TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2014-12-17, n. 201406690

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2014-12-17, n. 201406690
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201406690
Data del deposito : 17 dicembre 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05635/2010 REG.RIC.

N. 06690/2014 REG.PROV.COLL.

N. 05635/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5635 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
L V, R V e C V, rappresentati e difesi, dall’avvocato M C, con il quale elettivamente domiciliano in Napoli, presso lo studio dell’avvocato O C, alla via Cervantes n. 64;

contro

Comune di Capri, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;

per l'annullamento

a) dell’ordinanza n. 79 n. prot. 10451 del 25 giugno 2010, successivamente comunicata ai ricorrenti, con la quale il Responsabile del Settore Tecnico Unificato del Comune di Capri ha ordinato la demolizione di pretese opere edilizie abusive che si sono assunte realizzate presso un esercizio di ristorazione denominato “Le Grottelle”, ubicato in località Arco Naturale, n. 5;

b) della Relazione Tecnica dell’U.T. comunale n. 1759T/9520 del 10 giugno 2010 di cui è menzione nel provvedimento impugnato sub a) che precede;

c) di ogni altro atto preordinato, connesso, consequenziale, comunque lesivo del diritto dei ricorrenti;

e, con motivi aggiunti,

a) dell’ordinanza n. 319 n. prot. 21963 del 13 dicembre 2013, con la quale il Responsabile del VI Settore – Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di Capri ha disposto l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, unitamente all’area di sedime “distinta in Catasto al Foglio n. 4, p.lle 1473, 1474 e 1475 del Comune di Capri”;

b) del verbale di accertamento dell’UTC del 10 aprile 2013, comunicato con nota 3762T del 10.4.2013, successivamente notificata, con il quale si è rilevata l’inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 79, prot. 10451 del 25 agosto 2010;

c) di ogni altro atto preordinato, connesso, consequenziale, comunque lesivo del diritto dei ricorrenti;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 novembre 2014 la dott.ssa Paola Palmarini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il ricorso introduttivo in epigrafe, notificato in data 30 settembre 2010 e depositato il successivo 21 ottobre, i ricorrenti hanno impugnato il provvedimento con il quale il responsabile del Settore Tecnico Unificato del Comune di Capri, ha ingiunto loro, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 308/2001, di demolire le seguenti opere realizzate in assenza di alcun titolo in area paesaggisticamente vincolata presso il ristorante “Le Grottelle” sito in via Arco Naturale n. 5: “un forno a legna sul terrazzamento cementato situato a sx per chi accede all’area ristorante percorrendo la stradina in direzione arco Naturale”;
“nel sottostante locale deposito” creazione “di due accessi separati rispetto all’unico vano porta indicato nelle planimetrie in atti, con divisione dell’ambiente in due distinti piccoli locali”;
“sul pergolato in pali in ferro che insiste sull’area terrazzo ristorante” posizionamento “di pannelli ondulati in plastica”;
“sul fronte sx percorrendo il vialetto per raggiungere l’Arco Naturale” creazione “ di un locale deposito in muratura con copertura in lamiera coibentata delle dimensioni circa mt. 2,30 x mt. 2,60 ed h. mt. 2,20;
“nell’area direttamente sottostante al terrazzo ristorante è stata effettuata la chiusura del portico adibito ad antibagno a mezzo apposizione di lastra di vetro”;
“nel locale al piano seminterrato e precisamente all’altezza del primo pilastro è stata realizzata una divisione a mezzo tramezzo e l’attiguo locale risulta ampliato a mezzo scavo nella roccia”.

A sostegno del gravame deducono varie censure di violazione di legge ed eccesso di potere.

Non si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata.

Con ricorso per motivi aggiunti, ritualmente notificato e depositato, i ricorrenti hanno impugnato, deducendone l’illegittimità sotto vari profili, il provvedimento con il quale sono state dichiarate acquisite al patrimonio comunale le opere abusive di cui all’ordinanza di demolizione n. 79/2010 e le particelle ove queste ricadono (in catasto al foglio 4, particelle 1473, 1474 e 1475).

Alla pubblica udienza del 19 novembre 2014 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso introduttivo è infondato e, pertanto, deve essere respinto.

Con il provvedimento impugnato il Comune di Capri ha contestato ai ricorrenti di aver eseguito in assenza di alcun titolo, in area paesaggisticamente vincolata (zona PI del P.T.P.) una serie di opere presso il ristorante “Le Grottelle” sito alla via Arco Naturale n. 5 e ne ha ingiunto la demolizione ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001.

L’intervento edilizio è consistito: 1) nella realizzazione di un forno a legna in muratura sul terrazzamento;
2) nella divisione di un locale deposito in due ambienti con conseguente creazione di due accessi separati in luogo dell’unico vano porta indicato nelle planimetrie;
3) nell’apposizione sul pergolato situato sul terrazzo di pannelli ondulati di plastica;
4) nell’edificazione di un locale deposito in muratura (delle dimensioni di circa mt. 2,30 x mt. 2,60 ed h. mt. 2,20);
5) nella chiusura del portico adibito ad antibagno a mezzo di lastra di vetro;
6) nella divisione del locale seminterrato in due ambienti con ampliamento di uno dei due a mezzo scavo nella roccia.

Con un primo ordine di censure i ricorrenti lamentano che per le opere sub 1), 2) e 3) rientranti nell’ambito dell’attività edilizia libera e per l’intervento sub 4) avente natura pertinenziale e consistenza di volume tecnico, non sarebbe stato necessario né il permesso di costruire né l’autorizzazione paesaggistica ma la sola DIA;
conseguentemente il Comune non avrebbe dovuto adottare la misura ripristinatoria (art. 31 del D.P.R. n. 380/2001) bensì la sola sanzione pecuniaria (art. 37 del citato decreto). In via subordinata, deducono che, a tutto concedere, doveva essere applicato l’art. 33 del decreto n. 380/2001 che disciplina le opere di ristrutturazione edilizia il quale implica che il Comune applichi una sanzione pecuniaria qualora il ripristino non sia fattibile (ipotesi che ricorrerebbe nella fattispecie).

Nessuna delle predette doglianze merita di essere accolta.

In primo luogo, deve osservarsi che nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accade, deve effettuarsene una valutazione globale atteso che “la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l'effettiva portata dell'operazione” (cfr. in tali sensi, Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, sentenze n. 5835 del 18 dicembre 2013, n. 1114 del 5 marzo 2012;
n. 26787 del 3 dicembre 2010;
16 aprile 2010, n. 1993;
25 febbraio 2010, n. 1155;
9 novembre 2009, n. 7053;
Tar Lombardia, Milano, sezione seconda, 11 marzo 2010, n. 584), ovvero di “scomporla in distinte fasi, cosicché possano individuarsi interventi soggetti ad autorizzazione ed altri soggetti a concessione, ma va valutata nella sua unitarietà e risulta soggetta al regime concessorio” (così la giurisprudenza sopra riportata e così già Tar Puglia, Bari, sezione seconda, 16 luglio 2001, n. 2955).

In secondo luogo, mediante le opere in questione (anche comportanti l’incremento dei volumi e delle superfici esistenti) si è realizzata una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio in area assoggettata a vincolo paesaggistico e ciò avrebbe richiesto la previa acquisizione del permesso di costruire e, comunque, dell’autorizzazione paesaggistica. Infatti, “fermo che in materia urbanistica, a differenza che nella materia civilistica, possono costituire pertinenza solo manufatti inidonei ad alterare in modo significativo l'assetto del territorio, ove vi sia alterazione dell’aspetto esteriore (cfr. art. 149 del d.l.vo n. 42 del 2004), le stesse risultano soggette alla previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica” (cfr. Cons. Stato, sezione quarta, 13 gennaio 2010, n. 41;
sezione quinta, 7 aprile 2011 n. 2159;
Tar Campania, questa sesta sezione, n. 1915 del 2 aprile 2014);
il che comporta che “quand’anche si ritenessero le opere pertinenziali o precarie e, quindi, assentibili con mera D.I.A., l’applicazione della sanzione demolitoria è, comunque, doverosa ove non sia stata ottenuta alcuna previa autorizzazione paesistica” (cfr. ancora questa Sezione, n. 2910 del 5 giugno 2013 e n. 1114 del 5 marzo 2012).

Da quanto precede deriva che l’applicazione della sanzione demolitoria era doverosa anche perchè come disposto dall’art. 32, comma 3 del D.P.R. n. 380/2001, qualunque intervento effettuato su immobili sottoposti a vincolo paesistico è da qualificarsi almeno come “variazione essenziale” e, in quanto tale, è suscettibile di esser demolito ai sensi dell’art. 31 co. 1, T.U. ed. cit. (art. 32 co. 3 T.U. ed.: «gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico ed ambientale, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali») .

Quanto, poi, alla sussistenza, ai sensi dell’art. 33 del citato D.P.R. (concernente gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità) di un obbligo per il Comune di verificare la possibilità tecnica del ripristino prima dell’irrogazione della sanzione ripristinatoria, obbligo del cui adempimento l’ente avrebbe dovuto, a detta di parte ricorrente, dare conto nel testo della motivazione, si osserva quanto segue.

La norma invocata individua, come prima opzione sanzionatoria, proprio quella ripristinatoria, a conferma della gravità dell’abuso e della previa necessità del titolo autorizzatorio al quale lo stesso è subordinato, prevedendo semplicemente la possibilità, qualora emergano difficoltà tecniche in sede di esecuzione della demolizione, di irrogare la sanzione pecuniaria.

Tale evenienza, tuttavia, rileva, appunto, solo in sede esecutiva, così che la sua assenza nell’ordinanza di demolizione (come pure l'eventuale presenza del presupposto dell'impossibilità di demolire) non può costituire vizio dell'ordine di riduzione in pristino (cfr., ex multis, in relazione all’art. 33, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 12 dicembre 2012, n. 5108 e, in relazione all’art. 34, T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII. 7 giugno 2012, n. 2712).

Da quanto precede deriva che la sanzione demolitoria, in considerazione della visibile alterazione del paesaggio era doverosa.

Parimenti infondate si rivelano, le ulteriori censure con cui parte ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato anche con riguardo alla valutazione dell’impatto ambientale delle opere e alla omessa indagine sulla sanabilità delle stesse.

Vale, infatti, ribadire che a fronte delle descritte emergenze istruttorie (che non risultano contestate), la realizzazione delle opere in questione, in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza.

In altri termini, nel modello legale di riferimento non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto: l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.

Inoltre, per costante giurisprudenza, nella motivazione dell'ordine di demolizione è necessaria e sufficiente l'analitica definizione delle opere abusivamente realizzate, in modo da consentire al destinatario della sanzione di rimuoverle spontaneamente, mentre non è necessaria la descrizione precisa della superficie occupata e dell'area di sedime destinata ad essere gratuitamente acquisita al patrimonio comunale in caso di inottemperanza alla predetta ingiunzione, potendo la specificazione intervenire nella successiva fase dell'accertamento della medesima inottemperanza (cfr. TAR Campania, Napoli, Sez. II, 6 settembre 2013, n. 4199;
TAR Campania, Napoli, sez. VII, 30 aprile 2013 n. 3033);
la chiara distinzione tra atto di demolizione e atto di acquisizione implica, infatti, che l’omessa indicazione nell’ordinanza di demolizione dell’area non costituisce motivo di invalidità dell’atto, in quanto la posizione del destinatario del provvedimento – sotto tale profilo - è tutelata dall’esistenza di un successivo e autonomo provvedimento acquisitivo (cfr. C.d.S., sez. VI, 31 maggio 2013, n. 3010;
13 febbraio 2013, n. 894;
C.d.S., sez. IV, 26 settembre 2008, n. 4659).

Priva di pregio risulta la censura incentrata sulla omissione della fase partecipativa al procedimento (violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990) in quanto i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV 12 aprile 2005, n. 3780;
13 gennaio 2006, n. 651), perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime.

Tutto ciò premesso il ricorso introduttivo deve essere respinto.

Il ricorso per motivi aggiunti è in parte fondato.

Con l’impugnato provvedimento il Comune ha disposto l’acquisizione al patrimonio comunale delle opere abusive ricadenti nelle particelle distinte in catasto al foglio 4, nn. 1473, 1474 e 1475, disponendo l’immissione in possesso “dell’opera e dell’area di pertinenza come sopra determinata”.

Come fondatamente dedotto da parte ricorrente il provvedimento non indica l’esatta estensione della ulteriore superficie da acquisire né le ragioni per acquisire tutte le particelle indicate che coincidono con l’intera sua proprietà;
il provvedimento è, quindi in tale parte, illegittimo per difetto di motivazione. In proposito la giurisprudenza ha chiarito che in caso di inottemperanza all'ordine di demolizione di manufatto abusivamente realizzato mentre per l'area di sedime l'automatismo dell'effetto acquisitivo ope legis al patrimonio comunale a seguito dell'inottemperanza rende superflua ogni ulteriore motivazione rispetto alla semplice identificazione dell'abuso, al contrario, l'individuazione dell'ulteriore area necessaria alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive (la cui acquisizione è parimenti doverosa), va motivata, volta per volta, con l'esplicitazione delle modalità di delimitazione della stessa, perché il legislatore non ha predeterminato, se non nel massimo, l'ulteriore area acquisibile, ma ha indicato un criterio per determinarla rapportato alla normativa urbanistica rilevante nel singolo caso (cfr. da ultimo T.A.R. Piemonte, Torino, 21 luglio 2014, n. 1288).

Deve, da quanto precede, ritenersi invece legittima l’acquisizione al patrimonio comunale dell’opera abusiva e dell’area di sedime la quale, stante le disposizioni di cui al comma 3, dell’art. 31 del D.P.R. n. 380/2001 è un effetto che discende direttamente dalla legge. Al riguardo nessuna rilevanza riveste la dedotta avvenuta presentazione ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 della domanda di accertamento di conformità urbanistica in data 29 aprile 2011 (a fronte del provvedimento di acquisizione impugnato, datato 13 dicembre 2013) in quanto questa è stata presumibilmente definita, sessanta giorni dopo, con provvedimento silenzioso di rigetto ai sensi del comma 3, dell’art.36 cit. (la stessa parte ricorrente riferisce che il Comune non ha mai riscontrato definitivamente l’istanza in questione – cfr. pag. 5 dei motivi aggiunti).La giurisprudenza, condivisa da questa Sezione, ha evidenziato che la “validità ovvero l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di un’istanza ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, posto che nel sistema non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto, sicché, se, da un lato, la presentazione dell’istanza ex art. 36 cit. determina inevitabilmente un arresto dell’efficacia dell’ordine di demolizione, all’evidente fine di evitare, in caso di accoglimento dell’istanza, la demolizione di un’opera che, pur realizzata in assenza o difformità dal permesso di costruire, è conforme alla strumentazione urbanistica vigente, dall’altro, occorre ritenere che l’efficacia dell’atto sanzionatorio sia soltanto sospesa, cioè che l’atto sia posto in uno stato di temporanea quiescenza. All’esito del procedimento di sanatoria, in caso di accoglimento dell’istanza, l’ordine di demolizione rimarrà privo di effetti in ragione dell’accertata conformità dell’intervento alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda, con conseguente venir meno dell’originario carattere abusivo dell’opera realizzata. Di contro, in caso di rigetto dell’istanza, l’ordine di demolizione riacquista la sua efficacia, con la sola precisazione che il termine concesso per l’esecuzione spontanea della demolizione deve decorrere dal momento in cui il diniego di sanatoria perviene a conoscenza dell’interessato, che non può rimanere pregiudicato dall’avere esercitato una facoltà di legge, quale quella di chiedere l’accertamento di conformità urbanistica, e deve pertanto poter fruire dell’intero termine a lui assegnato per adeguarsi all’ordine, evitando così le conseguenze negative connesse alla mancata esecuzione dello stesso” (cfr. in questo senso, T.A.R., Campania Napoli, sez. II, 14 settembre 2009, n. 4961 e C.d.S., sez. IV, 19 febbraio 2008, n. 849).

Conclusivamente, il ricorso introduttivo deve essere respinto, mentre il ricorso per motivi aggiunti va accolto nella sola parte relativa alla determinazione dell’area ulteriore da acquisire rispetto all’area di sedime;
il provvedimento va quindi annullato in parte qua, salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione.

Le spese, stante la soccombenza reciproca, possono essere compensate.

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