TAR Napoli, sez. V, sentenza 2016-06-22, n. 201603151

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. V, sentenza 2016-06-22, n. 201603151
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201603151
Data del deposito : 22 giugno 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 03273/2012 REG.RIC.

N. 03151/2016 REG.PROV.COLL.

N. 03273/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3273 del 2012, proposto da:
La Vigilante s.r.l. (già Istituto di vigilanza privata La Vigilante s.r.l.), rappresentata e difesa dagli avv. N A, L A, con domicilio eletto presso lo studio dei difensori in Napoli, Via A. Vespucci, 9;
Salvatore D'Emilio, rappresentato e difeso dall’avv.to A G, con domicilio eletto presso lo studio del difensore in Napoli, Via Cesario Console n. 3;
Curatela del Fallimento della Vigilante S.r.l. (Fall. n. 70/15), rappresentata e difesa dall'avv.to Daniela D'Orsi, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to C D N in Napoli, Via Pietro Colletta n. 35;

contro

Prefettura di Napoli - Ufficio Territoriale del Governo e Ministero dell’Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Napoli, via Diaz n. 11;
Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Napoli, via Diaz n. 11;
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Napoli, via Diaz n. 11;
Comando Carabinieri di Napoli e il Comando Carabinieri di Roma, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliata in Napoli, Via Diaz n. 11;

nei confronti di

Italpol Vigilanza Roma S.r.l.;

per la condanna

delle parti intimate al risarcimento dei danni subiti dalle parti ricorrenti per effetto dell'illegittimo provvedimento del Prefetto di Napoli del 14 marzo 1994 di sospensione della licenza di gestione dell'istituto di vigilanza;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Prefettura di Napoli e del Ministero dell'Interno, del Ministero dell'Economia e delle Finanze, del Ministero della Difesa, del Comando Carabinieri di Napoli e del Comando Carabinieri di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2016 il dott. Paolo Marotta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso in esame, consegnato all’Ufficiale giudiziario per la notifica in data 5 e 26 giugno 2012 e depositato in data 13 luglio 2012, la società La Vigilante s.r.l. (già Istituto di vigilanza privata La Vigilante s.r.l.) e il Sig. D’E S (nella dedotta qualità di amministratore e legale rappresentante della predetta società) premettono quanto segue:

- con decreto del 13 aprile 1994, il Prefetto di Napoli ha disposto la sospensione della autorizzazione alla gestione dell'istituto di vigilanza privata La Vigilante s.r.l., sulla base di una denuncia del Sig. D’E S per il reato previsto dall’art. 416 bis c.p., presentata nei suoi confronti dal Comando Provinciale Carabinieri di Napoli;

- il decreto prefettizio veniva impugnato dal Sig. D’E S davanti al T.a.r. Campania – sede di Napoli (con ricorso R.G. 6596/1994);

- a seguito del provvedimento di sospensione, il Prefetto di Napoli (dott. I), con decreto del 24 giugno 1994, autorizzava (a detta dei ricorrenti, in modo arbitrario) la società Italpol s.p.a., con sede in Roma e Milano, all’espletamento dell’attività precedentemente espletata dall’Istituto privato La Vigilante s.r.l., consentendo l’utilizzazione delle maestranze di quest’ultima, al fine di assicurare continuità lavorativa ai relativi dipendenti;

- con ordinanza del 4 maggio 1995, il G.I.P. del Tribunale di Napoli disponeva l’archiviazione del procedimento penale avviato nei confronti del Sig. D’E S, che, conseguentemente, presentava, in data 15 maggio 1995, al Prefetto di Napoli istanza diretta ad ottenere la revoca del provvedimento di sospensione delle autorizzazione;

- a fronte della inerzia del Prefetto, il Sig. D’E S proponeva un secondo ricorso al T.a.r. Napoli (R.G. n. 8126/1995), chiedendo l’annullamento del silenzio - rifiuto sull’atto di diffida notificato in data 22 luglio 1995;
questo Tribunale, con ordinanze dell’11 ottobre e del 6 ottobre 1995, invitava il Prefetto di Napoli a pronunciarsi sulla istanza presentata dal Sig. D’Emilio in data 15 maggio 1995;

- con decreto in data 15 marzo 1996, il Prefetto di Napoli - tenuto conto del decreto di archiviazione del 4 maggio 1995 sopra richiamato e del decreto del Tribunale di Napoli del 19 gennaio 1996, con il quale era stata rigettata la proposta di applicazione di misure di prevenzione nei confronti del signor D’Emilio - disponeva la revoca del decreto del 13 aprile 1994, con il quale era stata sospesa la licenza rilasciata al ricorrente;

- con sentenza n. 1422/2005, questo Tribunale, dopo averne disposto la riunione, decideva sia sul ricorso proposto avverso il provvedimento di sospensione dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività di vigilanza (R.G. n. 6596/1994), rigettandolo, sia sul ricorso avverso il silenzio – rifiuto (R.G. n. 8126/1995), dichiarandolo improcedibile (in relazione alla successiva attività provvedimentale);

- avverso la sentenza del T.a.r. Campania n. 1422/2005 il Sig. D’E S proponeva quindi ricorso in appello, che veniva accolto dal Consiglio di Stato con pronuncia n. 4174/2007, depositata in Segreteria in data 27 luglio 2007, che in riforma della sentenza di primo grado disponeva l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento degli atti impugnati (fatti salvi quelli ulteriori della p.a., da adottarsi nel pieno rispetto dei principi di diritto enunciati nella motivazione della sentenza).

Tanto premesso, le parti ricorrenti hanno formulato domanda risarcitoria nei confronti delle parti intimate in relazione ai danni asseritamente subiti per effetto dell’attività illegittima della p.a., ritenendo sussistere la responsabilità:

- del Ministero della Difesa per aver l’Arma dei Carabinieri formulato una denuncia nei confronti del Sig. D’E S, senza i necessari approfondimenti istruttori;

- del Ministero dell’Interno, per aver il Prefetto di Napoli illegittimamente sospeso l’autorizzazione dell’Istituto di vigilanza privata La Vigilante s.r.l ed aver arbitrariamente affidato la gestione della relativa attività di vigilanza alla Italpol s.p.a.;
a sostegno della loro tesi, le parti ricorrenti evidenziano che il Prefetto di Napoli, dott. I, è stato inquisito e rinviato a giudizio per abuso d’ufficio e che anche dopo la revoca del provvedimento di sospensione, per effetto del decreto adottato dal Prefetto di Napoli (dott. C), la Italpol s.p.a. ha continuato ad espletare illegittimamente la propria attività di vigilanza;
ad ulteriore conferma della propria tesi, le parti ricorrenti evidenziano che, con sentenza del T.a.r. Napoli n. 4181/2002, è stato accolto il ricorso proposto dal Sig. D’E S avverso il provvedimento prefettizio del 10 luglio 1996, con il quale il Prefetto di Napoli aveva disposto, a seguito di visita ispettiva, la temporanea sospensione (per sette giorni) dell’attività di vigilanza.

Sotto il profilo del quantum, le parti ricorrenti hanno chiesto il risarcimento delle seguenti voci di danno:

a) danni non patrimoniali subiti dalla società La Vigilante, rappresentati da danno all’immagine e dal danno da perdita di chance: a tale riguardo, le parti ricorrenti evidenziano che i vigilantes assegnati alla Italpol s.p.a. si sono rifiutati di tornare a lavorare per la società ricorrente e che anche le altre società di vigilanza non hanno voluto costituire associazioni temporanee di imprese che prevedessero il coinvolgimento della società La Vigilante;
per effetto delle illegittime sospensioni sopra richiamate, la Regione Campania avrebbe disposto la risoluzione di un contratto d’appalto, cagionando alla società La Vigilante un danno di € 3.216.160,00;

b) danni patrimoniali subiti dalla società La Vigilante per effetto della sospensione dell’attività dal 14 marzo 1994 al 15 marzo 1996;
a tal fine, viene depositata una perizia asseverata redatta dalla società PKF Italia s.p.a., nella quale si dà atto che, con riguardo al lucro cessante, <<sulla base alla documentazione ottenuta, non è stato possibile definire elementi di carattere storico e di tipo prospettico – reddituale, come sopra descritto, tali da permettere l’individuazione del lucro cessante, derivante dalla sospensione dell’autorizzazione ad espletare attività di vigilanza nella zona Vicaria-Mercato in Napoli dal 14 marzo 1994 al 15 marzo 1996, in maniera inequivocabile con documentazione e prove;
pertanto, al fine della definizione della “componente” lucro cessante, si rinvia alla liquidazione equa del giudice>>
, mentre il danno emergente viene quantificato in € 1.829.904,00);

c) danni patrimoniali subiti dal Sig. D’E S;
a tale riguardo, si fa rilevare che quest’ultimo per la sua sopravvivenza e per quella della sua famiglia e per il pagamento degli onorari agli avvocati in sede civile, penale ed amministrativa è stato costretto ad impegnare oggetti preziosi per una somma complessiva di £ 150.000.000,00 (pari ad € 77.468,53) nonché a ricorrere a forme di prestito da parte di alcuni parenti e affini per complessive £ 600.000.000,00, per il pagamento dei crediti maturati da Enti previdenziali e dei lavoratori della società;

d) danni non patrimoniali subiti dal Sig. D’E S, costituiti dal danno esistenziale e quantificato in € 5.000,00 (o nella maggior o minore somma individuata dal Tribunale), dal danno morale subiettivo, costituito dal patema d’animo e dall’ingiusto turbamento subito per effetto del fatto illecito altrui, dal danno biologico (a fondamento del quale viene prodotta una relazione del dott. Iadevaia).

Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo la propria estromissione dal giudizio, in ragione del difetto di legittimazione passiva ed eccependo la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 2947 c.c.

Si sono costituiti in giudizio la Prefettura di Napoli – Ufficio territoriale del Governo e il Ministero dell’Interno, contestando la sussistenza dei presupposti della responsabilità aquiliana da illecito provvedimentale e invocando comunque la prescrizione quinquennale della pretesa risarcitoria avanzata.

Si sono costituiti in giudizio anche il Ministero della Difesa, il Comando Carabinieri di Napoli e il Comando Carabinieri di Roma.

Con nota depositata in data 1° aprile 2015 gli avv.ti L A e N A hanno dichiarato di rinunciare all’incarico di patrocinio legale nell’ambito del presente giudizio, invitando le parti patrocinate a nominare un nuovo procuratore.

Con atto depositato in data 9 luglio 2015 la Curatela del Fallimento della società “La Vigilante s.r.l.”, dopo aver rappresentato che il Tribunale di Napoli – sezione fallimentare, con sentenza n. 70/2015 del 27 marzo 2015, ha dichiarato il fallimento della predetta società, ha manifestato l’intenzione della Curatela di riassumere il giudizio, ai sensi dell’art. 80, 3° comma, del d.lgs. n. 104/2010, chiedendo l’integrale accoglimento del ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 303 c.p.c., 79 e 80, 3° comma, c.p.a.

In data 15 marzo 2016 è stato depositato il mandato conferito dal Sig. D’E S all’avv.to A G, in sostituzione degli avv.ti L A e N A;
il nuovo procuratore ha insistito per l’accoglimento del ricorso, nell’interesse del suo assistito.

Con diverse memorie le parti costituite hanno avuto modo di rappresentare compiutamente le rispettive tesi difensive.

All’udienza pubblica del 10 maggio 2016, la causa è stata chiamata e, sentiti i difensori presenti, come da verbale, è stata trattenuta in decisione.

Preliminarmente, il Collegio è chiamato ad esaminare la domanda di estromissione dal giudizio formulata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.

La domanda è meritevole di accoglimento.

Gli atti dai quali si origina la domanda risarcitoria azionata in questa sede non sono in alcun modo riferibili al Ministero dell’Economia e delle Finanze, che conseguentemente va estromesso dal giudizio.

Né a fondare la sua legittimazione passiva può derivare la funzione lato sensu di “tesoriere” svolta dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, attesa la diversa soggettività delle Amministrazioni Ministeriali;
diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che detto Ministero sia parte necessaria in tutti i giudizi aventi ad oggetto pretese di natura patrimoniale nei confronti delle Amministrazioni Statali.

Il Collegio è chiamato poi a verificare la fondatezza della eccezione di intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento, (eccezione) sollevata sia dalla Prefettura di Napoli che dal Ministero dell’Interno.

L’eccezione non è reputata dal Collegio meritevole di condivisione.

Occorre premettere che l’art. 30, comma 3, del c.p.a., sancendo il definitivo superamento della tesi della pregiudizialità amministrativa, ha disposto che: “La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo”.

Orbene, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 6/2015 ha avuto modo di precisare che il nuovo termine decadenziale previsto, per la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi, dall'art. 30, comma 3, c.p.a., non è applicabile ai fatti illeciti anteriori all'entrata in vigore del codice la nuova disciplina. A questa conclusione il Supremo Consesso è pervenuto in considerazione del fatto che il passaggio dal regime prescrizionale quinquennale di cui all’art. 2747 c.c. a quello decadenziale breve previsto dall’art. 30, comma 3, c.p.a. non ha una valenza meramente processuale, ma sostanziale (incidendo sulla pienezza e effettività della tutela giurisdizionale, costituzionalmente garantita dagli artt. 3, 24 e 111 Cost.) nonché in considerazione di quanto disposto dall'articolo 2 dell'Allegato 3 al Codice, a norma del quale “per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti”.

Chiarita la inapplicabilità del nuovo regime decadenziale ai fatti illeciti avvenuti anteriormente alla entrata in vigore del codice del processo amministrativo, si pone il problema di stabilire, nel caso di specie, il dies a quo della prescrizione.

Ritiene in proposito il Collegio di conformarsi all’orientamento secondo il quale, sebbene il superamento della cd. pregiudiziale amministrativa implichi la generale applicazione del principio per cui la decorrenza della prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno coincide con la data del provvedimento lesivo, e non più con quella del passaggio in giudicato della sentenza che lo ha annullato, con riferimento a fattispecie risarcitorie perfezionatesi quando la pregiudiziale era ritenuta operante, invece, la proposizione della domanda di annullamento, intesa quale indispensabile prodromo del risarcimento dei danni, interrompe la prescrizione dell'azione risarcitoria e il decorso rimane sospeso per tutta la durata del relativo giudizio annullatorio (T.a.r. Lazio, sez. II, 1° luglio 2013 n. 6495;
T.a.r. Toscana, Firenze, sez. II, 25 gennaio 2012 n. 149).

Ne consegue che al momento della consegna del ricorso in esame all’Ufficiale giudiziario per la notifica, il termine prescrizionale quinquennale non poteva ancora considerarsi decorso integralmente.

Il ricorso è tuttavia infondato nel merito.

Secondo principi consolidati nella giurisprudenza amministrativa, ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana (ex art. 2043, c.c.) della Pubblica amministrazione devono ricorrere i presupposti del comportamento colposo, del danno ingiusto e del nesso di conseguenzialità tra i fatti;
pertanto, l'imputazione della colpa alla Pubblica amministrazione non può avvenire, sulla base del mero dato obiettivo dell'illegittimità dell'atto amministrativo e, comunque, essa va negata in particolare quando l'indagine conduca al riconoscimento dell'errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l'incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto ( ex multis , Consiglio di Stato, sez. V, 18 gennaio 2016 n. 148).

Orbene, nel caso di specie, non è stata adeguatamente dimostrata dalle parte ricorrenti la sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità della p.a. da illecito provvedimentale.

Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, il Collegio rileva che la stessa sentenza n. 4174/2007, che ha annullato gli atti dai quali si sarebbero originati i danni lamentati dai ricorrenti, il Consiglio di Stato, richiamata la giurisprudenza in materia di revoca e sospensione delle autorizzazioni di polizia, dà atto che: “Risulta, dunque, condivisibile la decisione del Prefetto di Napoli di sospendere la licenza fino alla definizione del procedimento penale, specie in considerazione della gravità del reato ipotizzato a carico del ricorrente (associazione a delinquere di stampo mafioso) e la provenienza della notizia di reato da una pubblica Autorità (Comando Provinciale CC di Napoli)”.

Il fatto che il Giudice d’appello, in riforma della sentenza di I° grado, sancisca l’illegittimità della successiva attività provvedimentale della amministrazione, in relazione mancato riconoscimento di effetto retroattivo alla revoca della sospensione, (in disparte ogni considerazione sulla mancata impugnazione del decreto prefettizio di revoca del 15 marzo 1996) non è reputato dal Collegio elemento idoneo a trasformare in colposa o dolosa una attività provvedimentale che lo stesso Giudice d’appello ha ritenuto giustificata in relazione al procedimento penale avviato nei confronti del Sig. D’E S e alla gravità del reato ipotizzato a suo carico (associazione a delinquere di stampo mafioso). Ai fini della valutazione dell’elemento soggettivo, occorre riportarsi al momento della adozione dell’atto illegittimo, tenendo conto degli elementi sussistenti al momento dell’esercizio del potere e prescindendo da atti e fatti che si sarebbero verificati successivamente alla adozione del provvedimento censurato (decreto di archiviazione del 4 maggio 1995;
del decreto del Tribunale di Napoli del 19 gennaio 1996, di rigetto della proposta di applicazione di misure di prevenzione nei confronti del signor D’E S).

Né a diverse conclusioni, si può pervenire per effetto del rinvio a giudizio per abuso d’ufficio del Prefetto di Napoli (dott. I) – che secondo la prospettazione delle parti ricorrenti avrebbe arbitrariamente favorito la società Italpol s.p.a. – in quanto il relativo giudizio si è concluso con un provvedimento di archiviazione, senza alcun accertamento definitivo della responsabilità penale dell’imputato.

Con riguardo al profilo oggettivo della responsabilità aquiliana, il Collegio rileva che le parti ricorrenti chiedono anzitutto il ristoro dei danni non patrimoniali subiti dalla società La Vigilante, rappresentati dal danno all’immagine e dal danno da perdita di chance: a tale riguardo, le parti ricorrenti evidenziano che i vigilantes assegnati alla Italpol s.p.a. si sono rifiutati di tornare a lavorare per la società ricorrente e che anche le altre società di vigilanza non hanno voluto costituire associazioni temporanee di imprese che prevedessero il coinvolgimento della società La Vigilante;
per effetto delle illegittime sospensioni sopra richiamate, la Regione Campania avrebbe disposto la risoluzione di un contratto d’appalto, cagionando alla società La Vigilante un danno di € 3.216.160,00.

Orbene, le prime due circostanze (rifiuto dei lavoratori a svolgere attività lavorativa per conto della società La Vigilante;
rifiuto da parte di altre società a costituire associazioni temporanee di imprese di cui facesse parte anche la società La Vigilante) sono rappresentate in modo generico e non possono essere causalmente collegate al provvedimento prefettizio di sospensione della autorizzazione (le stesse parti ricorrenti hanno depositato un contratto stipulato nel 2011 dalla Regione Campania con un’a.t.i. avente come mandataria la società La Vigilante).

Con riguardo alla risoluzione disposta dalla Regione Campania, con determinazione dirigenziale n. 1 del 2 dicembre 2012, dei contratti n. 14312 e 14313 del 20 aprile 2011 non sono allegate dalle parti ricorrenti le ragioni della risoluzione contrattuale, che conseguentemente appare difficilmente ricollegabile al provvedimento di sospensione dell’attività disposta con decreto prefettizio dell’aprile del 1994 (anche in ragione del notevole lasso di tempo intercorso).

Con riguardo al danno patrimoniale subito dalla società sotto il profilo del lucro cessante, il Collegio rileva che nella stessa relazione peritale depositata dalle parti ricorrenti viene rappresentata l’impossibilità di “definire elementi di carattere storico e di tipo prospettico – reddituale, come sopra descritto, tali da permettere l’individuazione del lucro cessante, derivante dalla sospensione dell’autorizzazione ad espletare attività di vigilanza nella zona Vicaria-Mercato in Napoli dal 14 marzo 1994 al 15 marzo 1996”, rimettendosi alla valutazione equitativa del giudice.

Secondo principi pacifici in giurisprudenza, in caso di giudizio di responsabilità avverso la p.a., spetta al danneggiato offrire la prova del danno subito, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.). Quest'ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra Amministrazione e privato, la quale contraddistingue l'esercizio del pubblico potere e il correlato rimedio dell'azione di impugnazione, mentre non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. "vicinanza della prova" determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall'art. 2697 comma 1, c.c. (Consiglio di Stato, sez. V, 10 febbraio 2015, n. 675;
8 agosto 2014, n. 4248;
sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4293).

Ai fini del risarcimento dei danni da illegittimo esercizio del potere amministrativo, il ricorrente deve fornire in modo rigoroso la prova della esistenza del danno, non potendo invocare il c.d. principio acquisitivo, perché tale principio attiene allo svolgimento della istruttoria e non all’allegazione dei fatti, né il potere del giudice di liquidare il danno con valutazione equitativa esonera la parte interessata dall'obbligo di offrire al giudice gli elementi probatori circa la sussistenza del danno, esaurendosi l'apprezzamento equitativo da parte del giudice nella necessità di colmare quelle lacune inevitabili nella determinazione del preciso ammontare del danno (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 16 febbraio 2009 n. 842;
T.a.r. Campania, Napoli, sez. V, 15 gennaio 2016 n. 217).

Con riguardo al danno emergente subito dalla società e quantificato dalle parti ricorrenti in € 1.829.904,00, il Collegio rileva che gli importi di cui le parti ricorrenti chiedono il ristoro attengono per lo più ai maggiori esborsi subiti o ai minori introiti ricevuti in relazione ad accordi transattivi che la società La Vigilante è stata costretta ad accettare per carenza di liquidità.

A tale riguardo, il Collegio fa rilevare che, ai sensi dell’art. 1965 c.c. “La transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro”. La stipulazione di accordi di natura transattiva, aventi ad oggetto rapporti di debito o di credito pregressi, non implica necessariamente il conseguimento di un danno di natura patrimoniale.

Oltre a ciò, la mancata dimostrazione da parte dei ricorrenti del lucro cessante per effetto della sospensione dell’attività di vigilanza non consente di ravvisare un collegamento diretto tra detta sospensione e la crisi di liquidità della società che ne sarebbe derivata.

Di contro, dalla documentazione in atti risulta che già al momento della sospensione dell’attività di vigilanza la società si trovava in crisi di liquidità (come testimoniano i ricorsi di fallimento presentati dall’I.N.P.S. e dalla SELCOM) e che gli accordi transattivi stipulati dalla società La Vigilante sono stati finalizzati a impedire o ritardare la dichiarazione giudiziale dello stato di insolvenza della società (accertato poi dal Tribunale di Napoli – sezione fallimentare, con sentenza n. 70/2015 del 27 marzo 2015).

In mancanza della prova del lucro cessante subito dalla società La Vigilante (per effetto della sospensione dell’attività) non è possibile ricollegare eziologicamente al provvedimento illegittimo neppure il danno asseritamente subito dal Sig. D’E S, in relazione alla sua capacità reddituale, per effetto del quale (danno) sarebbe stato costretto ad impegnare alcuni preziosi e a far ricorso a prestiti da parte di parenti.

Non adeguatamente comprovati sono poi il danno esistenziale, il danno morale subiettivo e quello biologico, subiti dal Sig. D’E S, che secondo la giurisprudenza più recente non sono in re ipsa , ma debbono essere analiticamente dimostrati dal danneggiato.

In conclusione, il ricorso è infondato e va respinto.

La fattispecie dedotta in giudizio valutata nei suoi aspetti complessivi giustifica l’equa compensazione delle spese di giudizio.

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