TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-07-10, n. 202413964
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Testo completo
Pubblicato il 10/07/2024
N. 13964/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01908/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1908 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato G B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del diniego dell’istanza di cittadinanza -OMISSIS-;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2024 il dott. Gianluca Verico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con l’atto introduttivo del giudizio la ricorrente impugna il decreto n. -OMISSIS- emesso in data 20.09.2020 con cui il Ministero dell’Interno ha respinto la sua istanza, presentata in data 25.02.2016, volta alla concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della Legge n. 91/1992.
L’Amministrazione, in particolare, a seguito della regolare comunicazione del preavviso di diniego di cui all’art. 10- bis della legge n. 241/90, ha negato la cittadinanza per la ritenuta carenza del requisito reddituale.
Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’interessata, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi:
- violazione dell’art. 8, comma 2, legge n. 91/1992 stante la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, con conseguente consumazione del potere di provvedere;
- eccesso di potere tenuto conto della sussistenza del requisito reddituale, in quanto la ricorrente, che non ha né coniuge né figli a carico, ha dedotto di percepire una retribuzione annua di €12.350,00 oltre ad €1.600,00 di contributi INPS per l’attività lavorativa di collaboratrice domestica.
Si è costituito il Ministero dell’Interno per resistere al ricorso, depositando anche la documentazione inerente al procedimento nonché la relazione ministeriale, nella quale si evidenzia che, dalla documentazione acquisita tramite “Punto Fisco”, si evince che l’interessata non abbia presentato alcuna dichiarazione dei redditi in relazione a “ tutte le annualità prese in considerazione (periodo d’imposta 2013-2019) ”.
Alla pubblica udienza del 12 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
2.- Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Destituito di fondamento è, innanzitutto, il primo motivo di censura, riguardante l’asserita illegittimità del diniego in quanto adottato dopo la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, con conseguente consumazione del potere di provvedere.
Invero, sotto un primo profilo si rende necessario evidenziare l’inapplicabilità, alla fattispecie in esame, del generale istituto del silenzio assenso previsto dall’art. 20 della Legge n. 241/1990, alla stregua di quanto espressamente previsto dal comma 4 secondo cui “ le disposizioni del presente articolo [sul silenzio assenso] non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti (…) la cittadinanza ”.
Sotto altro profilo, inoltre, occorre precisare che l’art. 8, comma 2, della legge n. 91/1992 (pure evocato dalla ricorrente e nel frattempo abrogato dal decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132) disponeva che “ l’emanazione del decreto di rigetto dell’istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell’istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni ”.
Ebbene, tale disposizione si appalesa, in ogni caso, inconferente, in quanto il primo comma si riferisce espressamente alle istanze di cui al precedente art. 7, ovvero alle istanze di acquisto della cittadinanza “di diritto” per matrimonio ai sensi dell’art. 5 della medesima legge, e non anche alle domande di concessione per naturalizzazione di cui all’art. 9, come quella presentata dall’odierna ricorrente.
Dalle considerazioni che precedono consegue che l’Amministrazione, allorché venga presentata un’istanza di concessione della cittadinanza per naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, come nel caso in esame, conserva senza dubbio il potere di provvedere anche dopo la scadenza del termine, trattandosi di termine pacificamente ordinatorio e non perentorio, il cui inutile decorso, come ripetutamente chiarito anche da questa Sezione, può semmai legittimare il richiedente a proporre il ricorso avverso il silenzio illegittimamente serbato dall’Amministrazione ex artt. 31 e 117 c.p.a. (TAR Lazio, sez. V bis, nn. 3620/2022, 5130/2022, 6604/2022, 6254/2022, 16216/2022) nonché, eventualmente, un’azione di risarcimento per il danno da ritardo, sebbene in presenza di tutti gli altri necessari presupposti.
D’altronde, la costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 06/06/2017, n.2718) ha precisato che un termine procedimentale non può rivestire carattere perentorio - tale, cioè, da determinare la consumazione del potere di provvedere in capo all'Amministrazione in caso di suo superamento - se non in presenza di una puntuale ed espressa previsione normativa ovvero di una evidente, manifesta ed univoca ratio legis in tal senso: detti presupposti non sono evidentemente ravvisabili nel caso in esame.
Sulla scorta dei suddetti rilievi, acclarata la conservazione del potere di provvedere in capo all’Amministrazione anche dopo la scadenza del termine ordinatorio previsto dalla legge, la doglianza in esame va disattesa.
3.- Ciò posto, quanto al merito della controversia si rende necessario rammentare preliminarmente che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale ripetutamente condiviso anche da questa Sezione (cfr., da ultimo, TAR Lazio, Roma sez. V bis, nn. 14163/2023 e 14172/2023), nel giudizio ampiamente discrezionale che l’amministrazione svolge ai fini della concessione della cittadinanza italiana rientra anche l’accertamento della sufficienza del reddito, in quanto la condizione del possesso di adeguati mezzi di sostentamento dell’istante non è solo funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766; id., 16 febbraio 2011, n. 974) – ratio che è alla base delle norme che prescrivono il possesso di tale requisito per l’ingresso in Italia, per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno – ma è anche funzionale ad assicurare che lo straniero possa conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, cui verrebbe ad essere assoggettato; in particolare, tra gli altri, al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., ex multis , Tar Lazio, I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690; id., 19 febbraio 2018, n. 1902; Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).
La valutazione del requisito reddituale va effettuata