TAR Bari, sez. I, sentenza 2015-02-24, n. 201500351

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. I, sentenza 2015-02-24, n. 201500351
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 201500351
Data del deposito : 24 febbraio 2015
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 01749/2012 REG.RIC.

N. 00351/2015 REG.PROV.COLL.

N. 01749/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1749 del 2012, proposto da Autotrend s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv.ti F M e G S, con domicilio eletto presso l’avv. Fabrizio Lofoco in Bari, via Pasquale Fiore, 14;

contro

Comune di Bari, rappresentato e difeso dall’avv. A B, con domicilio eletto presso l’Avvocatura comunale in Bari, via Principe Amedeo, 26;

per l’annullamento

- della delibera di Consiglio Comunale n. 43 del 31.7.2012, con la quale il Comune di Bari ha apportato alcune modifiche al Testo Unico delle Agevolazioni Tributarie in vigore dall’1.1.2008, approvato con delibera di Consiglio Comunale n. 43 del 12.5.2008;

- del parere di regolarità tecnica espresso dal Direttore p.t. della Ripartizione Tributi del Comune di Bari, richiamato nella delibera predetta;

- della scheda di consulenza del Segretario Generale del Comune di Bari, dei pareri espressi delle Circoscrizioni Comunali, nonché di quello espresso dalla Commissione Consiliare competente, richiamati nella delibera predetta;

- della nota prot. n. 115846 del 18.5.2012 richiamata nella delibera di Consiglio Comunale del 31.7.2012;

- ove occorra e nei limiti di interesse della ricorrente, della delibera di Consiglio Comunale n. 43 del 12.5.2008, recante il Testo Unico delle Agevolazioni Tributarie del Comune di Bari in vigore dall’1.1.2008, così come modificato a seguito dell’adozione della delibera di Consiglio Comunale n. 43 del 31.7.2012;

- ove occorra e nei limiti di interesse della ricorrente, della delibera di Consiglio Comunale n. 143 del 22.5.1998, richiamata nella delibera predetta;

- di ogni altro atto precedente, conseguente e/o comunque connesso a quello impugnato, ancorché non conosciuto;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Bari;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. Francesco Cocomile e uditi nell’udienza pubblica del giorno 14 gennaio 2015 per le parti i difensori avv.ti G. Sgobba, su delega dell’avv. F. Massa, e A. Baldi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con l’atto introduttivo del giudizio la ricorrente Autotrend s.r.l. (società operante nel settore della commercializzazione di autoveicoli) censurava la delibera di Consiglio Comunale n. 43 del 31.7.2012 (concernente alcune modifiche al Testo Unico delle Agevolazioni Tributarie) e, nei limiti del proprio interesse, la delibera di Consiglio Comunale n. 143 del 22.5.1998 recante “Assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi (rifiuti non domestici) ai rifiuti urbani (rifiuti domestici) a seguito dell’abrogazione dei commi 1 e 2 dell’art. 39 della legge comunitaria n. 146/1994”.

Rilevava che il Comune di Bari le aveva irrogato una sanzione pecuniaria di €. 179.733,00 a seguito di avviso di accertamento in rettifica della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU);
che detta sanzione era stata annullata, su suo ricorso, con sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari n. 170/17/12 dell’11.10.2012;
che la citata sentenza è fondata sul presupposto della inesistenza di un regolamento di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani vigente nel Comune di Bari;
che non possono considerarsi regolamenti né la deliberazione consiliare n. 43/2012, né la deliberazione n. 143/1998.

Evidenziava, altresì, che l’assimilazione illegittimamente pretesa dal Comune di Bari con i gravati atti comporta un grave pregiudizio per chi, come la stessa società, opera nel settore della commercializzazione degli autoveicoli e smaltisce autonomamente i rifiuti speciali prodotti.

Si doleva per due ordini di ragioni così riassumibili:

1) illegittimità della delibera di Consiglio comunale del 31.7.2012 per violazione e falsa applicazione del dlgs n. 507/1993 e s.m.i.;
violazione e falsa applicazione della legge n. 296/2006;
violazione e falsa applicazione del dlgs n. 472/1997 e del dlgs n. 473/1997 e s.m.i.;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, sviamento e difetto di motivazione: il Comune di Bari non sarebbe dotato di regolamento di assimilazione dei rifiuti urbani a quelli speciali;
conseguentemente, non sarebbe possibile per un Comune privo di regolamento di assimilazione richiedere il pagamento della TARSU per i rifiuti speciali assimilandoli a quelli urbani;
inoltre, non sarebbe più possibile per i Comuni richiedere il pagamento della TARSU, non esistendo più alcuna disposizione di fonte primaria che legittimi l’applicazione del tributo, con consequenziale illegittimità dei regolamenti comunali applicativi della stessa TARSU (quale la censurata deliberazione n. 43/2012);

2) sotto diverso profilo, illegittimità della delibera di Consiglio comunale del 31.7.2012 per violazione e falsa applicazione del dlgs n. 507/1993 e s.m.i.;
violazione e falsa applicazione della legge n. 296/2006;
violazione e falsa applicazione del dlgs n. 472/1997 e del dlgs n. 473/1997 e s.m.i.;
eccesso di potere per difetto di istruttoria, sviamento e difetto di motivazione;
violazione dell’art. 62 dlgs n. 507/1993;
violazione degli artt. 7 e 21 dlgs n. 22/1997;
violazione e falsa applicazione dell’art. 198, comma 2, lett. g) dlgs n. 152/2006: le deliberazioni impugnate sarebbero carenti sul piano motivazionale e conterrebbero una illegittima assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti che si formano nelle aree produttive, in contrasto con l’espresso divieto di assimilazione di cui all’art. 195, comma 2, lett. e) dlgs n. 152/2006 e con la previsione (contenuta nella stessa disposizione) che esclude l’applicazione della tariffazione ordinaria con riferimento ad imballaggi secondari e terziari (quali quelli prodotti dalla società ricorrente), per i quali risulti documentato il non conferimento al servizio di gestione dei rifiuti urbani e l’avvio a recupero e riciclo diretto tramite soggetti autorizzati.

In sintesi, le due censure formulate dalla ricorrente sono finalizzate a stigmatizzare la pretesa del Comune di Bari, operata attraverso la contestata deliberazione n. 43 del 31.7.2012 ed il consequenziale avviso di accertamento adottato nei confronti della società (ed impugnato dinanzi alla CTP), di un tributo (TARSU) sulla base di un regolamento di assimilazione asseritamente non più in vigore.

L’impugnata delibera n. 43/2012, nell’introdurre una riduzione sulla tariffa per i soggetti che producono rifiuti speciali assimilati sia pure con varie graduazioni, avrebbe - secondo la prospettazione di Autotrend - inasprito il trattamento tributario nei suoi confronti, in quanto la stessa società, che peraltro smaltisce autonomamente i propri rifiuti non avvalendosi del servizio di raccolta e smaltimento dell’AMIU, si troverebbe a pagare tariffe per metro quadro notevolmente alte rispetto ad aree dove non si producono rifiuti.

Inoltre, la censurata delibera del 31.7.2012 non terrebbe in alcun conto la possibilità per l’utenza (ed in particolare per la stessa Autotrend) di provvedere autonomamente allo smaltimento dei rifiuti attraverso ditte convenzionate.

In definitiva, la società ricorrente sostiene la attuale non assimilabilità nel territorio del Comune di Bari ai rifiuti urbani dei rifiuti che si formano nelle aree produttive.

Si costituiva l’Amministrazione comunale, resistendo al gravame.

A tal fine, il Comune eccepiva che, con la deliberazione consiliare n. 143 del 22.5.1998, aveva assunto espressamente di procedere alla assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, con esercizio della propria potestà regolamentare, atteso il venir meno della assimilazione legale ex art. 39 legge n. 146/1994, a seguito dell’abrogazione intervenuta con l’art. 17, comma 3 legge n. 128/1998.

Inoltre, la difesa del Comune rimarcava nella memoria depositata in data 11.12.2014 che la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari n. 170/17/12 era stata riformata dalla successiva sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 126/6/14 del 17.12.2013.

Ciò premesso in punto di fatto, ritiene questo Collegio che il ricorso sia infondato.

Preliminarmente, va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine alla cognizione della presente controversia in forza della previsione normativa di cui all’art. 7, comma 5 dlgs n. 546/1992 (“Le commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, non lo applicano, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio, salva l’eventuale impugnazione nella diversa sede competente.”). La stessa ha, infatti, ad oggetto atti amministrativi generali ed a contenuto “normativo” in materia tributaria ( i.e. regolamento di assimilazione di cui alla deliberazione del Consiglio comunale n. 143 del 22.5.1998 e deliberazione consiliare n. 43 del 31.7.2012 in tema di agevolazioni tributarie varie).

Sul punto ha, infatti, evidenziato Cons. Stato, Sez. II, 1° ottobre 2013, n. 4681:

“Le controversie che hanno ad oggetto un atto amministrativo generale, presupposto dell’accertamento e della determinazione in concreto del tributo ed avente la funzione di integrazione del precetto legislativo, esulano dalla giurisdizione delle Commissioni tributarie: giurisdizione che comprende il mero potere di annullamento degli atti elencati dall’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e non si estende quindi agli atti amministrativi generali di valenza tributaria, in ordine ai quali è consentita alle Commissioni predette soltanto la “disapplicazione” ai sensi dell’art. 7 del medesimo decreto legislativo.”.

Analogamente Cons. Stato, Sez. V, 30 aprile 2009, n. 2769:

“Possono formare oggetto di ricorso alle commissioni tributarie gli atti relativi alla liquidazione e all’esazione di singoli tributi ovvero gli atti volti a sanzionare la violazione di obblighi tributari ed ogni altro atto autonomamente impugnabile in base alla legge, con esclusione dei regolamenti e degli atti amministrativi generali suscettibili di mera applicazione. Resta ferma l’impugnazione dei regolamenti e degli atti generali, quale uno statuto di un consorzio di bonifica, nella diversa sede competente di cui all’art. 7, comma 5, d.lgs. 546/1992, da identificare nel giudice amministrativo di legittimità.”.

Recentemente Cons. Stato, Sez. II, 1° ottobre 2013, Adunanza di Sezione del 5.6.2013, n. 4094 ha rimarcato che:

«… le controversie che hanno ad oggetto un atto amministrativo generale, presupposto dell’accertamento e della determinazione in concreto del tributo ed avente la funzione di integrazione del precetto legislativo, esulano dalla giurisdizione delle Commissioni tributarie: giurisdizione che comprende il mero potere di annullamento degli atti elencati dall’art. 19 del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 e non si estende quindi agli atti amministrativi generali di valenza tributaria, in ordine ai quali è consentita alle Commissioni predette soltanto la “disapplicazione” ai sensi dell’art. 7 del medesimo decreto legislativo (cfr. sul punto, ad es., Cass. Civ., SS.UU., 25 gennaio 2007 n. 1616).

Tali atti amministrativi di carattere generale, seppure recanti l’applicazione di parametri e criteri individuati dalla legge, assumono pertanto natura autoritativa e costituiscono espressione di poteri pubblicistici, a fronte dei quali la posizione dei soggetti interessati non può che essere di interesse legittimo.

Del resto, proprio in ragione di ciò l’art. 7, comma 4, della L. 27 luglio 2000 n. 212 dispone nel senso che “la natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti”. …».

Premesso che gli atti regolamentari dotati di natura normativa (e quindi contenenti disposizioni generali ed astratte, cd. “regolamenti volizione preliminare”, quale è il censurato regolamento di “assimilazione”;
cfr. sul tema T.A.R. Puglia, Bari, Sez. I, 2 settembre 2014, n. 1042) necessitano ordinariamente di contestazione in sede giurisdizionale amministrativa con la tecnica della doppia impugnazione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 812), vale a dire unitamente agli atti applicativi (“… perché è attraverso tali atti che si realizza il pregiudizio della sfera soggettiva e, quindi, si attualizza l’interesse a ricorrere …”), il combinato disposto di cui agli artt. 7, comma 5 dlgs n. 546/1992 e 7, comma 4 legge n. 212/2000 (“La natura tributaria dell’atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti.”), limitatamente alla materia tributaria, depone nel senso della possibilità di autonoma impugnazione dinanzi al T.A.R. del solo regolamento “volizione preliminare”, ferma restando la cognizione, da parte del giudice tributario, della controversia relativa agli atti applicativi (nel caso di specie avviso di accertamento in rettifica della tassa di smaltimento dei rifiuti).

Invero, l’eventuale annullamento in sede giurisdizionale amministrativa di un regolamento volizione preliminare consente l’eliminazione in via permanente dall’ordinamento giuridico dello stesso atto normativo e, quindi, il definitivo superamento delle incognite derivanti dalla necessità di instaurare plurime azioni dinanzi alla Commissione Tributaria avverso i singoli atti tributari applicativi, invocando di volta in volta il potere disapplicativo proprio del giudice tributario ex art. 7, comma 5 dlgs n. 546/1992, con l’eventualità di differenti esiti processuali, a fronte di controversie analoghe, a seconda che il giudice tributario adito ritenga di fare o meno esercizio di detto potere.

Per quanto concerne il merito della vertenza, va evidenziato che le doglianze poste a fondamento del ricorso introduttivo si fondano essenzialmente su una formulazione non più vigente della previsione normativa (espressamente richiamata da parte ricorrente) di cui all’art. 195, comma 2, lett. e) dlgs n. 152/2006 che sanciva il principio di non assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti che si formano nelle aree produttive (“… Non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico …”).

Invero, sino all’entrata in vigore dell’art. 14, comma 46 decreto legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214/2011, l’art. 195, comma 2, lett. e) dlgs n. 152/2006 così disponeva:

«Sono inoltre di competenza dello Stato: … e) La determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. Ai rifiuti assimilati, entro due anni, si applica esclusivamente una tariffazione per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani. La tariffazione per le quantità conferite che deve includere, nel rispetto del principio della copertura integrale dei costi del servizio prestato, una parte fissa ed una variabile e una quota dei costi dello spazzamento stradale, è determinata dall’amministrazione comunale tenendo conto anche della natura dei rifiuti, del tipo, delle dimensioni economiche e operative delle attività che li producono. A tale tariffazione si applica una riduzione, fissata dall’amministrazione comunale, in proporzione alle quantità dei rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero tramite soggetto diverso dal gestore dei rifiuti urbani. Non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico;
allo stesso modo, non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 114 del 1998. Per gli imballaggi secondari e terziari per i quali risulti documentato il non conferimento al servizio di gestione dei rifiuti urbani e l’avvio a recupero e riciclo diretto tramite soggetti autorizzati, non si applica la predetta tariffazione. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, sono definiti, entro novanta giorni, i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani;
…».

Il menzionato art. 14, comma 46 decreto legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214/2011 ha soppresso la parte dell’art. 195, comma 2, lett. e) dlgs n. 152/2006 di seguito riportata:

“Ai rifiuti assimilati, entro due anni, si applica esclusivamente una tariffazione per le quantità conferite al servizio di gestione dei rifiuti urbani. La tariffazione per le quantità conferite che deve includere, nel rispetto del principio della copertura integrale dei costi del servizio prestato, una parte fissa ed una variabile e una quota dei costi dello spazzamento stradale, è determinata dall’amministrazione comunale tenendo conto anche della natura dei rifiuti, del tipo, delle dimensioni economiche e operative delle attività che li producono. A tale tariffazione si applica una riduzione, fissata dall’amministrazione comunale, in proporzione alle quantità dei rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero tramite soggetto diverso dal gestore dei rifiuti urbani. Non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle aree produttive, compresi i magazzini di materie prime e di prodotti finiti, salvo i rifiuti prodotti negli uffici, nelle mense, negli spacci, nei bar e nei locali al servizio dei lavoratori o comunque aperti al pubblico;
allo stesso modo, non sono assimilabili ai rifiuti urbani i rifiuti che si formano nelle strutture di vendita con superficie due volte superiore ai limiti di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo n. 114 del 1998. Per gli imballaggi secondari e terziari per i quali risulti documentato il non conferimento al servizio di gestione dei rifiuti urbani e l’avvio a recupero e riciclo diretto tramite soggetti autorizzati, non si applica la predetta tariffazione.”.

Pertanto, attualmente la formulazione della disposizione in esame ( i.e. art. 195, comma 2, lett. e) dlgs n. 152/2006) è la seguente:

“Sono inoltre di competenza dello Stato: … e) la determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, sono definiti, entro novanta giorni, i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani;
…”.

Va, altresì, rimarcato che l’art. 14, comma 46 decreto legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214/2011 è stato, a sua volta, abrogato dall’art. 1, comma 704 legge n. 147/2013

Tuttavia, come costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 15 aprile 1987, n. 254;
Cons. Stato, Sez. VI, 10 aprile 2003, n. 1922;
T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 28 novembre 2012 n. 1851), l’abrogazione di disposizioni abrogative non fa rivivere le norme da queste ultime soppresse.

Ne consegue che l’effetto permanentemente operato nell’ordinamento dalla abrogazione di cui all’art. 14, comma 46 decreto legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214/2011 è nel senso del definitivo superamento del divieto di assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti che si formano nelle aree produttive.

Inoltre, l’art. 14, comma 46 decreto legge n. 201/2011 (inserito nel Capo II relativo a “Disposizioni in materia di maggiori entrate”) è chiaramente indicativo (nella parte in cui ha abrogato il menzionato divieto di assimilazione) della voluntas legis di determinare un incremento delle entrate attraverso la facoltà, rimessa ai Comuni (ed esercitata nel caso di specie dal Comune di Bari con la gravata deliberazione del 31/7/2012), di disporre eventualmente l’assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti che si formano nelle aree produttive.

Peraltro, nel testo attualmente vigente del dlgs n. 152/2006 non sembra essere riprodotta in diversa sede la disposizione che in precedenza conteneva il menzionato divieto di assimilazione.

Né si può sostenere, in mancanza di espressa statuizione legislativa, che sia vigente un principio di segno opposto nel senso della affermazione sempre e comunque della assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti che si formano nelle aree produttive, atteso il venir meno della assimilazione legale ex art. 39 legge n. 146/1994, a seguito dell’abrogazione intervenuta con l’art. 17, comma 3 legge n. 128/1998.

Ne discende che in virtù del decreto legge n. 201/2011 (art. 14, comma 46) i Comuni sono liberi, ai sensi dell’art. 198, comma 2, lett. g) dlgs n. 152/2006 (che rimane immutato nella sua originaria formulazione), nel sancire o meno (ovvero temperare) l’assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti che si formano nelle aree produttive e che, in mancanza del decreto ministeriale attuativo di cui all’art. 195, comma 2, lett. e), ultimo inciso dlgs n. 152/2006, si è in presenza di un significativo ampliamento alla potestà regolamentare municipale in materia di assimilabilità dei rifiuti.

Il citato art. 198, comma 2, lett. g) dlgs n. 152/2006, infatti, prevede:

“I Comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità e in coerenza con i piani d’ambito adottati ai sensi dell’articolo 201, comma 3, stabiliscono in particolare: … g) l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’articolo 195, comma 2, lettera e), ferme restando le definizioni di cui all’articolo 184, comma 2, lettere c) e d).”.

Ovviamente questo potere dei Comuni ex art. 198, comma 2, lett. g) dlgs n. 152/2006 permane in tutta la sua ampiezza finché non verrà adottato il decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, di definizione ai sensi dell’art. 195, comma 2, lett. e), ultimo inciso dlgs n. 152/2006 dei criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani.

Tuttavia, detto decreto ministeriale non è stato ancora adottato.

Il quadro normativo si completa con la menzione dell’art. 1, comma 184, lett. b) legge n. 296/2006:

“Nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni: … b) in materia di assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, continuano ad applicarsi le disposizioni degli articoli 18, comma 2, lettera d), e 57, comma 1, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22.”.

Di seguito il testo dell’art. 18, comma 2, lett. d) dlgs n. 22/1997:

“Sono inoltre di competenza dello Stato: … d) la determinazione dei criteri qualitativi e qualiquantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani;
…”.

Peraltro, l’art. 21, comma 2, lett. g) dlgs n. 22/1997, nel richiamare il precedente art. 18, comma 2, lett. d) prevede:

“I Comuni disciplinano la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, stabiliscono in particolare: … g) l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’articolo 18, comma 2, lettera d). Sono comunque considerati rifiuti urbani, ai fini della raccolta, del trasporto e dello stoccaggio, tutti i rifiuti provenienti dallo spazzamento delle strade ovvero, di qualunque natura e provenienza, giacenti sulle strade ed aree pubbliche o sulle strade ed aree private comunque soggette a uso pubblico o sulle strade marittime e lacuali e sulle rive dei corsi d’acqua. …”.

Si può ritenere che lo Stato abbia esercitato il potere di cui all’art. 18, comma 2, lett. d) dlgs n. 22/1997 (ora art. 195, comma 2, lett. e), ultimo inciso dlgs n. 152/2006), in mancanza di atti successivi, con la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 27 luglio 1984 (attualmente vigente, come evidenziato da Cass. civ., Sez. Trib., 13 giugno 2012, n. 9631, da Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 2014, n. 3941 e da Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio 2015, n. 503).

Anche l’art. 57, comma 1 dlgs n. 22/1997 (“Le norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all’adozione delle specifiche norme adottate in attuazione del presente decreto. A tal fine ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi si deve intendere riferito ai rifiuti pericolosi.”), richiamato dall’art. 1, comma 184, lett. b) legge n. 296/2006 ed applicabile nelle more della completa attuazione delle disposizioni di cui al dlgs n. 152/2006, depone nel senso della sopravvivenza della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 27 luglio 1984, come evidenziato da Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 2014, n. 3941 e da Cons. Stato, Sez. V, 3 febbraio 2015, n. 503, almeno fintantoché non sarà adottato il regolamento ministeriale di cui all’art. 195, comma 2, lett. e), ultimo inciso dlgs n. 152/2006.

In conclusione, si può affermare che il regolamento di assimilazione attualmente vigente in Bari ai sensi del combinato disposto di cui gli artt. 1, comma 184, lett. b) legge n. 296/2006, 18, comma 2, lett. d) e 21, comma 2, lett. g) dlgs n. 22/1997 e 198, comma 2, lett. g) dlgs n. 152/2006 è rappresentato dalla gravata deliberazione di Consiglio comunale n. 143 del 22.5.1998 che a sua volta recepisce espressamente la deliberazione del Consiglio dei Ministri del 27 luglio 1984 (come detto, attualmente vigente).

Il dispositivo della deliberazione n. 143/1998, infatti, “… conferma l’assimilazione, secondo i criteri e nei limiti di cui alla deliberazione del Comitato interministeriale del 27/7/1984, dei rifiuti speciali non pericolosi (rifiuti non domestici) aventi composizione merceologica analoga a quella dei rifiuti urbani, o comunque, costituiti da manufatti e materiali simili a quelli elencati a titolo esemplificativo al n. 1, punto 1.1.1., lett. a) della citata deliberazione del 27/7/1984 ai rifiuti urbani (rifiuti domestici), ai fini della raccolta e dello smaltimento, e comunque nel limite quantitativo di 10 kg/mq ovvero 0,1 mc/mq di produzione annua riferita alla superficie destinata all’attività …”.

Non è un caso che nelle sue premesse la deliberazione consiliare n. 143/1998, nel fare proprio il contenuto della deliberazione del Comitato Interministeriale del 27.7.1984, cita proprio gli artt. 21, comma 2, lett. d) e 57, comma 1 dlgs n. 22/1997.

La deliberazione consiliare n. 143 del 22.5.1998 aveva la finalità (evidenziata nelle sue premesse) di procedere alla assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani stante il venir meno della assimilazione ex lege di cui all’art. 39 legge n. 146/1994.

Invero, l’art. 39, comma 1 legge n. 146/1994 (“Sono considerati rifiuti speciali assimilati ai rifiuti urbani i rifiuti speciali indicati al n. 1, punto 1.1.1, lettera a ), della deliberazione del 27 luglio 1984 del Comitato interministeriale di cui all’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, nonché gli accessori per l’informatica”) era stato espressamente abrogato dall’art. 17, comma 3 legge n. 128 del 24.4.1998.

La parte motiva della suddetta deliberazione n. 143/1998 si esprime in questi termini:

«… Visto il comma 3 dell’art. 17 della legge comunitaria 1995/1997 n. 128 del 24.4.1998 (…) che abroga i commi 1 e 2 dell’art. 39 della legge comunitaria 22.2.1994 n. 146 che disponevano, ad ogni effetto, l’assimilazione legale ai rifiuti urbani dei rifiuti propri delle attività economiche comprese o suscettibili di essere comprese per similarità nell’elenco di cui al punto 1.1.1 della delibera interministeriale del 27 luglio 1984, integrato dagli accessori per l’informatica;

Considerato che l’abrogazione, ora disposta, fa venir meno l’assimilazione legale predetta, per cui dalla data di entrata in vigore della nuova legge dopo il periodo di sua vacatio (22.5.1998), i rifiuti già assimilati diventano speciali;
i rifiuti stessi non dovranno più essere conferiti al servizio pubblico, ma avviati allo smaltimento o al recupero a proprie cure e spese dagli operatori economici con conseguente intassabilità delle superfici ove si producono;

Rilevato che la novella legislativa, per le conseguenze che comporta in termini operativi e finanziari sia per i cittadini che per l’Amministrazione comunale, avrebbe sicuri effetti negativi se il Comune non provvedesse all’assimilazione dei rifiuti speciali di cui trattasi a quelli urbani avvalendosi, in ciò, del potere attribuitogli dal comma 2, lett. g) dell’art. 21 d.lgs. 22/1997;

Vista la circolare 7/5/1998 n. 119/E (…) con la quale il Ministero delle Finanze richiama l’attenzione delle amministrazioni locali che intendono procedere all’assimilazione sulla esigenza di provvedere con ogni possibile urgenza all’adozione del relativo atto deliberativo consiliare per evitare la fuoriuscita dalla privativa comunale dei rifiuti in questione;

Rilevato altresì che, come precisato nella precitata circolare ministeriale, il Comune può avvalersi immediatamente del potere di assimilazione ripristinato con l’art. 21, comma 2, lett. d) e art. 57, comma 1, d.lgs. 22/1997 (c.d. decreto Ronchi), esercitabile sulla base delle norme regolamentari e tecniche vigenti (citata deliberazione del Comitato interministeriale del 27/7/1984) in attesa delle nuove disposizioni (art. 18, comma 2, lett. d) e art. 57, comma 1, d.lgs 22/1997);

Ritenuto pertanto di provvedere all’assimilazione per quantità e qualità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri e dei limiti fissati dalla deliberazione del Comitato interministeriale di data 27/7/1984;

Ritenuto, pertanto, di confermare l’assimilazione di cui alla citata delibera 27/7/1984, impegnandosi l’Amministrazione comunale a smaltire nel contempo le sostanze elencate al n. 1, punti 1.1.1., lett. a) della citata delibera, ad esclusione dei rifiuti da imballaggi secondari e terziari, nel limite quantitativo di 10 kg/mq ovvero 0,1 mc/mq di produzione annua riferiti alla superficie destinata all’attività;
…».

Va, altresì, evidenziato che la vigenza della deliberazione n. 143/1998 (e, conseguentemente, della deliberazione interministeriale del 27.7.1984) è stata condivisibilmente affermata anche dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 126/6/14 di riforma della sentenza della Commissione Tributaria Provinciale n. 170/17/12 (quest’ultima invocata da parte ricorrente).

Inoltre, la contestata deliberazione consiliare n. 43 del 31.7.2012 (unitariamente alla deliberazione n. 143/1998 dalla prima espressamente richiamata) contribuisce a delineare il quadro normativo vigente in ambito locale con la previsione di riduzioni tariffarie (operanti, pertanto, sul piano quantitativo) per i soggetti che producono rifiuti speciali assimilati.

La citata deliberazione n. 43/2012 conferma espressamente l’assimilazione dei rifiuti da imballaggio ai rifiuti urbani, già disposta con deliberazione del Consiglio comunale n. 143 del 22.5.1998 e quindi chiarisce la piena vigenza dei criteri di cui alla menzionata deliberazione n. 143/1998.

Peraltro, la censurata deliberazione consiliare n. 43/2012 interviene legittimamente in un contesto normativo ormai definitivamente inciso dall’effetto abrogativo di cui all’art. 14, comma 46 decreto legge n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214 del 22 dicembre 2011, e non già in epoca precedente, come viceversa accaduto nella fattispecie posta all’esame di Cons. Stato, Sez. V, 26 settembre 2013, n. 4756 (sentenza invocata da parte ricorrente alla memoria depositata in data 23 dicembre 2014).

Infatti, a ben vedere detta ultima decisione del Consiglio di Stato aveva ad oggetto una controversia relativa ad una deliberazione comunale (del Comune di Monterotondo) risalente al 9 giugno 2011 (quindi antecedente al decreto legge n. 201 del 6.12.2011), per le quali il Consiglio di Stato ha evidentemente ritenuto di applicare la previsione legislativa ratione temporis vigente che a quella data (9.6.2011) conteneva ancora l’espresso divieto di assimilazione.

Ne consegue che, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, a Bari è attualmente operativo un regolamento di assimilazione, in mancanza del DM attuativo di cui all’art. 195, comma 2, lett. e), ultimo inciso dlgs n. 152/2006, e che non è accoglibile la pretesa di parte ricorrente alla applicazione di un divieto di assimilazione non più vigente ed alla esclusione della operatività della tariffazione ordinaria con riferimento ad imballaggi secondari e terziari (quali quelli prodotti dalla stessa società) per i quali risulti documentato il non conferimento al servizio di gestione dei rifiuti urbani e l’avvio a recupero e riciclo diretto tramite soggetti autorizzati.

Ed, infatti, anche la parte della disposizione di cui all’art. 195, comma 2, lett. e) dlgs n. 152/2006, richiamata a pag. 18 dell’atto introduttivo (“Per gli imballaggi secondari e terziari per i quali risulti documentato il non conferimento al servizio di gestione dei rifiuti urbani e l’avvio a recupero e riciclo diretto tramite soggetti autorizzati, non si applica la predetta tariffazione”) e posta a fondamento del motivo di gravame sub 2), non è più vigente in conseguenza dell’effetto abrogativo operato dal menzionato art. 14, comma 46 decreto legge n. 201/2011, convertito, con modificazioni, nella legge n. 214/2011.

A questo punto è necessario verificare la conformità del quadro normativo vigente nel territorio del Comune di Bari ( i.e. deliberazione di Consiglio comunale n. 143 del 22.5.1998 e deliberazione consiliare n. 43 del 31.7.2012 parimenti censurate con l’atto introduttivo del presente giudizio) alla luce dei principi di diritto affermati dalla più recente giurisprudenza.

In particolare, Cass. civ., Sez. Trib., 13 giugno 2012, n. 9631 ha evidenziato nell’ambito di una controversia che nasceva dalla contestazione in sede giurisdizionale di una cartella di pagamento dinanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale e nell’esercizio del potere, proprio del giudice ordinario, di conoscere, in via incidentale ed a fini eventualmente disapplicativi (dell’atto amministrativo illegittima) ex art. 7, comma 5 dlgs n. 546/1992, il regolamento comunale di assimilazione:

«… 2.2.1. Va osservato, infatti, che in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la dichiarazione di assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani, prevista dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 1, lett. g), postula la concreta individuazione delle caratteristiche, non solo qualitative, ma anche quantitative dei rifiuti speciali soggetti a lavorazione da parte degli enti comunali.

E’ del tutto evidente, infatti, che l’impatto igienico ed ambientale di un materiale di scarto, quale è quello che connota le materie costituenti rifiuti speciali non pericolosi, non può essere correttamente valutato - in conformità ai criteri stabiliti con la deliberazione del CIPE del 27.7.84 - se non tenendo conto anche della sua quantità (cfr. Cass. 12752/02, 30719/11).

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