata (cfr., in analoga fattispecie, TAR Calabria, sez. I, 18/5/2012 n. 476: “l’esercizio di tale potere deve essere conforme al dettato normativo, il quale prevede che l’acquisizione al patrimonio del Comune possa essere disposta solo in caso di inottemperanza all’ordine di demolizione dallo stesso Comune impartito”). ”, ed ha concluso sul punto accogliendo i motivi aggiunti e, conseguentemente, annullando il provvedimento di acquisizione.
In particolare nel caso di specie l’opera abusiva era stata demolita d’ufficio in esecuzione dell’ordine contenuto nella sentenza penale di condanna della ricorrente nella procedura Re.SA n. 131/2013 della Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Napoli, passata in giudicato.
Il Consiglio di Stato, Sezione VI, in sede di giudizio di appello, con la sentenza n. 6967 del 10 dicembre 2018 ha confermato la sentenza appellata e dopo aver osservato per ragioni di completezza che “ in ogni caso, la sopravvenuta formazione di un provvedimento di rigetto del condono (divenuto irretrattabile in ragione di quanto si dirà nel prosieguo) avrebbe comunque comportato il venir meno dell’interesse a contestare i pregressi provvedimenti repressivi. L’atto sopraggiunto implica infatti il dovere per l’Amministrazione comunale di emettere una nuova ordinanza di demolizione, con fissazione di nuovi termini per ottemperarvi, e quindi concentrandosi l’interesse dell’istante a contestare il sopravvenuto provvedimento di diniego della sanatoria, nei termini e nei limiti in cui essa è stata richiesta. ”, ha ritenuto che “ Correttamente, infatti, il giudice di prime cure ha ritenuto fondata la censura di primo grado con cui si faceva valere la circostanza per cui l’opera abusiva era già stata demolita d’ufficio in esecuzione dell’ordine contenuto nella sentenza penale di condanna della ricorrente. ”.
Ha altresì evidenziato “ 4.2.‒ Sennonché, se è vero che l’intervenuta emissione di ordine di demolizione da parte del giudice penale non priva l’Amministrazione del potere di disporre l’acquisizione dell’immobile al proprio patrimonio per finalità di pubblico interesse, ben potendo il relativo provvedimento intervenire anche in un momento successivo alla statuizione penale, tuttavia è necessario che, a quella data, non sia già intervenuta la demolizione del manufatto. Diversamente opinando, verrebbe a mancare lo stesso fondamento giustificativo del dispositivo acquisitivo, volto a consentire al Comune di entrarne in possesso per demolire l’opera o destinarla a scopi di pubblico interesse. Non a caso, il meccanismo compulsorio della gratuita acquisizione al patrimonio indisponibile dell’ente dell’area sulla quale insiste la costruzione abusiva, richiede il previo accertamento dell’inottemperanza alla spontanea rimozione dell’opera abusiva. ”.
Pertanto, essendo pacifico in atti che l’immobile abusivo di proprietà della ricorrente è stato demolito, il ricorso in riassunzione proposto avverso l’ordinanza di demolizione n. 213 del 10 dicembre 1999 dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse (cfr. T.A.R. Campania, Napoli, VIII, 25 giugno 2020, n. 2641).
Al riguardo non può non osservarsi che la stessa parte ricorrente nel ricorso in riassunzione ha chiesto di tenere conto delle vicende successive relative al medesimo immobile oggetto dell’ordinanza di demolizione impugnata, tra cui l’avvenuta demolizione d’ufficio del manufatto oggetto di contestazione con il provvedimento impugnato, che si palesa in concreto priva di oggetto mancando lo stesso bene, non più esistente.
Conclusivamente, per i su esposti motivi, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse;né può darsi luogo all'accertamento della illegittimità del provvedimento impugnato ai sensi dell'art. 34, comma 3, c.p.a. per inammissibilità della dichiarazione di interesse, in quanto irritualmente resa.
Le spese, secondo la regola della soccombenza, vanno poste a carico di parte ricorrente, nell’importo liquidato in dispositivo.