TAR Roma, sez. 1T, sentenza 2019-03-14, n. 201903421
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Pubblicato il 14/03/2019
N. 03421/2019 REG.PROV.COLL.
N. 02641/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Ter)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2641 del 2013, proposto da
A C, rappresentato e difeso dagli avvocati A M e T B, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. P R in Roma, via M. Prestinari, 13;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, Ufficio Territoriale del Governo di Brescia, in persona del Prefetto pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
del decreto k10/94773/r del 9.2.2012 del Ministero dell'Interno, recante rigetto dell'istanza di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell'art. 9, comma 1, lettera f), della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in riassunzione (ord. coll. n. 170/2013 T.a.r. Lombardia - Brescia - sezione II, ric. n. 905/2012).
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Brescia;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2019 la dott.ssa Francesca Petrucciani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso presentato innanzi al TAR Lombardia, Sez. staccata di Brescia, A C ha impugnato il provvedimento con cui il Ministero dell’Interno, in data 9 febbraio 2012, ha respinto la sua richiesta di concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f), della L. 5 febbraio 1992, n. 51, a causa della contiguità con movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica.
A sostegno del ricorso sono state formulate le censure di violazione degli artt. 6, comma 1, lett. c) e 9, comma 1, l. n. 91/92, dell’art. 3 della l. n. 241/90, di eccesso di potere per difetto di motivazione e di istruttoria, contraddittorietà, violazione degli artt. 3 e 6 della l. n. 241/90.
Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio resistendo al ricorso.
All’udienza pubblica del 29 gennaio 2019 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso deve essere respinto in quanto infondato.
Il diniego impugnato, infatti, è fondato sulla circostanza secondo cui, dall’attività informativa esperita, è emersa la contiguità dei fratelli del ricorrente a movimenti aventi scopi non compatibili con la sicurezza della Repubblica.
Alla stregua della giurisprudenza della Sezione, deve ritenersi che l’amplissima discrezionalità dell’Amministrazione in questo procedimento si esplica in un potere valutativo che “si traduce in un apprezzamento di opportunità circa lo stabile inserimento dello straniero nella comunità nazionale, sulla base di un complesso di circostanze, atte a dimostrare l'integrazione del soggetto interessato nel tessuto sociale, sotto il profilo delle condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità della condotta” (TAR Lazio, Sezione I ter, sentenze nn. 158/2017, 1784/2016;Consiglio di Stato, sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;n. 52 del 10 gennaio 2011;n. 282 del 26 gennaio 2010;Tar Lazio, sez. II quater, n. 3547 del 18 aprile 2012).
L'interesse pubblico sotteso al provvedimento di concessione della particolare capacità giuridica, connessa allo status di cittadino, impone, infatti, che si valutino, anche sotto il profilo indiziario, le prospettive di ottimale inserimento del soggetto interessato nel contesto sociale del Paese ospitante (Tar Lazio, Sez. II quater, n. 5565 del 4 giugno 2013).
Trattandosi di esercizio di potere discrezionale da parte dell’amministrazione, il sindacato sulla valutazione compiuta dall'Amministrazione non può che essere di natura estrinseca e formale;non può spingersi, quindi, al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole (Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913;Tar Lazio, Sez. II quater, n. 5665 del 19 giugno 2012).
In particolare, con riferimento al diniego di concessione della cittadinanza per motivi di sicurezza, la giurisprudenza ha più volte rilevato che il provvedimento di diniego della richiesta cittadinanza italiana non deve necessariamente riportare analiticamente le notizie sulla base delle quali si è addivenuti al giudizio di sintesi finale, essendo sufficiente quest’ultimo, in quanto ciò potrebbe in qualche modo compromettere l’attività preventiva o di controllo da parte degli organi a ciò preposti ed anche le connesse esigenze di salvaguardia della incolumità di coloro che hanno effettuato le indagini (Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5262 del 6 settembre 2018;n. 3206 del 29 maggio 2018).
Secondo tale orientamento considerare “insufficiente” tale istruttoria, benché espressamente menzionata, e inadeguato il richiamo scaturito dalla stessa ad una sospetta contiguità con associazioni ‘non positive’, oltre a comportare un’indebita invasione nell’ambito di discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, finirebbe per mettere a rischio le finalità di salvaguardia generale sottese alla diagnosi di pericolosità sociale effettuata.
La particolarità delle esigenze di tutela della sicurezza della Repubblica giustifica infatti una assertività di valutazione che però è solo apparente, essendo essa in realtà espressamente e concretamente ancorata agli esiti delle investigazioni effettuate dagli organismi competenti.
In tale contesto il richiamo ai “motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica”, contenuto nel provvedimento impugnato, non costituisce dunque una mera clausola di stile, ma tiene conto degli elementi oggettivi e sostanziali acquisiti mediante l’ “attività informativa esperita”, ancorché si essa non vi sia stata la riproduzione per esteso, secondo la modalità tipica della motivazione per relationem.
La valutazione del Dipartimento della Pubblica Sicurezza è dunque avvenuta sulla base di un accertamento effettuato in modo rituale, il cui esito in termini di prognosi di pericolosità sociale rientra negli apprezzamenti di merito non sindacabili dinanzi al giudice amministrativo, se non per evidente travisamento dei fatti ed illogicità, vizi che non risultano sussistere nel caso di specie.
Nel caso di specie la contiguità dei fratelli dell’interessato a movimenti che mettono in pericolo la sicurezza nazionale emersa dall’attività informativa esperita integra autonomo motivo ostativo al rilascio della cittadinanza italiana, nessun rilievo potendo assumere, in contrario, l’assenza di procedimenti penali, in quanto la verifica dei motivi ostativi alla sicurezza della Repubblica non si riduce all’accertamento dei fatti penalmente rilevanti ma attiene alla prevenzione di eventuali rischi per la sicurezza pubblica.
Deve quindi ritenersi che l’Amministrazione abbia valutato in maniera procedimentalmente corretta e non manifestamente illogica la complessiva situazione dell’istante, tenendo conto dei rischi derivanti dall’inserimento stabile nel territorio con il conferimento dello status civitatis a soggetto che ha legami familiari con stranieri coinvolti in movimenti che mettono in pericolo la sicurezza pubblica.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.