TAR Reggio Calabria, sez. I, sentenza 2011-03-23, n. 201100211
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N. 00211/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00614/2009 REG.RIC.
N. 00534/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 614 del 2009, proposto da:
Societa' Italservice S.r.l., rappresentata e difesa dall'avv. N C, con domicilio eletto presso N C Avv. in Reggio Calabria, via Possidonea n. 46/B;
contro
U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, n.15;
Leonia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. V B e V M, con domicilio eletto presso Segreteria T.A.R. in Reggio Calabria, viale Amendola, n.8/B;
sul ricorso numero di registro generale 534 del 2010, proposto da:
contro
U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliato per legge in Reggio Calabria, via del Plebiscito, n. 15;Leonia S.p.A., rappresentata e difesa dagli avv. V B e V M, con domicilio eletto presso V B, Avv. in Roccella Ionica, via XXV Aprile n.21 /B;
per l'annullamento
quanto al ricorso n. 614 del 2009:
- del provvedimento a mezzo del quale si comunica la risoluzione del contratto per la fornitura di carburanti adottato dalla Leonia s.p.a. (società a capitale pubblico- privato) in data 9.09.2009 con nota prot. n.912 a firma dell'amministratore delegato Angelo Mannucchi;
- nonchè della nota 63028 del 02.10.2009 emessa dal'Ufficio Territoriale di Governo di Reggio Calabria, con la quale la Prefettura di Reggio Calabria ha comunicato , ai sensi dell'art.10 D.P.R. n.252/98 alla società Leonia S.P.A. la sussistenza del "pericolo di tentativi di infiltrazioni mafiose" nell'ambito della società ricorrente, in relazione alla stipula del contratto per la fornitura di carburanti;
- avverso altresì ogni atto pregresso, collegato e presupposto in quanto diretto ad impedire alla società di poter svolgere attività contrattuale con la P.A.;
quanto al ricorso n. 534 del 2010:
- della informativa antimafia (prot. n. 46352) emessa in data 15/07/2010 dall’Ufficio Territoriale di Governo di Reggio Calabria, con la quale la Prefettura di Reggio Calabria ha comunicato, ai sensi dell’art. 10 D.P.R. n. 252/98, alla società Leonia S.p.A. la sussistenza del “pericolo di tentativi di infiltrazione mafiose nell’ambito della società” ricorrente;
- della nota datata 16/07/2010 a firma del Direttore della società mista Leonia S.p.A., con la quale la medesima società ha comunicato alla società odierna ricorrente la risoluzione del contratto d’appalto a seguito ed in ragione dell’intervenuta informativa prefettizia del 15/07/2010 (prot. n. 46352);
- di ogni atto pregresso, collegato e presupposto in quanto diretto ad impedire alla società odierna ricorrente di poter svolgere attività contrattuale con la P.A. nonché di proseguire nell’attività di somministrazione di forniture in esecuzione del contratto inter partes stipulato con la LEONIA spa;
NONCHE’ PER IL RICONOSCIMENTO
ai sensi e per gli effetti dell’art. 25 legge 241/90 ( ed ogni successiva integrazione e modificazione) del diritto ad ottenere il rilascio delle copie della documentazione posta a base del negativo provvedimento impugnato così come richiesta con istanza del 22 luglio 2010.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria e di Ministero dell'Interno e di Leonia S.p.A. e di U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria e di Leonia S.p.A.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2011 il dott. D Z e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
A seguito di apposita gara pubblica, l’impresa odierna ricorrente si è aggiudicata una gara per l’erogazione di “fornitura di carburante per autotrazione” in favore della società Leonia S.p.A..
La Leonia spa, dopo aver effettuato la verifica in capo alla ricorrente dei requisiti richiesti dal bando, ha avanzato al competente Ufficio Territoriale di Governo richiesta per il rilascio dell’informativa antimafia ai sensi dell’art. 10, D.P.R. n. 252/98. Successivamente, con comunicazione recante data 27 luglio 2009, la Leonia S.p.A. ha aggiudicato definitivamente la gara con conseguente stipula del relativo contratto di fornitura.
In data 2 ottobre 2009, la Prefettura di Reggio Calabria, con nota n. 63028 destinata alla società mista Leonia S.p.A., ha reso informativa interdittiva in relazione alla persona di Fontana Giuseppe, socio della Italservice S.r.l..
In conseguenza di ciò, il successivo 9 ottobre 2009 la Leonia S.p.A., in persona dell’amministratore delegato ha comunicato l’avvenuta risoluzione del contratto di fornitura di carburante ai sensi dell’art. 11, comma terzo del D.P.R. n. 252/98 (nota prot. uscita n. 912).
Avverso gli atti suddetti la Italservice S.r.l. ha proposto ricorso dinanzi al questo Tar (ric. n. 614/09) e, atteso l’intervenuto rigetto della richiesta di sospensiva (ordinanza n. 379/09), ha proposto ricorso in appello (ric. n. 34/2010).
La Sesta Sezione del Consiglio di Stato lo ha accolto, sospendendo gli atti impugnati (con ordinanza n. 543/2010).
In data 15/07/2010, l’Ufficio Territoriale di Governo di Reggio Calabria, “in esito al riesame avviato in ottemperanza alla ordinanza della Sez. Sesta del Consiglio di Stato nr. 543/2010” ha adottato nuova informativa interdittiva nei confronti della società odierna ricorrente.
Ne è seguita la nuova comunicazione di risoluzione del contratto pubblico d’appalto da parte della Leonia S.p.A.
Entrambi tali atti sono stati impugnati con il ricorso n. 534/2010.
I due ricorsi sono stati trattenuti in decisione all’udienza del 10.3.2011.
Preliminarmente i ricorsi nn. 614/2009 e 534/2010 vanno riuniti, stante l’evidente connessione soggettiva e oggettiva.
In relazione al primo ricorso va dichiarata la sopravvenuta carenza di interesse.
Con esso, infatti, la società ricorrente impugna la prima nota interdittiva della Prefettura e il conseguente atto di risoluzione contrattuale della Leonia Spa.
In relazione a tale ricorso ritiene il Collegio che sia cessato l’interesse, in quanto dall’accoglimento del gravame la ricorrente non trarrebbe alcuna utilità, essendo intervenute una successiva informativa ed una nuova risoluzione autonomamente lesive (che risultano gravate con il successivo ricorso n.534/2010, riunito al prececente).
Infatti, all’esito dell’ordinanza cautelare di accoglimento del Consiglio di Stato n. 543/2010, come già indicato, sono stati adottati ulteriori e diversi provvedimenti rispettivamente interdittivi e di risoluzione contrattuale.
Di tali atti, come si preciserà meglio nel corso della parte motiva (v. seconda censura), va esclusa la natura meramente esecutiva dell’ordinanza cautelare.
L’onere conformativo di quest’ultima imponeva all’amministrazione di tenere conto del principio di diritto espresso con il dictum cautelare, consentendo – ed anzi imponendo – di rideterminarsi in merito, senza imporre (se non il rispetto del principio di diritto enunciato) alcunché in ordine al contenuto decisionale dei provvedimenti.
Di tale discrezionalità hanno fatto uso la Prefettura e la Leonia Spa, rideterminandosi, in modo ulteriore rispetto al dictum cautelare, in senso negativo.
Pertanto, l’informativa interdittiva e la conseguente risoluzione successivamente intervenute vanno considerate esecutive dell’ordinanza sospensiva soltanto nella parte in cui rendono più completo l’iter motivazionale, mentre sfuggono a tale qualificazione nella parte squisitamente decisionale.
Esclusa per la nuova informativa la natura meramente esecutiva, deve ad essa riconoscersi da un lato l’idoneità a superare il precedente atto impugnato con il primo ricorso (implicitamente rimuovendolo e sostituendolo) e dall’altro la natura autonomamente lesiva.
L’esame delle doglianze fatte valere con il secondo ricorso esaurisce e soddisfa, pertanto, l’interesse della società ricorrente ed è su di esse che il Collegio intende soffermarsi, esaminandole distintamente e indicando di seguito a ciascuna di esse le ragioni della decisione.
Preliminarmente, però, deve darsi atto della cessazione della materia del contendere in merito alla domanda di ostensione degli atti infraprocedimentali posti a fondamento di quelli lesivi impugnati con il secondo ricorso, atteso che in fase cautelare il Collegio ne ha richiesto la trasmissione con ord. n. 246/2010 e l’incombente istruttorio è stato pienamente ottemperato dalla locale Prefettura, sicché questi risultano ormai pienamente in possesso della parte.
Con le prime tre censure la Italservice srl impugna l’informativa prefettizia prot. n. 46352 del 15/07/2010 (le altre doglianze, invece, sono dedicate all’atto di risoluzione contrattuale).
Con il primo motivo di ricorso ne deduce la illegittimità, in quanto l’atto sarebbe stato adottato in assenza di una espressa e nuova richiesta della stazione appaltante, e per ciò in violazione della normativa di settore e del prescritto iter procedimentale che non contempla l’inizio officioso.
La doglianza è infondata.
Come chiarito nella sintetica indicazione dello svolgimento del processo, l’informativa antimafia prot. n. 46352 del 15/07/2010, con la quale la Prefettura di Reggio Calabria ha rinnovato le proprie determinazioni sul punto, è stata adottata all’esito della fase cautelare d’appello, conclusasi con ordinanza di accoglimento del Consiglio di Stato.
Attesa la natura strumentale del provvedimento cautelare, non può che riconoscersi ad esso la funzione di anticipare gli effetti di una eventuale pronuncia di annullamento che, come è noto, avrebbe determinato l’eliminazione ex tunc dei provvedimenti impugnati con il ricorso n. 614/2009, fatte salve le fasi procedimentali esenti da censure.
Nel caso di specie, è evidente che le doglianze ritenute fondate in fase cautelare dal Giudice di appello attengono solo all’esercizio del potere da parte della Prefettura, senza in alcun modo tangere l’originaria istanza della stazione appaltante.
Pertanto, trattandosi di riedizione del potere a seguito di intervento giurisdizionale incidente solo su tale fase procedimentale, vale e resta efficace la originaria richiesta, senza necessità che l’atto di avvio procedimentale fosse nuovamente adottato.
Con la seconda doglianza la società ricorrente deduce l’insussistenza di elementi sopravvenuti rispetto alla prima informativa, idonei a giustificare l’adozione di un nuovo provvedimento interdittivo, rilevando altresì che, stante il dictum dell’ordinanza cautelare del Giudice di Appello, non sussisteva alcun obbligo di riesame.
Il rilievo non è fondato.
L’esame della doglianza presuppone l’esatta individuazione del contenuto precettivo dell’ordinanza cautelare del Consiglio di Stato n. 543/2010 e dell’effetto conformativo che ne è derivato.
Nel sospendere gli atti impugnati, il Giudice di Appello ha motivato la pronuncia rilevando la insufficienza del mero rapporto parentale del socio Fontana con il padre, in assenza di ulteriori elementi gravemente indizianti, restando parimenti irrilevante la gestione economica di una società con gli altri fratelli.
L’effetto conformativo della pronuncia, pertanto, si sostanzia nell’enunciazione del principio di diritto dell’insufficienza dei meri rapporti parentali, in assenza di ulteriori elementi, idonei a giustificare l’informativa interdittiva (principio, peraltro, totalmente condiviso e costantemente applicato dal Collegio), e nel conseguente divieto di adottare una nuova informativa sulla scorta di tali soli elementi.
Il divieto, tuttavia, non si estende alla rivalutazione della posizione della società, atteso, comunque l’onere della Prefettura locale di concludere il procedimento avviato dalla richiesta della stazione appaltante con un provvedimento espresso (positivo o negativo), imposto dall’art. 2 l. 241/90.
Pertanto, “azzerata” in sede cautelare la precedente fase decisionale, l’UTG aveva non solo la facoltà, ma l’obbligo di ripronunciarsi sulla posizione della società, applicando il principio enunciato dal Consiglio di Stato.
Dunque, l’obbligo di ripronunciarsi sussisteva, purché improntato ai canoni interpretativi indicati dal Giudice di appello cautelare, e tanto ha fatto la locale Prefettura.
Su queste precisazioni si inserisce il nodo fondamentale della doglianza, rappresentato dall’inesistenza di elementi diversi da quelli già presi in considerazione nell’adottare la prima informativa interdittiva prot. 63028 del 02.10.2009.
Tale profilo merita un chiarimento, anche perché esso è stato posto a fondamento della successiva pronuncia cautelare di questo Tar n. 280/2010, che ha sospeso la nuova informativa interdittiva e gli atti conseguenti, ritenendo di adeguarsi all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con l’ord. cautelare n.543/2010.
In punto di fatto la nota nr. 0027038/4-5 del 17.5.2010 del Comando Provinciale dei CC di Reggio Calabria (adottata a seguito del nuovo procedimento scaturito dall’ordinanza cautelare di appello) evidenzia novità di scarso rilievo rispetto alla pregressa nota nr. 0027038/1-8 del 23.4.2009 (posta a fondamento della prima informativa): essa dettaglia meglio la posizione e la caratura del padre di F G C (socio della società ricorrente) - la cui contiguità ad ambienti criminali aveva già dato adito al primo provvedimento poi sospeso - e aggiunge che F G C (cioè il socio) è anche nipote di C F, cl.53, denunciato per favoreggiamento del “Supremo”, associazione a delinquere di stampo mafioso, rapina ed estorsione.
Non ci sono, dunque, sopravvenute circostanze di particolare consistenza che “colorano” la figura del socio.
Prendendo atto di ciò e tenuto conto dell’orientamento espresso dal Consiglio di Stato, il Collegio ha ritenuto di adeguarsi alle indicazioni del Giudice di appello, considerando poco producente, in fase cautelare, seguire un diverso orientamento, giustificabile solo con una motivazione articolata, propria della fase di merito, come si intende fare in questa sede.
Con il che si viene alla terza e fondamentale censura, vero punto nodale della decisione, con cui si lamenta l’erroneità del contenuto decisionale della seconda informativa, in quanto l’unico elemento di rilievo sarebbe rappresentato dal rapporto parentale di F G C (socio della società ricorrente) con il padre, privo di ulteriori elementi indizianti e già valutato in senso negativo dal Giudice di Appello.
Per esaminare la doglianza occorre in primo luogo sgomberare il campo da elementi fuorvianti rispetto al nucleo fondamentale del provvedimento prefettizio, con riferimento alla ritenuta rilevanza di comunanza di interessi economici con i fratelli di F G C.
I fratelli, tranne uno arrestato per favoreggiamento del padre, non risultano avere cointeressenze con ambienti criminali, sicché tale dato è del tutto ininfluente.
Parimenti su Surace Giuseppina (altra socia e moglie di Fontana Giuseppe) non ci sono elementi.
Ugualmente è a dirsi per il precedente penale di Fontana Giuseppe, la cui natura (furto) non può renderlo rilevante in questa sede.
E’, pertanto, il genitore ad avere un ruolo fondamentale nella motivazione del provvedimento impugnato.
Tanto chiarito, occorre passare a riassumere brevemente il quadro di fatto delineato dagli accertamenti del Comando Provinciale dei CC di Reggio Calabria con la nuova nota nr. 0027038/4-5 del 17.5.2010.
Il socio F G C è figlio di Fontana Giovanni.
Quest’ultimo in particolare:
• è stato reiteratamente sottoposto a sorveglianza speciale di PS (l’ultima è del 2007, la prima del ‘76);
• è stato sottoposto due volte a libertà vigilata;
• è stato destinatario di decreto di sequestro in sede di misure di prevenzione (unitamente a moglie e altro figlio) quale terzo interessato (il che sta a significare che si prestava all’intestazione fittizia);
• vanta una serie cospicua di denunce per reati gravi quale omicidio e associazione ex art. 416 bis c.p.;
• è stato testimone di nozze di P C, detto il “Supremo” (elemento per lungo tempo latitante, di recente assicurato alla giustizia e considerato uno dei capi indiscussi della criminalità reggina);
• è parente (cugino di I° o secondo grado) di ben 9 soggetti ritenuti inseriti nella stessa cosca.
Pertanto, che questo sia soggetto a pieno titolo gravitante nell’ambito di una delle più pericolose e potenti cosche reggine è dato non revocabile in dubbio.
Ma come correttamente rilevato dal Giudice di Appello, ciò non è sufficiente.
Su questa circostanza meramente anagrafica, tuttavia, si inserisce un ulteriore elemento debitamente indicato nella seconda informativa e non presente nella prima, rappresentato dalla residenza di entrambi i soggetti nello stesso stabile.
Ciò evidenzia che alla discendenza anagrafica si aggiunge una contiguità di vita (sia pure interrotta dai periodi di latitanza), sintomatica della vicinanza tra i due soggetti e dell’assenza di una netta risoluzione dell’affectio che il legame di sangue reca con sé.
In altri termini, nulla lascia pensare che il figlio abbia voluto prendere nette distanze dall’ambiente criminale in cui si inserisce la famiglia di origine.
A questo dato si aggiunge un altro elemento, chiarito nella relazione della stessa Prefettura, prodotta in occasione degli adempimenti istruttori disposti dal Collegio ( prot. uscita 8.9.20101 n. 0056120), rappresentato dal fatto che C M, madre del socio F G C, è a sua volta cugina di I° grado di P C, detto il “Supremo”.
Il motivo per cui tale circostanza non sia stata specificata negli atti endoprocedimentali o nella nota interdittiva sfugge al Collegio.
Infine, Fontana Giuseppe (cioè il socio) è a sua volta nipote di altro Condello, favoreggiatore del “Supremo” e denunciato per il reato di cui all’art. 416 bis cp, e altri gravi reati.
In termini estremamente sintetici a carico del socio emerge:
- un vincolo parentale e di contiguità con il padre che è persona vicinissima ad ambienti mafiosi;
- un vincolo parentale e di contiguità con la madre, parente prossima con un boss il cui nome non merita ulteriori commenti;
- un ulteriore rapporto di parentela con uno zio anch’egli inserito nello stesso ambiente criminale;
sicchè il quadro a suo carico è quello di soggetto con pluralità di vincoli parentali con più soggetti inseriti nella stessa cosca mafiosa.
La rilevanza di tali circostanze è stata già esaminata da questo Tar in altre pronunce (v. sent. nn.. 77 del 01/02/2011 e 158 del 02/03/2011) alle quali espressamente si rinvia.
Conclusivamente, ad avviso del Collegio, la Prefettura ha correttamente operato nel ritenere sussistente il tentativo di infiltrazioni mafiose nella società in esame. La censura è, pertanto, infondata.
Restano da esaminare le doglianze mosse contro l’atto di risoluzione del contratto.
Evidentemente alla reiezione delle censure avverso l’informativa prefettizia consegue il rigetto della doglianza di invalidità derivata con effetto caducante nei confronti dell’atto della stazione appaltante.
Con le ulteriori due censure, invece, si denunciano vizi propri della nota della Leonia spa.
La società ricorrente sostiene in particolare che, in violazione del disposto di cui all’art. 11 dpr 258/92, la società mista reggina non avrebbe effettuato alcuna valutazione discrezionale in merito all’interesse pubblico alla prosecuzione del rapporto contrattuale già instaurato ed in fase di esecuzione, addivenendo in modo del tutto automatico alla risoluzione del contratto, difformemente da quanto previsto dalla normativa di settore che, in caso di informativa successiva attribuirebbe alla stazione appaltante una facoltà di revoca e non un obbligo in tal senso.
Deduce con l’ultimo motivo di ricorso il conseguente difetto di motivazione, non essendo state esplicitate compiutamente le ragioni dell’avvenuta comparazione tra il pubblico interesse alla prosecuzione del rapporto e quello di evitare ogni rapporto contrattuale con imprese in odore di mafia.
Anche tali doglianze non sono fondate.
La giurisprudenza ha chiarito che l'unico spazio di un possibile margine di discrezionalità della stazione appaltante destinataria dell'informazione può rinvenirsi nella valutazione della convenienza per l'amministrazione e nell'opportunità per l'interesse pubblico della prosecuzione del rapporto contrattuale già in corso di svolgimento.
Tale valutazione è possibile solo allorché il rapporto contrattuale sia in corso di esecuzione già da un cospicuo lasso di tempo e sussistano concrete ragioni che rendano del tutto sconveniente per l'amministrazione l'interruzione della fornitura, del servizio o dei lavori che formano l'oggetto del contratto revocando.
Solo stringenti ragioni di interesse pubblico a non interrompere un servizio essenziale, difficilmente rimpiazzabile in temi rapidi, o a completare un'opera in corso di ultimazione, et similia, potrebbero invero giustificare il sacrificio del prevalente (di regola) interesse pubblico alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica che presiede ai poteri interdittivi antimafia.
E ciò comporta che la motivazione dovrà essere ampia a supporto della determinazione di proseguire il rapporto in funzione dell'esistenza di dette circostanze, ma non per l'opposto caso in cui, in assenza di queste ultime, non vi siano ragioni per vanificare la portata informativa interdittiva. In quest'ultima ipotesi, invero, a giustificare l'adozione del provvedimento è sufficiente il rinvio alla stessa informativa (v. T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 31 gennaio 2005 , n. 574 e T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 08 luglio 2010 , n. 16618).
In altri termini, posto che è evidente il profilo negativo per l’interesse pubblico dell’avere rapporti contrattuali con imprese esposte a rischi di condizionamenti mafiosi (principio che si pone come regola dell’agire amministrativo), la previsione della facoltà di recesso (che rappresenta, pertanto, un’eccezione) è giustificata dalla necessità di consentire all’amministrazione di non recedere, soltanto se l’interesse a mantenere il contratto è ritenuto prevalente. E’ su ciò, quindi, che si appunta l’onere motivazionale, in quanto, a fronte dell’interesse primario a non intrattenere rapporti negoziali con imprese potenzialmente influenzabili dalle organizzazioni criminali, la p.a. dovrà spiegare se vi siano prevalenti ragioni per mantenerli.
Ciò posto, nel caso di specie il contratto del cui recesso si discute è di fornitura di carburanti.
Si tratta, pertanto, di contratto di somministrazione di un bene fungibile e facilmente reperibile sul mercato. Peraltro, il bene oggetto di fornitura non è caratterizzato dall’intutitus personae del fornitore, in quanto non si richiedono particolari capacità tecniche perconseguire l’oggetto del contratto (diversamente da quanto può avvenire per la realizzazione di opere pubbliche).
In altri termini il subentro nella posizione del contraente pretermesso appare, in assenza di particolari ragioni non evidenziate né dalla ricorrente né dalla stazione appaltante, di piana realizzazione.
In tale ottica non si vede quali particolari e preminenti ragioni avrebbe potuto far valere la Leonia Spa per non recedere dal contratto.
Conclusivamente se la facoltà di risoluzione contrattuale e la conseguente esclusione di ogni automatismo in merito è funzionale a consentire alla stazione appaltante di apprezzare l’interesse pubblico alla prosecuzione del contratto, laddove vi siano stringenti ragioni di interesse pubblico in tal senso, deve rilevarsi che nel caso di specie tali ragioni non sono apprezzabili, sicché non vi è alcuna ragione per escludere il recesso dal vincolo contrattuale di fronte alla seconda informativa prefettizia.
Il ricorso n. 534/2010 va, pertanto, nel complesso respinto.
In ragione dell’andamento complessivo della controversia, le spese possono essere compensate