TAR Parma, sez. I, sentenza 2023-10-17, n. 202300290
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Pubblicato il 17/10/2023
N. 00290/2023 REG.PROV.COLL.
N. 00003/2023 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avv. A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno e U.T.G. - Prefettura di Reggio Emilia, in persona dei legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Bologna, domiciliataria
ex lege
;
per l'annullamento
dei provvedimenti prot. n. -OMISSIS- del 27 settembre 2022 e prot. n. -OMISSIS-del 28 settembre 2022, con i quali la Prefettura di Reggio Emilia ha revocato le “misure di accoglienza” e ha ingiunto al ricorrente il versamento della somma di € 2.321,51.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’U.T.G. - Prefettura di Reggio Emilia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il dott. I C nell’udienza pubblica del 11 ottobre 2023 e udito, per il ricorrente, il difensore come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO e DIRITTO
Con atto del 31 agosto 2022 la Prefettura di Reggio Emilia dava comunicazione al ricorrente, cittadino -OMISSIS-, dell’avvio del procedimento preordinato alla revoca delle “misure di accoglienza” a suo tempo concessegli presso una struttura sita in Reggio Emilia (-OMISSIS-), nonché alla ingiunzione di pagamento di una somma di denaro corrispondente al rimborso dei costi derivanti dall’ammissione ad un beneficio non spettante. In particolare, l’Amministrazione richiamava il combinato disposto dell’art. 14 e dell’art. 23, comma 1, lett. d) , del d.lgs. n. 142 del 2015, evidenziando che l’interessato risultava titolare di un contratto di lavoro con trattamento retributivo tale da superare l’importo dell’assegno sociale annuo (“… percepisce e percepirà …), il che implicava la disponibilità di mezzi economici sufficienti al proprio sostentamento;al contempo, poi, veniva richiamato il disposto dell’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 142 del 2015, a proposito della necessità di rimborso dei costi sostenuti dall’Amministrazione per le ‘misure’ di cui l’interessato aveva illegittimamente goduto, con conseguente ingiunzione di pagamento di una somma di denaro a tale titolo dovuta.
Indi, presentate osservazioni da parte del ricorrente, la Prefettura di Reggio Emilia disponeva a suo carico la revoca delle “misure di accoglienza” con provvedimento prot. n. -OMISSIS- del 27 settembre 2022 e, richiamando la necessità del “… rimborso dei costi sostenuti per le misure di cui ha indebitamente usufruito (sulla base del costo lordo pro-capite della convenzione in essere tra l’ente gestore e questa Prefettura pari ad euro 34,00 e successive rinegoziazioni) a partire dal mese successivo alla sottoscrizione del contratto di lavoro a tempo determinato (con cui in prognosi si avrà il superamento della soglia dell’assegno sociale) e fino alla data in cui è stato adottato il provvedimento di revoca …” , gli ingiungeva il versamento della somma di € 2.321,51 con provvedimento prot. n. -OMISSIS-del 28 settembre 2022.
Avverso tali atti ha proposto impugnativa il ricorrente.
Adducendo contrastante con la disciplina speciale di fonte euro-unitaria la normativa italiana di attuazione della direttiva 2013/33/UE in tema di accoglienza dei “richiedenti protezione internazionale”, l’interessato rileva come il d.lgs. n. 142 del 2015, a proposito dei casi di occultamento di risorse finanziarie e di conseguente indebito beneficio delle condizioni materiali di accoglienza, non preveda alcuna ipotesi di graduazione della sanzione né di adeguamento alla gravità del fatto contestato, posto che viene contemplata la sola revoca delle misure di accoglienza e non anche la possibilità di riduzione delle stesse o di adozione di alternative forme di ‘punizione’. In ogni caso, a suo dire, se ne deve dare – ove possibile – una interpretazione coerente con la disciplina europea, e quindi fare luogo alla revoca delle misure di accoglienza allorché l’interessato abbia deliberatamente tenuto nascoste le risorse finanziarie a sua disposizione, situazione però non verificatasi nel caso di specie per avere il ricorrente sempre tempestivamente comunicato la propria situazione reddituale e lavorativa alla Cooperativa presso la quale era accolto, sì da non essere rinvenibile a suo carico alcun comportamento scorretto o fraudolento e da non potersi perciò esigere alcuna somma a titolo di rimborso dei costi sostenuti dall’Amministrazione.
Il ricorrente contesta altresì la liquidità della somma di denaro oggetto di ingiunzione di pagamento, per trattarsi – a suo dire – di importo calcolato in maniera del tutto ipotetica e assolutamente sommaria, e ciò in quanto la Prefettura si sarebbe limitata a raccogliere informazioni relative al reddito nelle annualità contestate senza specificare da quale momento il beneficiario avesse perduto il diritto all’accoglienza. Inoltre, emergerebbe ancora una volta la violazione della normativa dell’Unione Europea, posto che, laddove la misura debba essere adottata non per fatti illeciti compiuti dal beneficiario bensì per il semplice venir meno delle condizioni, la direttiva 2013/33/UE valorizzerebbe la possibilità di una “riduzione” delle condizioni materiali di accoglienza senza necessariamente giungere alla revoca definitiva del beneficio, con la conseguenza che, in presenza di richiedente in possesso di un reddito appena superiore all’importo dell’assegno sociale annuo, l’Amministrazione potrebbe ridurre l’entità e l’erogazione delle misure di accoglienza graduandole in relazione alle disponibilità economiche del beneficiario, senza revocare in toto il beneficio;il che, viene rilevato, è ancor più vero se si considera che l’interessato non ha mai superato l’importo dell’assegno sociale annuo nemmeno negli anni precedenti e che il contratto di lavoro citato dalla Prefettura non è stato rinnovato e dunque già da ottobre 2022 egli non percepisce più alcun reddito, con la conseguenza che il pagamento della somma ingiunta implicherebbe, a livello astratto, il restare privo di mezzi di sostentamento, così da trovarsi in evidente stato di indigenza.
Di qui l’addotta adozione di determinazioni in contrasto con l’art. 20 della direttiva n. 2013/33/UE, secondo cui la riduzione o la revoca delle misure materiali di accoglienza devono essere motivate, proporzionate e adottate al termine di un apprezzamento individuale, condotto caso per caso “in modo obiettivo e imparziale”, in considerazione della “particolare situazione della persona interessata” e garantendo in ogni circostanza “un tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti”. Circa, infine, la meccanica commisurazione del rimborso a quanto corrisposto dall’Amministrazione al soggetto gestore della struttura di accoglienza, il ricorrente richiama l’orientamento giurisprudenziale imperniato sul ritenuto contrasto con le sovraordinate norme di fonte euro-unitaria dei rimborsi che in tal modo verrebbero determinati senza tenere conto della particolare situazione dell’interessato e del reale beneficio conseguito dal medesimo.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e l’U.T.G. - Prefettura di Reggio Emilia, resistendo al gravame.
Con ordinanza n. 39 del 26 gennaio 2023 la Sezione accoglieva l’istanza cautelare del ricorrente limitatamente all’atto avente ad oggetto l’ingiunzione di versamento della somma richiesta.
All’udienza pubblica del 11 ottobre 2023 la causa è passata in decisione.
Il Collegio ritiene che la risoluzione della controversia implichi la preliminare individuazione dei principi regolatori dell’istituto della revoca delle misure di accoglienza concesse ai richiedenti la “protezione internazionale nel territorio nazionale”, quando la revoca viene disposta in ragione della carenza, originaria o sopravvenuta, del requisito reddituale a tal fine previsto dall’art. 14 del d.lgs. n. 142 del 2015.
La giurisprudenza (v. Cons. Stato, Sez. III, 7 marzo 2023 n. 2386 e 15 settembre 2023 n. 8350;TAR Emilia-Romagna, Bologna, Sez. I, 16 marzo 2023 n. 136 e 28 febbraio 2022 n. 223;TAR Toscana, Sez. II, 19 novembre 2021 n. 1506 e 15 giugno 2021 n. 924) ha così delineato il quadro normativo di riferimento, le tematiche che ne emergono e le regole concrete da osservare:
- la materia dell’accoglienza degli stranieri richiedenti protezione internazionale è disciplinata nel nostro ordinamento dal d.lgs. n. 142 del 2015, quale trasposizione della direttiva n. 2013/33/UE (recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) e della direttiva n. 2013/32/UE (recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale);
- l’art. 17 della direttiva n. 2013/33/UE esige che le condizioni materiali di accoglienza cui gli interessati hanno titolo “… assicurino un’adeguata qualità di vita che garantisca il sostentamento dei richiedenti e ne tuteli la salute fisica e mentale …” (par. 2);
- l’art. 20 della direttiva n. 2013/33/UE, in ragione del possibile venir meno dei presupposti fondanti la concessione delle misure di accoglienza, consente agli Stati membri la progressiva e graduale riduzione delle stesse fino a giungere, quale extrema ratio , alla loro revoca – consentita “in casi eccezionali debitamente motivati” (par. 1) –, e ciò, tra le varie ipotesi previste, anche “… qualora un richiedente abbia occultato risorse finanziarie, beneficiando in tal modo indebitamente delle condizioni materiali di accoglienza …” (par. 3), il tutto, però, con decisioni “… adottate in modo individuale, obiettivo e imparziale e sono motivate …” oltre ad essere “… basate sulla particolare situazione della persona interessata […] tenendo conto del principio di proporzionalità …” e comunque garantendo un “… tenore di vita dignitoso per tutti i richiedenti …” (par. 5);
- alla luce di tali principi, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sez. X, 1° agosto 2022, C-422/21, e Grande Sezione, 12 novembre 2019, C-233/18) ha statuito che la sanzione della revoca “ deve, in qualsiasi circostanza, rispettare le condizioni di cui al paragrafo 5 di tale articolo, in particolare quelle relative al rispetto del principio di proporzionalità e della dignità umana ”;
- con specifico riferimento al caso della revoca delle misure di accoglienza per superamento dei requisiti reddituali, vengono in rilievo l’art. 17 della direttiva n. 2013/33/UE, secondo cui gli “… Stati membri possono subordinare la concessione di tutte le condizioni materiali d’accoglienza e dell’assistenza sanitaria, o di parte delle stesse, alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti a garantire loro una qualità della vita adeguata per la loro salute, nonché ad assicurare il loro sostentamento …” (par. 3) e gli “… Stati membri possono obbligare i richiedenti a sostenere o a contribuire a sostenere i costi delle condizioni materiali di accoglienza e dell’assistenza sanitaria previsti nella presente direttiva, ai sensi del paragrafo 3, qualora i richiedenti dispongano di sufficienti risorse, ad esempio qualora siano stati occupati per un ragionevole lasso di tempo. Qualora emerga che un richiedente disponeva di mezzi sufficienti ad assicurarsi le condizioni materiali di accoglienza e l’assistenza sanitaria all’epoca in cui tali esigenze essenziali sono state soddisfatte, gli Stati membri possono chiedere al richiedente un rimborso …” (par. 4), nonché il già richiamato art. 20, par. 3, della direttiva, con il risultato che l’art. 17 implica una revoca di carattere ‘ordinario’ e che l’art. 20 implica una revoca di carattere ‘sanzionatorio’;
- in entrambi i casi di revoca le condizioni per ottenere il rimborso sono meglio specificate all’art. 26, par. 5, della medesima direttiva (“ Gli Stati membri possono esigere un rimborso integrale o parziale delle spese sostenute, allorché vi sia stato un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente o se la decisione di accordare tali prestazioni è stata adottata in base a informazioni false fornite dal richiedente ”), con la conseguenza che, in virtù del fondamentale principio di proporzionalità, il rimborso – integrale o parziale – può essere parametrato ad un considerevole miglioramento delle condizioni finanziarie del richiedente, in coerenza con la previsione della revoca per perdita dei requisiti di cui all’art. 17, ovvero può essere parametrato al comportamento scorretto del richiedente che fornisce informazioni false così ottenendo indebitamente le misure di accoglienza e occultando la sua reale condizione finanziaria, in coerenza con la revoca ‘sanzionatoria’ di cui all’art. 20;
- la normativa interna si occupa della “revoca” delle condizioni di accoglienza all’art. 23 del d.lgs. n. 142 del 2015, prevedendo – tra i vari casi – quello indicato come “ accertamento della disponibilità da parte del richiedente di mezzi economici sufficienti ” [comma 1, lett. d) ], disposizione però da leggere in combinato con il precedente art. 14, secondo cui il “… richiedente che ha formalizzato la domanda e che risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso, con i familiari, alle misure di accoglienza del presente decreto …” (comma 1) e al “… fine di accedere alle misure di accoglienza di cui al presente decreto, il richiedente, al momento della presentazione della domanda, dichiara di essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza. La valutazione dell’insufficienza dei mezzi di sussistenza di cui al comma 1 è effettuata dalla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo con riferimento all’importo annuo dell’assegno sociale …” (comma 3);
- dalle suddette disposizioni emerge che: a) presupposto per accedere alle misure di accoglienza è l’essere privo di mezzi sufficienti di sussistenza; b) la valutazione dell’insufficienza dei mezzi di sussistenza è effettuata con riferimento all’importo annuo dell’assegno sociale; c) in caso di accertamento della disponibilità di mezzi economici sufficienti è disposta la revoca delle misure di accoglienza;
- posto che l’art. 17, par. 3, della direttiva consente che gli Stati membri subordinino la concessione delle misure di accoglienza alla condizione che i richiedenti non dispongano di mezzi sufficienti ad assicurarne il sostentamento, ne deriva che, se il requisito dell’indigenza è richiesto per accedere al sistema di accoglienza, logica vuole che lo stesso debba permanere per tutto il tempo di godimento dei relativi benefici e che l’Amministrazione sia quindi tenuta a decretare la revoca delle ‘misure’ per il solo fatto che lo straniero acquisisca stabilmente la disponibilità di risorse economiche adeguate al suo sostentamento, tanto più che uno degli obiettivi delle norme europee sull’accoglienza è rappresentato dall’agevolazione all’accesso al mercato del lavoro da parte dei richiedenti la protezione internazionale e che occorre per altro verso contrastare le possibilità di abuso del sistema per non sottrarre le relative, limitate, risorse ai richiedenti che versano in situazioni più radicali di povertà e di mancanza di strumenti di integrazione, e allora, nel difficile equilibrio fra tali esigenze, occorre assicurare ai richiedenti le condizioni materiali di accoglienza finché l’integrazione lavorativa e la situazione di autosufficienza economica non abbiano raggiunto un certo grado di stabilità;
- per giustificare la revoca, i “mezzi sufficienti di sussistenza” pari o superiori “all’importo annuo dell’assegno sociale” devono essere di carattere stabile e/o duraturo e, comunque, devono riferirsi ad un arco temporale minimo di 1 anno ed alle attuali condizioni dello straniero richiedente la protezione internazionale, in linea con quanto stabilito a livello europeo dall’art. 17, par. 4, della direttiva – ove si fa riferimento all’occupazione per un “ragionevole lasso di tempo” –, sì che non può dunque bastare, a tale fine, il percepimento solo di compensi mensili che nel loro insieme non raggiungono quell’ammontare ma che, proiettati su base annuale, porterebbero ipoteticamente a superare l’importo di legge;
- l’art. 23 del d.lgs. n. 142 del 2015 sembra far intendere come esso, senza peraltro prevedere una graduazione delle risposte sanzionatorie, includa tra i casi di revoca delle misure di accoglienza entrambe le forme di revoca analizzate, visto che il comma 6 stabilisce che nella “… ipotesi di revoca, disposta ai sensi del comma 1, lettera d), il richiedente è tenuto a rimborsare i costi sostenuti per le misure di cui ha indebitamente usufruito …”, nel senso che il legislatore italiano risulta disciplinare espressamente la sola revoca per perdita dei requisiti di legge, salvo poi affermare che è possibile ottenere il reintegro delle spese derivanti allo Stato dalle “ misure di cui ha indebitamente usufruito ” lo straniero, mostrando così di contemplare anche il caso della revoca c.d. “sanzionatoria”;
- la necessità di coordinare la normativa interna con quella euro-unitaria fa sì che, se lo Stato può ottenere un rimborso integrale o parziale delle spese sostenute per l’erogazione delle misure di accoglienza, ciò non può che avvenire nel rispetto del principio di proporzionalità, onde verificare se vi sia stato un radicale miglioramento delle condizioni di vita dello straniero oppure se il comportamento dello stesso riveli l’occultamento di risorse o dichiarazioni false poste a base dell’istanza;
- in ossequio al principio di primazia del diritto dell’Unione Europea e in ragione del potere del giudice nazionale di disapplicare le norme interne in contrasto con quelle europee, va disapplicata la norma di cui all’art. 23, comma 1, lett. d) , e comma 6, del d.lgs. n. 142 del 2015 nella parte in cui non prevede che la possibilità di ottenere il rimborso integrale o parziale sia subordinata alle condizioni di cui all’art. 26 della direttiva n. 2013/33/UE e, in ogni caso, sia proporzionata al caso di specie;
- la richiesta di rimborso dei costi sostenuti per l’accoglienza si presenta contrastante con il canone di proporzionalità e adeguatezza quando – da un lato – lo straniero richiedente protezione internazionale abbia correttamente reso nota la sua posizione lavorativa all’Amministrazione o al gestore della struttura di assegnazione e non abbia posto in essere un comportamento ostruzionistico, e – dall’altro lato – la sanzione ingiunta sia palesemente incongrua rispetto all’entità del discostamento dal parametro dell’assegno sociale e rispetto alla consistenza del miglioramento delle condizioni di vita dell’interessato.
Tutto ciò considerato alla luce della normativa vigente al tempo dell’adozione degli atti impugnati, e venendo all’esame delle doglianze nella fattispecie formulate, rileva il Collegio come risulti fondata, e assorbente delle altre censure, quella che muove dall’asserita illegittimità degli atti impugnati per il mancato accertamento dell’effettivo superamento, ex post , della soglia di reddito ragguagliata all’importo annuo dell’assegno sociale.
Come si è anticipato, perché si giustifichi la revoca occorre che i “mezzi sufficienti di sussistenza” pari o superiori “all’importo annuo dell’assegno sociale” siano di carattere stabile e/o duraturo e, comunque, si riferiscano ad un arco temporale minimo di 1 anno, in linea con quanto stabilito a livello europeo dall’art. 17, par. 4, della direttiva n. 2013/33/UE – ove si fa riferimento all’occupazione per un “ragionevole lasso di tempo” –, sì che non può dunque bastare, a tale fine, il percepimento solo di compensi mensili che nel loro insieme non raggiungono quell’ammontare ma che, proiettati su base annuale, porterebbero ipoteticamente a superare l’importo di legge (v., da ultimo, anche TAR Toscana, Sez. II, 30 novembre 2022 n. 1405, nonché TAR Campania, Napoli, Sez. VI, 28 ottobre 2022 n. 6675).
Nella circostanza, in effetti, l’Amministrazione non ha accertato a posteriori il reddito annuale del ricorrente e in tal modo preso atto del superamento della soglia di legge, ma ha operato una previsione ragguagliata all’anno per ricavarne, in una visione prospettica, il presumibile raggiungimento di quella soglia e quindi la disponibilità di mezzi sufficienti al suo sostentamento (nel preavviso di rigetto era stato significativamente detto che “… la revoca delle misure di accoglienza ai sensi dell’art. 23, comma 1, lett. d) D. Lgs. 142/2015 opera solo in presenza di una retribuzione mensile pari o superiore, pro quota, all’assegno sociale annuo ed in presenza di un contratto di lavoro, anche a tempo determinato, connotato dai caratteri della stabilità e/o durevolezza così che si possa ritenere verosimilmente raggiungibile la soglia dell’assegno sociale annuo in applicazione della menzionata logica prospettica …” e nel provvedimento di ingiunzione si è poi detto del “… rimborso dei costi sostenuti per le misure di cui ha indebitamente usufruito […] a partire dal mese successivo alla sottoscrizione del contratto di lavoro a tempo determinato (con cui in prognosi si avrà il superamento della soglia dell’assegno sociale) e fino alla data in cui è stato adottato il provvedimento di revoca …”).
A questo punto, l’insussistenza dei presupposti per la revoca delle misure di accoglienza fa naturalmente venir meno anche l’obbligo di rimborso dei costi sostenuti dall’Amministrazione per l’erogazione di quel beneficio.
In ogni caso, circa l’ingiunzione di versamento della somma di € 2.321,51, tenendo conto dell’orientamento giurisprudenziale che porta alla parziale disapplicazione della norma interna in contrasto con quella europea (v. Cons. Stato, Sez. III, n. 2386/2023 cit.), andrebbe comunque assegnato valore decisivo all’assunto del ricorrente di non avere nascosto la propria situazione reddituale e lavorativa al gestore della struttura di accoglienza, sì che, per derivare il protrarsi del beneficio dalla tolleranza della situazione da parte dell’Amministrazione – con la ragionevole convinzione del ricorrente di poterne continuare a godere senza costi a suo carico –, si presenta incongrua e non coerente con un canone di razionale proporzionalità la decisione di procedere al recupero integrale dei costi correlati al beneficio erogato anche dopo il venir meno della condizione di indigenza;del resto, come è stato rilevato (v. Cons. Stato, Sez. III, n. 2386/2023 cit.), non è in simili casi necessario che della posizione lavorativa dello straniero venga direttamente notiziata la Prefettura, difettando un obbligo normativo in tal senso, ed essendo anzi ragionevole che lo straniero si rivolga alla struttura che gli presta assistenza. Né, d’altra parte, induce ad una diversa conclusione l’assunto dell’Amministrazione per cui non risulta “… pervenuta agli atti di questo Ufficio alcuna segnalazione di variazione del reddito, né da parte del beneficiario, né da parte della cooperativa ospitante …” (così nelle premesse dell’atto di ingiunzione di versamento della somma richiesta), in quanto – una volta escluso l’obbligo di informativa diretta alla Prefettura – era evidentemente onere dell’Amministrazione, in sede istruttoria, acquisire d’ufficio tutti gli elementi necessari per la determinazione finale, anche interpellando il gestore della struttura di accoglienza, e in questo modo verificando quali elementi informativi fossero stati da quest’ultimo acquisiti nel tempo su iniziativa dell’ospite, così da ricostruirne la condotta complessiva;e, invece, ciò non è accaduto, e si vorrebbe riversare integralmente sul richiedente protezionale internazionale la prova di comunicazioni e produzioni di cui è logico l’interessato può non disporre.
In conclusione, assorbite le restanti censure, il ricorso va accolto nei termini indicati, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Le spese di giudizio possono essere compensate, in ragione dell’illustrato complesso quadro normativo della materia.