TAR Roma, sez. I, sentenza 2015-11-26, n. 201513365

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. I, sentenza 2015-11-26, n. 201513365
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201513365
Data del deposito : 26 novembre 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01521/2015 REG.RIC.

N. 13365/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01521/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1521 del 2015, proposto da:
M R, rappresentata e difesa dagli avv.ti M S, C C, M D L e L P, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la stessa domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

A T, L M, M T T, non costituiti;

per l'annullamento

previa sospensione dell’esecuzione

del provvedimento di mancata ammissione della ricorrente alle prove orali del concorso a 250 posti di notaio indetto con D.D. 22.3.2013, ivi compresi le delibere e/o i verbali della Commissione di concorso concernenti la formazione dei criteri di massima, i criteri stessi, i provvedimenti di nomina dei Commissari, l’approvazione della graduatoria finale;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 novembre 2015 la dott.ssa R P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. Con il ricorso in epigrafe la dott.ssa M R, premesso di aver partecipato al concorso, per esame a 250 posti di notaio, indetto con decreto del Direttore Generale della Giustizia Civile del d.d. 22 marzo 2013, ha impugnato, tra gli altri, il provvedimento di mancata ammissione alle prove orali del concorso medesimo.

Espone, in fatto, di essere stata dichiarata “non idoneo” dalla Commissione esaminatrice per asseriti errori riscontrati nella lettura dei compiti e, conseguentemente, non è stata ammessa a sostenere le prove orali. Aggiunge che la suddetta Commissione esaminatrice, dopo la disamina della prima prova scritta, ha deciso a maggioranza di passare all’esame della seconda atteso che la riscontrata insufficienza della prima non presentava le gravità richieste dall’art. 11, comma 7, d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166 per esprimere un giudizio di inidoneità. Anche nei riguardi della seconda prova scritta era stato espresso un giudizio di insufficienza non grave, che aveva consentito l’esame anche del terzo elaborato, l’atto di diritto civile “inter vivos”, conclusosi però con un giudizio di inidoneità, con conseguente non ammissione alle prove orali.

2. Ciò premesso, deduce le seguenti censure:

1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d.lgs 24.4.2006, n. 166. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 7, del d.lgs 24.4.2006, n. 166. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria, contraddittorietà, carenza di motivazione, confusione e perplessità. Violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Il giudizio della Commissione, nel dichiarare “inidoneo il candidato in quanto l’elaborato di diritto civile inter vivos è gravemente insufficiente per incongruità delle soluzioni adottate …” e “… per presenza di errori di diritto nell’atto…”, risulta viziato da travisamento dei fatti e da irragionevolezza, in quanto vi si contesta un duplice errore che in fatto non sussiste. E’ ben vero che il giudizio espresso dalla commissione giudicatrice del concorso notarile non può formare oggetto di sindacato giurisdizionale, ma la giurisprudenza ha chiarito che questa regola non trova applicazione nei casi in cui emergano elementi idonei ad evidenziare uno sviamento logico, un errore di fatto, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile. Come è accaduto nel caso in esame ed è documentalmente comprovato.

Generici, contraddittori e in ogni caso insussistenti sono i rilievi della Commissione sugli altri due elaborati.

2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 24 R.D. n. 1953/1926. Violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 7, del d.lgs 24.4.2006, n. 166. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria, contraddittorietà, carenza di motivazione, confusione e perplessità. Violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241.

La Commissione è incorsa in diversi vizi relativi allo svolgimento della seduta nel corso della quale è stata effettuata la valutazione della ricorrente:

a) - violazione dell’art. 11, comma 6, d.lgs. n. 166/2006, per mancata annotazione della votazione complessiva o della motivazione, da farsi risultare nel processo verbale, per ciascun elaborato;

b) - mancata indicazione, in termini di maggioranza o unanimità, dei voti espressi, dai componenti della sottocommissione, in favore della adottata deliberazione di inidoneità;

c) - presenza ai lavori di correzione e sottoscrizione del relativo verbale da parte di commissario estraneo alla sottocommissione deputata alla valutazione dei compiti del candidato stesso;

d) - violazione dell’art. 23 l. n. 1926/1953 per irregolare apposizione, sui compiti, del timbro recante la indicazione riassuntiva della relativa valutazione, in quanto eseguita “in bianco” e riempita solo al termine della lettura dei tre compiti, e comunque in calce all’atto relativo a ciascun elaborato, e non già in calce all’ultimo foglio scritto dal candidato;

e) - non corrispondenza al vero delle attestazioni contenute nel verbale della seduta relativa alla ricorrente, nella parte in cui si dà atto della numerazione dei fogli contenuti in ciascuna busta, laddove sui fogli stessi non risulta in concreto vergata alcuna numerazione progressiva.

3) Violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 del d.lgs 24.4.2006, n. 166. Eccesso di potere in tutte le sue figure sintomatiche, in particolare illogicità, irragionevolezza, difetto di istruttoria, contraddittorietà, carenza di motivazione, confusione e perplessità. Violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241.

La ricorrente contesta le modalità di fissazione dei criteri valutativi e il contenuto dei medesimi. La Commissione ha proceduto individuando dapprima le ipotesi di immediata esclusione (nullità dell’atto, gravi insufficienze);
ha poi proceduto alla fissazione dei più generali criteri di correzione delle prove, stabilendo le condizioni per il giudizio complessivo d’idoneità, ma in tal modo violando la ratio della normativa vigente, la quale fa obbligo alla Commissione di procedere innanzi tutto alla predeterminazione dei criteri di valutazione di idoneità degli elaborati dei candidati, ai sensi dell’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 166 del 2006 e, solo dopo, all’individuazione dei criteri per affermarne invece la nullità o la grave insufficienza, in presenza delle quali soltanto può pronunciare un giudizio di non idoneità. A causa dell’erronea applicazione della normativa vigente la ricorrente è stata dichiarata inidonea sulla base di una sola valutazione, cioè quella finale relativa all’ultimo elaborato, mentre avrebbe dovuto essere giudicata in base all’esame complessivo della sua preparazione, maturità e capacità risultante dall’insieme dei tre elaborati.

Inoltre, i criteri individuati dalla Commissione per la valutazione complessiva dei candidati peccano di genericità e di illogicità e sono in parte sovrapponibili a quelli relativi alle gravi insufficienze;
la omnicomprensività delle ipotesi di grave insufficienza rende non configurabili altri casi di insufficienza non gravi.

La ricorrente chiede pertanto l’annullamento degli atti oggetto di censura.

3. Il Ministero della giustizia si è costituito in giudizio per resistere al ricorso, e ne ha domandato la reiezione nel merito, sul rilievo della piena legittimità delle operazioni di correzione degli elaborati e della sufficienza, logicità e congruità della motivazione del giudizio negativo, insindacabile nel suo contenuto valutativo.

4. Con ordinanza n. 900 del 26 febbraio 2015 è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato presentata dalla ricorrente ed è stato ordinato all’Amministrazione di procedere alla riammissione della dott.ssa R alla procedura concorsuale, affidando ad una Commissione di concorso, in diversa composizione, la rivalutazione della prova tecnico-pratica di parte ricorrente come condizione per la riammissione alla procedura concorsuale.

Con ordinanza n. 1406 del 1° aprile 2015 la sez. IV del Consiglio di Stato ha accolto l’appello del Ministero della giustizia e ha annullato l’ordinanza della Sezione.

5. Con memoria depositata il 2 ottobre 2015 la ricorrente ha ripreso e sviluppato le censure svolte nel ricorso insistendo per l’accoglimento del gravame.

6. I dott.ri L M, M T T e A T non si sono costituiti in giudizio.

7. Alla pubblica udienza del 4 novembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, la dott.ssa M R non è stata ammessa a sostenere le prove orali del concorso notarile per essere stata dichiarata non idonea a conclusione della disamina delle sue prove scritte. In particolare, pur avendo avuto un giudizio complessivamente insufficiente relativamente alle prime due prove scritte (rispettivamente, atto mortis causa e inter vivos di diritto commerciale), ma non tanto gravi da precludere alla Commissione esaminatrice, ai sensi dell’art. 11, comma 7, d.lgs. 24 aprile 2006, n. 166, di passare alla lettura del terzo elaborato (atto inter vivos di diritto civile), su quest’ultimo il giudizio è stato di “gravemente insufficiente”.

2. Con il primo motivo la ricorrente in primo luogo contesta la valutazione di “gravemente insufficiente” che del terzo elaborato è stata operata dalla Commissione, in quanto asseritamente affetta da travisamento dei fatti e da irragionevolezza.

2.1 - Il vaglio giurisdizionale sollecitato con le proposte censure suggerisce di soffermarsi preliminarmente sull’ambito entro il quale lo stesso è consentito, al fine di parametrare specularmente l’ammissibilità delle doglianze sollevate avverso l’esercizio della discrezionalità valutativa, confluito nell’adozione del giudizio gravato.

2.2 Come più volte affermato in giurisprudenza, anche della Sezione (Tar Lazio, sez. I, n. 2467 del 2012 e n. 26342 del 2010), il giudizio della Commissione, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile – unicamente sul piano della legittimità – per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, laddove tali profili risultino emergenti dalla stessa documentazione e siano tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 172 del 2006;
Tar Lazio, sez. I, 6 settembre 2013, n. 4626).

Il giudizio di legittimità non può, infatti, trasmodare in un rifacimento, ad opera dell'adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla Commissione, con conseguente sostituzione alla stessa, potendo l'apprezzamento tecnico dell’organo collegiale essere sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà. Deve, pertanto, ritenersi infondata una censura che miri unicamente a proporre una diversa valutazione dell’elaborato, atteso che in tal modo verrebbe a giustapporsi alla valutazione di legittimità dell'operato della Commissione una – preclusa – cognizione del merito della questione.

La mancanza dei connotati della manifesta illogicità e irragionevolezza e l’assenza del “travisamento dei fatti” invocato dalla ricorrente preclude quindi al Collegio di sindacare il merito della valutazione effettuata dalla Commissione, valutazione che peraltro appare al Collegio, nella sua sinteticità, ben motivata sotto ogni profilo contestato, con riferimento sia ai criteri di valutazione dalla stessa predeterminati sia alla gravità degli errori.

2.3 La ricorrente non può quindi essere seguita laddove indirizza le sue censure avverso i dirimenti rilievi formulati dalla Commissione sull’elaborato in rassegna, e ciò in quanto, pur denunciando un “travisamento” degli elementi forniti dalla candidata, ella viene in realtà a confutare nel merito i rilievi che il predetto Organismo ha sollevato in ordine alla interpretazione della traccia, alle tesi enunciate e alle soluzioni individuate dalla candidata medesima.

Il Collegio non può dunque prendere cognizione delle contestate valutazioni della Commissione, non trattandosi nella fattispecie dell’accertamento di un fatto o del rilievo di una manifesta illogicità valutativa, quanto piuttosto del compimento di un’attività valutativa e comparativa, dell’elaborato della candidata e dei rilievi della Commissione, a tutta evidenza preclusa all’adìto Giudice.

2.4 In definitiva, come affermato dal Consiglio di Stato nel giudizio di appello sulla pronuncia cautelare resa da questa Sezione (sez. IV, ord., 1° aprile 2015, n. 1406), “sulla base della documentazione in atti e nei limiti del sindacato consentivo al giudice amministrativo, il giudizio reso dalla Commissione non appare affetto da profili di illogicità, irragionevolezza, contraddittorietà o travisamento manifesti, con riferimento alle rilevate carenze che hanno fondato la valutazione di inidoneità”.

A tale arresto il Collegio intende adeguarsi, superando la favorevole valutazione del gravame che la Sezione in sede cautelare aveva ritenuto di poter effettuare, seppure in sede di sommaria delibazione – anche in considerazione della circostanza che alla platea dei partecipanti al concorso la traccia della prova inter vivos di diritto civile non era risultata di esemplare chiarezza. Siffatta circostanza può infatti superarsi in ragione della considerazione – effettuata dal Consiglio di Stato pronunciando sull’appello cautelare di altro candidato risultato inidoneo alla terza prova – che “la ambiguità della traccia, la cui formulazione rientra nella discrezionalità della commissione, è suscettibile di essere ovviata mediante indicazioni da parte della commissione stessa” (sez. IV, ord., 1° aprile 2015, n. 1401).

2.4 Devono invece ritenersi inammissibili le censure rivolte a sostenere la non corretta valutazione dell’atto mortis causa e di quello inter vivos di diritto commerciale.

Ed invero, considerato che, ai fini della non ammissione alla prova orale, è sufficiente il giudizio di grave insufficienza reso nei confronti della terza prova scritta, ne consegue che ove pure i primi due scritti, invece di essere giudicati “complessivamente insufficienti”, fossero ritenuti sufficienti, ciò non basterebbe alla dott.ssa R per essere ammessa alla prova orale, ostando il giudizio di “grave insufficienza” reso sul terzo atto (inter vivos di diritto civile).

3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce una serie di irregolarità che avrebbero inficiato la procedura di correzione;
le censure sono nel complesso destituite di giuridico fondamento, per le ragioni di seguito indicate.

3.1 Versandosi in un caso di dichiarazione di inidoneità per gravi insufficienze rilevate nella lettura del terzo compito inter vivos di diritto civile, venivano riportate a verbale le insufficienze rilevate nello stesso compito inter vivos e in quello di diritto commerciale, con relativa motivazione;
mentre non era richiesta alcuna indicazione a verbale in ordine al primo compito di diritto civile mortis causa, se esso non recava insufficienze di sorta, essendo noto che la attribuzione di voto è prevista solo in caso di giudizio complessivo di idoneità (art. 11, commi 2 e 3, d.lgs. n. 166/2006).

3.2 Non è necessario indicare espressamente a verbale se una singola deliberazione sia stata adottata all’unanimità, atteso che a norma dell’art. 11 d.lgs. n. 166/2006 i giudizi di idoneità o di inidoneità sono deliberati a maggioranza.

3.3 La presenza, nel corso dei lavori di correzione, di commissari estranei alla sottocommissione operante, lungi dall’essere irregolare, è espressamente prevista dall’art. 10, comma 7, d.lgs. n. 166/2006 mentre la sottoscrizione del verbale da parte di costoro vale a confermare l’attestazione di presenza contenuta nel verbale.

3.4 L’annotazione, in calce a ciascun elaborato, del relativo voto o giudizio ha una funzione meramente ricognitiva delle deliberazioni attestate nel verbale della seduta, di tal che le relative modalità sono del tutto irrilevanti. Peraltro, nel caso di consegna da parte dei candidati di compiti scritti su pieghi distinti e separati per atto, motivazione e parte teorica, risulta in concreto impossibile individuare l’ultimo foglio scritto dal candidato per ivi apporre, in calce, l’annotazione del voto o del giudizio;
per cui la Commissione ha stabilito di procedere, per tutti i candidati, alla detta annotazione in calce all’atto.

3.5 Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente vi è perfetta corrispondenza tra le attività attestate a verbale e quelle effettivamente eseguite: l’attività - attestata a verbale - di compiuta numerazione dei fogli dei compiti contenuti in ciascuna busta, non si identifica, come dedotto dalla dott.ssa R, con la numerazione progressiva dei fogli stessi, ma consiste invece (come si evince dal verbale n. 305 e dagli elaborati scritti) nel riportare su tutti i fogli dei compiti il numero d’ordine impresso, in anonimato, sulle relative buste grandi, secondo quanto previsto dall’art. 10, comma 8, d.lgs. n. 166/2006.

4. Con riguardo all’ultimo ampio gruppo di censure, giova premettere che, nella fattispecie all’esame dell’adìto Giudice, la predeterminazione dei criteri di valutazione degli elaborati nonché dei criteri di determinazione delle gravi insufficienze costituiva ineludibile attività propedeutica della Commissione esaminatrice, avuto riguardo alla previsione dell’art. 10, comma 2, come richiamata, ai fini che ne occupano, dall’art. 11, comma 7, del d.lgs. 166/2006.

4.1 E, invero, ai sensi della prima disposizione, “La commissione, prima di iniziare la correzione, definisce i criteri che regolano la valutazione degli elaborati e l'ordine di correzione delle prove stesse”;
mentre secondo l’art. 11, comma 7, precitato, “Nel caso in cui dalla lettura del primo o del secondo elaborato emergono nullità o gravi insufficienze, secondo i criteri definiti dalla Commissione, ai sensi dell'articolo 10, comma 2, la sottocommissione dichiara non idoneo il candidato senza procedere alla lettura degli elaborati successivi”.

Risulta dunque di immediata evidenza che alla generale attività di fissazione dei “criteri che regolano la valutazione degli elaborati” (art. 10, comma 2) acceda quella di specifica individuazione delle tipologie di errori che sostanziano le ipotesi di “nullità” o “gravi insufficienze”, legittimanti l’arresto della correzione degli elaborati e la conseguente esclusione del candidato dalla partecipazione alle prove orali;
e ciò, anche considerato che l’art. 11, comma 7, in esame, si limita alla menzione delle suddette ipotesi senza individuarne i contorni né i contenuti.

Ne consegue che per la Commissione esaminatrice costituiva uno specifico obbligo il precisare adeguatamente siffatte categorie mediante l’individuazione delle tipologie di “errori” suscettibili di essere ricondotte nell’ambito della generica declaratoria di legge, come la Sezione, del resto, ha già avuto modo di precisare a questo riguardo (da ultimo, TAR Lazio, Sez. I, nn. 4118, 3560 e 2900 del 2012).

4.2 Alla luce delle superiori considerazioni, destituita di fondamento risulta dunque la censura secondo cui, nella fissazione dei predetti parametri, la Commissione si sarebbe dotata di criteri intenzionalmente preordinati ad una estesa applicazione della fattispecie che la legge stessa configura come eccezione, costituita dall’arresto della correzione degli elaborati conseguente alle rilevate gravi insufficienze o carenze in uno di essi.

L’art. 10, comma 2, d.lgs. n. 166 del 2006 non indica come i criteri devono essere predeterminati. Aggiungasi che nella seduta del 4 dicembre 2013 (verbale n. 8) la Commissione ha individuato prima le ipotesi di esclusione per inidoneità - id est la “nullità dell’atto, anche solo parziale, per ragioni di natura formale o sostanziale”, e “gravi insufficienze consistenti ….” - e poi ha indicato le “condizioni per il giudizio complessivo di idoneità”, debitamente elencandole. Quindi, essendo le condizioni per il giudizio di idoneità individuate nel dettaglio, e non in via residuale, non rileva averle indicate dopo quelle di inidoneità.

4.3 Venendo ai contenuti dell’attività di predeterminazione dei criteri, osserva il Collegio che Commissione, nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica, ha correttamente predeterminato i criteri di valutazione, per categorie generali ben definite e con riferimento ad ogni possibile giudizio (inidoneità immediata per gravi insufficienze, idoneità/inidoneità per insufficienze meno gravi), secondo formulazioni inequivoche, che immediatamente rinviano ad istituti del diritto positivo ed alla relativa scienza giuridica, nonché ad altri precisi parametri propri di ambiti di conoscenze logiche, tecniche e linguistiche generalmente condivise e ritenute indispensabili per l’esercizio della professione notarile.

4.4 Ne discende la non ravvisabilità, nei predetti criteri “generali”, sia della genericità sia della sovrapponibilità rispetto ai criteri relativi alle “gravi insufficienze” degli elaborati, oggetto di censura da parte dell’odierna deducente.

Quanto a quest’ultima censura, in particolare si osserva che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, i criteri relativi al giudizio di inidoneità per grave insufficienza sono stati individuati con riferimento a profili di valutazione distinti rispetto a quelli stabiliti in via generale per i giudizi complessivi di idoneità o inidoneità, di tal che le due tipologie di criteri presentano ciascuna propri ambiti applicativi, senza che sia possibile una loro indifferenziata e confusiva applicazione rispetto al medesimo oggetto.

4.5 In ogni caso, giova al riguardo rammentare che la giurisprudenza, anche di questo Tribunale, ha più volte affermato che “L’attività di determinazione dei criteri di valutazione rientra nell'ampia discrezionalità della Commissione esaminatrice ed è pertanto sottratta al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, impingendo nel merito dell'azione amministrativa, salvo che non sia "ictu oculi” inficiata da irragionevolezza, irrazionalità, arbitrarietà o travisamento dei fatti” (Cons. Stato, sez. IV, n. 5862 del 2008;
8 giugno 2007, n. 3012;
11 aprile 2007, n. 1643;
nonché TAR Lazio, sez. I, nn. 3560 e 2900 del 2012 e n. 35387 del 2010 ).

Tale condizione non ricorre nella fattispecie in esame ove la Commissione ha utilizzato criteri di valutazione chiari e pertinenti, garantendo anzi il principio di trasparenza dell'attività amministrativa, che rappresenta il fine perseguito dal legislatore nel determinare la necessità di fissazione e verbalizzazione dei criteri “in un momento nel quale non possa sorgere il sospetto che questi ultimi siano volti a favorire o sfavorire alcuni concorrenti” (cfr. Consiglio Stato , sez. V, n. 1398 del 2011).

5. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Quanto alle spese di giudizio, in considerazione della particolarità della vicenda contenziosa, può disporsene l'integrale compensazione fra le parti costituite.

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