TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2017-09-20, n. 201709854

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2017-09-20, n. 201709854
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201709854
Data del deposito : 20 settembre 2017
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 20/09/2017

N. 09854/2017 REG.PROV.COLL.

N. 00039/2017 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 39 del 2017, proposto da:
Comune di Mazzarrone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato A B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. M F in Roma, via Mecenate 77;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Ministero dell'Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Comune di Modica;

per l'annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

del decreto del 11.10.2016 del Direttore della Direzione Centrale della Finanza Locale, Dipartimento degli Affari Interni e Territoriali del Ministero dell'Interno, e del relativo Allegato A (determinazione sanzioni patto di stabilità 2015), pubblicato sul sito internet finanzalocale.interno.it con il comunicato del 12 ottobre 2016, nella parte di cui viene disposta in danno del Comune di Mazzarrone la sanzione di euro 290.100,00 per violazione del patto di stabilità anno 2015;

di ogni altro atto - anche sconosciuto - preparatorio, presupposto connesso e consequenziale a quelli espressamente impugnati;

e comunque per la condanna anche ai sensi dell'art. 34, 1° comma, lett. c), del D.Lgs. n. 104/2010, anche in sede cautelare (art. 55, 1° comma, CPA), all'immediata erogazione in favore del comune di Mazzarrone di quanto illegittimamente trattenuto in sede di minori trasferimenti erariali in applicazione dell'impugnata sanzione per violazione del patto di stabilità 2015: euro 290.100,00;

in via gradata, si chiede a codesto Ecc.mo Tribunale di sospendere il presente giudizio, anche con la contestuale sospensione dei provvedimenti impugnati ed altresì anche con la condanna in via cautelare alla restituzione delle somme illegittimamente trattenute, e di sollevare una o più delle seguenti questioni di legittimità costituzionale:

- questione di legittimità costituzionale dell'art. 13 del D.Lgs. n. 149/2011 per violazione del principio di ragionevolezza;

- questione di legittimità costituzionale dell'art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011, per violazione degli artt. 14, lett. o), 15 (commi 2 e 3), 36, 37, 38 e 43 dello Statuto regionale siciliano, approvato con R.D.L. n. 455/1946 e convertito in legge costituzionale n. 2/1948, nonché per violazione del principio di ragionevolezza;

- questione di legittimità costituzionale dell'art. 31, comma 20, della legge n. 183/2011, per violazione del principio di ragionevolezza e dell'art. 3 Cost.;

- questione di legittimità costituzionale dell'art. 31, comma 20 bis, della legge n. 183/2011, per violazione del principio di ragionevolezza.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 giugno 2017 la dott.ssa F P e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con decreto dell’11 ottobre 2016, pubblicato sul sito internet finanzalocale.interno.it, e successivo comunicato del 12 ottobre 2016 dal 12/10/16, il Ministero dell’Interno ha applicato nei confronti del Comune di Mazzarrone la sanzione per il mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo all’anno 2015.

In particolare, l’art. 1 del decreto impugnato ha disposto: “I comuni indicati nell’allegato A, che forma parte integrante e sostanziale del presente decreto, non rispettosi del patto di stabilità interno 2015, sono assoggettati alla sanzione, per l’importo a fianco di ciascuno indicato, determinato in misura pari al 30 per cento della differenza tra saldo obiettivo del 2015 ed il saldo finanziario conseguito nello stesso anno, come ridotto, fino alla concorrenza, dell’importo pari alla spesa per edilizia scolastica sostenuta nel corso dell’anno 2015, non già oggetto di esclusione dal patto di stabilità interno”.

Nell’All. A di tale decreto (anch’esso impugnato), contenente l’elenco dei comuni destinatari della suddetta sanzione oltre che l’importo della sanzione stessa, risulta essere stato inserito anche il Comune ricorrente, destinatario di una sanzione pari ad Euro 290.100,00.

Con il presente ricorso il Comune di Mazzarrone ha impugnato il menzionato decreto, con il relativo allegato A, deducendo i seguenti motivi di diritto:

I) Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 149/2011 - violazione e falsa applicazione dell’art. 27 della legge n. 42/2009 - violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge n. 689/1981.

La sanzione censurata si fonda sull’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2001, ma, quanto alla decorrenza ed alle modalità di applicazione della stessa, essa avrebbe dovuto essere stabilita sulla base del vigente art. 13 del D.Lgs. n. 149/2011, secondo le procedure di cui all’art. 27 della legge n. 42/2009, che prevede che le autonomie speciali concorrono al patto di stabilità interno sulla base del principio dell'accordo «secondo criteri e modalità stabiliti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti».

In particolare, l’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011 riproduce fedelmente il testo dell’art. 7, comma 2, lett. a), del D.Lgs. n. 149/2011, attuativo della legge n. 42/2009, dichiarato incostituzionale per eccesso di delega (sentenza della Corte costituzionale n. 219/2013), mentre nella medesima sentenza l’art. 13 del D.Lgs. n. 149/2011, tuttora vigente, è stato ritenuto dalla Corte costituzionale presidio di garanzia a tutela delle Regioni a statuto speciale e dei loro Enti territoriali. Non rileverebbe la circostanza che quest’ultima disposizione si riferisce testualmente alle “disposizioni di cui al presente decreto legislativo”, in quanto l’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2001 ha identico contenuto e testo dell’art. 7, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 149/2011.

Pertanto i provvedimenti impugnati sarebbero illegittimi, per violazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 149/2011, ai sensi del quale nessuna sanzione per violazione del patto di stabilità può essere comminata nei confronti di alcun Ente locale siciliano, come il Comune ricorrente, in assenza del completamento delle procedure pattizie di cui all’art. 27 della legge n. 42/2009.

II. Violazione degli artt. 243-bis e 227 del d.lgs. 267/2000, eccesso di potere per difetto di istruttoria e per travisamento dei fatti.

II.A. Il Comune di Mazzarrone, essendo sottoposto alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale, ai sensi dell’art. 243-bis del TUEL fruisce della sospensione delle procedure esecutive fino alla definitiva approvazione del piano di riequilibrio da parte della Corte dei Conti.

L’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011, avrebbe dovuto essere applicato in combinato disposto con le richiamate disposizioni del TUEL. La sanzione oggi impugnata, al contrario, non ha tenuto conto di tale evidenza normativa e, in tal guisa, ha violato o comunque eluso il divieto posto dall’art. 243 bis del TUEL.

Ove invece non si volesse seguire la prospettata interpretazione, ne conseguirebbe un ulteriore profilo di illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011 (v. infra, par. VI.A.).

II.B. L’art. 31, comma 20, della legge n. 183/2011 prevede che “Ai fini della verifica del rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno, ciascuno degli enti di cui al comma 1 è tenuto a inviare (…) una certificazione del saldo finanziario”, ma tale disposizione andrebbe letta in combinato disposto con l’art. 227 del T.U.E.L., secondo cui: “La dimostrazione dei risultati di gestione avviene mediante il rendiconto della gestione, il quale comprende il conto del bilancio, il conto economico e lo stato patrimoniale (…) Gli enti locali di cui all'articolo 2 inviano telematicamente alle Sezioni enti locali il rendiconto completo di allegati, le informazioni relative al rispetto del patto di stabilità interno, nonché i certificati del conto preventivo e consuntivo”.

Nel caso di specie, invero, il Comune ricorrente ha inviato al Ministero competente dati meramente provvisori in quanto, all’epoca dell’accertamento della violazione del patto di stabilità, non aveva ancora approvato il bilancio consuntivo 2015.

Pertanto la sanzione impugnata sarebbe stata adottata sulla base di una istruttoria incompleta in quanto basata su una “certificazione” necessariamente provvisoria e suscettibile di forti modifiche.

Allo stesso modo, una diversa interpretazione delle norme citate comporterebbe l’illegittimità costituzionale dell’art. l’art. 31, comma 20, della legge n. 183/2011 (v. infra, par. VI.B.).

II.C. L’art. 31, comma 20 bis, del D.Lgs. n. 183/2011, prevede l’invio di una nuova certificazione, a rettifica della precedente, in caso di peggioramento della situazione dell’ente rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno, di tal che avrebbero dovuto essere considerati, prima dell’irrogazione della sanzione, sia eventuali peggioramenti, che i miglioramenti che sarebbero potuti derivare dal piano di riequilibrio.

III. Domanda di condanna ai sensi dell’art. 34 lett. c) del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104/2010).

Posto che la sanzione ai danni del comune ricorrente è stata già applicata attraverso un minore trasferimento erariale in sede di erogazione del fondi di solidarietà comunale, per una cifra corrispondente all’importo della sanzione impugnata, il comune di Mazzarrone ha chiesto altresì, contestualmente all’annullamento dei provvedimenti impugnati, la condanna dell’Amministrazione dell’Interno resistente al trasferimento in proprio favore della somma illegittimamente trattenuta pari ad euro 290.100,00.

IV. In via subordinata: illegittimità costituzionale dell’art. 13 del d.lgs. n. 149/2011 per violazione del principio di ragionevolezza.

La legittimità dei provvedimenti impugnati potrebbe unicamente derivare dalla non applicabilità al caso di specie dell’art. 13 del d.lgs. n. 149/2011, a sua volta possibile solo con una lettura formalistica della disposizione in esame, la cui sfera di operatività verrebbe limitata alle sole previsioni del d.lgs. n. 149/2011, ma ciò sarebbe irragionevole.

V. sempre in via subordinata: illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011.

La disciplina ‘unilaterale’ statale del patto di stabilità e delle sue violazioni anche in relazione agli Enti locali siciliani mortificherebbe la competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana in materia di ‘regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative’ nonché di ‘circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali’, come sancita dall’art. 14, lett. o), e dall’art. 15, 3° comma, dello Statuto regionale siciliano, approvato con R.D.L. n. 455/1946, convertito in legge costituzionale n. 2/1948.

In particolare:

V.A) Violazione dell’art. 14, lett. o), dell’art. 15, commi 2 e 3, degli artt. 36, 37, 38 e 43 dello Statuto regionale siciliano, approvato con R.D.L. n. 455/1946, convertito in legge costituzionale n. 2/1948.

Posto che la competenza legislativa esclusiva in materia di ‘regime degli Enti locali e delle circoscrizioni relative’, nonché di ‘circoscrizione, ordinamento e controllo degli enti locali’ è attribuita al legislatore siciliano dall’art. 14, lett. o), e dall’art. 15, 3° comma, dello Statuto speciale ed altresì che, ai sensi dell’art. 15, comma 2, dello Statuto siciliano, “l’ordinamento degli enti locali si basa nella Regione stessa sui Comuni e sui liberi Consorzi comunali, dotati della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria”, si dovrebbe concludere nel senso di riconoscere una competenza legislativa esclusiva in materia di finanza locale in capo alla Regione Siciliana.

Ne deriverebbe l’incostituzionalità dell’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011, che invaderebbe illegittimamente le competenze esclusive della regione Siciliana.

V.B) Violazione dell’art. 43 dello Statuto regionale siciliano, approvato con R.D.L. n. 455/1946, convertito in legge costituzionale n. 2/1948.

Ai sensi della menzionata disposizione, “una Commissione paritetica di quattro membri nominati dall’Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato, determinerà (..) le norme per l’attuazione del presente Statuto”, per cui avrebbe dovuto essere tale Commissione a determinare la norma in base alla quale gli Enti locali siciliani avrebbero potuto essere sanzionati per violazione del patto di stabilità.

VI) Ancora in via subordinata: illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011;
illegittimità costituzionale dell’art. 31, commi 20 e 20 bis della l. n. 183/2011.

VI.A) Ove non si accedesse all’interpretazione prospettata con i primi due motivi di ricorso, ne conseguirebbe l’illegittimità delle norme citate e delle sanzioni applicate senza tener conto dell’adozione del piano di riequilibrio e del conseguente blocco delle procedure esecutive.

VI.B) Allo stesso modo le norme citate sarebbero incostituzionali ove interpretate nel senso che le sanzioni potrebbero essere adottate sulla base dei dati provvisori ed incerti inviati all’esito dell’adozione del piano di riequilibrio.

VI.C) Infine, l’art. 31, comma 20 bis, della l. n. 183/2011 sarebbe illegittimo ove interpretato in modo da poter essere applicato senza tener conto degli eventuali miglioramenti della situazione finanziaria dell’ente prodotti dalla procedura di riequilibrio.

Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistendo al ricorso.

Con ordinanza n. 855 del 21.2.2017, questa Sezione, ritenuto che gli interessi della parte ricorrente potessero essere adeguatamente tutelati, nel caso di specie, mediante la sollecita fissazione dell’udienza di discussione nel merito, ha rinviato il ricorso ai sensi dell’art. 55, comma 10, c.p.a., alla pubblica udienza del 20 giugno 2017, nella quale il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in esame il Comune ricorrente censura il decreto del Ministero dell’Interno dell’11.10.2016, e il relativo Allegato A (determinazione sanzioni patto di stabilità 2015), nella parte di cui viene disposta in danno del Comune di Mazzarrone la sanzione di euro 290.100,00 per violazione del patto di stabilità anno 2015.

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.

La sanzione qui censurata è stata comminata ai sensi dell’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011, nella misura individuata dall’art. 1, comma 7, del d.l. n. 78/2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 125/2015, e tenendo conto delle modifiche normative intervenute per effetto dell’art. 1, comma 380, della legge n. 228/2012.

Occorre in primo luogo richiamare il citato art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011, il quale recita così: “In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno, l’Ente locale inadempiente, nell’anno successivo a quello dell’inadempienza…è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l’obiettivo programmatico predeterminato. Gli enti locali della Regione siciliana e della regione Sardegna sono assoggettati alla riduzione dei trasferimenti erariali nella misura indicata al primo periodo. In caso di incapienza dei predetti fondi gli enti locali sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato le somme residue.”.

L’art. 1, comma 380, della legge n. 228/2012 ha previsto, tra l’altro, l’istituzione del Fondo di solidarietà comunale, alimentato con una quota dell’imposta municipale propria, di spettanza dei Comuni, e la contestuale soppressione del fondo sperimentale di riequilibrio, nonché dei trasferimenti erariali a favore dei Comuni della Regione Siciliana e della Regione Sardegna, limitatamente alle tipologie di trasferimenti fiscalizzati.

Per i Comuni siciliani, come quello ricorrente, la sanzione de qua comporta una riduzione della quota di spettanza del Fondo di solidarietà comunale, essendo stati aboliti i trasferimenti erariali, e, ove sussista un’incapienza di detto fondo, il pagamento al bilancio dello Stato delle somme residue.

Quanto alla misura della sanzione, secondo il menzionato art. 1, comma 7, del d.l. n. 78/2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 125/2015, “nel 2015, ai comuni che non hanno rispettato nell’anno 2014 i vincoli del patto di stabilità interno, la sanzione prevista dall’articolo 31, comma 26, lettera a), della legge 12 novembre 2011, n. 183, ferme restando le rimanenti sanzioni, si applica nella misura pari al 20 per cento della differenza tra saldo obiettivo del 2014 ed il saldo finanziario conseguito nello stesso anno.”.

Come già evidenziato in casi analoghi da questo Tribunale, con le sentenze nn. 922, 1478 e 1524 del 2017, il decreto impugnato col presente ricorso costituisce pedissequa applicazione delle norme sopra riportate, che cita nelle premesse.

Deve ribadirsi che, in particolare, il richiamato art. 31, comma 26, lett. a), in concreto applicato, prevede espressamente che anche gli Enti locali della Regione siciliana, quale è il Comune ricorrente, siano assoggettati alla sanzione in parola.

Nessuna rilevanza ai fini di una possibile non applicabilità della menzionata disposizione ha la circostanza, evidenziata in ricorso, che essa riproduce il testo dell’art. 7, comma 2, del d.lgs. n. 149/2011, dichiarato incostituzionale con sentenza n. 219/2013. Deve, infatti, precisarsi al riguardo che l’incostituzionalità è stata dichiarata solo con riferimento al parametro dell’art. 76 Cost., per eccesso di delega, in quanto l’ambito applicativo della delega data con la legge 42/2009 era limitato alle disposizioni di cui agli articoli 15, 22 e 27.

Naturalmente la questione risulta del tutto superata mediante l’adozione di una legge ordinaria, come accaduto nella specie.

Né può fondatamente ritenersi qui applicabile l’art. 13 del menzionato d.lgs. n. 149/2011, nel testo risultante a seguito della sua parziale incostituzionalità, dichiarata sempre con la sentenza della Corte costituzionale n. 219/2013.

Il comma 1 di tale disposizione, attualmente ancora vigente, recita così: “La decorrenza e le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, nonché nei confronti degli enti locali ubicati nelle medesime Regioni a statuto speciale e Province autonome, sono stabilite, in conformità con i relativi statuti, con le procedure previste dall'articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e successive modificazioni.”.

Tuttavia dalla sua lettura si desume in modo chiaro che il suo ambito applicativo è circoscritto alle disposizioni dello stesso d.lgs. n. 149/2011 e non è, perciò, possibile estendere la portata al di fuori della previsione del legislatore, includendovi la disciplina prevista da altro intervento normativo, quale quella di cui al d.lgs. 183/2011.

Ne deriva che correttamente è stato applicato in via diretta il suindicato art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011.

Il Collegio deve ora farsi carico di vagliare le questioni di legittimità costituzionale sollevate in via subordinata nel presente ricorso.

In proposito occorre preliminarmente porre in rilievo che la sanzione qui in esame va inquadrata all’interno della più ampia previsione di cui all’art. 31 della legge n. 183/2011, che, al comma 1, prevede: “Ai fini della tutela dell’unità economica della Repubblica, le province e i comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti e, a decorrere dall'anno 2013, i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti, concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto delle disposizioni di cui al presente articolo, che costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica ai sensi degli articoli 117, terzo comma, e 119, secondo comma, della Costituzione.”.

Perciò essa rientra nel carattere unitario degli obiettivi di finanza pubblica, anche nel rispetto degli obblighi assunti dallo Stato italiano nell’Unione europea.

Tale elemento ha incidenza sulla decisione della questione di legittimità costituzionale.

Va rammentato in proposito che la stessa Corte costituzionale “ha costantemente affermato che di regola i principi fondamentali fissati dalla legislazione dello Stato nell’esercizio della competenza di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche ai soggetti ad autonomia speciale (ex plurimis, sentenze n. 46 del 2015, n. 54 del 2014, n. 30 del 2012, n. 229 del 2011, n. 120 del 2008, n. 169 e n. 82 del 2007, n. 417 del 2005, n. 353 e n. 36 del 2004), in quanto essi sono funzionali a prevenire disavanzi di bilancio, a preservare l’equilibrio economico-finanziario del complesso delle amministrazioni pubbliche e anche a garantire l’unità economica della Repubblica, come richiesto dai principi costituzionali e dai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea. Tali principi e vincoli sono oggi ancor più pregnanti nel quadro delineato dall’art. 2, comma 1, della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale) che, nel comma premesso all'art. 97 Cost., obbliga il complesso delle pubbliche amministrazioni ad assicurare «l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico» (sentenze n. 175 e n. 39 del 2014;
n. 60 del 2013).

Gli obiettivi programmatici del patto di stabilità e crescita non possono che essere perseguiti dal legislatore nazionale attraverso norme capaci d’imporsi all’intero sistema delle autonomie (sentenza n. 284 del 2009). In tale prospettiva, questa Corte si è pronunciata recentemente con la sentenza n. 19 del 2015, specificamente in merito a disposizioni (art. 32, comma 10, della legge n. 183 del 2011) che, come quelle impugnate nel presente giudizio, determinavano i contributi alla finanza pubblica posti a carico di ciascuna autonomia speciale. Esaminando le censure rivolte a queste disposizioni, in quanto il contributo ivi previsto era stato determinato in via unilaterale dallo Stato, la Corte ha attribuito un preciso rilievo alla tempestività degli adempimenti nazionali rispetto alle cadenze temporali tipiche del sistema europeo di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri;
tempestività che non può essere messa in pericolo dalla necessità, per lo Stato, di attendere di avere completato l’iter di negoziazione con ciascun ente territoriale.

È vero che anche nella pronuncia da ultimo citata questa Corte non ha mancato di sottolineare che in riferimento alle Regioni a statuto speciale merita sempre di essere intrapresa la via dell’accordo, espressione di un principio generale che governa i rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali;
è altresì vero, tuttavia, che tale principio non è stato recepito dagli statuti di autonomia che vengono in rilievo nel presente giudizio - o dalle norme di attuazione degli stessi - , cosicché esso può essere derogato dal legislatore statale (sentenze n. 46 del 2015;
n. 23 del 2014 e n. 193 del 2012), tanto più in casi come quello in esame in cui la norma impugnata si colloca in un più ampio contesto normativo nel quale il principio pattizio è già largamente adottato per volontà dello stesso legislatore ordinario.

È sulla base di questo presupposto che il richiamato art. 27 della legge n. 42 del 2009 prevede che le autonomie speciali concorrono al patto di stabilità interno sulla base del principio dell'accordo «secondo criteri e modalità stabiliti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti»: una tale previsione non sarebbe necessaria se le fonti dell'autonomia speciale avessero già provveduto a disciplinare la materia, recependo il principio dell'accordo in forme opponibili al legislatore ordinario. Con specifico riguardo all'art. 27 della legge n. 42 del 2009 - rispetto al quale la disciplina oggetto del presente giudizio esplicitamente e transitoriamente si discosta, in attesa della sua attuazione - questa Corte ha già osservato (sentenza n. 23 del 2014) che esso pone bensì una riserva di competenza a favore delle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012), così da configurarsi quale presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti (sentenza n. 241 del 2012). Nondimeno esso ha rango di legge ordinaria, derogabile da atti successivi aventi pari forza normativa;
sicché, specie in un contesto di grave crisi economica, il legislatore può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria (sentenza n. 198 del 2012).” (cfr.: sentenza n. 82 del 25.5.2015).

Pertanto, alla luce delle considerazioni e dei rilievi già svolti sul punto dalla Corte costituzionale, appena richiamati, non risulta affatto irragionevole l’applicazione anche nei confronti degli Enti locali siciliani del citato art. 31, comma 26, della legge n. 183/2011 e la disapplicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 149/2011, avente ambito applicativo limitato alle disposizioni di tale decreto.

Infine si deduce l’illegittimità costituzionale dell’art. 31, comma 26, lett. a), della legge n. 183/2011 per contrasto con le norme statutarie della Regione Siciliana, aventi rango costituzionale.

Anche il motivo in esame va disatteso.

Va, infatti, considerato al riguardo che, in base allo Statuto, la Regione Sicilia ha la legislazione esclusiva sul regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative.

Tuttavia tale materia è del tutto differente rispetto a quella che viene qui in rilievo.

Come si è già evidenziato in precedenza, infatti, le sanzioni per mancato rispetto del patto di stabilità non attengono al ristretto ambito della Finanza locale, ma rientrano nelle misure correlate alla finalità della “realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica” - dell’intero Stato italiano -, rispetto al cui coordinamento la competenza appartiene allo Stato.

Neppure può valere in contrario l’assunto che nella specie si tratterebbe di norme di dettaglio.

Deve tenersi conto in proposito che solo attraverso l’applicazione di tali norme può essere garantito il rispetto del principio di coordinamento della finanza pubblica.

Conseguentemente non si ravvisa neppure la violazione dell’art. 43 dello Statuto regionale siciliano, ai sensi del quale, “una Commissione paritetica di quattro membri nominati dall’Alto Commissario della Sicilia e dal Governo dello Stato, determinerà (..) le norme per l’attuazione del presente Statuto”, atteso che la competenza della suddetta Commissione è comunque relativa alla determinazione delle norme per l’attuazione dello Statuto, mentre si è prima evidenziato che nella specie si esula dall’ambito normativo dello Statuto stesso.

Vanno quindi esaminate le doglianze relative alla situazione di dissesto finanziario del Comune ricorrente.

Sul punto deve rilevarsi che, con delibera del Consiglio Comunale del 9 novembre 2016, è stato approvato dal Comune di Mazzarrone il piano di riequilibrio finanziario pluriennale per anni 10.

Il Comune ricorrente ha quindi lamentato che, in ossequio al disposto dell'art. 243 bis d.lgs. n. 267 del 2000, risulterebbero sospese le esecutive nei confronti dell'ente.

Va osservato al riguardo, in primo luogo, che la delibera di adozione del piano è intervenuta in data antecedente rispetto al decreto impugnato ma successiva rispetto al periodo in relazione al quale è stata applicata la sanzione, che ha ad oggetto le violazioni del patto di stabilità per l’anno 2015.

Tale circostanza assume rilievo dirimente rispetto alle contestazioni svolte, in quanto risulta evidente che, afferendo la sanzione ad un periodo precedente rispetto all’accertamento della situazione di dissesto, quest’ultima non può inficiare la legittimità del provvedimento applicativo, seppure posteriore.

Il presupposto per l’applicazione della sanzione, infatti, è lo sforamento rispetto ai limiti del patto di stabilità interno dell’anno 2015, come certificato dall’attestazione dello stesso Comune di Mazzarrone, mentre il decreto con il quale la sanzione è stata irrogata costituisce solo il provvedimento finale della relativa procedura di monitoraggio.

In secondo luogo, secondo la giurisprudenza pronunciatasi in materia la ratio della previsione di sospensione delle procedure esecutive risiede nella considerazione che la procedura di liquidazione dei debiti degli enti locali dissestati è essenzialmente dominata dal principio della par condicio dei creditori, tanto che il blocco delle procedure esecutive è stato ritenuto applicabile anche al giudizio di ottemperanza (T.A.R. Lazio, Roma 2 febbraio 2015 n. 1883;
T.A.R. Campania, Napoli, 6 aprile 2017 n. 1863;
Cons. Stato, IV, 19 gennaio 2012, n. 226).

La disposizione in questione, però, non può ritenersi applicabile anche a fronte dell’applicazione delle sanzioni per la violazione del patto di stabilità, oggetto del presente giudizio.

Depone in tal senso, in primo luogo, il tenore letterale della disposizione, secondo cui “Le procedure esecutive intraprese nei confronti dell'ente sono sospese dalla data di deliberazione di ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale fino alla data di approvazione o di diniego di approvazione del piano di riequilibrio pluriennale di cui all'articolo 243-quater, commi 1 e 3”.

La norma concerne espressamente le “procedure esecutive” e, pertanto, deve essere riferita alle procedure iniziate sulla base di un titolo divenuto esecutivo e all’esito di un giudizio di cognizione sulla pretesa debitoria.

Non possono, di conseguenza, essere ricondotte in tale ambito le sanzioni previste a fronte della violazione del patto interno di stabilità, che consistono in una riduzione dei trasferimenti erariali nei confronti degli enti locali, come disposto dall’art. 31, comma 26, lett. a) della legge n. 183/2011, secondo cui “In caso di mancato rispetto del patto di stabilità interno, l'ente locale inadempiente, nell'anno successivo a quello dell'inadempienza:

a) è assoggettato ad una riduzione del fondo sperimentale di riequilibrio o del fondo perequativo in misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l'obiettivo programmatico predeterminato. Gli enti locali della Regione siciliana e della regione Sardegna sono assoggettati alla riduzione dei trasferimenti erariali nella misura indicata al primo periodo. In caso di incapienza dei predetti fondi gli enti locali sono tenuti a versare all'entrata del bilancio dello Stato le somme residue. La sanzione non si applica nel caso in cui il superamento degli obiettivi del patto di stabilità interno sia determinato dalla maggiore spesa per interventi realizzati con la quota di finanziamento nazionale e correlati ai finanziamenti dell'Unione Europea rispetto alla media della corrispondente spesa del triennio precedente”.

La sanzione opera quindi come una riduzione dei fondi stanziati dallo Stato in favore dell’ente locale, che ne diminuisce correlativamente la capacità di spesa.

Alla considerazione fondata sul tenore letterale della norma deve aggiungersi, poi, una notazione di contenuto sostanziale in ordine alla eterogeneità tra le procedure esecutive, bloccate in caso di riequilibrio, e le sanzioni qui in esame.

Nel primo caso, infatti, vengono in rilievo posizioni debitorie pregresse dell’ente, nei confronti di creditori di natura privata o di altri enti pubblici, mentre nel caso della riduzione dei fondi, come è evidente, la riduzione del trasferimento è preposta alla salvaguardia del sistema della finanza statale e al rispetto degli obiettivi di bilancio della politica nazionale.

Infine, nello stesso senso depone anche la diversità del meccanismo operativo della riduzione dei fondi, posto che nel caso delle procedure esecutive viene bloccato un esborso da parte dell’ente in deficit a tutela della par condicio tra i creditori, mentre la sanzione in esame si concretizza nella diminuzione di una posta attiva, consistente nel trasferimento di fondi da parte dello Stato.

Sulla base di tali considerazioni anche la questione di legittimità costituzionale della disposizione di cui all’art. 31 citato si palesa infondata, alla luce delle sostanziali differenze strutturali e funzionali tra i due istituti.

Ne consegue che le doglianze relative all’adozione del piano di riequilibrio, e le relative questioni di costituzionalità, devono essere disattese.

Quanto al profilo attinente alla provvisorietà e incertezza dei dati sulla cui base è stata applicata la sanzione, deve osservarsi che quest’ultima è ancorata agli elementi certificati ed inviati all’Amministrazione centrale dallo stesso Comune ricorrente, e che il comma 20 bis dell’art. 31 della L. 183/2011 impone all’ente interessato di “inviare una nuova certificazione, a rettifica della precedente, se rileva, rispetto a quanto già certificato, un peggioramento del proprio posizionamento rispetto all’obiettivo del patto di stabilità interno”.

Di conseguenza, la legge prevede la possibilità di rettificare i dati inviati a fronte di un maggiore scostamento, rispetto a quello certificato, tra saldo finanziario conseguito e obiettivo programmatico;
non è prevista, di contro, una rettifica in senso migliorativo, in quanto l’intervenuto sforamento rispetto all’obiettivo programmato del patto di stabilità interno comporta, una volta accertato, la riduzione dei trasferimenti erariali, risultando a tal fine irrilevante l’eventuale successivo miglioramento della situazione di bilancio.

In conclusione il ricorso è infondato e deve essere respinto, così come la conseguente domanda di condanna ex art. 34 c.p.a..

La peculiarità della questione esaminata induce, tuttavia, a compensare integralmente tra le parti le spese di giudizio, ravvisandosene giusti motivi.

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