Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-01-31, n. 202200653

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-01-31, n. 202200653
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202200653
Data del deposito : 31 gennaio 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 31/01/2022

N. 00653/2022REG.PROV.COLL.

N. 04450/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4450 del 2018, proposto dalla società So.Co.Ge. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A V e A C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C in Roma, via Principessa Clotilde, n. 2;

contro

il Comune di Lecce, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato L A, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato F B in Roma, corso Vittorio Emanuele II, n. 18;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, sezione terza, n. 1992 del 18 dicembre 2017, resa tra le parti.


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Lecce;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 gennaio 2022 il consigliere Alessandro Verrico e uditi per le parti gli avvocati A V, A C e Giuseppe Pecorilla, su delega dell’avvocato L A;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla domanda di risarcimento del danno derivante dalla illegittimità della determinazione del Comune di Lecce n. 1274 del 20 ottobre 2009, recante l’annullamento parziale in autotutela del permesso di costruire n. 317 del 2002 rilasciato in favore della società So.Co.Ge. s.r.l. per la costruzione di alcuni fabbricati costituiti da tre corpi (A, B, C) con destinazione prevalente a uffici e studi professionali e, relativamente al piano terra, ad attività commerciale.

1.1. Ai fini di una migliore comprensione della vicenda oggetto del presente giudizio in fatto si precisa quanto segue:

i ) la società So.Co.Ge., proprietaria di una serie di lotti edificatori siti nel comparto 4 del P.P.A., zona B 14, del Comune di Lecce, otteneva il rilascio della concessione edilizia n. 317/2002, in forza della quale veniva assentita la costruzione dei corpi di fabbrica A, B, C, alla espressa condizione per cui “ ai sensi dell’art. 7 delle N.T.A. del p.d.l., tutte le destinazioni previste, o prevedibili, come ufficio devono esplicitamente intendersi come uffici “privati” ”;

ii ) la società, in virtù di tale titolo nonché del successivo permesso in variante n. 759/2006 e della D.I.A. n. 271/2009, provvedeva quindi a realizzare sul primo lotto una serie di fabbricati (denominati A, B, e C), con destinazione prevalente a uffici e studio e, in parte, relativamente al piano terra, ad attività commerciale, - uno dei quali, ceduto ad altra proprietà, destinato ad uffici giudiziari;

iii ) con specifico riferimento al fabbricato C, su richiesta dell’Agenzia delle dogane in merito alla possibilità di destinare lo stesso a sede per il proprio ufficio di Lecce, il Settore urbanistica del Comune di Lecce con nota del 14 settembre 2007 esprimeva parere negativo, rilevando che tale fabbricato ricade in zona B14 (comparto 4) che consente ai sensi degli artt. 56 e 57 NTA oltre alla residenza (destinazione prevalente) i soli uffici privati, e non anche gli uffici pubblici;
tale parere negativo veniva impugnato dalla società So.Co.Ge. con ricorso innanzi al T.a.r. Lecce (r.g. n. 483/2008), il quale lo rigettava con sentenza n. 3328/2008, in seguito confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6913/2010 (resa su ricorso r.g. n. 1550/2009);

iv ) con provvedimento n. 24951/2007, confermato con nota del 27 marzo 2007, il Comune di Lecce revocava l’attestazione n. 82507 rilasciata dallo stesso in data 15 settembre 2006 in ordine alla possibilità temporanea che l’immobile C potesse essere adibito a sede dell’Ufficio provinciale del lavoro, in quanto alla data del 23 febbraio 2007 non era stato ancora stipulato alcun contratto e per l’assenza di elementi idonei a giustificare l’attribuzione all’edificio dell’autorizzazione temporanea per un uso differente da quello contemplato nella originaria concessione edilizia;
i provvedimenti venivano impugnati con ricorso dinanzi al T.a.r. Lecce, il quale, li respingeva con la sentenza n. 2951/2008, poi confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6912/2010;

v ) con nota prot. n. 51420 del 16 aprile 2008 il Comune di Lecce respingeva la richiesta, presentata dalla So.Co.Ge. con nota del 14 gennaio 2008, di rilascio di un certificato attestante che l’immobile C potesse essere destinato, anche solo per il limitato tempo di durata della locazione, a sede dell’Ufficio delle dogane;

vi ) con il provvedimento prot. 1274 del 20 ottobre 2009, l’Ufficio Settore pianificazione e sviluppo del territorio del Comune di Lecce provvedeva all’annullamento d’ufficio dei titoli edilizi a suo tempo rilasciati, limitatamente alla destinazione d’uso direzionale dei piani dal primo al quarto e commerciale del piano terra, sul presupposto contrasto con la disciplina di cui agli artt. 53 e 57 delle NTA del PRG che per le zone B impongono una destinazione prevalentemente residenziale;

vii ) tale provvedimento, impugnato dalla società con ricorso (r.g. n. 32/2010), veniva annullato dal T.a.r. per la Puglia, sede di Lecce, con la sentenza irrevocabile n. 661 del 26 febbraio 2014, in ragione della riscontrata violazione, da parte dell’Amministrazione Comunale, dei parametri prescritti dall'art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990 per il legittimo esercizio del potere di autotutela amministrativa;

viii ) successivamente, con riferimento al corpo C del lotto oggetto di concessione, con nota del 21 dicembre 2014 n. 134/RIS, la Direzione territoriale del lavoro di Lecce comunicava alla società “ l’impossibilità della scrivente Direzione territoriale di procedere alla stipula del contratto di locazione ”, così ponendo fine alla trattativa, avviata dalla So.Co.Ge. con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, in particolare, con la Direzione provinciale del lavoro di Lecce, per l’affitto, a tale Dicastero, dell’edificio.

2. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per la Puglia (r.g. n. 323/2015), la società So.Co.Ge. ha chiesto la condanna del Comune di Lecce al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell’adozione, da parte dell’amministrazione comunale resistente, del provvedimento prot. 1274 del 20 ottobre 2009, di parziale annullamento d’ufficio della concessione edilizia n. 317/2002, successivamente annullato dal medesimo Tribunale con la sentenza n. 661 del 2014, passata in giudicato. In particolare, i danni di cui la società ricorrente chiedeva il ristoro, quantificati nella somma di euro 1.416.800,00 oltre rivalutazione ed interessi, discenderebbero, secondo la tesi difensiva, dalla mancata stipula del contratto di affitto dell’edificio C con la Direzione provinciale del lavoro di Lecce per il periodo ricompreso tra la data di adozione del provvedimento impugnato del 20 ottobre 2009 e la data del 9 ottobre 2014 di passaggio in giudicato della sentenza del T.a.r. Lecce n. 661 del 2014.

3. Il T.a.r. per la Puglia, sede di Lecce, sez. III, con la sentenza n. 1992 del 18 dicembre 2017:

a) ha ritenuto di poter prescindere dall’esame delle eccezioni preliminari, vista l’infondatezza del ricorso nel merito;

b) ha respinto la domanda di risarcimento del danno per carenza del nesso causale, rilevando che la mancata locazione del fabbricato C alla Direzione territoriale del lavoro di Lecce

non sarebbe riconducibile all’annullamento del permesso di costruire bensì alla diversa destinazione ad uffici privati piuttosto che pubblici, necessaria per la conclusione del contratto;
del resto, la società ricorrente non avrebbe provato di avere intrattenuto trattative con altri soggetti privati;

c) ha compensato le spese di lite.

4. La società originaria ricorrente ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sviluppato tre autonome censure (da pagina 15 a pagina 38) riassumibili nei seguenti termini:

i ) il primo giudice, in violazione dell’art. 112 c.p.c., non si sarebbe pronunciato sulla domanda di risarcimento, decidendo la causa in ragione dell’asserita fondatezza dell’eccezione sollevata dal Comune di inammissibilità della domanda, perché contrastante con la disciplina urbanistica applicabile e le prescrizioni contenute nella concessione edilizia;

ii-iii ) ad ogni modo, la ragione posta a fondamento del rigetto sarebbe infondata, in quanto l’ostacolo rappresentato dalla destinazione di zona dei locali a pubblici uffici, avrebbe potuto essere superato dal Comune mediante l’adozione della dichiarazione di agibilità;
sarebbe pertanto provato che il danno lamentato deriva direttamente dall’adozione del provvedimento di annullamento in autotutela, così come sarebbe stata ampiamente dimostrata la quantificazione dei danni procurati.

4.1. Si è costituito per resistere il Comune di Lecce.

4.2. La parte appellante ha nominato quale proprio difensore, in aggiunta all’avvocato A V, l’avvocato A C. In seguito, l’avvocato G O R, originario difensore della ricorrente, ha depositato rinuncia al mandato.

4.3. Il Comune di Lecce e la società So.Co.Ge. hanno depositato memoria difensiva e memoria di replica, rispettivamente nelle date 17 e 27 dicembre 2021, la prima, e nelle date 20 e 30 dicembre 2021, la seconda.

5. All’udienza del 20 gennaio 2022 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

6. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.

7. Preliminarmente il Collegio:

a) rileva che il thema decidendum del presente giudizio – che circoscrive necessariamente anche l’oggetto del processo di appello ex art. 104 c.p.a. – è limitato all’esame, alla stregua della causa petendi illustrata nel primo grado di giudizio, della sola domanda di risarcimento del danno ivi proposta ed attinente, come visto, alla mancata stipula del contratto di affitto dell’edificio C da parte della società So.Co.Ge. con la Direzione provinciale del lavoro di Lecce asseritamente causata dall’illegittimo parziale annullamento d’ufficio della concessione edilizia n. 317/2002 ;

b) dichiara inammissibile la produzione documentale della società appellante in data 9 dicembre 2021, poiché in violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 104, comma 2, c.p.a.

8. Nel merito, il Collegio rileva l’infondatezza delle censure proposte, le quali, essendo tra loro strettamente connesse, possono essere trattate congiuntamente.

8.1. Invero, l’analisi della fattispecie conduce a ritenere non sussistente il nesso causale tra la condotta descritta (adozione dell’illegittimo provvedimento di parziale annullamento d’ufficio) e il danno lamentato (perdita dell’occasione di guadagno derivante dall’affitto dell’edificio C alla Direzione provinciale del lavoro di Lecce), necessario per affermare il diritto al risarcimento. Si esclude inoltre che nel caso di specie sia stata fornita adeguata prova della spettanza del bene della vita richiesto dalla società, per converso risultando dall’analisi dei fatti la prova contraria.

8.2. In primo luogo, occorre osservare che:

a) come visto, l’originaria concessione n. 317/2002 precisava, inter alia, che, ai sensi dell’art. 7 delle NTA del PPA, tutte le destinazioni previste o prevedibili come ufficio devono esplicitamente intendersi come uffici “privati”;

b) l’edificio ricade in zona B14 (comparto 4), in relazione al quale gli artt. 56 e 57 delle n.t.a. del PRG consentono, oltre alle residenze, i soli uffici privati, atteso che l’art. 57 rinvia, quanto alle destinazioni d’uso per gli interventi realizzati nel comparto 4, alle disposizioni relative agli interventi nella zona B11 che sono, ai sensi dell’art. 53 delle n.t.a., “ uffici privati e studi

professionali ”.

8.2.1. La disciplina urbanistica, confermata dallo specifico titolo edilizio, prevede una destinazione funzionale incompatibile con l’utilizzo dell’immobile che la società aspirava a realizzare, con la conseguenza che, anche in assenza del provvedimento di autotutela dichiarato illegittimo dal T.a.r., mai si sarebbe potuto concludere il contratto di affitto secundum legem .

8.3. Peraltro, dall’analisi della vicenda in punto di fatto, emerge che:

a) il Comune più volte si è espresso nel senso di non poter destinare il fabbricato C a uffici pubblici, essendo emblematico al riguardo quanto affermato dall’Amministrazione comunale in merito alla richiesta dell’Agenzia delle dogane sulla possibilità di destinare lo stesso a sede per il proprio ufficio, mediante l’adozione della nota del 14 settembre 2007, la cui legittimità è stata dichiarata dal T.a.r. Lecce, con la sentenza n. 3328/2008, poi confermata con la sentenza di questo Consiglio n. 6913/2010. Le medesime conclusioni, del resto, venivano ribadite dal Comune di Lecce con i provvedimenti sopracitati (provvedimento n. 24951/2007;
nota del 27 marzo 2007), riguardanti in particolare proprio la possibilità di adibire l’immobile C a sede dell’Ufficio provinciale del lavoro, che, come visto, trovavano sostanziale conferma nelle statuizioni del T.a.r. Lecce, con la sentenza n. 2951/2008, poi confermata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 6912/2010;

b) il Ministero del lavoro, sin dall’inizio della trattativa, aveva subordinato la conclusione del contratto di affitto alla condizione essenziale che l’immobile avesse destinazione di ufficio pubblico ( cfr. la corrispondenza intercorsa tra il Dicastero e la So.Co.Ge., risalente al 2008/2009, poi confermata con l’invio delle note negli anni 2010, 2011, 2012 e 2014);

c) il riconoscimento della possibilità di adibire temporaneamente l’immobile C a sede dell’Ufficio provinciale del lavoro, avvenuto con l’attestazione n. 82507 in data 15 settembre 2006, veniva subito meno, mercè le note comunali n. 24951 dell’8 marzo 2007 e n. 36747 del 27 marzo 2007 (che, come dianzi evidenziato, avevano resistito all’impugnativa giurisdizionale).

8.3.1. In ragione di tali considerazioni e, in particolare, alla luce delle due pronunce di questo Consiglio di Stato del 2010 passate in giudicato, deve pertanto essere escluso che nel caso di specie vi siano i presupposti per ritenere che in capo alla società si sia ingenerato un legittimo affidamento in ordine all’esito positivo delle trattative intessute con la Direzione provinciale del lavoro. Invero, a fronte della evidente incompatibilità della destinazione ad uffici pubblici con la previsione urbanistica di zona, nessun elemento di segno contrario è ravvisabile nelle condotte tenute dalle Amministrazioni coinvolte nella vicenda (arg. sul punto anche dai principi elaborati da Cons. Stato, Ad. plen., 29 novembre 2021, n. 21, sui presupposti per configurare un ragionevole affidamento del privato in ordine al legittimo esercizio del potere pubblico).

8.4. Parimenti priva di dimostrazione è la perdita di chance dedotta dalla società, rilevandosi per converso che erroneamente la stessa concentrava le proprie iniziative su una trattativa che, in base alla originaria concessione ( in parte qua mai modificata) ed alla disciplina di zona urbanistica, mai si sarebbe potuta concludere positivamente stante l’impossibilità di destinare i manufatti in questione a uffici pubblici attesa la cogenza del permesso di costruire e del P.R.G.

9. Le precedenti considerazioni conducono pertanto ad escludere la sussistenza nel caso di specie del presupposto fondamentale della spettanza del bene della vita, da valutare necessariamente a fronte di domande di risarcimento del danno, come emerge dall’analisi della costante giurisprudenza, secondo cui:

a) il paradigma cui è improntato il sistema di responsabilità dell’amministrazione per l’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa (o per il mancato esercizio di quella doverosa) è quello della responsabilità da fatto illecito, con la conseguenza che, diversamente da quanto avviene nelle ipotesi di responsabilità contrattuale, elemento centrale da dimostrare in giudizio è l’ingiustizia del danno, requisito che implica che il risarcimento potrà essere riconosciuto se l’esercizio illegittimo del potere amministrativo abbia leso un bene della vita del privato, che questo avrebbe avuto titolo per mantenere od ottenere (Cons. Stato, Adunanza plenaria, 23 aprile 2021, n. 7);

b) l’ingiustizia del danno che fonda la responsabilità dell’amministrazione per lesione di interessi legittimi si correla alla dimensione sostanzialistica di questi ultimi, per cui solo se dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica sia derivata per il privato una lesione della sua sfera giuridica quest’ultimo può ottenere il risarcimento per equivalente monetario;
tutela che, invece, deve essere esclusa quando l’interesse legittimo riceva tutela idonea con l’accoglimento dell’azione di annullamento, ossia nel caso in cui il danno sia stato determinato da una illegittimità, solitamente di carattere formale, da cui non derivi un accertamento di fondatezza della pretesa del privato ma un vincolo per l’amministrazione a rideterminarsi, senza esaurimento della discrezionalità ad esse spettante (Cons. Stato, Adunanza plenaria, 23 aprile 2021, n. 7).

9.1. Ad ogni modo, la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla società si rivela altresì inammissibile, essendo diretta a tutelare interessi illegali, ovvero contra ius , in quanto mira ad ottenere per equivalente monetario ciò che non si sarebbe potuto ottenere in via provvedimentale, ossia destinare il manufatto C ad ospitare uffici pubblici a fronte di una destinazione urbanistica a “ uffici privati e studi professionali ”.

Al riguardo, è costante la giurisprudenza nell’affermare l’inammissibilità del ricorso proposto a tutela di interessi illegittimi (sul punto, in materia di edilizia, Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2016, n. 1436, che applica i principi di Cons. Stato, ad. plen., 25 febbraio 2014 n. 9, § 8.3.4.; id ., 27 aprile 2015 n. 5, § 9.2). Invero, l’interesse materiale o il bene della vita finale, in relazione al quale si propone una domanda di tutela, può essere effettivamente preso in considerazione dal giudice solo se non sia contra jus vel non jure ovvero d’indole abusiva e opportunistica (Cons. Stato, sez. IV, 19 aprile 2017, n. 1827; conf. id. , sez. V, n. 5247 del 2013).

10. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.

11. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, anche ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a., ricorrendone i presupposti applicativi, anche in relazione ai profili di sinteticità e chiarezza, secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sostanzialmente recepita, sul punto in esame, dalla novella recata dal decreto-legge n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. [cfr. ex plurimis sez. IV, n. 148 del 2022, n. 5008 del 2018;
sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria conformemente, peraltro, ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. ex plurimis sez. VI, n. 11939 del 2017;
n. 22150 del 2016)].

La condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. rileva, infine, anche agli eventuali effetti di cui all’art. 2, comma 2- quinquies , lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208 (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 148 del 2022).

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