TAR Venezia, sez. II, sentenza 2023-08-30, n. 202301237

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Venezia, sez. II, sentenza 2023-08-30, n. 202301237
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Venezia
Numero : 202301237
Data del deposito : 30 agosto 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 30/08/2023

N. 01237/2023 REG.PROV.COLL.

N. 00384/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 384 del 2013, proposto da
S d B s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avvocati F Z e A T, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il loro studio in Venezia-Mestre, via Cavallotti, 22;

contro

Comune di Venezia, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dagli avvocati A I, N O, F T e M M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sede municipale in Venezia, S. Marco 4091;
Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Venezia e Laguna e Regione Veneto, non costituitisi in giudizio;
Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore , rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in Venezia, San Marco, 63;

per l'annullamento

- della nota prot. n. 2013/5805 del 4 gennaio 2013, del Comune di Venezia, a firma del Dirigente della Direzione Sviluppo del Territorio ed Edilizia - Servizio Condono Edilizio, avente ad oggetto: “ Sanatoria ai sensi dell'art. 31 e ss. della legge n. 47 del 28.2.1985 e s.m.i. Diniego ”;

- del parere endoprocedimentale contrario espresso dalla Soprintendenza con provvedimento prot. 15209 del 30 ottobre 2012, con cui la Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici di Venezia e Laguna ha ribadito i contenuti della comunicazione dei motivi ostativi prot. 19530 del 28 dicembre 2011.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Venezia e del Ministero per i beni e le attività culturali;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l'art. 87, comma 4- bis , cod. proc. amm.;

Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 giugno 2023 il dott. S M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con ricorso straordinario al Capo dello Stato trasposto in sede giurisdizionale ed in epigrafe indicato, la Società S d B s.r.l. (d’ora in poi Società S d B) impugna il provvedimento prot. n. 2013/5805 del 4 gennaio 2013, con cui il Comune di Venezia ha respinto la domanda di condono dalla stessa presentata in data 16 settembre 1986.

L’istanza di sanatoria ha ad oggetto un fabbricato in muratura adibito ad uffici della superficie di circa 54 mq, ultimato nel 1963, ed un piccolo locale ad uso magazzino – attrezzi, con struttura in ferro e tamponamenti con lamiere zincate, ultimato nel 1974, realizzati a Mestre, in via San Giuliano n. 8.

Il diniego è motivato con riferimento al parere espresso dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici che si è pronunciata negativamente ritenendo i manufatti incongrui rispetto al paesaggio tutelato dal vincolo paesaggistico apposto alle aree ricomprese entro il perimetro della conterminazione lagunare, con D.M. 1° agosto 1985.

La ricorrente premette che la domanda di condono era stata oggetto di un precedente diniego del Comune espresso con provvedimento prot. n. 48351/26552/00 del 22 settembre 1994, motivato con riferimento all’esistenza di un vincolo urbanistico “ a uso pubblico – viabilità ”, senza alcuna menzione della sussistenza del vincolo paesaggistico.

Tale diniego è stato impugnato avanti a questo Tribunale il quale, con sentenza Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758, ha accolto il ricorso per le censure proposte con il primo ed in parte il terzo motivo.

Con il primo motivo la Società lamentava l’illegittimità del diniego perché tardivamente sopravvenuto all’accoglimento della domanda mediante l’istituto del silenzio assenso previsto dall’art. 35 della legge n. 47 del 1985, per il decorso del termine di 24 mesi dalla data di presentazione dell’istanza.

Al riguardo nella sentenza si afferma che “ nel caso di specie, non si versa in ipotesi di vincolo paesaggistico, bensì di previsione, nello strumento urbanistico, di destinazione a viabilità sulla quale sorgono i manufatti ritenuti abusivi ”.

Sulla base di questa premessa la pronuncia ha pertanto giudicato inconferente, perché non applicabile alla fattispecie in esame, il principio di diritto enunciato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20, circa l’inoperatività del meccanismo del silenzio assenso ove siano presenti dei vincoli paesaggistici apposti successivamente alla realizzazione delle opere abusive.

Con il terzo motivo la ricorrente deduceva la decadenza del vincolo urbanistico a viabilità per il decorso del quinquennio dalla sua apposizione.

Svolta l’illustrazione del pregresso contenzioso, la Società S d B con il ricorso in epigrafe impugna con dieci motivi il provvedimento prot. n. 2013/5805 del 4 gennaio 2013, con il quale è stata nuovamente respinta la domanda di condono con la diversa motivazione riferita all’incompatibilità dei manufatti con le esigenze di tutela del vincolo paesaggistico.

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2909 cod. civ., dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, la violazione dell’efficacia precettiva della sentenza di questo Tribunale, Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758, la contraddittorietà, l’illogicità e il difetto di presupposto, in quanto l’Amministrazione non ha tenuto conto di quanto afferma tale pronuncia, passata in giudicato, circa l’avvenuto accoglimento della domanda di condono per silenzio assenso, con una statuizione che copre il dedotto ed il deducibile e non può più essere messa in discussione.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e l’elusione della sentenza di questo Tribunale, Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758, la violazione dell’art. 21 septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, il difetto di motivazione, la violazione del principio di buon andamento nonché l’illogicità sotto altro profilo, perché, evidenziando per la prima volta nel secondo diniego la sussistenza di nuove e prima mai indicate ragioni ostative, il Comune ha posto in essere un’elusione della sentenza che aveva ormai cristallizzato l’avvenuto accoglimento della domanda di condono.

Ove il Comune avesse ritenuto non corretta la sentenza, deduce la ricorrente, avrebbe dovuto impugnarla in appello, ma non avrebbe potuto procedere de plano come se la stessa non fosse intervenuta.

Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 35 della legge n. 47 del 1985, il difetto di presupposto, l’illogicità e la carenza di potere, in quanto, dopo che è intervenuta la sentenza di questo Tribunale, Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758, che ha sancito l’avvenuto accoglimento della domanda di condono per silenzio assenso, l’Amministrazione, ove avesse ritenuto sussistenti dei nuovi profili di diniego, prima mai contestati, avrebbe dovuto eventualmente disporre l’annullamento in autotutela del provvedimento tacito di accoglimento della domanda di condono.

Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 31, 32 e 33 della legge n. 47 del 1985, e dell’art. 146 del D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, ed il difetto di motivazione, perché il Comune ha riavviato l’istruttoria sulla domanda di condono, dopo la formazione del silenzio assenso, acquisendo il parere della Soprintendenza che si è espressa con le modalità procedimentali proprie della procedura ordinaria, e non con quelle speciali proprie della disciplina sul condono.

Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 6 della legge 16 aprile 1973, n. 171, come modificato dall’art. 4, comma 3, della legge 8 novembre 1991, n. 360, perché è stata ignorata la legislazione speciale la quale prevede che l’autorizzazione paesaggistica debba essere acquisita nell’ambito del parere vincolante espresso dalla Commissione per la Salvaguardia di Venezia, e non al di fuori della stessa come se si trattasse di un procedimento ordinario.

Con il sesto motivo la ricorrente lamenta il difetto di motivazione e di istruttoria, nonché l’arbitrarietà, perché nel diniego non è presente alcuna motivazione volta a giustificare la scelta di riavviare il procedimento, né la Soprintendenza ha indicato specificatamente le ragioni per le quali ha ritenuto gli interventi edilizi realizzati incompatibili con le ragioni di tutela del vincolo.

Con il settimo motivo la ricorrente lamenta l’illegittimità del parere espresso dalla Soprintendenza perché non ha rilevato che si era esaurito il suo potere a causa del rilascio dell’autorizzazione per silenzio assenso, ed ha svolto un’indagine sui vincoli di carattere paesaggistico sussistenti sull’area che ormai le era preclusa.

Con l’ottavo motivo, anch’esso proposto avverso il parere espresso dalla Soprintendenza, la ricorrente lamenta l’incompetenza assoluta, la violazione dell’art. 6 della legge n. 171 del 1973, come modificato dall’art. 4, comma 3, della legge n. 360 del 1991, perché per la legislazione speciale per Venezia il parere sulla compatibilità paesaggistica avrebbe dovuto essere espresso dalla Commissione per la salvaguardia di Venezia e non direttamente dalla Soprintendenza.

Con il nono motivo la ricorrente lamenta la violazione degli articoli 31, 32, 33 e 35 della legge n. 47 del 1985, e dell’art. 46 del D.lgs. n. 42 del 2004, il difetto di motivazione e la violazione dell’art. 9 del D.P.R. n. 327 del 2001, perché il Comune, pur non potendo rimettere in discussione la domanda di condono già accolta, ha chiesto alla Soprintendenza un parere ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, ma l’Amministrazione statale ha commesso un duplice errore. Uno di carattere procedimentale perché ha reso un parere ai sensi dell’art. 146 del D.lgs. n. 42 del 2004, anziché ai sensi dell’art. 32 della legge n. 47 del 1985, ed uno di carattere sostanziale, perché ha citato come ostativa la presenza di un vincolo paesaggistico estraneo alle aree interessate, relativo alla dichiarazione di pubblico interesse del 31 luglio 2000, n. 9385, concernente la “ Città Giardino di Marghera ”.

Con il decimo motivo la ricorrente deduce, sempre con riguardo al parere reso dalla Soprintendenza, il difetto di motivazione e di istruttoria, perché mancano una descrizione puntuale dei luoghi nei quali ricadono i manufatti, e la specificazione delle ragioni per le quali gli stessi non possono armonizzarsi con il contesto oggetto di vincolo.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali sostenendo che, non essendo stato parte del giudizio che ha dato luogo alla sentenza T.A.R. Veneto, Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758, non può essergli opposta la statuizione della pronuncia, e che in ogni caso è incontrovertibile la presenza sull’area del vincolo paesaggistico imposto dal D.M. 1° agosto 1985, che impedisce la formazione del silenzio assenso ove non sia intervenuto il parere favorevole dell’Amministrazione statale.

Con riguardo al dedotto vizio procedurale relativo alla mancata acquisizione del parere della Commissione per la Salvaguardia di Venezia, la Soprintendenza ha dato conto del conflitto interpretativo (oggi superato) tra l’Amministrazione locale, la Regione e l’Amministrazione statale che ha investito la questione della perdurante attività di quest’organo speciale con riferimento al territorio del Comune di Venezia, mentre ha chiarito che l’aver menzionato, nel parere, il vincolo relativo alla “ Città Giardino di Marghera ”, è il frutto di un mero errore materiale.

Si è altresì costituito in giudizio il Comune di Venezia sostenendo che, contrariamente a quanto dedotto nel ricorso, la sentenza T.A.R. Veneto, Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758, non conterrebbe alcun accertamento sulla formazione del silenzio assenso sulla domanda di condono, e che pertanto, a fronte dell’esistenza del vincolo paesaggistico, è stato correttamente riavviato il procedimento e completata l’istruttoria richiedendo il parere della Soprintendenza circa la compatibilità dei manufatti rispetto alle esigenze di tutela del vincolo.

Entrambe le Amministrazioni resistenti hanno quindi chiesto la reiezione del ricorso.

All’udienza straordinaria di definizione dell’arretrato del 20 giugno 2023, in prossimità della quale le parti hanno depositato memorie a sostegno delle proprie difese, la causa è stata trattenuta in decisione.

In via preliminare deve darsi atto che per uno dei manufatti è venuto meno l’interesse alla definizione nel merito del ricorso.

Infatti la parte ricorrente nella memoria depositata in giudizio il 18 maggio 2023, in prossimità dell’udienza, ha sottolineato di aver restituito all’A, proprietario di una porzione delle superfici interessate, l’area condotta in locazione per scadenza del contratto, eliminando il magazzino che aveva realizzato.

Permane invece l’interesse per il fabbricato in muratura adibito ad uffici della superficie di circa 54 mq.

Nel merito il ricorso deve essere accolto.

Il regime procedimentale per la definizione delle pratiche di condono è contenuto nell'art. 35, comma 17, della legge n. 47 del 1985, il quale prevede che “ Fermo il disposto del primo comma dell'articolo 40 [rappresentazione dolosamente infedele]e con l'esclusione dei casi di cui all'articolo 33 [contrasto con vincoli nominativamente indicati], decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento ”.

Nel tempo sono emersi divergenti orientamenti giurisprudenziali circa l’operatività o meno del meccanismo del silenzio assenso in presenza di un vincolo paesaggistico apposto successivamente alla realizzazione dell’opera abusiva, risolti dalla sentenza del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20, nel senso che anche in questi casi “ il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso ”, e che pertanto il parere va acquisito a prescindere dal requisito della anteriorità dell’opera rispetto al vincolo.

La prima domanda di condono presentata dalla Società ricorrente è stata respinta con provvedimento prot. n. 48351/26552/00 del 22 settembre 1994, in quanto il Comune ha ravvisato, come elemento ostativo, unicamente l’esistenza di un vincolo urbanistico “ a uso pubblico – viabilità ”, senza alcuna menzione della sussistenza del vincolo paesaggistico.

Il primo diniego è stato quindi impugnato avanti a questo Tribunale il quale, con sentenza Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758, ha accolto il ricorso, affermando, come specificato nella parte narrativa in fatto, che non risultava sussistere un vincolo paesaggistico, ma solamente un vincolo urbanistico, e che pertanto doveva ritenersi accolta la domanda di condono mediante il meccanismo del silenzio assenso.

La pronuncia ha quindi come presupposto logico dell’accoglimento del ricorso, l’affermazione dell’insussistenza del vincolo paesaggistico.

L’Amministrazione comunale, come dedotto nel ricorso, a fronte di una pronuncia di questo tenore, ove avesse ritenuto erronea la statuizione nella parte in cui ha affermato l’insussistenza del vincolo paesaggistico e quindi la sussistenza dei presupposti fattuali per la formazione del silenzio assenso, avrebbe dovuto avviare il rimedio processuale dell’appello avverso la sentenza, ovvero in sede procedimentale avrebbe potuto eventualmente saggiare la possibilità, ove ritenuti presenti i presupposti, di ricorrere rimedio dell’annullamento in autotutela del provvedimento tacito di accoglimento della domanda di condono.

In linea generale al riguardo va sottolineato che il meccanismo del silenzio-assenso risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l'inerzia equivale a tutti gli effetti ad un provvedimento di accoglimento esplicito.

L'art. 21- nonies della legge n. 241 del 1990, nel disciplinare in generale l'istituto dell'annullamento d’ufficio, ne individua l'oggetto (anche) nel “ provvedimento [che] si sia formato ai sensi dell'art. 20 ”, ammettendo il rimedio postumo dell’annullamento in autotutela, previsto dall’ordinamento per l’Amministrazione che si ravveda e ravvisi la necessità di rimediare agli effetti del proprio indebito comportamento inerte.

Il Comune invece, anziché prendere atto del contenuto conformativo della sentenza, ha riavviato il procedimento formulando un nuovo diniego in base al parere negativo della Soprintendenza, giustificato dalla presenza di un vincolo paesaggistico la cui sussistenza non era indicata nel primo diniego, ed è stata negata dalla sentenza passata in giudicato.

Ne consegue l’applicazione al caso in esame del principio secondo cui il giudicato, in relazione ai vizi dell'atto di cui è stata accertata la sussistenza sulla base dei motivi di censura articolati dalla parte ricorrente, copre il dedotto ed il deducibile, cioè non soltanto le questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione, ma anche le questioni che, pur non dedotte in giudizio, costituiscano un presupposto logico ed indefettibile della decisione stessa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 7 luglio 2020, n. 4369;
Consiglio di Stato, Sez. V, 8 agosto 2019, n. 5627;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 12 giugno 2015, n. 2888;
Consiglio di Stato, Sez. V, 12 dicembre 2008, n. 6189).

Nel caso in esame le circostanze allegate nel nuovo diniego impugnato con il ricorso in epigrafe, avrebbero dovuto essere dedotte con il primo diniego o, al più tardi, nel giudizio che si è concluso con la sentenza di questo Tribunale Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758

A fronte dell’effetto conformativo derivante dalla sentenza di questo Tribunale Sez. II, 15 luglio 2009, n. 1758, all’Amministrazione residuava pertanto solo la possibilità di riattivare il procedimento amministrativo per dare atto dell’avvenuto accoglimento della domanda di condono.

Risultano pertanto fondati il primo ed il secondo motivo, con i quali la Società ricorrente lamenta la violazione del giudicato, ed il terzo motivo con il quale viene dedotta l’illegittimità di un provvedimento successivo alla formazione del silenzio assenso (su quest’ultimo punto, ex plurimis , cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 febbraio 2021, n. 1040;
Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 marzo 2018, n. 1795).

Le ulteriori censure non vengono esaminate, in ragione del carattere assorbente dei vizi dedotti con i primi tre motivi del ricorso.

Nonostante l’esito del giudizio, le peculiarità della controversia e la risalenza dei fatti che vi hanno dato origine, giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

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