TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-03-28, n. 202406123

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-03-28, n. 202406123
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202406123
Data del deposito : 28 marzo 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 28/03/2024

N. 06123/2024 REG.PROV.COLL.

N. 10580/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10580 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato F B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via della Giuliana 9;

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l’annullamento

del decreto del Ministero dell’Interno del 23 giugno 2021, protocollo n.-OMISSIS-, notificato in data 17 maggio 2023, con cui è stata rigettata l’istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierna ricorrente in data 20 aprile 2017, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2024 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del decreto del Ministero dell’Interno del 23 giugno 2021, protocollo n.-OMISSIS-, con cui è stata rigettata l’istanza di concessione della cittadinanza italiana presentata dall’odierna ricorrente in data 20 aprile 2017, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, non risultando redditi percepiti, né redditi di familiari conviventi, ad integrazione, per raggiungere i parametri fissati per legge.

Lamenta in sintesi la ricorrente che l’Amministrazione non avrebbe omesso di considerare, ai fini della valutazione del requisito reddituale di sussistenza, i redditi prodotti dal compagno, residente all’estero in quanto dipendente di una organizzazione internazionale (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale), dalla cui unione, seppur di fatto, sono nati due figli, e dalla madre di questi, convivente con la ricorrente.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza cautelare n. 5567 del 5 settembre 2023, il Collegio ha accolto la domanda di sospensione del provvedimento impugnato, ritenendo che le esigenze di parte ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito.

Con memoria in data 12 gennaio 2024, la ricorrente ha ribadito quanto esposto nel ricorso.

All’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2024, la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Giova in via preliminare osservare che per costante orientamento giurisprudenziale, anche di questa Sezione, l’acquisizione dello status di cittadino italiano rientra nei provvedimenti di concessione, che presuppongono l’esplicarsi di un’amplissima discrezionalità, in capo all’Amministrazione.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, nel cui ambito valutativo rientra anche l’accertamento della sufficienza del reddito dell’aspirante cittadino a garantirne il sostentamento.

In tale prospettiva, la giurisprudenza ha costantemente ribadito che la verifica dell’Amministrazione in ordine ai mezzi di sostentamento non è soltanto funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale – ratio che è alla base delle norme che prescrivono il possesso di tale requisito per l’ingresso in Italia, per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno – ma è anche funzionale all’accertamento del presupposto necessario a che il soggetto sia poi in grado di assolvere i doveri di solidarietà sociale in modo da “concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali” (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766;
id., 16 febbraio 2011, n. 974).

Tra i diritti e i doveri che lo straniero viene ad acquisire quando viene inserito a pieno titolo nella comunità nazionale, non assume infatti un ruolo secondario il dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., da ultimo, T.A.R. Lazio, Roma, sez I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
id., n. 1902/2018;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).

La verifica del requisito reddituale deve, in particolare, riguardare non solo il triennio precedente alla richiesta di concessione della cittadinanza – ex d.m. 22 novembre 1994, adottato in base all’art. 1, comma 4, d.P.R. 18 aprile 1994, n. 362 (cfr., T.A.R. Lazio, sez. I ter, 14 gennaio 2021, n. 507;
id., 31 dicembre 2021, n. 13690) – ma anche il periodo successivo, in quanto lo straniero deve dimostrare di possedere una certa stabilità e continuità nel possesso del requisito fino al giuramento (cfr. art. 4, comma 7, D.P.R. 12 ottobre 1993, n. 572, secondo cui “Le condizioni previste per la proposizione dell’istanza di cui all’art. 9 della legge devono permanere sino alla prestazione del giuramento di cui all’art. 10 della legge” ).

Per quanto riguarda, invece, la soglia minima del reddito, l’Amministrazione ha ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito - in ragione di una valutazione a monte circa la congruità degli stessi a garantire l’autosufficienza economica del richiedente - facendo riferimento a quelli che, ai sensi dell’art. 3 del D.L. 25.11.89 n. 382, consentono di ritenere esentati dalla partecipazione alla spesa sanitaria i titolari di pensione di vecchiaia con reddito imponibile fino a € 8.263,31, incrementato fino a € 11.362,05 di reddito complessivo in presenza del coniuge a carico e in ragione di ulteriori € 516,00 per ogni figlio a carico;
soglia ritenuta congrua dalla giurisprudenza in materia proprio in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere in modo idoneo e continuativo sé e la famiglia, senza gravare negativamente sulla comunità nazionale (Cons. Stato, sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3958).

Il parametro appena riportato costituisce un requisito minimo indefettibile, per cui l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire - ex se - causa idonea a giustificare il diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro (la persistenza di tale situazione è comunque assicurata dal permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo UE).

La legittimità della suddetta valutazione è stata affermata dalla giurisprudenza costante in materia, condivisa anche da questa Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 1590/22;
1698/22;
1724/22;
sez. I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;
6 settembre 2019, n. 10791;
Tar Lazio, sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;
13 maggio 2014, n. 4959;
3 marzo 2014, n. 2450;
18 febbraio 2014, n. 1956, 10 dicembre 2013, n. 10647;
Cons. Stato sez. I, parere n. 240/2021;
parere n. 2152/2020;
Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726), che ne ha da ultimo ricostruito le ragioni giuridiche sulla base dell’analisi della normativa che disciplina la posizione dello straniero nel nostro ordinamento giuridico (cfr., T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. n. 14163/2023 e 14172/2023).

Tanto premesso, occorre rilevare che nella fattispecie in esame è emerso un quadro reddituale che non risulta in grado di garantire l’autonomo sostentamento della ricorrente, che per sua stessa ammissione non produce alcun tipo di reddito.

Non può d’altra parte essere positivamente valutato in suo favore la situazione relativa all’unione di fatto con il compagno ed alla convivenza con la madre di quest’ultimo, percettrice di redditi documentati nella domanda di cittadinanza, avendo al riguardo la giurisprudenza più volte chiarito che, il principio della cumulabilità del proprio reddito con quello dei componenti del nucleo familiare, stabilito anche dalla circolare ministeriale del 2007, deve essere “interpretato in modo restrittivo, tenuto conto della ratio sottesa al requisito reddituale ai fini della concessione della cittadinanza che, come si è detto, risiede nell’esigenza di assicurarsi che il richiedente sia effettivamente fornito di idonei mezzi di sussistenza in modo stabile e continuativo, onde conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri cui verrebbe ad essere assoggettato, ed evitare, altresì, di gravare sul pubblico erario. Sul punto, pertanto, questa Sezione condivide il consolidato orientamento giurisprudenziale che ha avuto modo di evidenziare che deve essere esclusa la possibilità di cumulare il reddito di un soggetto diverso dal percettore che sia legato a quest’ultimo non già da un rapporto comportante l’obbligo alimentare, ai sensi dell’art. 433 c.c., bensì “da un legame in ogni momento liberamente disponibile” (cfr. Cons. Stato, sez. I, parere 30 dicembre 2020, n. 2152;
Cons. Stato, sez. III, 25 giugno 2019, n. 4372;
Cons. Stato, sez. III, 5 marzo 2018, n. 1399). La disposizione normativa da ultimo evocata, infatti, come affermato a più riprese anche da questa Sezione (T.A.R. Lazio, Roma, sez. V-bis, nn. 1590/2022 e 11187/2022), si fonda sulla valorizzazione dei legami parentali più stretti, in considerazione non solo della necessità di ancorare il parametro della estensione del reddito cumulabile del nucleo familiare ad un dato oggettivo consistente nel vincolo familiare che giustifica un dovere di solidarietà in capo a soggetti individuati dal legislatore, ma anche al fine di evitare facili elusioni della normativa sul reddito minimo per il tramite di strumentali e momentanee costituzioni di nuclei familiari non idonei a giustificare, in caso di legittima separazione, alcun reciproco obbligo giuridico”
(cfr., in termini, T.A.R. Lazio, Roma, sez. V bis, n. 4268 del 13 marzo 2023).

Appare pertanto chiaro l’iter logico seguito dall’Amministrazione, che ha basato il proprio provvedimento sui difetti strutturali della domanda della ricorrente, dalla quale risulta l’insufficienza reddituale, e, dunque, la mancata integrazione nel tessuto sociale sotto il profilo delle condizioni economiche, con conseguente esito negativo sulla concessione della cittadinanza.

Da ultimo, si rende opportuno rammentare che il diniego della cittadinanza non preclude di ripresentare l’istanza nel futuro e di conseguire lo status anelato ove concorrano tutte le condizioni richieste, per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna interferenza nella vita privata e familiare della ricorrente (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), la quale può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.

Sulla scorta dei suddetti rilievi, considerato che il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, il ricorso proposto deve essere respinto.

Le spese di lite seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

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