TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-07-10, n. 202413964
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Pubblicato il 10/07/2024
N. 13964/2024 REG.PROV.COLL.
N. 01908/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Quinta Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1908 del 2021, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall'avvocato G B, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del diniego dell’istanza di cittadinanza -OMISSIS-;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 giugno 2024 il dott. Gianluca Verico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con l’atto introduttivo del giudizio la ricorrente impugna il decreto n. -OMISSIS- emesso in data 20.09.2020 con cui il Ministero dell’Interno ha respinto la sua istanza, presentata in data 25.02.2016, volta alla concessione della cittadinanza italiana per naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della Legge n. 91/1992.
L’Amministrazione, in particolare, a seguito della regolare comunicazione del preavviso di diniego di cui all’art. 10- bis della legge n. 241/90, ha negato la cittadinanza per la ritenuta carenza del requisito reddituale.
Avverso il predetto decreto di rigetto ha quindi proposto ricorso l’interessata, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi:
- violazione dell’art. 8, comma 2, legge n. 91/1992 stante la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, con conseguente consumazione del potere di provvedere;
- eccesso di potere tenuto conto della sussistenza del requisito reddituale, in quanto la ricorrente, che non ha né coniuge né figli a carico, ha dedotto di percepire una retribuzione annua di €12.350,00 oltre ad €1.600,00 di contributi INPS per l’attività lavorativa di collaboratrice domestica.
Si è costituito il Ministero dell’Interno per resistere al ricorso, depositando anche la documentazione inerente al procedimento nonché la relazione ministeriale, nella quale si evidenzia che, dalla documentazione acquisita tramite “Punto Fisco”, si evince che l’interessata non abbia presentato alcuna dichiarazione dei redditi in relazione a “ tutte le annualità prese in considerazione (periodo d’imposta 2013-2019) ”.
Alla pubblica udienza del 12 giugno 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
2.- Il ricorso è infondato e va, pertanto, respinto.
Destituito di fondamento è, innanzitutto, il primo motivo di censura, riguardante l’asserita illegittimità del diniego in quanto adottato dopo la scadenza del termine previsto per la conclusione del procedimento, con conseguente consumazione del potere di provvedere.
Invero, sotto un primo profilo si rende necessario evidenziare l’inapplicabilità, alla fattispecie in esame, del generale istituto del silenzio assenso previsto dall’art. 20 della Legge n. 241/1990, alla stregua di quanto espressamente previsto dal comma 4 secondo cui “ le disposizioni del presente articolo [sul silenzio assenso] non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti (…) la cittadinanza ”.
Sotto altro profilo, inoltre, occorre precisare che l’art. 8, comma 2, della legge n. 91/1992 (pure evocato dalla ricorrente e nel frattempo abrogato dal decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132) disponeva che “ l’emanazione del decreto di rigetto dell’istanza è preclusa quando dalla data di presentazione dell’istanza stessa, corredata dalla prescritta documentazione, sia decorso il termine di due anni ”.
Ebbene, tale disposizione si appalesa, in ogni caso, inconferente, in quanto il primo comma si riferisce espressamente alle istanze di cui al precedente art. 7, ovvero alle istanze di acquisto della cittadinanza “di diritto” per matrimonio ai sensi dell’art. 5 della medesima legge, e non anche alle domande di concessione per naturalizzazione di cui all’art. 9, come quella presentata dall’odierna ricorrente.
Dalle considerazioni che precedono consegue che l’Amministrazione, allorché venga presentata un’istanza di concessione della cittadinanza per naturalizzazione ai sensi dell’art. 9, come nel caso in esame, conserva senza dubbio il potere di provvedere anche dopo la scadenza del termine, trattandosi di termine pacificamente ordinatorio e non perentorio, il cui inutile decorso, come ripetutamente chiarito anche da questa Sezione, può semmai legittimare il richiedente a proporre il ricorso avverso il silenzio illegittimamente serbato dall’Amministrazione ex artt. 31 e 117 c.p.a. (TAR Lazio, sez. V bis, nn. 3620/2022, 5130/2022, 6604/2022, 6254/2022, 16216/2022) nonché, eventualmente, un’azione di risarcimento per il danno da ritardo, sebbene in presenza di tutti gli altri necessari presupposti.
D’altronde, la costante giurisprudenza (cfr., ex multis, Consiglio di Stato sez. IV, 06/06/2017, n.2718) ha precisato che un termine procedimentale non può rivestire carattere perentorio - tale, cioè, da determinare la consumazione del potere di provvedere in capo all'Amministrazione in caso di suo superamento - se non in presenza di una puntuale ed espressa previsione normativa ovvero di una evidente, manifesta ed univoca ratio legis in tal senso: detti presupposti non sono evidentemente ravvisabili nel caso in esame.
Sulla scorta dei suddetti rilievi, acclarata la conservazione del potere di provvedere in capo all’Amministrazione anche dopo la scadenza del termine ordinatorio previsto dalla legge, la doglianza in esame va disattesa.
3.- Ciò posto, quanto al merito della controversia si rende necessario rammentare preliminarmente che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale ripetutamente condiviso anche da questa Sezione (cfr., da ultimo, TAR Lazio, Roma sez. V bis, nn. 14163/2023 e 14172/2023), nel giudizio ampiamente discrezionale che l’amministrazione svolge ai fini della concessione della cittadinanza italiana rientra anche l’accertamento della sufficienza del reddito, in quanto la condizione del possesso di adeguati mezzi di sostentamento dell’istante non è solo funzionale a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, considerata la naturale propensione a deviare del soggetto sfornito di adeguata capacità reddituale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 766;id., 16 febbraio 2011, n. 974) – ratio che è alla base delle norme che prescrivono il possesso di tale requisito per l’ingresso in Italia, per il rinnovo del permesso di soggiorno e per il rilascio della carta di soggiorno – ma è anche funzionale ad assicurare che lo straniero possa conseguire l’utile inserimento nella collettività nazionale, con tutti i diritti e i doveri che competono ai suoi membri, cui verrebbe ad essere assoggettato;in particolare, tra gli altri, al dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica, funzionale all’erogazione dei servizi pubblici essenziali (cfr., ex multis , Tar Lazio, I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;id., 19 febbraio 2018, n. 1902;Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).
La valutazione del requisito reddituale va effettuata tenendo conto non solo di quello già maturato al momento della presentazione della domanda (cfr., TAR Lazio, sez. I ter, 14 gennaio 2021, n. 507;id., 31 dicembre 2021, n. 13690, nonché, da ultimo, sez. V bis, n. 1590/2022 e. 1724/2022) – che deve essere corredata della dichiarazione dei redditi dell’ultimo triennio, come prescritto dal DM 22.11.1994 adottato in base all’art. 1 co. 4 del DPR 18 aprile 1994, n. 362 – ma anche di quello successivo, in quanto lo straniero deve dimostrare di possedere una certa stabilità e continuità nel possesso del requisito, che va mantenuto fino al momento del giuramento, come previsto dall’art. 4, co. 7, DPR 12.10. 1993, n. 572 (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1724/2022;sez. I ter, n. 507/2021, n. 13690/2021, n. 10750/2020, n. 2234/2009;cfr. sez. II quater n. 1833/2015;n. 8226/2008).
Per quanto riguarda, invece, la soglia minima del reddito, non stabilita direttamente dalla normativa soprarichiamata, l’Amministrazione ha ritenuto di fissare ex ante dei parametri minimi indefettibili di reddito, facendo a monte una valutazione circa la congruità degli stessi a garantire l’autosufficienza economica del richiedente.
Segnatamente, l’Amministrazione – come esplicitato nella circolare del Ministero dell’Interno prot. n. K.60.1 del 5 febbraio 2007 a sua volta ricognitiva del consolidato orientamento giurisprudenziale in subiecta materia - ha assunto a parametro di riferimento l’ammontare prescritto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria dall’art. 3, d.l. 25 novembre1989, n. 382, convertito in l. 25 gennaio 1990, n. 8, confermato dall’art. 2, comma 15, l. 28 dicembre 1995, n. 549, fissato in € 8.263,31 annui, incrementato ad € 11.362,05 in presenza di coniuge a carico e di ulteriori € 516,00 per ciascun figlio a carico, in quanto indicatore di un livello di adeguatezza reddituale ritenuto idoneo a garantire la possibilità per il soggetto di mantenere in modo stabile e continuativo se medesimo e la propria famiglia.
Il parametro cui si conforma la p.a. individua una soglia che è ritenuta congrua dalla giurisprudenza in materia, in quanto “ indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale ” (cfr. ex multis : Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3958;T.A.R. Lazio - Roma, sez. II, 2.2.2015, n. 1833).
D’altronde, tale soglia reddituale non è stata creata arbitrariamente dalla giurisprudenza, in quanto assume, quale parametro di riferimento, il livello reddituale minimo previsto, cautelativamente, dall'art 26, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, per il rilascio del permesso di soggiorno per lavoro autonomo, che richiede, appunto, il possesso “ di un reddito annuo, proveniente da fonti lecite, di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria ” (cfr. livello individuato quale soglia dall’art. 24 legge 40/1998).
Il parametro su riferito costituisce, dunque, un requisito minimo indefettibile, ragion per cui, l’insufficienza del reddito dichiarato può costituire causa ex se di diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro, e titolare di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro ovvero della carta di soggiorno;anche in questi casi, infatti, si tratta di titoli che possono essere rilasciati e rinnovati solo previa dimostrazione del possesso dei requisiti reddituali espressamente prescritti art. 9 e 29 d.lgs n. 286/1996 (sicché il requisito reddituale risulta implicitamente incluso nel requisito della “residenza legale”) .
Pertanto, salvo qualche sporadico caso isolato (che peraltro si giustifica con riferimento alle particolarità del caso di specie, vedi, Cons. St., sez. II, n. 1175/2009), il possesso del requisito reddituale è ritenuto una condizione indefettibile per la concessione della cittadinanza in quanto funzionale non solo ad evitare che l’ammissione del nuovo membro non finisca per gravare (in negativo) sul pubblico erario per carenza di adeguate fonti di sussistenza, ma anche e soprattutto per assicurare che sia in grado di assumersi i doveri che derivano dall’appartenenza alla Comunità Nazionale, in primis quello di concorrere (in positivo) allo sviluppo economico-sociale e di onorare il vincolo di solidarietà mediante la partecipazione al gettito fiscale (vedi, Cons. Stato, sez. IV, n. 2254/1996, 3145/1998, 1474/1999;6063/2002), che possa “apportare un contributo ulteriore ed autonomo alla Comunità di cui entra a far parte” (TAR Lazio, sez. I, n. 2377/2006;TAR Lazio, sez. II quater n. 832/2009;Cons. St., sez. VI, n. 8421/2009;Cons. St., sez. VI, 3213 e 3907 del 2008;TAR Lazio, sez. II quater, n. 4189/2012;vedi, tuttavia, per la possibilità di deroga a tali principi nel caso in cui il richiedente sia un portatore di handicap, TAR Lazio, sez. I ter, n. 7846/2020, con richiamo ai principi di eguaglianza e non discriminazione di cui agli artt. 2 e 3 della Costituzione, alla legge 104/1992 ed alla sentenza della Corte Costituzionale n. 258/2017). Si tratta pertanto di un punto di arrivo ormai pacifico (vedi, da ultimo, tra tante, Cons. St., sez. III, nn. 3143, 4754 e 4767 del 2023) che la Sezione ha da subito recepito (TAR Lazio, sez. V bis, n.1590/2022, 1698/2022, 1724/2022, 2945/2022, nonché, di recente, n. 11028/2022, 11187/2022, 8273/2023, 9570/2023, 9582/2023, 11964/2023, 12386/2023), evidenziandone la validità anche dal punto di vista storico-comparatistico, dato che “il requisito dell’autonomia reddituale costituisce una condizione prescritta dalla legislazione in materia dei diversi Stati membri dell’Unione Europa, configurandosi come principio comune ai diversi ordinamenti giuridici” (TAR Lazio, sez. V bis, n. 11028/2022;16321/2022, 1993/2023, 4268/2023, 10747/2023).
A tale riguardo va peraltro osservato che, anche a livello sovranazionale, il possesso del requisito in contestazione è prescritto dalla normativa comunitaria sulla cittadinanza dell’Unione per l’esercizio del diritto di soggiorno nei territori degli Stati Membri, che, al fine di evitare il fenomeno del cd. “turismo sociale”, è sottoposto alla condizione “ di disporre, per se stesso e per i propri familiari, di risorse economiche sufficienti, affinché non divenga un onere a carico dell’assistenza sociale dello Stato Membro ospitante durante il periodo di soggiorno, e di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato Membro ospitante ” (art. 7 direttiva 2004/38/CE), per la ragione che “ i beneficiari non devono costituire un onere eccessivo per le finanze pubbliche dello Stato ospitante ” (considerando n. 10 della citata Direttiva). L’autosufficienza reddituale rileva, pertanto, quale elemento tangibile dell’effettiva appartenenza alla comunità nazionale richiesta in capo al richiedente la cittadinanza, il quale, proprio in vista di detta verifica, deve dimostrare di poter contare su strumenti personali per far fronte ai bisogni propri e del proprio nucleo familiare (TAR Lazio, Roma, sez. V bis, n. 14172/2023 cit.).
In definitiva, l'interesse pubblico alla concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante;prospettive a cui non può essere estranea la produzione di un reddito, che accresca le risorse del Paese stesso sotto il profilo sia produttivo che contributivo onde evitare di gravare, al contrario, sugli oneri di solidarietà sociale previsti per i soggetti indigenti.
La legittimità della suddetta valutazione è stata affermata anche dalla giurisprudenza costante in materia, condivisa anche da questo Tribunale (TAR Lazio, sez. V bis, n. 1590/22, 1698/22, 1724/22, 2945/22, 3692/22, 4619/22;cfr.: Tar Lazio, sez. I ter, 31 dicembre 2021, n. 13690;6 settembre 2019, n. 10791;Tar Lazio, sez. II quater, 2 febbraio 2015, n. 1833;13 maggio 2014, n. 4959;3 marzo 2014, n. 2450;18 febbraio 2014, n. 1956, 10 dicembre 2013, n. 10647;Cons. Stato sez. I, parere n. 240/2021;parere n. 2152/2020;Cons. Stato, sez. III, 18 marzo 2019, n. 1726).
Ciò posto, valga altresì precisare che, nella valutazione sulla sussistenza del requisito della capacità reddituale, l’Amministrazione deve tenere conto non soltanto del reddito dell’istante ma deve anche verificare l’eventuale, effettivo, contributo offerto dagli altri membri del nucleo familiare (in tal senso, ex plurimis , Tar Lazio, sez. V bis, n. 1698/2022;Cons. St., sez. III, n. 4372/2019).
L’orientamento da tempo espresso dalla giurisprudenza al riguardo è stato recepito dallo stesso Ministero dell’Interno, che, nella circolare prot. n. K.60.1 del 5 febbraio 2007, diramata agli Uffici competenti, ha ribadito che è necessario, « nel rispetto del concetto di solidarietà familiare cui sono tenuti i membri della famiglia, valutare la consistenza economica dell’intero nucleo al quale l’aspirante cittadino appartiene quando, dalla documentazione prodotta e/o dalla istruttoria esperita, si può evincere che esistono altre risorse che concorrono a formare il reddito ».
La stessa circolare ha altresì precisato che, essendo autocertificabili solo i redditi propri, per i redditi degli altri componenti il nucleo familiare andrà necessariamente prodotta la documentazione (mod. CUD, mod. 730 e mod. Unico) atta a dimostrare la disponibilità dei mezzi di sostentamento adeguati.
3.1- Tanto chiarito anche in ordine al quadro giurisprudenziale di riferimento, nel caso in esame l’Amministrazione ha motivato il diniego rilevando che, alla luce della documentazione acquisita, “ non vi è prova che l’interessata e il proprio nucleo familiare abbiano percepito redditi uguali o superiori a quelli fissati nei detti parametri assunti dall’amministrazione ”.
Ebbene, dalle coordinate sopra esposte deriva che era onere dell’odierna ricorrente dimostrare il conseguimento di un reddito non inferiore ad € 8.263,31 annui, tenuto conto dell’assenza di coniuge e di figli a carico.
Quanto al riparto dell’onere probatorio, è appena il caso di rammentare che, ai sensi dell'art. 64 c.p.a., il processo amministrativo è governato, in linea generale, dal principio dell'onere della prova, in base al quale ciascuna parte è tenuta a fornire gli elementi probatori, riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni, che siano nella rispettiva disponibilità. Infatti, sebbene tale principio sia temperato dal metodo acquisitivo nell'azione di annullamento, nondimeno il potere del giudice di acquisire d’ufficio documenti utili alla decisione - al fine di compensare lo squilibrio normalmente esistente tra parte pubblica e privata nella disponibilità del materiale documentale – è limitato alle ipotesi in cui la parte privata non abbia la possibilità di produrre la documentazione necessaria a dimostrazione dei propri assunti difensivi (cfr., ex multis , Consiglio di Stato sez. V, 27/12/2017, n.6082).
Ne consegue che, nella fattispecie in esame, non vi è dubbio che, a fronte di un provvedimento di diniego motivato sulla base della carenza del requisito reddituale, gravi sulla parte che assuma di essere in possesso del requisito fornire la prova della sussistenza di un reddito sufficiente e regolarmente dichiarato ai fini fiscali, tenuto conto che la correlativa documentazione a supporto è agevolmente nella disponibilità di ogni contribuente.
3.2- Ora, la ricorrente sostiene di svolgere attività lavorativa di collaboratrice domestica alle dipendenze di una famiglia sin dal 1994 e di percepire un reddito superiore ai parametri minimi richiesti, in particolare una retribuzione annua di €12.350,00 oltre ad €1.600,00 di contributi INPS.
Ebbene, sotto un primo profilo deve ritenersi che la parte ricorrente, alla luce della documentazione versata in atti, non abbia assolto all’onere probatorio su di essa incombente, non avendo documentato alcunché in relazione a tutte le annualità rientranti nel “periodo di osservazione”, vale a dire il triennio anteriore alla presentazione della domanda e il periodo successivo fino all’adozione del diniego.
Inoltre, anche quanto al connesso – e necessario – profilo del regolare adempimento degli obblighi fiscali, l’Amministrazione evidenzia, nella relazione ministeriale, che dalla documentazione acquisita tramite “Punto Fisco” si evince che l’interessata non abbia presentato alcuna dichiarazione dei redditi in relazione a “ tutte le annualità prese in considerazione (periodo d’imposta 2013-2019) ” (cfr., sulla valenza probatoria del sistema “punto fisco”, la recente sentenza di questa Sezione n. 1526/24 e la giurisprudenza ivi richiamata).
Al riguardo, occorre evidenziare che, nella parte inziale del corredo motivazionale del diniego impugnato, si legge che per requisito reddituale debba intendersi la dimostrazione della “ disponibilità di adeguati mezzi economici di sostentamento nonché ” – ed è questa la precisazione dirimente – “ il regolare adempimento degli obblighi fiscali e la possibilità di adempiere ai doveri di solidarietà economica e sociale ”.
Ne consegue, pertanto, che la rilevata carenza del requisito reddituale deve ritenersi comprensiva anche del connesso aspetto dell’inadempimento agli obblighi di dichiarazione dei redditi all’Amministrazione fiscale competente.
A sostegno di tale conclusione va richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale, condiviso anche da questa Sezione (TAR Lazio, Roma, sez. V- bis , 03/08/2022, n. 10972), secondo cui al fine di dimostrare il raggiungimento della soglia reddituale è necessario anche comprovare documentalmente di aver adempiuto agli obblighi fiscali verso lo Stato Italiano, non essendo sufficiente una mera dichiarazione del datore di lavoro, tenuto conto che il definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale appare possibile soltanto " quando l'interessato, anziché limitarsi a dichiarare il reddito all'autorità, non si sottrae ai pesi ed oneri connessi a tale dichiarazione ("id est": gli adempimenti fiscali e contributivi), secondo il principio ubi commoda, ibi incommoda” (T.A.R. Sicilia sez. IV - Catania, 27/12/2016, n. 3368).
Ebbene, nel caso in esame la ricorrente non risulta aver prodotto alcuna dichiarazione fiscale in relazione a tutte le annualità rientranti nel “periodo di osservazione”.
In questo contesto giova rammentare che il datore di lavoro del collaboratore domestico non è sostituto d’imposta, in quanto trattiene in busta paga solo gli oneri previdenziali obbligatori e la quota dei contributi di assistenza della cassa colf a carico del lavoratore. Ne consegue, pertanto, che la dichiarazione dei redditi è un obbligo fiscale per tutti i lavoratori assunti in qualità di assistenti domiciliari (colf, badanti, o collaboratori domestici), come nel caso dell’odierna ricorrente, essendo per contro esonerati dalla presentazione i soli lavoratori domestici che percepiscano un reddito inferiore ad euro 8.174,00. La fattispecie concreta, tuttavia, non rientra in tale ultima ipotesi, considerato che la ricorrente ha dedotto di percepire una retribuzione annua di €12.350,00 oltre ad €1.600,00 di contributi INPS, sicché deve ritenersi adeguatamente accertato il mancato assolvimento degli obblighi fiscali, come correttamente rilevato dall’Amministrazione resistente.
In definitiva, alla luce di quanto sinora esposto, il diniego cui è pervenuta l’Amministrazione sulla base della ritenuta insufficienza del requisito reddituale appare immune dai vizi denunciati.
Da ultimo, si rende opportuno rammentare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro (già dopo un anno dal primo rifiuto) e di conseguire lo status anelato ove concorrano tutte le condizioni richieste, per cui le conseguenze discendenti dal provvedimento negativo sono solo temporanee e non comportano alcuna “interferenza nella vita privata e familiare del ricorrente” (art. 8 CEDU, art. 7 Patto internazionale diritti civili e politici), dato che l’interessato può continuare a rimanere in Italia ed a condurvi la propria esistenza alle medesime condizioni di prima.
Sulla scorta dei suddetti rilievi, considerato che il provvedimento appare adeguatamente motivato e scevro dalle dedotte censure, il ricorso proposto deve essere respinto.
4.- Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.