TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2018-05-17, n. 201803247

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VIII, sentenza 2018-05-17, n. 201803247
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201803247
Data del deposito : 17 maggio 2018
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/05/2018

N. 03247/2018 REG.PROV.COLL.

N. 06522/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6522 del 2015, proposto da
A F, rappresentato e difeso dall'avv. C C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Caserta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. L G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e con domicilio eletto presso lo studio dell'avv. F C in Napoli, via Pietro Colletta, n. 12;

e con l'intervento di

ad opponendum:
A M, in proprio ed in qualità di erede di C F, rappresentata e difesa dall'avv. Nicola Gentile, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

“a) della determina 29.9.2015,pervenuta in data 7.10.2015, a firma del Dirigente dell'Area Generale di Coordinamento Territoriale di cui all'epigrafe e del Comune di Caserta;

b) della ulteriore determina, sub. prot. 88432, datata 12/11/2015, sempre a firma del Dirigente della menzionata "Area", determina assunta in data 11/11/2015 e consegnata il giorno 30/11/2015;

b) degli atti tutti connessi in preordine e conseguenza.”


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Caserta;

Visto l'atto di intervento ad opponendum di A M;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2018 la dott.ssa Rosalba Giansante e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il presente ricorso, ritualmente notificato il 1° dicembre 2015 e depositato il 28 dicembre 2015, A F ha chiesto l’annullamento del provvedimento prot. n. 75070 del 29 settembre 2015, pervenuto in data 7 ottobre 2015 (con cui il Comune di Caserta aveva rigettato la richiesta del ricorrente di rimozione in autotutela della determina dirigenziale n. 71353/07, avente ad oggetto “annullamento della concessione edilizia n. 130/03 e PdC 167/06”, e di utilizzazione dei residui termini per la ripresa e l'ultimazione dei lavori), nonché della ulteriore determina adottata in data 11 novembre 2015, prot. n. 88432 del 12 novembre 2015, consegnata il giorno 30 novembre 2015 (con cui il suddetto Comune aveva ribadito quanto già comunicato con la citata nota prot. n. 75070 del 29 settembre 2015).

A sostegno del gravame sono stati dedotti vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

Si è costituito a resistere in giudizio il Comune di Caserta, eccependo l’inammissibilità del ricorso per tardività e per violazione del principio del ne bis in idem , alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, Sezione IV, 27 agosto 2012, n. 4619, passata in giudicato. Ne deduce, inoltre, l’infondatezza e ne chiede, pertanto, il rigetto.

A M, in proprio ed in qualità di erede di C F, ha proposto atto di intervento ad opponendum , in qualità di confinante del ricorrente perché comproprietaria di una quota di fabbricato sito in via A. F n. 8 di Casolla di Caserta. Eccepisce l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio del ne bis in idem , in quanto avente ad oggetto l’annullamento degli stessi provvedimenti sui quali si è formato il giudicato.

Alle camere di consiglio del 10 febbraio e 9 marzo 2016 la causa è stata rinviata e alla camera di consiglio del 4 maggio 2016 parte ricorrente ha rinunciato all'istanza cautelare.

A F, il Comune di Caserta e A M hanno prodotto una memoria ciascuno per l’udienza di discussione.

All’udienza pubblica del 24 aprile 2018 la causa è stata chiamata e assunta in decisione.

Il Collegio deve, preliminarmente, rilevare la tardività del deposito delle tre memorie prodotte da A F, dal Comune di Caserta e da A M per l’udienza di discussione, ai sensi dell’art. 73, comma 1, c.p.a., essendo state prodotte rispettivamente in data 19, 20 e 24 aprile 2018 e, quindi, anche a volerle ritenere note di replica, oltre il termine perentorio previsto di trenta giorni liberi per le memorie e 20 giorni liberi per le note di replica prima dell'udienza di discussione, celebrata il 24 aprile 2018, ed in assenza di prova che la produzione nel termine di legge sia risultata estremamente difficile, come previsto dall’art. 54, comma 1, c.p.a..

A questo riguardo, non può che ricordarsi come la giurisprudenza sia consolidata nel ritenere che i termini fissati dall'art. 73 c.p.a. per il deposito di memorie difensive e documenti abbiano carattere perentorio, in quanto espressione di un precetto di ordine pubblico sostanziale posto a presidio del contraddittorio e dell'ordinato lavoro del giudice, con la conseguenza che la loro violazione conduce alla inutilizzabilità processuale delle memorie e dei documenti presentati tardivamente, da considerarsi tamquam non essent (cfr. ex multis Cons. Stato, Sez. III, 13 marzo 2015, n. 1335, TAR Campania, Napoli, Sezione VI, 11 ottobre 2016, n. 4661).

La giurisprudenza amministrativa, condivisa dal Collegio, ha puntualizzato che, sebbene in generale i termini previsti dall'art. 73 comma 1, c.p.a. per il deposito in giudizio di documenti e memorie siano perentori e, in quanto tali, non possono essere superati neanche ove sussistesse accordo delle parti, tuttavia il loro deposito tardivo deve ritenersi ammesso in via del tutto eccezionale nei casi di dimostrazione dell'estrema difficoltà di produrre l'atto nei termini di legge, così come previsto dall'art. 54, comma 1, dello stesso codice del processo amministrativo (cfr. Cons. Stato, Sez IV, n. 916 del 2013, TAR Campania, Napoli, Sezione VIII, 23 gennaio 2017, n. 450, 28 agosto 2017, n. 4125).

Si prescinde dalle eccezioni di rito sollevate dal Comune di Caserta e da A M essendo il ricorso infondato nel merito.

Con due motivi di ricorso, che si ritiene di poter affrontare in via unitaria, A F ha dedotto le seguenti censure:

A) Violazione e falsa applicazione della L. n. 241/1990, violazione del principio di ragionevolezza ex art. 97 della Cost..

Parte ricorrente premette che con sentenza n. 1136 del 27 febbraio 2009 questa Sezione ha respinto il ricorso dalla stessa proposto avverso il provvedimento prot. gen. n. 71353 del 18 luglio 2007, con cui il Comune di Caserta aveva disposto l’annullamento della concessione edilizia n. 130/03 e del permesso dell’11 luglio 2006, e che tale pronuncia è stata confermata dalla Sezione IV del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4619 del 27 agosto 2012.

Premesso quanto sopra, il F assume l’illegittimità dei provvedimenti impugnati, in quanto, a suo avviso, residuerebbe una capacità volumetrica ed edificatoria, questione non affrontata con la citata sentenza dal Consiglio di Stato.

B) Eccesso di potere per illogicità e manifesta ingiustizia.

Parte ricorrente lamenta la carenza di motivazione e la mancata comunicazione di avvio del procedimento. Chiede altresì, in via istruttoria, una verificazione dello stato dei luoghi e la nomina di un c.t.u. al fine di verificare l’esistenza della residua capacità edificatoria, nonché la condanna dell’amministrazione comunale resistente al risarcimento dei danni, anche di natura morale, sopportati e subendi da egli ricorrente, sotto ogni profilo, danni ed indennizzi che si riserva di documentare specificatamente in corso di causa.

Occorre precisare che, a rigore, se con la richiesta presentata da A F il 31 agosto 2015 e assunta al protocollo comunale del Comune di Caserta n. 66898, il ricorrente si fosse limitato a richiedere la rimozione in autotutela del provvedimento prot. gen. n. 71353 del 18 luglio 2007 (avente ad oggetto “ annullamento della concessione edilizia n. 130/03 e PdC 167/06 ”, già oggetto della sentenza di rigetto di questa Sezione n. 1136/2009, confermata dalla Sezione IV del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4619/2012), il presente ricorso sarebbe stato inammissibile.

Tuttavia, avendo parte ricorrente chiesto anche la rinnovazione dei suddetti titoli edilizi, con l’utilizzazione dei residui termini per la ripresa e l'ultimazione dei lavori, il ricorso deve essere rigettato in applicazione del principio del ne bis in idem .

Prima di esaminare il giudicato intervenuto nel caso di specie, appare opportuna una breve premessa di carattere generale.

Con specifico riferimento al giudicato amministrativo di rigetto, quale quello di cui alla citata sentenza n. 4619/2012 della IV Sezione del Consiglio di Stato, la condivisibile giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1669) ha ritenuto che, da un lato, la pronuncia di rigetto lasci invariato l’assetto giuridico dei rapporti precedente alla radicazione del giudizio;
dall’altro, che anche la portata degli effetti del giudicato di rigetto possano e debbano essere apprezzati in relazione al petitum e alla causa petendi .

Come accade per ogni sentenza, anche in questa tipologia di vicende, strutturalmente orientate al futuro in quanto esprimenti regole da osservare nel caso concreto, la sentenza del giudice amministrativo accerta fatti, situazioni, rapporti ed esprime un giudizio di legittimità o illegittimità sui provvedimenti che li hanno generati e disciplinati.

Il giudicato rende irreversibili accertamenti e giudizi (purchè essi, ovviamente siano stati effettivamente compiuti nella sentenza) e connessi, per il principio della domanda, al petitum sostanziale e alla causa petendi che, nel processo amministrativo, è legata ai motivi di ricorso.

Si deve, infatti, ritenere ormai superato l’orientamento assai risalente, espresso dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (peraltro sempre contrastato dalla dottrina), che tendeva a escludere che sulla sentenza di rigetto potesse formarsi il giudicato sostanziale, proprio sul rilievo che la sentenza non produce effetti modificativi o innovativi rispetto al precedente assetto dei rapporti sostanziali (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 21 febbraio 1997, n. 305, in un caso, peraltro, in cui gli effetti sfavorevoli erano opposti a soggetti estranei alla lite. Cfr. però Consiglio di Stato, sez. V, 23 ottobre 1970, n. 799).

La tesi adottata aveva il pregio pratico di consentire all'Amministrazione di intervenire senza alcun limite e nuovamente sulla situazione in sede di autotutela o comunque in via amministrativa anche dopo il rigetto del ricorso, eventualmente per motivi di equità (cfr. Cons. giust. amm., 4 luglio 1986, n. 97), ma certamente in contrasto con il principio di effettività della tutela, di rango costituzionale ed europeo e incluso ormai espressamente anche tra i principi del processo amministrativo (art. 1 c.p.a.).

La tesi opposta a tale orientamento ormai superato, e prevalente in dottrina, è apparsa, dunque, maggiormente aderente a principi generali in materia di processo, poiché la sentenza di rigetto contiene un accertamento giudiziale della situazione di fatto e di diritto e su questo accertamento non vi è ragione di negare che si formi il giudicato.

Del resto, la sentenza di rigetto deve dare al resistente la stessa utilità che il ricorrente ritrarrebbe dall'accoglimento del ricorso.

Piuttosto è dibattuta, tra i fautori della tesi favorevole, l'ampiezza del giudicato in relazione alla regola del dedotto e deducibile e appare preferibile la tesi di chi precisa che, ad ogni modo, il giudicato non può che formarsi nei limiti dei motivi posti a fondamento della domanda, quantomeno in riferimento al giudicato di rigetto.

Peraltro, anche sotto questo profilo si può incidentalmente registrare un orientamento di maggiore ampiezza adottato dal Consiglio di Stato (v. Sez. IV, 11 marzo 2013, n. 1473), che omologa ancor più il giudicato amministrativo a quello civile;
infatti, è stato affermato in generale che, ai sensi dell'art. 2909 c.c., il giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi ed aventi causa, nei limiti oggettivi costituiti dai suoi elementi costitutivi, ovvero il titolo della stessa azione ed il bene della vita che ne forma oggetto;
entro tali limiti, il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, cioè non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione e di eccezione e, comunque, esplicitamente investite dalla decisione, ma anche le questioni che, pur non dedotte in giudizio, costituiscano un presupposto logico ed indefettibile della decisione stessa, restando salva ed impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e situazioni nuove, verificatisi dopo la formazione del giudicato (in questi termini Consiglio di Stato, sez. V, 8 aprile 2014, n. 1669/2014 cit.).

Passando ad analizzare la fattispecie oggetto di gravame alla luce della sopra richiamata giurisprudenza, va rilevato che, come condivisibilmente sostenuto dal Comune di Caserta e dall’interventore ad opponendum , la questione della residua capacità edificatoria, dedotta da parte ricorrente con l’odierno ricorso, è stata già affrontata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 4619 del 27 agosto 2012, passata in giudicato, laddove ha statuito che “ O, a parte le preclusioni derivanti al riguardo da quanto innanzi esposto al § 4.2. della presente sentenza, va evidenziato che, se dalla nuova tesi sostenuta in questo grado di giudizio dall’appellante questi ricava pure la conseguenza che la sola sua proprietà della particella n. 334/a legittimerebbe il volume da lui realizzato, risulta assorbente in senso contrario la constatazione che, comunque, i germani F Alessandro e F Rosa hanno già consunto l’intera potenzialità edificatoria sulla parimenti allora intera particella n. 334, in dipendenza di quanto già da loro realizzato per effetto della precedente concessione edilizia n. 65 dd. 10 aprile 1979 e della susseguente concessione edilizia in variante n. 180 dd. 4 agosto 1982. Ciò, pertanto, risultava e risulta ex se circostanza preclusiva per il rilascio a F Alessandro di ulteriori titoli edilizi. Né, ovviamente, può rilevare a favore di F Alessandro l’ulteriore circostanza che la zonetta di terreno utilizzata per l’ulteriore edificazione assentita con la concessione edilizia n. 130 del 2003 e il permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006 ad oggi risulti di sua proprietà esclusiva, posto che, solo dopo il rilascio di tali titoli edilizi, F Alessandro ha acquistato da F Rosa, in forza di contratto di compravendita dd. 29 agosto 2007 a rogito del notaio dott. Vincenzo di parte della particella n. 334 frazionata con la particella 5377, su cui insisteva il bagno comune, e quota parte della particella ex n. 333 frazionata con la particella 5376. Tale circostanza infatti non è sanante ex tunc del difetto di legittimazione di F Alessandro a chiedere sia la concessione edilizia n. 130 del 2003, sia il permesso di costruire in sanatoria n. 167 del 2006, i quali, anche per tale (e di per sé assorbente) ragione, per certo non costitutiva di un vizio meramente formale, sono stati doverosamente annullati dall’Amministrazione comunale. ”.

Tali statuizioni non possono più essere rimesse in discussione e, pertanto, i provvedimenti impugnati devono ritenersi legittimamente adottati.

Considerato che in entrambi i provvedimenti impugnati il Comune di Caserta ha richiamato in parte qua la citata sentenza del Giudice d’appello, deve ritenersi che essi siano adeguatamente motivati in quanto indicano in modo chiaro i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria, come prescrive l’art. 3 della legge n. 241 del 1990.

Quanto alla censura con la quale parte ricorrente lamenta la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, tale omissione non inficia comunque la legittimità del provvedimento, in applicazione dell’art. 21 octies, comma 2, secondo periodo, della legge n. 241 del 1990, in quanto l’amministrazione ha dimostrato in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Conclusivamente, per i su esposti motivi, il ricorso deve essere rigettato.

La ritenuta legittimità dell’operato dell’Amministrazione comporta il rigetto della domanda di risarcimento del danno.

Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis , per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

Le spese, secondo il principio della soccombenza, vanno poste a carico di parte ricorrente, nell’importo liquidato nel dispositivo.

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