TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-06-07, n. 202309605
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Pubblicato il 07/06/2023
N. 09605/2023 REG.PROV.COLL.
N. 12561/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12561 del 2018, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati P A T, G T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del provvedimento di rigetto dell’istanza di cittadinanza n. -OMISSIS- del 16 maggio 2018.
Visti il ricorso e i relativi allegati.
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno.
Visti tutti gli atti della causa.
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 21 aprile 2023 la dott.ssa I T e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato in data 25 novembre 2018, ricevuto in data 08 ottobre 2018 e depositato il giorno 7 novembre 2018 il ricorrente, cittadino marocchino, ha impugnato il decreto n. -OMISSIS- del 16 maggio 2018, notificato in data 26 giugno 2018, con il quale il ministero dell’Interno ha respinto l’istanza presentata in data 22 gennaio 2015, volta alla concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f) della l. n. 91 del 01 ottobre 2014.
Per quanto di interesse ai fini del presente giudizio, nell’ambito dell’istruttoria prodromica alla definizione del richiesto provvedimento concessorio, il Ministero ha rilevato la presenza due pregiudizi penali consistenti in
una denuncia all’autorità giudiziaria per i reati di cui agli artt. 570 c.p.c (violazione degli obblighi di assistenza familiare) e 572 c.p. (maltrattamenti in famiglia o verso i fanciulli), successivamente interessata da un provvedimento di archiviazione disposto in data 22 febbraio 2010;
una denuncia all’autorità giudiziaria del 23 gennaio 2012 dall’ufficio frontiera aerea di Bologna per i reati di cui all’art. 4 della legge 8 aprile 1975 n. 110 (porto di armi o oggetti atti ad offendere).
Sulla base di tali presupposti il ministero, previo espletamento di rituale subprocedimento ai sensi dell’art. 10 bis della legge 7 agosto 1990 n. 241, ha denegato il richiesto provvedimento concessorio, giudicando non coincidenti l’interesse del ricorrente a conseguire la cittadinanza italiana e quello pubblico ad ampliare, con il suo ingresso, la platea della comunità nazionale.
Il decreto è stato quindi gravato, unitamente agli atti ad esso presupposti, con un unico articolato di fatto e diritto ove il ricorrente sostanzialmente si duole della intervenuta archiviazione del procedimento ai sensi degli artt. 570 e 572 c.p. nonché della non rilevanza e non particolare lesività della notizia di reato del 23 gennaio 2012, ancorché culminata in un decreto penale di condanna emanato in data 9 febbraio 2012 e divenuto definitivo per mancata opposizione.
L’avvocatura erariale si è costituita in giudizio con memorie e documenti, insistendo per il rigetto del ricorso.
Con ordinanza del 12 dicembre 2022 n. 16668 questo Tribunale ha disposto incombenti istruttori in ordine ai fatti di causa, cui ha fatto seguito il deposito da parte del ministero del casellario giudiziale del ricorrente (da cui si inferisce l’estinzione del reato del 23 gennaio 2012 soltanto a far data dal 14 febbraio 2019, successivamente alla sfavorevole definizione del procedimento di naturalizzazione) nonché di un documento a firma della moglie del ricorrente – G H - datato 14 gennaio 2023 e testualmente definito “dichiarazione pro-veritate”, in cui quest’ultima afferma che la segnalazione del coniuge per maltrattamento e abbandono di minori scaturì da una iniziativa – testualmente definita “inutile” – della polizia municipale di Finale Emilia.
All’udienza pubblica del 21 aprile 2023 la causa è stata introitata per la decisione.
Il ricorso è infondato.
In proposito è opportuno ripercorrere, preliminarmente, gli approdi cui è giunta la giurisprudenza amministrativa in subiecta materia , la quale appare ormai granitica nell’affermare:
che l’amplissima discrezionalità dell’amministrazione in questo procedimento si esplica in un potere valutativo che “ si traduce in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta ” (Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;Cons. Stato, Sez. VI, n. 52 del 10 gennaio 2011;Cons. Stato, Sez. VI, n. 282 del 26 gennaio 2010;Tar Lazio, Sez. Seconda - quater n. 3547 del 18 aprile 2012);
che “ l'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone, infatti, che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del paese ospitante ” (Tar Lazio, Sez. Seconda - quater n. 5565 del 4 giugno 2013);
che “ trattandosi di esercizio di potere discrezionale da parte dell’amministrazione, il sindacato sulla valutazione compiuta dall'amministrazione, non può che essere di natura estrinseca e formale;non può spingersi, quindi, al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole ” (Consiglio di Stato Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;Tar Lazio, Sez. Seconda - quater n. 5665 del 19 giugno 2012).
In particolare, il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla sezione (TAR Lazio, Sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022).
L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un'amplissima discrezionalità in capo all'amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della L. n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.
L’ampia discrezionalità in questo procedimento si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;sez. IV n. 798/1999;n. 4460/2000;n. 195/2005;sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;sez. VI, n. 3006/2011;Sez. III, n. 6374/2018;n. 1390/2019, n. 4121/2021;TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;n. 3920/2013;4199/2013).
Pertanto, l'interesse dell'istante a ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.
E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il ministero dell’interno) alla cui cura lo stesso è affidato.
In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.
La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.
In tal modo, l'inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l'amministrazione ritenga che quest'ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis, TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;n. 12006/2021 e Sez. II quater, n. 12568/2009;Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;n. 8233/2020;n. 7122/2019;n. 7036/2020;n. 2131/2019;n. 1930/2019;n. 657/2017;n. 2601/2015;Sez. VI, n. 3103/2006;n.798/1999).
Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall'amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.
Ciò perché la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino;il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’amministrazione (ex multis, Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021;Sez. VI, n. 5913/2011;n. 4862/2010;n. 3456/2006;TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012, Sez. V bis n. 6254/2022).
Con riferimento al caso di specie, il Collegio ritiene che l’amministrazione abbia valutato in maniera procedimentalmente corretta e non manifestamente illogica la complessiva situazione della ricorrente, attribuendo valenza ostativa alla presenza di un precedente penale per un reato di particolare allarme sociale quale il possesso di un’arma atta ad offendere – coltello a serramanico con lama lunga 6,5 centimetri - peraltro accertato, come è dato evincere dalla lettura del gravame, entro un contesto sensibile quale terminal dell’aeroporto “Marconi” di Bologna.
Anche la condotta di violazione degli obblighi di assistenza familiare, segnalata dagli organi della P.M. del Comune di Finale Emilia, risulta pure oggetto di espressa conferma da parte del ricorrente a nulla rilevando la successiva archiviazione del procedimento – il cui sottostante provvedimento non è stato prodotto in giudizio pur a fronte di espressa istruttoria di questo Tribunale – trattandosi di reato procedibile ad istanza di parte e rilevando comunque quale fatto storico di cui l’amministrazione necessariamente doveva tenere conto in sede di complessiva valutazione della posizione del ricorrente.
In tal senso se, da un lato, il Collegio non ignora quell’orientamento giurisprudenziale che – al fine di evitare che l’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione in materia di cittadinanza sconfini in arbitrio – esclude, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 6 della legge n. 91/1992, la rilevanza automatica dei precedenti penali, in particolare ove trattasi di fatti qualificabili come reati “non gravi” e risalenti nel tempo (Cons. St., sez. VI, n. 3907/2008;TAR Lazio, sez. II quater n. 292/2010;Id., sez. I ter, n. 13686/21;Cons. St., sez. III, n. 3121/19), dall’altro rileva che, in tali ipotesi, non è che venga automaticamente vanificata la rilevanza delle medesime condotte, ma, semplicemente, che le stesse possono e devono essere attentamente valutate dall’Amministrazione, tenendo in considerazione tutto quel complesso degli specifici elementi che risultino rilevanti nel caso concreto, al fine di esprimere un giudizio sull’effettiva assimilazione dei valori fondamentali su cui si regge la comunità di cui il richiedente aspira a far parte, nonché di formulare una valutazione prognostica sull’inserimento dello stesso nella medesima comunità.
In tale contesto – e tenuto conto della obiettiva gravità delle condotte attribuite al ricorrente - a nulla rilevano – per le finalità di cui trattasi –la relativa risalenza nel tempo e la successiva emissione di un provvedimento estintivo, ai fini penali.
E ciò in quanto ciò che rileva ai fini della concessione – o meno – dello status non è il singolo esito processuale e/o le sue conseguenze sul piano sostanziale e/o dell’esecuzione quanto, piuttosto, l’irrevocabile accertamento della condotta penalmente rilevante sancita in sede giurisdizionale.
In proposito, in linea con la giurisprudenza anche di questo Tribunale, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, si rammenta che la discrezionalità dell’Amministrazione procedente nella concessione dello status civitatis , di cui sono stati delineati sopra gli ampi margini di esercizio – a tutela dei rilevanti interessi dello Stato – nella valutazione in ambito amministrativo della condotta e dell’inserimento sociale dell’interessato, consente che “ le valutazioni volte all'accertamento di una responsabilità penale si pongano su di un piano assolutamente differente e autonomo rispetto alla valutazione del medesimo fatto ai fini dell'adozione di un provvedimento amministrativo, con la possibilità che le risultanze fattuali oggetto della vicenda penale possano valutarsi negativamente, sul piano amministrativo, anche a prescindere dagli esiti processuali penali ” (ex multis, T.A.R. Lazio, Sez. I ter, nn. 10323/2021, 3345/2020, 347/2019, 6824/2018, Sez. II, n. 1833/2015).