TAR Firenze, sez. I, sentenza 2016-04-27, n. 201600709
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Testo completo
N. 00709/2016 REG.PROV.COLL.
N. 00565/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 565 del 2012, proposto da:
L M, D M, F.lli M Cereali S.p.a., tutti rappresentati e difesi dall'avv. G G, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Firenze, corso Italia 2;
contro
Comune di Signa, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avv.ti E V ed E C, con domicilio eletto presso lo studio della prima in Firenze, Via Duca D'Aosta 10;
per la condanna
del Comune di Signa: a) alla restituzione, previa riduzione in pristino, dei terreni di proprieta' dei ricorrenti siti in Signa, catastalmente rappresentati al foglio di mappa 16, particelle 1402, 326, 787, 925, 924, 1137 e 876, appresi ed utilizzati per la realizzazione di un edificio scolastico e di un tratto di viabilita' pubblica, il tutto sulla base di valide dichiarazioni di pubblica utilita', ma senza successiva adozione del rituale decreto di esproprio;b) al risarcimento del danno per il periodo di occupazione illegittima, dalla scadenza dei termini di occupazione legittima al momento in cui saranno effettivamente restituiti tali terreni, in misura pari alla somma risultante dall'applicazione degli interessi legali sul valore del bene per ogni anno di occupazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Signa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 febbraio 2016 il dott. Pierpaolo Grauso e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I signori Luciano e D M, il primo anche in qualità di legale rappresentante della F.lli M Cereali S.p.a., espongono di essere proprietari – in parte pro indiviso , in parte in via esclusiva – di alcuni terreni ubicati nel Comune di Signa e catastalmente identificati al foglio 16 come particelle 1402, 926, 787, 925 (in comproprietà di Luciano e D M), e 924, 1137, 876 (di proprietà della società F.lli M).
Detti terreni avrebbero costituito in passato oggetto di due distinte procedure espropriative ad opera dell’amministrazione comunale, nessuna delle quali si sarebbe conclusa con l’adozione del decreto di esproprio e con la corresponsione del dovuto indennizzo, nonostante l’avvenuta occupazione dei fondi e la loro irreversibile trasformazione per effetto della materiale esecuzione delle opere pubbliche cui l’esproprio era funzionale. Si tratterebbe, in particolare, di un edificio scolastico medio, dichiarato di pubblica utilità con decreto del 6 settembre 1971 e ultimato quantomeno dal luglio 1973, e di un tratto stradale in prolungamento della via XX Settembre, opera dichiarata di pubblica utilità il 22 dicembre 1980 e ultimata almeno dal 1982. Le superfici abusivamente occupate dal Comune ammonterebbero, rispettivamente, a 4860 ed a 2577 mq.
1.1. Tanto premesso in fatto, i ricorrenti qualificano in termini di illecito permanente le occupazioni così perpetrate dal Comune, avuto riguardo al definitivo abbandono, frattanto consolidatosi nell’ordinamento interno, dell’istituto pretorio della c.d. accessione invertita. E rivendicano pertanto il diritto alla restituzione dei beni di loro proprietà, nonché al risarcimento dei danni da occupazione illegittima, concludendo per la corrispondente condanna dell’amministrazione intimata.
1.2. Costituitosi in giudizio il Comune di Signa, che resiste alle domande avversarie, la causa è stata discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 10 febbraio 2016, preceduta dal deposito di documenti, memorie difensive e repliche.
2. Risulta dalla documentazione in atti, ed è pacifico, che l’edificio scolastico “A. Paoli” di Signa insiste sui terreni identificati in catasto dalle particelle 787, 924, 925, 926 e 1402, destinate a fini di pubblica utilità almeno dal settembre – ottobre 1973, quando l’opera venne collaudata e si diede inizio all’attività del plesso.
I terreni sui quali insiste la viabilità di prolungamento della via XX Settembre sino alla via Degli Alberti sono rappresentati, invece, dalle particelle 876 e 1137, occupate in via d’urgenza nell’aprile del 1981. L’opera stradale è stata collaudata nel gennaio del 1983.
In nessuno dei due casi, alla dichiarazione di pubblica utilità delle opere e all’avvio della procedura espropriativa ha fatto seguito l’adozione dei decreti di esproprio. La circostanza che la trasformazione dei beni occupati sia intervenuta in costanza della dichiarazione di pubblica utilità consente, nondimeno, di ricondurre l’intera vicenda contenziosa all’esercizio, pur distorto, dei poteri autoritativi dell’amministrazione, non potendosi dubitare che la fattispecie ricada nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo disciplinata, ora e all’epoca dell’introduzione del presente giudizio, dall’art. 133 co. 1 lett. g) c.p.a..
3. Invertendo l’ordine di esposizione seguito nella memoria comunale depositata l’8 gennaio 2016, l’amministrazione resistente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione dei ricorrenti ad agire in ordine alle particelle 925, 926 e 1402, catastalmente intestate non ai ricorrenti stessi, ma ai signori G e Remo M.
L’inattualità dell’iscrizione catastale è, peraltro, riconosciuta dal Comune, che rappresenta come pacifica la circostanza dell’avvenuto decesso dei predetti G e Remo M (si veda la relazione tecnica a firma dell’ing. Venturini, depositata dal Comune), i cui unici eredi sono appunto gli odierni ricorrenti, come risulta dalle copie delle denunce di successione, in atti, aventi valore indiziario (cfr. Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2004, n. 14395;id., 8 novembre 2002, n. 15716) non smentito dalle rimanenti emergenze processuali e sostanzialmente non contestato quanto alle particelle 925 e 926 (ancora una volta, si veda la relazione tecnica del Comune, che espressamente inserisce le due particelle in questione nella tabella ove è identificata la consistenza delle aree “M”).
3.1. Diversamente è a dirsi quanto alla particella 1402, occupata dalla sede stradale di via XX Settembre, giacché il Comune sostiene che essa, benché catastalmente intestata a G e Remo M, sarebbe stata acquistata da costoro limitatamente al diritto di passo, come si ricaverebbe dal rogito notarile del 1966, mentre l’intestazione catastale sarebbe frutto di un errore commesso all’atto del frazionamento approvato dall’U.T.E. nel 1969.
La tesi del Comune parrebbe in prima approssimazione confermata dalla documentazione in atti, e in particolare dalla planimetria allegata al rogito per atto Notar Gargani del 15 dicembre 1966, ove la particella 1402, già 29/c, sembra ricadere all’interno delle aree contornate in rosso, sulle quali in favore degli acquirenti M risulta la sola costituzione di un diritto di passo e non la cessione della proprietà. Del resto, gli stessi ricorrenti nella memoria di replica del 20 gennaio 2016 sostengono che la particella ricadrebbe per tutta la sua consistenza nella zona delimitata in rosso nella planimetria, e non in quella delimitata in giallo, rappresentativa dei terreni compravenduti.
In ogni caso, dovendosi procedere – per le ragioni che saranno esposte successivamente – a verificazione, il collegio ritiene opportuno che a tale attività istruttoria siano sottoposte anche le vicende catastali inerenti la particella 1402, onde essere meglio chiarite attraverso l’esame di tutta la documentazione disponibile presso l’amministrazione resistente. Sul punto, la presente pronuncia deve dunque intendersi come non definitiva.
4. Il Comune eccepisce, ancora, l’inammissibilità del ricorso per l’assenza dei presupposti che, nel processo amministrativo, giustificano la proposizione di domande cumulative, tali dovendosi considerare quelle proposte dai ricorrenti con riferimento agli atti di due distinte procedure espropriative fra loro non connesse sotto il profilo oggettivo e neppure in rapporto di presupposizione logico-giuridica.
L’eccezione è infondata.
I limiti alla proposizione di ricorsi cumulativi nel processo amministrativo, invocati dall’amministrazione resistente, riguardano tipicamente il giudizio impugnatorio, al quale si attaglia la regola che circoscrive a un solo provvedimento l’oggetto del ricorso, costituendo un’eccezione l’impugnazione congiunta – con unico ricorso – di più atti, fra i quali deve essere ravvisabile “una connessione procedimentale o funzionale (da accertarsi in modo rigoroso onde evitare la confusione di controversie con conseguente aggravio dei tempi del processo, ovvero l'abuso dello strumento processuale per eludere le disposizioni fiscali in materia di contributo unificato), tale da giustificare la proposizione di un ricorso cumulativo” (così, per tutte, Cons. Stato, A.P., 25 febbraio 2015, n. 5).
Qualora, invece, la controversia abbia per oggetto diritti soggettivi, nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A., non possono che operare le regole proprie del processo su diritti, nel quale la possibilità del cumulo oggettivo di domande nello stesso processo può conseguire anche alla semplice connessione soggettiva, e la connessione oggettiva – che può dare luogo al cumulo soggettivo (litisconsorzio facoltativo) – nasce dalla comunanza di oggetto o di titolo delle domande (connessione propria), ma anche dalla necessità di risolvere identiche questioni (connessione impropria). Sono, questi, i principi ricavabili dagli artt. 103 e 104 c.p.c., applicabili nel processo amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 c.p.a., e che si adattano perfettamente alla fattispecie in esame, caratterizzata dalla proposizione, ad opera di più parti e nei confronti della stessa parte, di domande parzialmente connesse anche sul piano oggettivo, attesa la parziale comunanza del petitum e della causa petendi (restituzione di terreni occupati dal Comune, in danno dei ricorrenti o dei loro danti causa, in occasione della realizzazione di due diverse opere pubbliche, laddove ciascuno dei ricorrenti assume di essere rimasto pregiudicato dall’una e dall’altra opera, con riferimento a terreni diversi), nonché delle questioni giuridiche sottese alla soluzione della controversia (la sorte dei terreni occupati dalla pubblica amministrazione e trasformati per la realizzazione di un’opera pubblica in assenza di una legittima procedura espropriativa).
5. Nel merito, il Comune di Signa eccepisce preliminarmente di aver acquistato per usucapione le particelle rivendicate dai ricorrenti e, in ogni caso, contesta la fondatezza della pretesa restitutoria alla luce del suo residuo potere discrezionale di disporre l’acquisizione dei terreni in questione a norma dell’art. 42- bis D.P.R. n. 327/2001.
Quanto alla domanda di risarcimento dei danni, il Comune fa rilevare che il comportamento inerte dei ricorrenti e dei loro danti causa, i quali prima dell’anno 2011 non si sarebbero mai attivati a tutela dei propri diritti, neppure in via stragiudiziale, integrerebbe gli estremi dell’art. 1227 co. 2 c.c., in forza del quale non è dovuto il risarcimento per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare impiegando l’ordinaria diligenza;ovvero dell’art. 1227 co. 1 c.c., per avere i ricorrenti o i loro danti causa concorso a cagionare il danno. Sarebbe comunque prescritto il diritto al risarcimento maturato nel periodo anteriore al quinquennio precedente la prima lettera di messa in mora inviata dai ricorrenti e risalente, appunto, al settembre 2011.
5.1. È noto che l’istituto di matrice giurisprudenziale dell’occupazione acquisitiva, o accessione invertita, in virtù del quale si è ritenuto che la proprietà del fondo occupato oltre i termini di occupazione legittima e irreversibilmente trasformato per effetto della realizzazione su di esso di un’opera dichiarata di pubblica utilità si acquistasse a titolo originario alla mano pubblica, rappresenta il frutto della difficoltosa ricerca di un punto di equilibrio fra la tutela dell’azione amministrativa, garantita, appunto, dall’acquisto della proprietà del suolo illegittimamente occupato e trasformato, e quella della proprietà privata, garantita dal diritto all’integrale risarcimento del danno (integrale, sino all’intervento del legislatore con la disposizione, penalizzante per il proprietario privato, di cui al comma 7- bis dell’art. 5- bis del D.L. n. 333/1992, dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza Corte Cost. 24 ottobre 2007, n. 349).
A tale istituto non può, tuttavia, essere ulteriormente riconosciuta cittadinanza nell’ordinamento, alla luce degli interventi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ne ha ripetutamente sancito l’incompatibilità con l’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione (“Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. […]”) alla stregua dell’affermazione di fondo secondo cui l’acquisizione del diritto di proprietà in capo all’amministrazione non può mai conseguire a un illecito (fra le molte pronunce della Corte, Carbonara e Ventura c. Italia, 30 maggio 2000;Scordino c. Italia, 15 e 29 luglio 2004;Sciarrotta c. Italia, 12 gennaio 2006): i tentativi di una parte della giurisprudenza di rileggerlo in chiave conservativa debbono, infatti, considerarsi definitivamente superati in considerazione non solo e non tanto delle indicazioni provenienti dal legislatore (il riferimento è, in particolare, all’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, dichiarato costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega da Corte Cost. 8 ottobre 2010, n. 293, la quale ha altresì precisato come la realizzazione dell'opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell'area illegittimamente espropriata, indipendentemente dalle modalità di acquisizione del terreno;e all’art. 42-bis aggiunto allo stesso D.P.R. n. 327/2001 dal D.L. n. 98/2011), quanto dalla infine acclarata impossibilità di argomentare la compatibilità fra gli obblighi internazionali dello Stato e la definitiva perdita del diritto del proprietario alla restituzione del bene, conseguenza indefettibilmente connaturata all’occupazione acquisitiva, ma inconciliabile con l’affermazione della Corte EDU circa il dovere degli Stati aderenti alla Convenzione di eliminare gli ostacoli giuridici che impediscono sistematicamente e per principio la restituzione del terreno (si vedano le sentenze Scordino c. Italia, 6 marzo 2007;Sciarrotta c. Italia, cit.).
Sotto questo profilo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno infine riconosciuto come l’istituto dell’occupazione acquisitiva si ponga in radicale contrasto con l’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ciò che comporta – in un’ottica orientata al rispetto dell’art. 117 co. 1 Cost., rispetto al quale la CEDU opera come norma interposta di rango subcostituzionale – la sua definitiva espunzione e la riespansione della regola generale dell’illecito aquiliano, “il quale non solo non consente l’acquisizione autoritativa del bene alla mano pubblica, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (restituzione, riduzione in pristino stato dell’immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione ecc), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell’art. 2043 c.c.” (così da ultimo Cass., SS.UU., 19 gennaio 2015, n. 735, ma l’insanabile contrasto era stato del pari evidenziato da Cass., SS.UU., ord. 13 gennaio 2014, n. 441).
Quanto alla giurisprudenza amministrativa, va rimarcato che in effetti il superamento dell’espropriazione indiretta, già isolatamente emerso in alcune pronunce che riecheggiavano i primi arresti della Corte EDU in materia, si è consolidato già a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria 29 aprile 2005, n. 2, che dal citato art. 43 T.U. espropriazioni – e, oggi, dall’art. 42-bis che ne ha preso il posto – trae conferma dell’inidoneità dell’irreversibile trasformazione del fondo a costituire valido titolo d’acquisto della proprietà da parte dell’amministrazione.
5.1.1. Con riferimento alle occupazioni anteriori all’entrata in vigore del testo unico sugli espropri, non seguite dal perfezionamento della procedura espropriativa, è peraltro insorto un contrasto in seno alla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Secondo un primo indirizzo, ad esse dovrebbe infatti continuare ad applicarsi l’istituto dell’occupazione espropriativa, configurata come illecito istantaneo con effetti permanenti, da cui l’attribuzione al proprietario, a titolo di risarcimento danni, dell’intero controvalore del bene espropriato.
Un diverso orientamento afferma, invece, che dell’istituto non potrebbe farsi ulteriore applicazione, e questo perché esso, oltre a realizzare un’espropriazione indiretta non consentita dall’art. 1 del primo protocollo CEDU, sarebbe incompatibile con l’istituto della c.d. acquisizione “sanante” di cui all’art. 42- bis del D.P.R. n. 327/2001, norma applicabile ad ogni occupazione illecita, anche se precedente all’entrata in vigore del testo unico.
A risolvere il contrasto sono intervenute le Sezioni Unite della Corte, le quali, con la già richiamata sentenza n. 735 del 2015, hanno statuito che per escludere la sopravvivenza nel nostro ordinamento dell’occupazione acquisitiva è sufficiente la contrarietà all’art. 1 del protocollo addizionale alla Convenzione EDU. Allo stesso fine non sarebbe utilizzabile, per converso, l’argomento della retroattività dell’art. 42- bis cit., del quale, ad avviso delle SS.UU., potrebbe farsi applicazione solo a decorrere dal 30 giugno 2003 (data di entrata in vigore del D.P.R. n. 327/2001), in analogia a quanto previsto dal previgente art. 43 dello stesso D.P.R. n. 327/2001 (la possibilità di estendere il campo di applicazione dell’art. 42- bis alle occupazioni anteriori al 30 giugno 2003 è stata prospettata, ma non vagliata, dalle Sezioni Unite per difetto di rilevanza nel caso trattato).
Diverso l’atteggiamento della giurisprudenza amministrativa, che appare univocamente indirizzata nel senso di ritenere l’acquisizione ex art. 42- bis applicabile a tutti i fatti pregressi alla sua entrata in vigore, ivi comprese le occupazioni antecedenti il 30 giugno 2003 (fra le altre, si pronunciano espressamente in tal senso T.A.R. Campania – Napoli, sez. V, 2 gennaio 2015, n. 4, e T.A.R. Puglia – Bari, sez. II, 30 gennaio 2014, n. 142, ma numerosissime sono le decisioni del giudice d’appello che implicitamente riconoscono l’applicabilità dell’art. 42- bis a occupazioni precedenti l’entrata in vigore del D.P.R. n. 327/2001: per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 21 settembre 2015, n. 4403;id., 25 maggio 2015, n. 2591;id., 5 marzo 2015, n. 1114;15 settembre 2014, n. 4696).
La difformità di vedute fra il giudice ordinario e il giudice amministrativo riflette la divaricazione di indirizzi già fatta registrare nel vigore dell’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, la cui applicabilità alle occupazioni anteriori al 30 giugno 2003 era stata esclusa dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., sez. I, 22 settembre 2008, n. 23943;id., 28 luglio 2008, n. 20543), e ammessa dal Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1762;id., 8 giugno 2009, n. 3509). Non sorprende pertanto che, come si ricava dai lavori preparatori della legge di conversione del D.L. n. 98/2011, il legislatore abbia inteso risolvere una volta per tutte la questione, originata dal fatto che l’art. 43 del T.U. espropri taceva sul punto della sua efficacia temporale (atto Camera 4509: si veda il dossier di accompagnamento al disegno di legge S.2814 e, in particolare, le “schede di lettura” predisposte dal Servizio studi della Camera dei Deputati).
In consonanza con tale intenzione del legislatore, l’ottavo comma dell’art. 42- bis , secondo cui “Le disposizioni del presente articolo trovano altresi' applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore ed anche se vi e' gia' stato un provvedimento di acquisizione successivamente ritirato o annullato […]”, a parere del collegio rende l’istituto dell’acquisizione “sanante” applicabile tout court ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore, senza discrimini cronologici ulteriori. E’ questa infatti l’unica opzione interpretativa che, tenendo fede all’inequivoco tenore letterale della norma, fornisce una soluzione generalizzata al problema delle occupazioni – anche molto risalenti – non seguite dall’adozione del decreto di esproprio e risponde all’esigenza del legislatore del 2011 di colmare il vuoto creato dalla dichiarazione di illegittimità dell’art. 43 T.U., apprestando all’amministrazione una “legale via d’uscita” in tutti i casi, nessuno escluso, di opere pubbliche realizzate in assenza del valido ed efficace decreto di esproprio.
Conferma ne è che la stessa Corte Costituzionale – nel respingere con sentenza n. 71 del 30 aprile 2015 le questioni di legittimità sollevate in riferimento agli artt. 3, 24, 42, 97, 111 e 117 co. 1 Cost., e quindi anche in relazione alla sua compatibilità con le norme interposte della CEDU – si è espressa nel senso dell’applicazione dell’art. 42- bis ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore e anteriori al 30 giugno 2003, ritenendo così superata la disciplina transitoria prevista dal D.P.R. n. 327/2001 e con il solo limite del giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene al privato (sul punto la statuizione della Corte va integrata attraverso il contenuto delle ordinanze di rimessione, nelle quali viene sottolineato l’avvenuto superamento dell’art. 57 D.P.R. n. 327/2001 ad opera dell’art. 42- bis : v. Cass. civ., SS.UU., 13 gennaio 2014, nn. 441 e 442).
5.2. Si è detto che il Comune di Signa, al fine di paralizzare le domande avversarie, eccepisce di aver usucapito il diritto di proprietà sui terreni rivendicati dai ricorrenti. L’eccezione, che solleva una questione relativa a diritti delle quali il giudice amministrativo può conoscere a norma dell’art. 8 c.p.a., è infondata.
Da un lato, il tribunale non può non farsi carico della progressiva emersione di un indirizzo interpretativo fortemente contrario alla usucapibilità in favore dell’amministrazione delle aree da essa abusivamente occupate e irreversibilmente trasformate con la realizzazione di opere pubbliche (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 329;id., 1 settembre 2015, n. 4096;id., 26 agosto 2015, n. 3988;id., 3 luglio 2014, n. 3346). A sostegno della tesi sono addotte plurime ragioni, la principale delle quali è rappresentata dall’incompatibilità dell’usucapione al cospetto dell’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU, che non tollera alternative all'acquisizione in proprietà che non siano rappresentate dal perfezionamento di una legittima procedura espropriativa, di un procedimento “sanante” ai sensi dell’art. 42- bis D.P.R. n. 327/2001, ovvero dal contratto tra le parti.
In disparte i problematici rapporti fra usucapione e tutela della proprietà assicurata dalla CEDU, nelle pronunce sopra richiamate si osserva poi, condivisibilmente, che il dies a quo di un possibile possesso ad usucapionem non potrebbe che essere posticipato – in conformità all’art. 2935 c.c. – all’entrata in vigore del D.P.R. n. 327/2001, giacché, qualificandosi antecedentemente l'occupazione acquisitiva come fattispecie ablatoria, al proprietario del bene abusivamente occupato era precluso l’esercizio dell’azione restitutoria, vale a dire dell’unica iniziativa del proprietario idonea ad interrompere il corso dell’usucapione in favore del possessore.
5.3. Escluso, per le ragioni dianzi esposte, che l’occupazione e la successiva trasformazione del fondo mediante realizzazione dell’opera pubblica abbiano potuto determinare, unitamente al tempo trascorso dall’occupazione, l’acquisto in capo al Comune di Signa dei terreni di proprietà degli odierni ricorrenti, la domanda restitutoria da costoro proposta deve essere accolta, non rilevando in senso contrario né l’art. 2058 co. 2 c.c., che, in materia di risarcimento del danno in forma specifica, detta un limite cui l’azione restitutoria è concettualmente estranea, né l’art. 2933 co. 2 c.c., che opera invece in materia di esecuzione forzata.
È appena il caso di osservare che il momento del passaggio in giudicato della pronuncia giudiziale di condanna alla restituzione dei beni occupati rappresenta, per l’amministrazione resistente, l’insuperabile limite temporale per l’adozione di un provvedimento di acquisizione ex art. 42- bis (cfr. Corte Cost. n. 71/2015. cit.).
5.4. Merita altresì di essere accolta la domanda di risarcimento del danno procurato ai ricorrenti dallo spossessamento senza titolo protrattosi a far data dalla scadenza del termine delle occupazioni legittime.
Incontestata sul piano materiale la sussistenza dell’illecito, l’ingerenza nella proprietà altrui in assenza di idoneo titolo fa presumere gli estremi della colpa intesa come scorretta gestione delle procedure ablatorie, mai perfezionate nei confronti dei ricorrenti, in violazione degli obblighi di diligenza ordinariamente esigibili dalle amministrazioni pubbliche, nonché del più generale principio di buon andamento (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2012, n. 5189).
Non ricorre, evidentemente, un’ipotesi di concorso colposo del danneggiato nel verificarsi dell’evento dannoso (l’occupazione abusiva), imputabile in via esclusiva al comportamento dell’amministrazione.
In applicazione analogica di quanto stabilito dal terzo comma del più volte citato art. 42- bis co. 3 D.P.R. n. 327/2001, il danno da occupazione sarà liquidato in misura corrispondente al 5% del valore venale dei suoli occupati per ciascun anno a decorrere dalla scadenza del periodo di occupazione legittima, assumendo quale capitale di riferimento, appunto, il relativo valore di mercato anno per anno. Tale criterio di calcolo identifica il pregiudizio minimo forfettariamente risarcibile che, nelle intenzioni del legislatore, deve presumersi dovuto anche a voler tenere conto del comportamento inerte dei danneggiati, ai sensi dell’art. 1227 co. 2 c.c. (cfr. Cons. Stato, n. 329/2016, cit.).
Le somme così calcolate andranno poi incrementate di interessi e rivalutazione monetaria dovuti dalla data di proposizione del ricorso di primo grado fino alla data di deposito della presente sentenza (Cons. Stato, sez. IV, 29 agosto 2011, n. 4833).
5.4.1. L’accoglimento della pretesa risarcitoria incontra peraltro il limite dell’eccezione di prescrizione sollevato dalla difesa comunale, ed è in ciò che assume autonomo rilievo la prolungata inerzia dei ricorrenti nella tutela dei propri diritti.
Il carattere permanente della condotta illecita dell’amministrazione comporta che il termine di prescrizione della relativa azione risarcitoria riprenda a decorrere da ciascun momento dell'occupazione abusiva, per tutto il tempo in cui questa si protrae (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6012). Ne discende che il risarcimento è dovuto con decorrenza dal 4 ottobre 2006, giacché la prima richiesta di danni rivolta al Comune dai ricorrenti è quella formulata con l’atto di messa in mora pervenuta al Comune il 4 ottobre 2011.
5.4.2. La determinazione del valore venale dei terreni in questione, dato occorrente ai fini della liquidazione del danno risarcibile, deve essere rimessa ad apposita attività istruttoria mediante verificazione. Ai fini della miglior comprensione del quesito da sottoporre al verificatore, formulato come in dispositivo, precisa sin da ora il collegio che il valore venale è quello desumibile dalla destinazione urbanistica dell'immobile come impressa nel corso del tempo dalle scelte di pianificazione territoriale, dovendosi in particolare fare riferimento alla classificazione inserita negli strumenti urbanistici al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio, e non potendo la natura edificatoria essere supposta o fatta discendere dalla prevista realizzazione dell'opera pubblica, così come nessun rilievo è attribuibile alla c.d. edificabilità di fatto dei suoli (fra le molte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2 dicembre 2013, n. 5734;id., 27 settembre 2012, n. 5113).
6. In forza di tutte le considerazioni che precedono, il Comune di Signa deve essere condannato a restituire ai ricorrenti i terreni oggetto di causa e, segnatamente: i terreni identificati come particelle 926,787 e 925 del foglio 16 ai ricorrenti Luciano e D M, e quelli identificati come particelle 924, 1137 e 876 dello stesso foglio 16 alla M Cereali S.p.a., previa riduzione in pristino mediante demolizione delle opere che vi sono state realizzate. Per la particella 1402, la decisione è differita all’esito della verificazione che viene disposta con la presente sentenza non definitiva.
Il Comune resistente deve essere altresì condannato al risarcimento dei danni derivanti dall’abusiva occupazione dei terreni predetti, nella misura che, ancora una volta, verrà stabilita all’esito della verificazione volta a determinare il valore venale di questi ultimi, con decorrenza dal 4 ottobre 2006, nei limiti della prescrizione quinquennale.
Le spese del presente giudizio saranno liquidate al definitivo.