TAR Napoli, sez. II, sentenza 2021-06-17, n. 202104160

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. II, sentenza 2021-06-17, n. 202104160
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 202104160
Data del deposito : 17 giugno 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/06/2021

N. 04160/2021 REG.PROV.COLL.

N. 02804/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 74 c.p.a.
sul ricorso numero di registro generale 2804 del 2015, proposto da
L M e O P, rappresentati e difesi dall’Avv. M C, con domicilio digitale presso la PEC Registri Giustizia del loro difensore;

contro

COMUNE DI ACERRA, non costituito in giudizio;

per l'annullamento

a) della disposizione dirigenziale del Comune di Acerra prot. n. 8693 del 10 marzo 2015, recante il diniego della domanda di condono edilizio presentata dalla Sig.ra Orsola Perone in relazione ad un fabbricato sito nel territorio comunale alla Via Po, ultima traversa a sinistra;

b) dell’ordinanza dirigenziale del Comune di Acerra n. 16 del 14 aprile 2015, recante l’ingiunzione di demolizione del suddetto fabbricato;

c) del verbale della Polizia Municipale del 19 luglio 2005, recante l’accertamento di inottemperanza all’ordine di demolizione impartito con ordinanza dirigenziale n. 19 dell’11 aprile 2005;

d) di ogni atto preordinato, connesso e/o consequenziale.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza di smaltimento del giorno 18 maggio 2021 il dott. Carlo Dell'Olio e trattenuta la causa in decisione ai sensi dell’art. 25 del decreto legge n. 137/2020;


Ritenuto che il ricorso si presta ad essere definito con sentenza in forma semplificata, giacché si presenta manifestamente infondato;

Premesso che:

- i ricorrenti espongono di essere proprietari di un fabbricato realizzato in assenza di permesso di costruire (già concessione edilizia), sito in Acerra alla Via Po, ultima traversa a sinistra, in relazione al quale fu presentata dalla ricorrente Orsola Perone, in data 29 marzo 1986, domanda di condono edilizio ai sensi della legge n. 47/1985;

- pendente la domanda di condono, il fabbricato fu oggetto di una sopraelevazione di due piani (primo e secondo), oltre che di un ampliamento volumetrico del piano terra, e, pertanto, fu colpito dall’ordinanza dirigenziale di demolizione n. 19 dell’11 aprile 2005, emessa dal Comune di Acerra;

- successivamente, il fabbricato fu sottoposto ad alcune opere di completamento, consistenti nella trasformazione di una finestra in porta, in opere di tinteggiatura interna e di pavimentazione, nella posa in opera di una ringhiera per il corpo scala, nell’accorpamento di due locali di sgombero a fini abitativi, nel rivestimento della facciata con piastrelle, etc.;

- nel frattempo, interveniva la disposizione dirigenziale del Comune di Acerra prot. n. 8693 del 10 marzo 2015, con cui veniva rigettata l’istanza di condono edilizio sulla scorta dei seguenti tre ordini di motivi indicati nel richiamato preavviso di diniego dell’11 aprile 2014, ciascuno di per sé idoneo a sorreggere la negativa determinazione: 1) non risulta assolto il saldo dell’oblazione;
2) non è stata presentata la documentazione integrativa richiesta il 21 novembre 1994 in relazione al nulla osta dell’ARIN e alla rimozione del vincolo Regi Lagni;
3) il fabbricato abusivo è stato oggetto di trasformazione durante la pendenza dell’istanza di condono, mediante ampliamento e sopraelevazione appurati nel marzo 2005 e mediante opere di completamento successivamente accertate nel gennaio 2014;

- al diniego di condono seguiva l’ordinanza dirigenziale n. 16 del 14 aprile 2015, con la quale il Comune di Acerra, nel reiterare essenzialmente il precedente ordine demolitorio del 2005, ingiungeva ai ricorrenti la demolizione del suddetto manufatto nella sua definitiva consistenza, ossia tenendo conto delle opere di completamento nelle more poste in essere;

- i ricorrenti erano altresì destinatari, il 16 aprile 2015, del verbale della Polizia Municipale del 19 luglio 2005, recante l’accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 19 dell’11 aprile 2005;

- la presente impugnativa concerne il diniego di condono prot. n. 8693 del 10 marzo 2015, l’ordinanza di demolizione n. 16 del 14 aprile 2015 e il verbale di accertamento di inottemperanza del 19 luglio 2005, fondandosi sulla prospettazione di una serie di vizi riconducibili ai profili della violazione di legge e dell’eccesso di potere;

Rilevato che:

- in via preliminare, l’oggetto del giudizio va circoscritto al diniego di condono prot. n. 8693/2015 e all’ordinanza di demolizione n. 16/2015, dal momento che sul rimanente atto impugnato, ossia sul verbale di accertamento di inottemperanza del 19 luglio 2005, non può intervenire alcuna pronuncia di merito, essendo la relativa impugnativa inammissibile per carenza di interesse, atteso che si tratta di atto non dotato di lesività per la posizione giuridica di parte ricorrente. Invero tale atto, strettamente consequenziale al pregresso ordine demolitorio dell’11 aprile 2005, è stato superato dall’emissione dell’ordinanza di demolizione del 14 aprile 2015 qui gravata, che ha riattivato la procedura sanzionatoria di cui all’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 facendo perdere definitivamente efficacia agli atti della precedente serie procedimentale. Inoltre giova aggiungere, con valenza assorbente, che il verbale di accertamento di inottemperanza all’ordine di demolizione ha valore di atto endoprocedimentale, strumentale alle successive determinazioni dell’ente comunale, ed ha efficacia meramente dichiarativa delle operazioni effettuate dalla Polizia Municipale, alla quale non è attribuita la competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva, all’uopo occorrendo che la competente autorità amministrativa faccia proprio l’esito delle predette operazioni attraverso un formale atto di accertamento;
ne discende che, in quanto tale, detto verbale non assume quella portata lesiva che sia in grado di attualizzare l’interesse alla tutela giurisdizionale, portata lesiva invece ravvisabile soltanto nell’atto formale di accertamento ex art. 31, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, con cui l’autorità amministrativa recepisce gli esiti dei sopralluoghi effettuati dalla Polizia Municipale e forma il titolo ricognitivo idoneo all’acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 17 giugno 2014 n. 3097;
TAR Sicilia Catania, Sez. I, 23 aprile 2015 n. 1118;
TAR Campania Napoli, Sez. VII, 4 giugno 2014 n. 3067);

- nel merito, le censure articolate avverso i suddetti diniego di condono ed ordinanza demolitoria possono essere così riassunte:

a) il rigetto dell’istanza di condono è affetto da difetto di motivazione, non specificando le ragioni ostative all’accoglimento della sanatoria, anche al fine di rendere edotta la parte privata interessata delle circostanze rilevanti nella fattispecie;

b) il diniego di condono si pone in contraddizione con il provvedimento silenzioso di accoglimento dell’istanza, formatosi a seguito dell’inutile decorso del termine di 24 mesi dalla presentazione di quest’ultima completa delle attestazioni di pagamento delle somme dovute a conguaglio, come prescritto dall’art. 35, comma 18, della legge n. 47/1985. Invero, “a tutto voler concedere, è incontrovertibile che, quale ultima data utile da tenere in considerazione è il 29/10/2008, ossia allorquando veniva, definitivamente, depositata la documentazione di integrazione della pratica e la trasmissione di tutti i bollettini di pagamento relativi all’oblazione, oneri di urbanizzazione e concessione”;

c) l’ordine di demolizione è viziato da abnormità, attenendo anche ad un box già rimosso dai ricorrenti, nonché a lavori di manutenzione ordinaria (attintatura, pavimentazione e ringhiera) per la cui esecuzione non è previsto dalla legge il rilascio di alcun titolo edilizio;

d) il medesimo è inficiato da carenza motivazionale quanto all’indicazione delle norme e delle prescrizioni urbanistiche violate dall’intervento abusivo;

e) l’ordinanza demolitoria è assistita da una motivazione perplessa, giacché non contiene alcun accenno alla sanabilità del manufatto con riguardo alla sua possibile conformità alle previsioni degli strumenti urbanistici, il che eviterebbe l’ineluttabilità del meccanismo sanzionatorio demolitorio-acquisitivo delineato dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001;

Considerato che le prefate doglianze non meritano condivisione per le ragioni di seguito esplicitate:

aa) il rigetto dell’istanza di condono si presenta congruamente e sufficientemente motivato – anche prescindendo dal rilevato mancato assolvimento dell’integralità degli oneri economici e documentali necessari per il conseguimento della sanatoria – in base alla riscontrata trasformazione dell’edificio abusivo, consistente nell’ampliamento del piano terra e nella sopraelevazione di due piani, a cui si accompagnarono in seguito opere minori di completamento. Ne discende che risulta chiaramente esplicitata la valutazione operata dall’amministrazione circa la pregnanza delle ulteriori opere poste in essere dopo la presentazione della domanda di condono, qualificate come opere di trasformazione e non di mera rifinitura del manufatto originario, ritenuto alterato nella sua primigenia consistenza planivolumetrica. Peraltro, parte ricorrente si limita a dedurre solo un (inesistente) vizio motivazionale, ma non contesta affatto il merito della suddetta valutazione e, cioè, se sia corretto o meno far rientrare le opere successive all’istanza di condono nell’ambito del concetto di trasformazione edilizia, dal momento che, secondo un radicato principio, la trasformazione del manufatto oggetto di condono, realizzata in assenza di titolo abilitativo, legittima il diniego di concessione della sanatoria, perché non consente all’amministrazione di verificare l’effettiva corrispondenza tra le opere abusivamente realizzate e quelle descritte nella domanda di condono (cfr. TAR Lazio Latina, Sez. I, 15 gennaio 2015 n. 39;
TAR Campania Napoli, Sez. VII, 4 aprile 2014 n. 1964). Per completezza di esposizione, si osserva che il rinvio, operato nel provvedimento di diniego, alle ragioni già esplicitate nel preavviso di diniego dell’11 aprile 2014, si rivela assolutamente rispettoso del quadro normativo. Infatti, nel provvedimento amministrativo la motivazione per relationem corrisponde ad una tecnica redazionale pienamente ammessa dall’art. 3 della legge n. 241/1990, specialmente allorquando il provvedimento sia preceduto da atti istruttori o da pareri, come nella specie;
essa, non riscontrando peculiari limitazioni nella legge, non assume carattere eccezionale e non è circoscritta a meri elementi integrativi del percorso argomentativo, con la conseguenza che non rifluisce sull’essenza dell’operazione valutativa, la quale non risulta minimamente degradata (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. V, 25 febbraio 2016 n. 752);

bb) la tesi dell’intervenuta sanatoria edilizia per silentium non riesce a trovare conforto nel dato normativo, con conseguente insussistenza della denunciata contraddittorietà del diniego opposto dall’amministrazione. Difatti, il silenzio assenso previsto in tema di condono edilizio non si forma solo in virtù dell’inutile decorso del termine prefissato per la pronuncia espressa dell’amministrazione comunale e dell’adempimento degli oneri documentali ed economici necessari per l’accoglimento della domanda, ma occorre, altresì, la prova della ricorrenza di tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi ai quali è subordinata l’ammissibilità del condono, tra i quali rientra, dal punto di vista oggettivo, il fatto che si tratti di manufatto non oggetto di trasformazione edilizia durante la pendenza dell’istanza di condono. Ne deriva che il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio assenso soltanto ove la domanda sia conforme al relativo modello legale e, quindi, sia in grado di comprovare che ricorrano tutte le condizioni previste per il suo accoglimento, incluso il mantenimento del manufatto nella sua originaria conformazione urbanistico-edilizia, impedendo in radice la mancanza di talune di queste che possa avviarsi (e concludersi) il procedimento di sanatoria (orientamento consolidato: cfr. per tutte Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015 n. 3661;
TAR Campania Napoli, Sez. IV, 25 febbraio 2016 n. 1032). Alla luce di quanto esposto, è incontrovertibile che il condono richiesto nello specifico non possa essersi perfezionato attraverso un provvedimento silenzioso di accoglimento, trovando questo ostacolo nell’accertata trasformazione edilizia del fabbricato oggetto di sanatoria;

cc) non è ravvisabile alcuna abnormità nel provvedimento demolitorio, se solo si pone mente alla circostanza che lo stesso esclude dal proprio raggio d’azione il box, dando atto proprio della sua avvenuta rimozione. Quanto alle opere di completamento consistenti nell’attintatura, nella pavimentazione e nell’installazione della ringhiera, giova evidenziare che tali opere afferiscono ad un fabbricato interamente abusivo dal quale ripetono la stessa connotazione di illiceità e lo stesso trattamento sanzionatorio, dovendo essere inquadrate all’interno della più ampia cornice di irregolarità urbanistico-edilizia che involge l’intero intervento edificatorio posto in essere. Va sottolineato, al riguardo, che nel ponderare l’impatto urbanistico di un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata della complessiva operazione posta in essere. Ne discende che i singoli abusi eseguiti vanno riguardati nella loro interezza e, proprio perché visti nel loro insieme, possono determinare quella complessiva alterazione dello stato dei luoghi che legittima la sanzione applicata e persuade della sua appropriatezza e proporzionalità rispetto a quanto realizzato (cfr. TAR Puglia Bari, Sez. III, 9 aprile 2015 n. 577;
TAR Toscana, Sez. III, 30 gennaio 2012 n. 199;
TAR Campania Napoli, Sez. VI, 9 novembre 2009 n. 7053). In tale ottica, deve convenirsi con la valutazione di generale illiceità degli interventi effettuata dall’amministrazione comunale, tenuto conto della significativa trasformazione strutturale apportata al fabbricato (già abusivo) e della tipologia delle opere di completamento poste in essere (come quelle in argomento), tali da determinare quella radicale modificazione dello stato dei luoghi giustificativa della sanzione demolitoria in concreto irrogata;

dd) si osserva che, secondo la condivisibile giurisprudenza amministrativa prevalente, l’ordinanza di demolizione, in quanto atto dovuto e rigorosamente vincolato, non necessita di particolare motivazione, potendosi ritenere adeguata e autosufficiente la motivazione quando già solo siano rinvenibili la compiuta descrizione delle opere abusive, la constatazione della loro esecuzione in assenza o difformità dal permesso di costruire e l’individuazione della norma applicata, come ravvisabile nel caso di specie, ogni altra indicazione – ad esempio in tema di caratteristiche dimensionali o di collocazione urbanistica degli illeciti edilizi – esulando dal contenuto tipico del provvedimento (cfr. ex multis TAR Campania Napoli, Sez. VIII, 30 maggio 2017 n. 2870 e 28 gennaio 2016 n. 538;
TAR Campania Napoli, Sez. VI, 23 gennaio 2012 n. 315);

ee) infine, va rimarcato che, una volta appurata l’esecuzione di opere in assenza di permesso di costruire, non costituisce onere dell’amministrazione comunale verificare la sanabilità delle stesse (a seguito di accertamento di conformità) in sede di vigilanza sull’attività edilizia, essendo per legge rimessa ogni iniziativa in merito all’impulso del privato interessato: pertanto, l’ordine di demolizione può ritenersi validamente supportato, come nel caso di specie, dalla mera descrizione dell’abuso accertato, la quale costituisce presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. VI, 3 agosto 2015 n. 4190;
TAR Campania Napoli, Sez. IV, 24 settembre 2002 n. 5556);

Ritenuto, in conclusione, che:

- resistendo gli atti impugnati a tutte le censure prospettate, il ricorso deve essere respinto siccome infondato;

- non vi è luogo a pronuncia in ordine al regime delle spese processuali, attesa la mancata costituzione in giudizio dell’amministrazione resistente.

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