TAR Bari, sez. II, sentenza 2021-04-23, n. 202100730

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Bari, sez. II, sentenza 2021-04-23, n. 202100730
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Bari
Numero : 202100730
Data del deposito : 23 aprile 2021
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/04/2021

N. 00730/2021 REG.PROV.COLL.

N. 00657/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 657 del 2015, proposto da
F. R., G. M., C. D. G., rappresentati e difesi dall'avvocato A F, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C, in Bari, piazza Diaz, n. 11;

contro

Comune di Trani, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato M C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato C, in Bari, via S. Lioce, n. 52;

per l'annullamento

- della deliberazione del Commissario prefettizio n. 7 del 24.2.2015, notificata il 20.3.2015, adottata con i poteri del Consiglio comunale, recante l’annullamento in autotutela della delibera del Commissario straordinario n. 42 dell’11.5.2007, anch’essa assunta con i poteri del Consiglio comunale, avente ad oggetto l’adeguamento alla tabella A, allegata al decreto 20.5.2005 del Ministero dell’interno, dei compensi dovuti agli odierni ricorrenti, quali componenti del Collegio dei revisori dei conti del Comune di Trani per il triennio 2005/2008;

- di ogni altro atto alla suddetta deliberazione presupposto, consequenziale e/o connesso, ivi compresi la nota prot. 16269 del 9.4.2009 a firma del Presidente del subentrato Collegio dei revisori, la nota del dirigente della III ripartizione del 29.4.2009, la verifica in parte qua della Sezione regionale del controllo della Corte dei Conti dell’andamento periodico della spese del personale nei Comuni di Barletta, Andria e Trani relativamente agli esercizi finanziari 2006-2007-2008, atti non conosciuti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Trani;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 marzo 2021 il dott. Alfredo Giuseppe Allegretta;

L’udienza si tiene mediante collegamento da remoto in videoconferenza, secondo quanto disposto dall’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137 e dall’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020 n. 70, mediante la piattaforma in uso presso la Giustizia amministrativa, di cui all’allegato 3 al decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 22 maggio 2020 n. 134;

Si dà atto a verbale della presenza dell'avv. Michele Caruso, a seguito del deposito di note di d'udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato in data 14.5.2015 e depositato in data 23.5.2015, F. R., G. M. e C. D. G. adivano il Tribunale amministrativo per la Puglia al fine di ottenere la pronuncia meglio indicata in oggetto.

Esponevano in fatto che, con la deliberazione n. 65 del 15.12.2005 assunta dal Consiglio comunale di Trani, erano stati nominati componenti del Collegio dei revisori dei conti dello stesso Comune e, in particolare, il R. in qualità di Presidente di detto Organo e M. e D. G.in qualità di componenti a latere dello stesso.

Con la medesima delibera veniva altresì stabilito il compenso da erogare in loro favore, quantificandolo, in applicazione dell’art. 241 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (testo unico degli enti locali), nella misura indicata nella tabella “A” allegata al decreto ministeriale del Ministero dell’interno del 20.5.2005.

Con successiva deliberazione del Commissario straordinario n. 42 dell’11.5.2007, assunta con i poteri del consiglio comunale e su richiesta dei sopra citati revisori, il suddetto compenso veniva rideterminato con il riconoscimento di una maggiorazione del 10% per come prevista dalla tabella C allegata allo stesso decreto ministeriale citato, che prevedeva una maggiorazione ai compensi dei medesimi, allorché la media dei costi degli investimenti comunali per abitante, documentabile dall’ultimo bilancio preventivo, risultasse essere superiore alla media nazionale.

Esponevano ancora che, dopo la cessazione dalla carica avvenuta in data 15.12.2008, con nota del 29.4.2009 il Dirigente della III Ripartizione - Ragioneria evidenziava che all'organo di revisione decaduto era stato corrisposto un compenso “in misura superiore a quella massima prevista dal D.M. 20/05/2005”.

In virtù di tale rilievo e di altri di analogo tenore svolti dall'Ufficio legale comunale, con atti del 7.1.2015, ex art. 2 del regio decreto n. 639 14.4.1910, l’Ente locale provvedeva ad ingiungere, al M. e al D. G., in qualità di componenti del Collegio dei revisori, il rimborso dell'indebito per una somma pari ad euro 9.414,25 per il primo e ad euro 19.705,83 per il secondo, laddove al R. , in qualità di presidente dello stesso Collegio, veniva ingiunto l’ulteriore e diverso importo di euro 29.551,38, in coerenza con le diverse somme percepite da ciascuno.

Successivamente, con delibera n. 7 del 24.2.2015, il Comune provvedeva ad annullare in autotutela la deliberazione n. 42 dell’11.5.2007.

Insorgevano dunque i ricorrenti avverso tale provvedimento, con plurimi motivi di doglianza come di seguito esposti e riassunti:

“1. Eccesso di potere per carenza e/o insufficiente istruttoria - vizio del procedimento e della motivazione omessa e/o incongrua - violazione art. 49 T.U.E.L.”.

Con il primo articolato motivo di ricorso, gli interessati contestavano preliminarmente la violazione dei canoni procedimentali e motivazionali previsti in materia di provvedimenti dell’amministrazione volti, come nel caso di specie, al recupero di somme erogate indebitamente.

Al riguardo eccepivano, da un lato, la mancata valutazione dell'illegittimità, di cui sarebbe stata affetta la delibera n. 42/2007, e il mancato accertamento dell'entità dei pagamenti ritenuti non dovuti, con conseguente presenza di un vizio invalidante della delibera gravata. Da tale carenza sarebbe dovuta discendere, in tesi, l’annullabilità della stessa, quanto meno “nella parte in cui non individua e non motiva con precisione i limiti dell'indebito eventualmente soggetto a recupero”.

In particolare, infatti, i ricorrenti lamentavano la mancanza di motivazione e di precisa indicazione delle ragioni poste alla base del ritiro dell'atto deliberativo n. 42/2007, avendo l’Amministrazione riportato, sempre in tesi, solo mere asserzioni indimostrate dei Dirigenti comunali e della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, secondo cui l'erogazione dei compensi in favore dei revisori “sarebbe stata effettuata in misura superiore ai limiti di legge”. In definitiva, il Comune non avrebbe indicato il preciso ammontare delle somme asseritamente corrisposte indebitamente in favore dei revisori così come “risultanti dalla differenza tra quanto spettante ex lege e quanto concretamente liquidato dagli Uffici preposti al pagamento”.

Sotto altro profilo, rilevavano l’illegittimità dell’atto impugnato a fronte della “omessa ponderazione del principio della non ripetibilità delle somme al lordo delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali per il semplice fatto che dette ritenute non sono mai entrate nella disponibilità materiale degli odierni deducenti”.

A fronte di tale argomento, il disposto annullamento della delibera erogativa di somme asseritamente non dovute, esigeva, quindi, un'indagine istruttoria mirata ad indicare il vizio di legittimità dell'atto di pagamento e l'entità del supero effettivamente percepito, attività, tuttavia, sempre in tesi, mai avvenuta.

A tale lamentata carenza istruttoria si legava, altresì, la censura relativa all’illegittimità della deliberazione comunale adottata senza il rilascio del preventivo parere da parte del Responsabile del servizio interessato.

“2. Violazione e falsa applicazione dell'art.1, comma 136 l. n. 311/2004 in relazione all'art. 21 nonies l. n. 241/90- violazione dei principi della buona fede e dell'affidamento incolpevole”.

Con secondo motivo di ricorso, e con riferimento alla disciplina dell’autotutela, i ricorrenti eccepivano da un lato l’illegittimità del provvedimento impugnato, in quanto le ipotesi di annullamento per ragioni di pubblico interesse, così dette in re ipsa , ossia per finalità di risparmio o per il conseguimento di minori oneri, sarebbero state possibili solo entro il termine di tre anni;
dall’altro, i medesimi ricorrenti lamentavano l’assenza della valutazione della buona fede e dell'affidamento dei percipienti, nonché delle condizioni soggettive degli stessi, avendo l’Amministrazione omesso così di valutare le modalità di recupero e quindi incidendo, in tesi, su diritti costituzionalmente sanciti ex artt. 2 e 3 Cost.

In data 7.8.2015 si costituiva in giudizio il Comune di Trani, eccependo l’infondatezza in fatto e diritto dell’avverso ricorso.

Con memoria difensiva depositata in data 19.2.2021, la difesa comunale evidenziava, in particolare, l’infondatezza delle doglianze di parte ricorrente a fronte dell’interesse pubblico sotteso al provvedimento impugnato;
in tesi dell’Amministrazione, detto interesse avrebbe consentito l’adozione del provvedimento impugnato anche a prescindere dal tempo trascorso.

Parimenti, a fronte della lamentata assenza di una specifica motivazione - che, comunque, si assumeva essere stata coerentemente inserita nel provvedimento de quo - si ribadiva l’essenzialità e l’autoevidenza dell’interesse pubblico sotteso all’emanazione del provvedimento impugnato, peraltro corredato dal parere di regolarità tecnico-amministrativa previsto dall’art. 49 del Testo unico degli Enti locali.

Veniva altresì eccepita l’infondatezza della doglianza di parte ricorrente relativa alla sussistenza di un legittimo affidamento e della buona fede in capo agli interessati, ribadendo le argomentazioni in ordine all’interesse pubblico al recupero di somme indebitamente corrisposte, nonché mettendo in luce i passaggi della ricostruzione in fatto che avrebbero evidenziato, al contrario, la conoscenza da parte dei ricorrenti della loro situazione debitoria nei confronti dell’Amministrazione, in quanto emersa in una fase di gran lunga antecedente all’adozione del provvedimento impugnato, sicché sarebbero state comunque da escludere violazioni al legittimo affidamento ed alla buona fede degli stessi.

Al fine di dedurre e controdedurre alle argomentazioni avversarie, le parti depositavano ulteriori memorie.

All’udienza pubblica telematica del 23.3.2021, la causa veniva definitivamente trattenuta in decisione.

Tutto ciò premesso il ricorso è infondato nel merito e, pertanto, non può essere accolto.

Ai fini della risoluzione del caso di specie, è opportuno richiamare brevemente in via preliminare la disciplina dettata in materia di compensi spettanti ad ogni componente degli organi di revisione economico-finanziaria degli Enti locali.

L’art. 234 del Testo unico sull’ordinamento degli Enti locali, approvato con decreto legislativo n. 18.8.2000 n. 267, prevede in particolare la costituzione presso ciascun Comune di un organo di revisione economico finanziaria con i compiti di collaborare con il Consiglio comunale nella sua funzione di indirizzo e controllo, di esercitare la vigilanza sulla regolarità contabile e finanziaria della gestione e di attestare la corrispondenza del rendiconto alle risultanze della gestione stessa, redigendo apposita relazione accompagnatoria alla proposta di deliberazione di approvazione del rendiconto annuale della gestione.

Nei Comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti, tale organo di revisione è costituito da tre componenti, nominati dal Consiglio comunale.

Con specifico riferimento ai compensi dei componenti del detto Organo, l’art. 241 del Testo unico degli Enti locali, rubricato “Compenso dei revisori”, prevede che, con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze vengano fissati i limiti massimi del compenso base spettante ai componenti degli organi di revisione economico-finanziaria degli Enti locali;
che il compenso base sia determinato in relazione alla classe demografica ed alle spese di funzionamento e di investimento dell'ente locale e che tali limiti massimi vengano aggiornati triennalmente.

Tale previsione normativa è stata, quindi, completata dal decreto ministeriale del 20.5.2005 che ha provveduto a fissare ed aggiornare i limiti massimi dei compensi sulla base di apposite tabelle contraddistinte dal numero degli abitanti dell’Ente prevedendo in particolare: “a) maggiorazione sino ad un massimo del 10 per cento per gli enti locali la cui spesa corrente annuale pro capite, desumibile dall'ultimo bilancio preventivo approvato, sia superiore alla media nazionale per fascia demografica di cui alla tabella B, allegata al detto decreto;
b) maggiorazione sino ad un massimo del 10 per cento per gli Enti locali la cui spesa per investimenti annuale pro capite , desumibile dall'ultimo bilancio preventivo approvato, sia superiore alla media nazionale per fascia demografica di cui alla tabella C” allegata al decreto.

Venendo al caso in esame, con la deliberazione del Commissario straordinario n. 42 dell’11.5.2007 era stata approvata la maggiorazione dei compensi spettanti ai revisori comunali derivante dalla applicazione del compenso riferito allo scaglione da 100.000 a 249.999 (con compenso di euro 13.560,00 annuo lordo), in luogo del corretto scaglione di residenti da 20.000 a 59.999 (con compenso di euro 10.020,00 annuo lordo), il tutto in base all’inserimento del Comune di Trani all’interno della classe demografica dei 100.000 abitanti in ragione dell’entrata in vigore della legge n. 184 del 2004, istitutiva della nuova Provincia BAT.

Ebbene, a fronte della chiarezza del dato normativo relativo alla fattispecie de qua , preliminarmente deve essere accertata la nullità della citata delibera n. 42 per contrarietà con norme imperative di legge, non potendo la stessa prevedere compensi in misura superiore ai limiti massimi stabiliti dal decreto ministeriale citato, costituendo detti limiti evidenti norme imperative limitative della spesa pubblica.

Ed invero, ad accertare la contrarietà a norma imperativa delle maggiorazioni poste in essere dai revisori nella delibera annullata era già intervenuta la Sezione regionale di controllo per la Puglia della Corte dei Conti, la quale - a fronte della sua funzione di controllo sul bilancio di previsione e sul rendiconto di gestione, introdotta dalla L. 266/2005 - nella verifica periodica dell’andamento della spesa del personale nei comuni di Andria, Barletta e Trani relativamente agli esercizi finanziari 2006 - 2007 - 2008 aveva già dato formalmente atto che “i compensi erogati ai revisori nel periodo 2006 - 2008 risultano superiori ai limiti di legge fissati nel D.M. 20.05.2005 e per tale ragione, presso il Comune di Trani è attualmente in corso un procedimento di revisione dei compensi in autotutela, volto al recupero di quanto indebitamente percepito dai componenti del Collegio”.

A tanto si aggiunge anche l’ulteriore parere espresso dalla medesima Sezione regionale di controllo per la Puglia della Corte dei conti prot. n. 7 del 21.4.2009, la quale, a fronte della richiesta, formulata dal Sindaco di Trani il 10.3.2009, in ordine alla possibilità per l’Ente, di adeguare - in virtù dell’istituzione della provincia BAT - il compenso dell’organo di revisione a quello previsto per la nuova provincia, con relativo passaggio alla fascia superiore, aveva ulteriormente sostenuto la non conformità a criteri di ragionevolezza dell’ipotesi di applicare, nel caso in esame, l’indennità superiore spettante ai revisori operanti nei capoluoghi di provincia, nella misura in cui, allo stato degli atti dell’epoca, la Provincia - pur formalmente istituita - non risultava ancora concretamente operativa.

A fronte del delineato contesto entro il quale l’Amministrazione aveva provveduto ad agire in autotutela per il recupero delle somme indebitamente percepite dai revisori, non meritano dunque di essere condivise le doglianze dei ricorrenti sia relativamente al lamentato “difetto di motivazione” e di “carenza di istruttoria” del provvedimento de quo , essendo questo perfettamente chiaro nel suo contenuto, in quanto volto al recupero di somme non dovute, nonché basato sul parere formulato dal Segretario generale, quale parere di regolarità tecnico-amministrativa richiesto dall’art. 49 del Testo unico degli Enti locali.

Né in effetti, si può ragionevolmente sostenere che i ricorrenti fossero all’oscuro della vicenda in esame in quanto, come risulta dalla produzione documentale dell’Amministrazione resistente, vi era stata una fitta corrispondenza, antecedente rispetto al provvedimento in autotutela, con la quale il Comune di Trani aveva comunicato l’illegittimità del provvedimento che maggiorava i compensi e la volontà del Comune medesimo di recuperare le somme quantificate dagli organi comunali preposti.

Peraltro, le preliminari argomentazioni svolte in ordine all’effettiva illegittimità del provvedimento n. 42 del 2007, in quanto contrario ai limiti ai compensi posti dalle norme imperative di settore, nonché in quanto in contrasto con le risultanze dell’attività di controllo della Sezione regionale della Corte dei conti, permettono di argomentare per la reiezione dell’odierno ricorso sulla scorta del problema civilistico di ripetizione dell’indebito che esse pongono.

Infatti, nella misura in cui la corresponsione delle maggiorazioni risulta essere pacificamente avvenuta in contrasto con norme imperative, per come accertato dal (nonché parimenti in contrasto con) il vaglio di congruità operato dalla Corte dei conti, Sezione regionale per la Puglia, il provvedimento n. 42 del 2007 risulta essere privo di un elemento strutturale essenziale quale la causa stessa del pagamento, intesa come legittima giustificazione meritevole di tutela dell’attribuzione patrimoniale.

Di talché, invero, in ossequio al dettato normativo dell'art. 21- septies della legge n. 241/1990 e ss.mm.ii., che, al primo comma, prevede la nullità strutturale dell’atto, per cui “è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi essenziali”, il provvedimento originario, attributivo delle maggiorazioni di cui si discute, deve ritenersi ab origine nullo.

La nullità della causa, quanto dell’atto, pone quindi un problema di ripetizione dell’indebito da parte dell’Amministrazione, in relazione alla quale vige un vero e proprio diritto-dovere di ripetere le somme indebitamente corrisposte ai pubblici dipendenti e tanto a prescindere dal tempo trascorso, in quanto, “l'oggetto del recupero produce di per sé un danno all'Amministrazione, consistente nell'esborso di denaro pubblico senza titolo ed un vantaggio ingiustificato per il dipendente” (…) “Si tratta dunque di un atto dovuto che non lascia all'Amministrazione alcuna discrezionale facultas agendi e, anzi, configura il mancato recupero delle somme illegittimamente erogate come danno erariale” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 750/2015).

Sul punto, merita di essere ricordato anche l’orientamento costante del Consiglio di Stato in materia di ripetizione di indebito ad opera di una P.A. nei confronti di dipendenti e collaboratori a vario titolo, per cui: “l'affidamento del pubblico dipendente e la stessa buona fede non sono di ostacolo all'esercizio del potere-dovere di recupero: l'Amministrazione non è tenuta a fornire un'ulteriore motivazione sull'elemento soggettivo riconducibile all'interessato (cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2013, nr. 4519;
id., sez. V, 30 settembre 2013, nr. 4849). Infine, alla luce di quanto ora esposto, risulta recessivo il richiamo ai principi in materia di autotutela amministrativa sotto il profilo della considerazione del tempo trascorso e dell'affidamento maturato in capo agli interessati (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 4 settembre 2013, nr. 4429;
id., 31 maggio 2013, nr. 2986;
id., 10 dicembre 2012, nr. 11548) …”.

Parimenti, tale orientamento del Consiglio di Stato destituisce di ogni fondamento l’eccezione di parte ricorrente in ordine al profilo del limite temporale utile all’Amministrazione per procedere alla ripetizione delle somme in tesi indebitamente corrisposte.

In altri termini, a fronte della nullità dell’originario provvedimento illegittimamente attributivo dei compensi aggiuntivi ai revisori, il successivo provvedimento in autotutela è stato impugnato essenzialmente inutiliter , in quanto atto meramente volto a ripristinare la regolarità degli assetti provvedimentali del Comune di Trani.

Invero, il fulcro della presente controversia, al contrario, è e resta la restituzione di somme indebitamente percepite, che dovevano e devono essere restituite, non essendosi determinato in proposito alcuna rilevante lesione dell’affidamento, anche in considerazione della qualità professionale dei ricorrenti, i quali non potevano non essere certi dell’illegittima percezione di somme non dovute, quanto meno - a tutto voler concedere - a far data dal provvedimento della Sezione regionale di controllo per la Puglia della Corte dei conti, prot. n. 7 del 21.4.2009.

Da quanto sin qui esposto consegue, dunque, la manifesta infondatezza del ricorso nel merito.

Da ultimo, le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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