TAR Torino, sez. II, sentenza 2014-03-27, n. 201400523
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N. 00523/2014 REG.PROV.COLL.
N. 01586/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1586 del 2007, proposto da:
AZIENDE AGRICOLE BORI VALTER, CAMISASSI PIERGIORGIO, NICOLA RENATO, CRAVERO MAURO GIUSEPPE, DIELLE S.S., BATTISTI GIOVANNI BATTISTA E MARIO, CASCINA RIMBOSIO S.S., FONTANA CERVO, rappresentate e difese dall'avv. P Basso, con domicilio eletto presso P Basso in Torino, via S. Francesco D'Assisi, 14;
contro
AG.E.A. - AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA;
per l'annullamento
- del provvedimento dell'AGEA - contenuto negli elenchi dei produttori di latte sottoposti (in esito alla procedura di restituzione e compensazione del prelievo supplementare relativo alle consegne del periodo 2006/2007) a prelievo supplementare per eccedenze di commercializzazione relative al predetto periodo 2006/2007 comunicate al primo acquirente Cooperativa Produttori Latte Savoia Cinque s.c. a r.l. e al Caseificio Valgrana s.p.a. con comunicazione n. 66210010535 nella parte concernente le aziende agricole Nicola, Bori, Camisassi, Cravero, Dielle, Battisti e Cascina Rimbosio, nonché la comunicazione 132991816260 relativa alla campagna 2005/2006 comunicata esclusivamente al primo acquirente Braghi s.p.a. nella parte relativa all'azienda agricola Fontana Cervo;
- del provvedimento contenuto nella circolare AGEA 09.07.2007 prot. n. AGEA.AGA.2007.43962 e prot. n. AGEA.AGA.2007.43955, con cui l'AGEA ha trasmesso ai primi acquirenti i predetti elenchi;
- di ogni altro atto antecedente, preordinato, consequenziale o comunque connesso del relativo procedimento.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 12 marzo 2014 il dott. Antonino Masaracchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso di cui in epigrafe si è chiesto l’annullamento del provvedimento con il quale l’AGEA, in esito alla procedura di restituzione e compensazione del prelievo supplementare relativo alle consegne del periodo 2006/07, ha comunicato le conseguenti imputazioni individuali del prelievo supplementare per ciascuna azienda, ai sensi (da ultimo) del decreto-legge n. 49 del 2003, convertito in legge n. 119 del 2003. E’ stato anche impugnato un analogo provvedimento relativo alla campagna 2005/06, nella parte in cui questo si riferisce all’azienda ricorrente “Fontana Cervo”.
Agli atti impugnati sono state mosse le seguenti censure:
1) violazione di legge in relazione all’art. 3, comma 5, del decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999, ed all’art. 1, commi 4 e 5, del decreto-legge n. 8 del 2000, convertito in legge n. 79 del 2000, come richiamati dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 49 del 2003, convertito in legge n. 119 del 2003. Eccesso di potere per difetto di istruttoria. Violazione di legge in relazione all’art. 4, commi 1 e 2, del Regolamento n. 1992/3950/CEE. Illegittimità derivata;
2) difetto di motivazione;
3) violazione di legge in relazione all’art. 7 della legge n. 241 del 1990;
4) violazione di legge in relazione all’art. 4 del Regolamento n. 2003/1788/CE ed all’art. 16 del Regolamento n. 2004/595/CE;
5) violazione di legge in relazione al Regolamento n. 2003/1788/CE sotto ulteriore profilo, nonché violazione dell’art. 9 del decreto-legge n. 49 del 2003, convertito in legge n. 119 del 2003;
6) violazione di legge in relazione agli artt. 32 e 33 del Trattato CE e, comunque, ai Regolamenti n. 2003/1788/CE e n. 2004/595/CE sotto ulteriore profilo. Illegittimità derivata.
2. L’AGEA- Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura, pur regolarmente chiamata, non si è costituita in giudizio.
3. Con memoria depositata il 7 febbraio 2014 le ricorrenti hanno segnalato che, a seguito delle relazioni pubblicate dal Comando Carabinieri Politiche Agricole in data 15 aprile 2010, il GIP del Tribunale di Roma (nel procedimento penale R.G.N.R. n. 33068/2010) con ordinanza del 13 novembre 2013 ha restituito gli atti al p.m. affinché questi proceda nei confronti dei funzionari AGEA per il reato di falso in atto pubblico (art. 479 c.p.). Posto che la verifica del superamento della quota e la conseguente applicazione del “superprelievo” avverrebbe – secondo le ricorrenti – sulla base dei calcoli oggetto del procedimento penale richiamato, dal quale emergono gli elementi per concludere circa la falsità delle informazioni e dei dati utilizzati dall’amministrazione, ne deriverebbe un’ulteriore dimostrazione dell’erroneità dei calcoli effettuati per la determinazione delle somme dovute.
Alla pubblica udienza del 12 marzo 2014 le ricorrenti hanno anche chiesto la sospensione del presente processo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. La causa, quindi, è stata trattenuta in decisione.
4. Deve preliminarmente rigettarsi la richiesta di sospensione del presente processo, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. (quale richiamato dall’art. 79 cod. proc. amm.), dalle ricorrenti argomentata per effetto della pendenza del procedimento penale richiamato, da ultimo, nella memoria depositata il 7 febbraio 2014.
In base alle considerazioni di merito che seguono, invero, non è dato riscontrare alcun vincolo di pregiudizialità tra il processo penale tuttora pendente e la definizione della presente controversia, tale da determinare una causa di sospensione necessaria del giudizio;ciò, in particolare, avuto riguardo all’inammissibilità, per genericità, di quelle censure che si sono variamente riferite a presunti errori di calcolo compiuti dall’amministrazione nella determinazione delle somme a titolo di prelievo supplementare (sul punto, si vd. infra ), con conseguente impossibilità di un loro scrutinio nel merito.
5. Il ricorso è in parte inammissibile ed in parte non fondato, nei termini di seguito precisati.
Viene anzitutto in evidenza il primo dei motivi di censura, mediante il quale le aziende ricorrenti hanno posto – in sostanza – la questione della retroattività dell’individuazione dei quantitativi di riferimento individuale (q.r.i.), in quanto avvenuta “pochissimi giorni prima dell’inizio del periodo produttivo”.
La censura non è fondata, alla luce della giurisprudenza amministrativa (anche di questa Sezione: cfr., ex multis , sentt. nn. 1043, 1067 e 1125 del 2012;sent. n. 1309 del 2013;e si vd. anche Consiglio di Stato, sez. III, sent. n. 4428 del 2013) che ha, di recente, costantemente rigettato simili prospettazioni.
A fronte della difficoltà di avvio del regime delle quote latte nello Stato italiano (sia per l’assenza di dati certi che per il mancato coinvolgimento delle Regioni nell’accertamento e nelle procedure di riduzione dei quantitativi di riferimento individuale- q.r.i. da assegnare ai produttori), il legislatore nazionale ha dovuto introdurre una serie di misure, reiterate più volte, per accertare i dati di produzione e commercializzazione del latte, unitamente alla possibilità per gli interessati di proporre istanze di riesame in caso di controversie sul punto. In particolare, tale attività di accertamento, seppure nella parte in cui erano state riscontrate anomalie (con riferimento, ad esempio, al contenuto formale e sostanziale dei modelli L1 sottoscritti dai produttori e dagli acquirenti), è stata reiterata più volte, prima con il decreto-legge n. 411 del 1997, convertito in legge n. 5 del 1998 (attuato dal d.m. 17 febbraio 1998), e poi con il decreto-legge n. 43 del 1999, convertito in legge n. 118 del 1999, e con i successivi decreti ministeriali di attuazione (i dd.mm. nn. 159, 309 e 310 del 1999).
La Corte di Giustizia delle Comunità europee, sul punto della compatibilità comunitaria delle norme nazionali che prevedono l’assegnazione retroattiva dei q.r.i., ha dato, in termini di legittimità, risposta positiva con sentenza del 25 marzo 2004, causa C-480, con statuizioni che costituiscono un vincolo per il giudice nazionale. Ed invero, la Corte di Giustizia, con la citata pronuncia, ha chiarito che gli artt. 1 e 4 del Regolamento n. 1992/3950/CEE, che istituiscono il regime del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, nonché gli artt. 3 e 4 del Regolamento n. 1993/536/CEE, che stabiliscono le modalità di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che uno Stato membro, a seguito di controlli, rettifichi i quantitativi di riferimento individuali attribuiti ad ogni produttore e conseguentemente ricalcoli, a seguito di riassegnazione dei quantitativi di riferimento inutilizzati, i prelievi supplementari dovuti successivamente al termine di scadenza del pagamento di tali prelievi per la campagna lattiera interessata. La Corte comunitaria è arrivata a tale conclusione dopo aver ricostruito la ratio del regime di prelievo supplementare sul latte, finalizzato a ristabilire l’equilibrio fra domanda e offerta sul mercato lattiero, caratterizzato da eccedenze strutturali, limitandone la produzione;tali misure si iscrivono nell’ambito delle finalità di sviluppo razionale della produzione lattiera e di mantenimento di un tenore di vita equo della popolazione agricola interessata, contribuendo ad una stabilizzazione del reddito di quest’ultima. Da ciò consegue – ha spiegato la Corte – che il prelievo supplementare non può essere considerato come una sanzione analoga alle penalità previste negli artt. 3 e 4 del Regolamento n. 1993/536/CEE, che stabiliscono le modalità di applicazione del prelievo supplementare nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. Infatti, il prelievo supplementare sul latte costituisce una restrizione dovuta a regole di politica dei mercati e di politica strutturale. Peraltro, come risulta dall’art. 10 del Regolamento n. 1992/3950/CEE, il prelievo supplementare fa parte degli interventi intesi a regolarizzare i mercati agricoli ed è destinato al finanziamento delle spese del settore lattiero. Ne consegue che, oltre al suo obiettivo manifesto di obbligare i produttori di latte a rispettare i quantitativi di riferimento ad essi attribuiti, il prelievo supplementare ha anche una finalità economica, in quanto mira a procurare alla Comunità i fondi necessari allo smaltimento della produzione realizzata dai produttori in eccedenza rispetto alle loro quote.
Venendo alla situazione nazionale del regime delle “quote latte”, la Corte di Giustizia ha poi rilevato che i quantitativi di riferimento individuali inizialmente attribuiti dalle autorità italiane contenevano numerosissimi errori, dovuti in particolare al fatto che la produzione effettiva in base alla quale tali quantitativi erano stati attribuiti era stata certificata dai produttori stessi (tra gli errori rilevati, si rammenta che la commissione governativa d’indagine ha accertato, in particolare, che più di 2000 aziende agricole avevano dichiarato di produrre latte senza che risultasse il possesso di mucche). In questo ambito, le misure adottate dall'AIMA nel contesto di riferimento nazionale non sono state considerate sproporzionate rispetto al fine perseguito né lesive del principio di tutela del legittimo affidamento in quanto, se il quantitativo di riferimento individuale che un produttore può pretendere corrisponde al quantitativo di latte commercializzato durante l’anno di riferimento, lo stesso operatore agricolo, che in linea di principio conosce il quantitativo che ha prodotto, non può nutrire un legittimo affidamento sul mantenimento di un quantitativo di riferimento inesatto.
Ha poi rilevato la Corte come non possa configurarsi un legittimo affidamento in ordine al mantenimento di una situazione manifestamente illegale rispetto al diritto comunitario (vale a dire la mancata applicazione del regime di prelievo supplementare sul latte) nel senso che i produttori di latte degli Stati membri non possono legittimamente aspettarsi di poter continuare a produrre latte senza limiti, dopo tanti anni dall'istituzione di tale regime.
Da qui, la conformità al diritto comunitario del regime introdotto dal legislatore nazionale.
Successivamente, anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 272 del 2005, ha smentito la tesi secondo cui la rideterminazione sarebbe soggetta al vincolo della irretroattività. Nella predetta pronuncia, si è, infatti, affermato che "non sono fondate le q.l.c. dell'art. 1 commi 3 e 4 d.l. 1 marzo 1999 n. 43, conv., con modificazioni, in l. 27 aprile 1999 n. 118, censurato, in riferimento agli art. 3, 5, 117 e 118 cost., in quanto attribuirebbe ad AIMA il potere di aggiornamento dei quantitativi individuali in violazione delle competenze regionali e per di più con effetto retroattivo. Il potere di aggiornamento dei quantitativi individuali – attribuito in via transitoria ad AIMA – ai fini dell'esecuzione della compensazione nazionale, si giustifica, sul piano costituzionale, per l'esigenza di perseguire interessi territorialmente infrazionabili, mentre rientra nella discrezionalità del legislatore nazionale determinare le concrete modalità di gestione delle funzioni assegnate ad AIMA nei limiti in cui le stesse siano strettamente funzionali al raggiungimento delle suddette finalità, senza che assuma rilievo la natura retroattiva di talune previsioni, in quanto le stesse si giustificano, in ossequio alle prescrizioni comunitarie e di quanto già riconosciuto dalla Corte di Giustizia, alla luce della necessità di adeguare i quantitativi individuali e il sistema di compensazione alle risultanze delle verifiche svolte dagli organi a ciò preposti".
È stato, poi, chiaramente affermato che “la rettifica della compensazione delle ‘quote-latte’, disposta anche retroattivamente per il periodo precedente dal testo dell'art. 3, comma 1, del d.l. 31 gennaio 1997, n. 11, appare sorretta costituzionalmente (e non contrasta con le competenze regionali), dalla normativa comunitaria come interpretata dalla Corte di giustizia europea, secondo cui si deve intendere consentito alle autorità nazionali di effettuare anche ex post le rettifiche necessarie a fare in modo che la produzione esonerata da prelievo supplementare di uno Stato non superi il quantitativo globale assegnato a tale Stato”.
5.1. Ancora nell’ambito del primo motivo di gravame, deve essere dichiarata l’inammissibilità, per genericità, di quelle censure che hanno evidenziato il vizio di difetto di istruttoria (che avrebbe determinato, secondo le ricorrenti, “l’erroneità dei conteggi su base nazionale e, conseguentemente, l’inattendibilità dei dati finali pubblicati dall’AGEA ai fini del prelievo”) e il vizio di illegittimità derivata (con riferimento alle precedenti attribuzioni di quota, “tutte comunicate tardivamente e impugnate dinanzi all’autorità giurisdizionale amministrativa”).
Per un verso, infatti, il sollevato vizio di difetto di istruttoria, a ben vedere, censura in via generalizzata la procedura, senza individuare concreti effetti a danno delle ricorrenti, rispetto alle quali non è dato sapere se e come il preteso illegittimo meccanismo delle quote latte abbia concretamente prodotto effetti compressivi sulla loro sfera giuridica, dato che le medesime nulla hanno dedotto con riferimento ad eventuali errori commessi nella assegnazione e/o nella compensazione e imputazione del prelievo supplementare per la parte di loro interesse (cfr., del tutto analogamente, ex multis , TAR Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 367 del 2013). Né simili informazioni sono state fornite con la successiva memoria, da ultimo depositata, con la quale si è unicamente tornata a ribadire (con il sostegno derivante dalla pendenza degli appositi procedimenti penali per falso) la sussistenza di errori negli atti e nei documenti utilizzati dall’amministrazione per il procedimento di calcolo del prelievo, da un punto di vista generalizzato (e non calato nella singola realtà di ciascuna delle aziende ricorrenti). In proposito, la giurisprudenza ha già avuto modo di rilevare, anche con specifico riguardo alle questioni inerenti le c.d. quote latte, che il processo amministrativo non è posto a garanzia oggettiva della legalità ma, piuttosto, è finalizzato alla specifica ed individuale tutela di posizioni giuridiche soggettive lese, derivandone che i ricorrenti possono dedurre specifici errori a proprio danno (vedi TAR Piemonte, sez. II, nn. 1062 e 1125 del 2012;TAR Piemonte, sez. I, n. 3265 del 2009). In nessun caso è, quindi, possibile rivendicare un non tutelabile interesse alla correttezza oggettiva e generalizzata del procedimento.
Per altro verso le aziende ricorrenti, nel sollevare l’accennato vizio di illegittimità derivata, si sono riferite a precedenti pronunce giurisdizionali di annullamento (riguardanti il “bollettino di attribuzione della quota”), mancando però di indicare (e di allegare) le medesime. Anche in questo caso, pertanto, la loro contestazione rimane del tutto vaga e generica, non consentendo al Collegio la disamina nel merito.
Quanto, poi, all’invocata sentenza n. 520 del 1995 della Corte costituzionale – in base alla quale le ricorrenti argomentano, sostanzialmente, un vizio di incostituzionalità dell’art. 2, comma 1, del decreto-legge n. 49 del 2003, convertito in legge n. 119 del 2003, nella parte in cui esso richiama l’art. 2 del decreto-legge n. 727 del 1994, convertito in legge n. 46 del 1995, già dichiarato incostituzionale – devono richiamarsi le conclusioni cui questa Sezione è di recente giunta nella sentenza n. 1044 del 2013. Da un lato, infatti, la disciplina successiva all’invocata pronuncia della Corte costituzionale ha aumentato il coinvolgimento delle Regioni nell'individuazione delle quote, colmando le lacune evidenziate nella sentenza n. 520 del 1995;dall'altro lato, poi, lo stesso decreto-legge n. 49 del 2003, convertito in legge n. 119 del 2003, appare riferirsi alla disposizione dichiarata incostituzionale come mero fatto storico e, dunque, come semplice misura della riduzione della quota B.
6. Con il secondo ed il terzo motivo le ricorrenti hanno dedotto il difetto di motivazione del provvedimento impugnato che, non recando alcun prospetto del calcolo effettuato in sede di compensazione, non consentirebbe ai destinatari di desumere i criteri utilizzati dall'amministrazione per tale operazione;hanno altresì dedotto (terzo motivo) la violazione dei principi partecipativi di cui alla legge sul procedimento (legge n. 241 del 1990, in specie art. 7).
Anche questi motivi non sono fondati. Come già evidenziato da questa Sezione in un analogo precedente (cfr. TAR Piemonte, sez. II, sent. n. 1044 del 2013), per la determinazione del prelievo supplementare l'amministrazione, a seguito delle comunicazioni degli acquirenti e sulla base dell'istruttoria effettuata, deve procedere, secondo le regole previste dalla normativa vigente, alla semplice individuazione di un quantitativo, con la conseguenza che la motivazione ( recte : la giustificazione) del provvedimento non può che consistere nel richiamo per relationem alla documentazione istruttoria tenuta presente per addivenire al quantum di produzione. In altre parole, il provvedimento di determinazione finale degli importi dovuti costituisce l’esito di mere operazioni aritmetiche e, comunque, è previamente comunicato ai produttori i quali possono inviare ogni documentazione utile per procedere alla modifica dell’importo. Da ciò deriva che la partecipazione al procedimento è assicurata e che, anche esercitando il diritto di accesso agli atti, le aziende possono verificare i conteggi, la cui determinazione non richiede una motivazione, trattandosi appunto di un mero calcolo effettuato con criteri automatici e matematici che, semmai, sarebbe spettato alle ricorrenti puntualmente contestare (cfr., analogamente, Cons. Stato, sez. VI, n. 1629 del 2009;TAR Piemonte, sez. II, sentt. n. 1067 del 2012 e n. 1309 del 2013).
Con più specifico riguardo alla lamentata omissione della comunicazione dell'avvio del procedimento amministrativo, ex art. 7 della legge n. 241 del 1990, il Collegio osserva, in ogni caso, che in giurisprudenza è stato condivisibilmente osservato che la stessa “non vizia il procedimento quando il contenuto di quest'ultimo sia interamente vincolato, pure con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, sì da ritenere già raggiunto in concreto lo scopo cui tende siffatta comunicazione” (così Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 2286 del 2012) e che “in riferimento al procedimento amministrativo, una lettura del principio partecipativo cristallizzato dall'art. 7 della L. n. 241 del 1990 attenta al significato sostanziale delle guarentigie all'uopo stabilite dal legislatore deve condurre ad escludere che la violazione formale possa sortire effetto invalidante quante volte alla mancata puntuale realizzazione dell'incombente previsto dal dato positivo non abbia fatto seguito l'effettiva frustrazione della possibilità per l'interessato di dispiegare le facoltà volte ad incidere sullo svolgimento dell'azione amministrativa” (così, ex multis , Cons. Stato, sez. IV, sent. n. 1497 del 2012). L'avvenuta proposizione, da parte delle ricorrenti, di analoghi ricorsi anche in relazione alle precedenti annate lattiere (anche in relazione all'assegnazione dei q.r.i.) pare di per sé sintomatica della loro sostanziale conoscenza del complessivo procedimento in corso e tale, dunque, da escludere che esse possano aver subito nocumento da detta violazione formale. Non v'è motivo di dubitare, infatti, che le medesime, laddove ne avessero avuto interesse, avrebbero potuto fornire il proprio apporto partecipativo, anche a prescindere dal ricevimento della comunicazione di cui all’art. 7 della legge n. 241 del 1990. Nemmeno in questa sede viene peraltro esplicitato quali elementi conoscitivi esse avrebbero rappresentato all'Amministrazione nel corso dell'istruttoria laddove avessero ricevuto personalmente la comunicazione di avvio del procedimento, precludendo, conseguentemente, a questo Giudice di apprezzare l'indispensabilità del loro contributo partecipativo e, conseguentemente, l'effettiva sussistenza dell'illegittimità formale denunciata (cfr., del tutto analogamente, TAR Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 367 del 2013).
7. Quanto alle censure concernenti le modalità di ripartizione del prelievo, asseritamente avvenuto in violazione delle norme comunitarie (quarto motivo), esse devono essere dichiarate inammissibili per genericità.
Analogamente a quanto più sopra osservato, invero, anche qui è evidente che le ricorrenti rivendicano un non tutelabile interesse alla correttezza oggettiva e generalizzata del procedimento, senza pur tuttavia individuare concreti effetti a loro danno. Esse, infatti, pur avendo denunciato il contrasto della normativa interna rispetto a quella comunitaria, e quindi pur avendo fatto riferimento ad una generale situazione di illegittimità del complessivo sistema delle quote latte, non hanno poi tradotto simili censure a livello individuale, omettendo di riferirsi alla loro singola posizione individuale la quale, invece, costituisce il solo possibile oggetto della tutela giurisdizionale (cfr., similmente, Cons. Stato, sez. III, sentt. nn. 3872 e 5874 del 2012;TAR Friuli-Venezia Giulia, sent. n. 367 del 2013).
Lo stesso è a dirsi con riferimento al quinto motivo di gravame, mediante il quale le aziende ricorrenti hanno denunciato, in sostanza, la mancata utilizzazione, in sede di operazioni di compensazione nazionale delle consegne 2006/07, dell’intero “monte quote” assegnato all’Italia, “generando così un esubero di fatto inesistente”. Anche in questo caso i vizi denunciati censurano in via generalizzata la procedura seguita dall'amministrazione, senza individuare concreti effetti a danno delle ricorrenti. Non è, infatti, dato sapere se e come il preteso illegittimo meccanismo delle quote latte abbia concretamente prodotto effetti di compressione della loro sfera giuridica, dato che le medesime nulla hanno dedotto con riferimento ad eventuali errori commessi nella assegnazione e/o nella compensazione e imputazione del prelievo supplementare per la parte di loro interesse (cfr., per il medesimo ambito, TAR Piemonte, sez. II, sent. n. 1044 del 2013). Pure questa censura, pertanto, deve essere dichiarata inammissibile in quanto generica.
8. Estremamente generico e, in quanto tale, privo di rilievo s'appalesa, infine, il sesto motivo di gravame, con cui le ricorrenti deducono che i Regolamenti comunitari in materia (Regolamento n. 2003/1788/CE e n. 2004/595/CE), che hanno reiterato nel settore lattiero-caseario il contingentamento delle produzioni, violerebbero gli artt. 32 (ex 38) e 33 (ex 39) del Trattato CE, in quanto non sarebbero idonei a garantire le finalità della PAC;in particolare ciò avverrebbe perché essi vengono interpretati nel senso di imporre agli Stati membri il pagamento di un prelievo sui quantitativi di latte (raccolti o venduti direttamente) che eccedono il q.r.n. (quantitativo di riferimento nazionale) assegnato ai singoli Stati e non nel senso che detto pagamento sia dovuto solo se ed in quanto la commercializzazione all'interno dell'UE abbia superato il q.g.g. (quantitativo globale di garanzia) fissato per l'intera Comunità.
Le ricorrenti continuano, anche in questa circostanza, ad omettere di allegare e provare sotto quale specifico profilo la loro individuale posizione viene pregiudizievolmente incisa dalle illegittimità denunciate (così, sulla medesima questione, già si è pronunziata questa Sezione nella recente sent. n. 1044 del 2013). Anche questo motivo va, dunque, dichiarato inammissibile per la sua genericità, e va pertanto disatteso il parimenti invocato rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea.
9. Il ricorso va, pertanto, in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto nel merito, come da motivazione sopra riportata.
Non vi è luogo a pronunzia sulle spese del giudizio, non essendosi costituita in giudizio l’amministrazione intimata.