TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-08-23, n. 202313394

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-08-23, n. 202313394
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202313394
Data del deposito : 23 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/08/2023

N. 13394/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10830/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10830 del 2017, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato F B, con domicilio eletto ex art. 25, comma 1, lett. a), cod. proc. amm., presso l’intestato Tribunale in Roma, via Flaminia n. 189;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del provvedimento -OMISSIS- del 1° giugno 2017, con il quale il Ministero dell’Interno ha rigettato la domanda di concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, presentata dall’odierno ricorrente in data 20 giugno 2014.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 30 giugno 2023 il dott. E M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento -OMISSIS- del 1° giugno 2017, con il quale il Ministero dell’Interno ha rigettato la domanda di concessione della cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, presentata dall’odierno ricorrente in data 20 giugno 2014, risultando a suo carico i seguenti precedenti penali:

- in data -OMISSIS- 2006, decreto penale del GIP Tribunale di Forlì, esecutivo il 4 ottobre 2006, per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico continuato art. 81, 483 c.p.;

circostanza: art. 76 d.p.r. 28/12/2000 n. 445 e per il reato di truffa tentato continuato art. 56, 81, 640 comma 2 n. 1 c.p.;

- in data -OMISSIS- 2008, decreto penale del GIP Tribunale di Forlì, esecutivo il 13 febbraio /02/201, per il reato di cui al T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa continuato art. 81 c.p., art. 76 d.p.r. 28/12/2000 n. 445, nonché per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico continuato art. 81, 483 c.p. e per il reato di truffa tentato continuato art. 56, 81, 640 comma 1 n. 1 c.p.;

Con unico motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, nonché eccesso di potere per travisamento, erronea valutazione dei fatti e difetto di motivazione, atteso che i reati contestati al ricorrente sono, di fatto, estinti essendo ampiamente decorsi i termini di legge (cinque anni) per la declaratoria di estinzione;
nel frattempo il ricorrente si sarebbe ampiamente inserito nel nostro contesto sociale, lavorando e fornendo sostegno alla propria famiglia.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio rilevando ad ulteriore segno della mancata integrazione e dell’inaffidabilità del ricorrente, la dichiarazione mendace in ordine alla sussistenza dei suddetti precedenti penali nella domanda di cittadinanza, circostanza che potrebbe configurarsi come nuova ipotesi di reato.

Con memoria in data 8 giugno 2023, il ricorrente ha ribadito che i reati richiamati nel provvedimento di diniego di cittadinanza sono estinti come da visura allegata.

All’udienza di smaltimento dell’arretrato del giorno 30 giugno 2023 la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Giova in via preliminare osservare, alla luce della giurisprudenza formatasi in materia di cittadinanza, come di recente sintetizzata dalla Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), che l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell'istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale e se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto rilevato sulla natura discrezionale del potere de quo, ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino;
il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, essendo emerse a carico dell’istante precedenti per truffa e falsità ideologica, che rappresentano un chiaro indice sintomatico di inaffidabilità e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano volte a proteggere valori ritenuti fondamentali per la Comunità.

Come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, tale giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l’Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole del richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto” (TAR Lazio, sez. V bis, n. n. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22,8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22).

Deve inoltre evidenziarsi, in linea con la giurisprudenza anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, che la discrezionalità dell’Amministrazione procedente nella concessione dello status civitatis, di cui sono stati delineati sopra gli ampi margini di esercizio – a tutela dei rilevanti interessi dello Stato – nella valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, consente che “le valutazioni volte all’accertamento di una responsabilità penale si pongano su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell’adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali” (ex multis, T.A.R. Lazio, Sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015).

Alla luce di siffatta osservazione – che si fonda sul noto fenomeno della “pluriqualificazione” del fatto giuridico, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, ecc., a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite [poiché simile scrutinio si pone su un piano differente e autonomo rispetto alla valutazione dello stesso fatto ai fini dell’accertamento di una responsabilità penale (cfr. Cons. St., sez. III, 15/02/2019 n. 802)] – non potrebbe neppure valere l’osservazione di parte ricorrente secondo cui i precedenti penali a suo carico risultano estinti, anche in considerazione del fatto che l’estinzione dei reati ex art. 167 c.p. è dichiarata in conseguenza del mero decorso del tempo dal passaggio in giudicato della pronuncia di condanna senza che siano stati commessi reati e nulla attesta in ordine alla effettiva rieducazione del condannato e al suo sopravvenuto reinserimento sociale (Cons.St., Sez. III, 23/11/2018, n. 5638).

D’altro canto, la dichiarazione non veritiera fatta dallo straniero in sede di domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana, in ordine alla sussistenza di eventuali condanne penali irrevocabili, è suscettibile di determinare la reiezione della domanda anche a prescindere dalla sussistenza del reato di falso, ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, essendo comunque indicativa di una non compiuta integrazione, in quanto può essere considerata sintomatica della mancata conoscenza dei principi che informano i rapporti con l’Amministrazione, anche con riferimento al procedimento in questione, che il richiedente ha il dovere di acquisire, ovvero di uno scarso rispetto delle regole del contesto giuridico in cui si è inseriti, sicché tale comportamento può essere valutato, oltre che sul piano penale, anche sul piano del procedimento amministrativo in esame come comportamento indicativo di scarsa affidabilità nel rapportarsi con le Istituzioni dello Stato di cui aspira a divenire cittadino;
il che avvalora ulteriormente il giudizio di insufficiente adesione da parte dello straniero ai valori dell’ordinamento del Paese di cui chiede lo status civitatis (cfr. T.A.R. Lazio, sez. V bis, n. 2944, 2945, 2946, 2947, 3026, 3475, 3621/2022, 8234/2022, nonché, da ultimo, in particolare, T.A.R. Lazio, sez. V bis, 27/06/2022, n.8749;
cfr.  Cons. Stato, sez. I, n. 653/2022 e n. 632/2022), nel senso che in tali casi “viene meno anche la valutazione discrezionale dell’Amministrazione in quanto il diniego della cittadinanza si pone come inevitabile conseguenza dell’accertata dichiarazione mendace” (cfr.da ultimo, Cons. St., sez. III, n. 6789 e n. 11304 del 2022, ove precisa che “In linea generale, deve ritenersi che la lealtà e la correttezza dello straniero che formula la richiesta sono elementi di assoluto rilievo al fine di apprezzare le condizioni soggettive dell'interessato. In questo senso, la falsa dichiarazione ad un pubblico ufficiale presenta un oggettivo disvalore che l'amministrazione deve considerare con la massima attenzione”, includendo tale elemento nella valutazione complessiva del grado di integrazione raggiunto”).

Quanto esposto vale, pertanto, a supportare il negativo giudizio cui è pervenuta l’Amministrazione in ordine ai fatti valutati come ostativi alla concessione della cittadinanza, di cui il ricorrente neppure contesta la sussistenza, né offre elementi che possano integrare meriti speciali, atteso che lo stabile inserimento, anche nella realtà economica, se, per un verso, rappresenta una condizione del tutto ordinaria, in quanto costituisce solo il presupposto per conservare il titolo di soggiorno, per altro verso rappresenta soltanto il prerequisito per la concessione della cittadinanza alla stregua di quanto sopra osservato.

Il conferimento della cittadinanza italiana per naturalizzazione presuppone infatti l’accertamento di un interesse pubblico da valutarsi anche in relazione ai fini propri della società nazionale e non già sul semplice riferimento dell’interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze.

Il riconoscimento della cittadinanza, per sua natura irrevocabile (salvi i casi di revoca normativamente previsti), si fonda su determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (Cons. Stato, Sez. III, 7 gennaio 2022, n. 104) e, pertanto, presuppone che “nessun dubbio, nessuna ombra di inaffidabilità del richiedente sussista, anche con valutazione prognostica per il futuro, circa la piena adesione ai valori costituzionali su cui Repubblica Italiana si fonda” (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 14 febbraio 2017, n. 657).

D’altronde la particolare cautela con cui l’Amministrazione valuta la rilevanza di condotte antigiuridiche è compensata dalla facoltà di reiterazione dell’istanza che l’ordinamento riconosce al richiedente, una volta mutate le condizioni oggettive sottese all’esito negativo originario, già a distanza di un anno dal primo rifiuto.

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

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