TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2011-08-31, n. 201104253

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2011-08-31, n. 201104253
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Napoli
Numero : 201104253
Data del deposito : 31 agosto 2011
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 00695/1993 REG.RIC.

N. 04253/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00695/1993 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 695 del 1993, proposto da:
Di M L, rappresentato e difeso dall'avv. L.B M e, ai sensi dell’art. 25 del d. lgs. 104/2010, domiciliato d’ufficio, in assenza di elezione di domicilio nel Comune di Napoli, presso la Segreteria del T.A.R. Campania in Napoli, piazza Municipio, 64;

contro

Comune di Barano D'Ischia, in persona del legale rappresentante pro – tempore, non costituito;

per l'annullamento

dell’ordine di demolizione n. 428/92 del 20 giugno 1992.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 luglio 2011 il dott. U M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il gravame in epigrafe il ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione n. 428/92 del 20.6.1992, spedita dal Comune di Barano d’Ischia a fronte dell’abusiva realizzazione di un manufatto occupante una superficie di mq. 50 con annessa tettoia in lamiere metalliche e paletti in legno, di superficie pari a mq. 9,50.

A sostegno della spiegata azione impugnatoria ha articolato le seguenti censure:

1) sarebbe rimasta del tutto obliterata una domanda di condono ex lege 47/1985 avente ad oggetto le medesime opere;

2) l’ordine di demolizione non poteva essere spedito in quanto la legge 47/1985 è successiva alla data di esecuzione delle opere;

3) non risulterebbero perimetrate nel provvedimento ingiuntivo le aree pertinenziali;

4) il provvedimento sarebbe immotivato anche per la mancata messa a disposizione del verbale della polizia municipale in esso menzionato;

5) non risulterebbero acquisiti i pareri della Commissione edilizia e della Commissione per i BBAA,

6) sarebbe costituzionalmente illegittima le legge n. 47/1985 nella parte in cui prevede la sanzione aggiuntiva dell’acquisizione dell’opera abusiva e della relativa area di sedime;

7) risulterebbe pendente un’istanza di concessione in sanatoria;

Il Comune di Barano d’Ischia non si è costituito in giudizio.

All’udienza del 6.7.2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è parzialmente fondato e, pertanto, va accolto nei limiti di quanto di seguito indicato.

Giusta quanto anticipato nella premessa in fatto, il ricorrente ha impugnato l’ordinanza di demolizione n. 428/92 del 20.6.1992, spedita dal Comune di Barano d’Ischia a fronte dell’abusiva realizzazione di un manufatto occupante una superficie di mq. 50 con annessa tettoia in lamiere metalliche e paletti in legno, di superficie pari a mq. 9,50.

Secondo il costrutto giuridico attoreo, il precitato provvedimento oblitera del tutto – nonostante l’evidente nesso di pregiudizialità da essa rinveniente - la dedotta pendenza di un procedimento di condono (n.2765 del 1986) potenzialmente concernente una parte degli abusi in contestazione.

Le deduzioni sul punto svolte dal ricorrente - riscontrate dalla successiva produzione, nel corso dell’udienza dell’11.5.1995, di un’istanza ex art. 13 della legge n. 47/1985, in cui nuovamente si rappresenta la pendenza della suddetta istanza di condono edilizio (prot. gen. 2765 del 30.4.1986) - non sono mai state contestate dall’Amministrazione intimata, nemmeno costituita in giudizio.

Mette conto evidenziare che dalla mentovata istanza ex art. 13 della legge n. 47/1985 si evince che la domanda di condono concerneva il solo manufatto occupante una superficie di mq. 50 e non anche la tettoia.

Le divisate emergenze istruttorie sono sufficienti ai fini dell’accoglimento, in parte qua, del proposto gravame, non avendo l’Amministrazione intimata, sulla quale gravava il relativo onere, eccepito - a fronte di un’allegazione precisa in fatto (circa la pendenza della domanda di condono, di cui risultano indicati gli estremi) e di articolate deduzioni sulla sospensione delle misure repressive in ragione del rilevato vincolo di pregiudizialità - l’insussistenza di una domanda di condono pendente ovvero l’inconferenza della domanda medesima rispetto agli abusi in contestazione.

Com’è noto, la preventiva presentazione dell’istanza di condono preclude - ai sensi degli artt. 38 e 44 della legge n. 47/85, - l’adozione di provvedimenti repressivi.

Opinare diversamente significa, invero, vanificare, a priori, il già pendente procedimento di sanatoria: la definizione del suddetto procedimento assume, dunque, rilievo pregiudiziale rispetto alle disposte misure sanzionatorie, che restano evidentemente azionabili solo nell’ipotesi di una reiezione della domanda di applicazione dei benefici del condono.

Ed invero, secondo autorevole giurisprudenza ogni procedimento sanzionatorio in materia edilizia deve restare sospeso, qualora risulti presentata istanza di concessione in sanatoria fino alla definizione di detta istanza da parte del Comune, al quale il giudice non può in ogni caso sostituirsi, nemmeno per una valutazione in via incidentale della eventuale condonabilità delle opere di cui si tratta ( Consiglio Stato sez. IV, 04 novembre 2005 , n. 5273;
sez. IV, 03 maggio 2005 , n. 2137).

La domanda va, pertanto, accolta con conseguente annullamento dell’atto impugnato nei limiti sopra evidenziati (e cioè solo in riferimento al manufatto occupante una superficie di mq. 50) e salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione.

Va, peraltro, aggiunto che, all’udienza del 6.7.2011, la difesa del ricorrente ha prodotto documentazione relativa ad altra domanda di condono presentata, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 39 della legge n. 724/1994, in data 23.2.1995 con protocollo n. 1935.

La suddetta domanda, presentata a nome di Giovanna Di Meglio, concerne un manufatto con destinazione residenziale, abusivamente realizzato alla via Duca degli Abbruzzi (censito in catasto al fol. 7 mappale 329) di superficie pari a mq. 54 circa e, dunque, verosimilmente coincidente con quello in contestazione.

L’opera – rispetto a quella descritta nell’ordine di demolizione – viene presentata come completa di solaio, impianti, infissi e pavimenti.

La pendenza di tale domanda di condono refluirebbe sulla procedibilità del presente ricorso che, però, non viene dichiarata in quanto la relativa questione può ritenersi assorbita nella statuizione di accoglimento.

Tanto premesso, mette conto evidenziare che il vincolo di pregiudizialità rinveniente dalla pendenza della domanda di condono esaurisce i suoi effetti con riferimento alle sole opere sopraindicate (e cioè solo in riferimento al manufatto occupante una superficie di mq. 50) e, di certo, non è riproponibile come motivo invalidante con riferimento alle ulteriori opere (tettoia in lamiere metalliche e paletti in legno, di superficie pari a mq. 9,50) indicate nel provvedimento impugnato in quanto non ricompresse nelle richiamate domande di condono.

Rispetto alla disposta demolizione delle opere de quibus (tettoia in lamiere metalliche e paletti in legno, di superficie pari a mq. 9,50) anche le residue censure compendiate nel mezzo di gravame si rivelano infondate.

Ed, invero, va, anzitutto, disattesa la censura rubricata al punto 2), con cui si contesta la violazione del principio di irretroattività della legge, essendo la normativa applicata (id est legge 47/1985) entrata in vigore in epoca successiva alla data di esecuzione delle opere.

A tal riguardo, è sufficiente fare rinvio al costante orientamento giurisprudenziale, a mente del quale il regime sanzionatorio applicabile agli abusi edilizi è quello vigente al momento dell'irrogazione della sanzione (cfr. Cons. St., sez. V, 29 aprile 2000 n. 2544), attesa la natura ripristinatoria della sanzione medesima, non ascrivibile al genus delle pene afflittive cui propriamente s'attaglia il divieto di retroattività.

Parimente infondate si rivelano le ulteriori censure con cui parte ricorrente, mediante argomentazioni generiche, lamenta l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato.

Di contro, la Sezione ritiene che l’ordito motivazionale in cui impinge il provvedimento impugnato sia manifestamente idoneo ad evidenziare la consistenza degli abusi in contestazione.

Anzitutto, risultano puntualmente individuate le opere illecitamente realizzate dal ricorrente: ai fini in questione il provvedimento impugnato, pur facendo rinvio al rapporto della locale polizia municipale, ne mutua i relativi contenuti, riportando pedissequamente gli interventi abusivi ivi descritti, di talchè evidenzia direttamente nel proprio corpo i presupposti che reggono la spedizione della misura sanzionatoria.

D’altro canto, è pur vero che l'art. 3, l. n. 241 del 1990, nel consentire l'uso della motivazione per relationem con riferimento ad altri atti dell'Amministrazione, prescrive che tali atti devono essere comunque indicati e resi disponibili, ma tale disponibilità va intesa nel senso che all'interessato deve essere consentito di prenderne visione, di richiederne ed ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, sicché non sussiste l'obbligo dell'Amministrazione di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto l'obbligo di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 11 febbraio 2011 , n. 896).

A fronte delle descritte emergenze istruttorie, la realizzazione delle opere in contestazione, in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza.

Ed invero, la disciplina di settore (id est art. 4 e 7 della legge 47/1985, applicabile ratione temporis) sanziona con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere e nel modello legale di riferimento non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto, per il quale è "in re ipsa" l’interesse pubblico alla sua rimozione ( cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 26 agosto 2010 , n. 17240).

D’altro canto, è ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui, una volta accertata l'esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull'attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556;
T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540): l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.

Per le medesime ragioni – e cioè a cagione della ineluttabilità della sanzione comminata - non può poi esser concesso ingresso ai profili di doglianza che lamentano la mancanza di ulteriori approfondimenti istruttori e, segnatamente, la mancata acquisizione dei pareri della commissione edilizia e della commissione edilizia integrata, adempimenti non previsti nel modello legale di riferimento delineato dalla disciplina di settore;
d’altro canto, in sede di emanazione di ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata la cura degli ulteriori adempimenti istruttori sollecitati dal ricorrente non è affatto necessaria, dal momento che l'ordine di ripristino discende direttamente dall'applicazione della disciplina edilizia vigente e non costituisce affatto irrogazione di sanzioni discendenti dalla violazione di disposizioni a tutela del paesaggio (Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, sentenza 26 giugno 2009, n. 3530;
676 del 10 febbraio 2009, 27 marzo 2007, n. 2885).

Deve, poi, ritenersi infondata la censura con cui parte ricorrente deduce che non risulterebbero perimetrate nel provvedimento ingiuntivo le aree necessarie alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive (cd. pertinenze urbanistiche).

E’, infatti, ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui l'individuazione dell'area da acquisire gratuitamente al patrimonio comunale, per il caso di inottemperanza all'ordine di demolizione, non deve avvenire necessariamente all'interno del provvedimento che ingiunge la demolizione, dovendo essa essere eseguita solo quando si registri tale inottemperanza e si debba procedere all'acquisizione (cfr. ex multis T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 10 maggio 2011 , n. 4019).

Infine, nessun rilievo può essere assegnato nel presente procedimento all’istanza di accertamento di conformità presentata dal ricorrente ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 13 della legge n. 47/1985.

Rilievo dirimente assume, invero, il fatto che il Comune di Barano d’Ischia non si è pronunciato sulla menzionata istanza nel termine di 60 gg., favorendo in tal modo la formazione del cd. silenzio – rigetto, che, però, non risulta giammai attratto nel fuoco della contestazione.

Ed, invero, mette conto evidenziare, in aderenza ad un diffuso orientamento giurisprudenziale, più volte fatto proprio da questo Tribunale, che il silenzio dell’Amministrazione sulla richiesta di concessione in sanatoria (ora sulla richiesta di permesso di costruire in sanatoria) ha un valore legale tipico di rigetto, vale a dire costituisce un’ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego (cfr., ex multis, Cons. Stato, sezione quarta, 6 giugno 2008, n. 2691, 3 aprile 2006, n. 1710 e 14 febbraio 2006 n. 598;
sezione quinta, 11 febbraio 2003, n. 706;
Tar Campania - Napoli, questa sesta sezione, sentenze 6 settembre 2010, n. 17306, 15 luglio 2010, n. 16805, 25 maggio 2010, n. 8779, 17 marzo 2008, n. 1364 e 7 settembre 2007, n. 7958;
sezione settima, 24 giugno 2008, n. 6118 e 7 maggio 2008, n. 3501;
sezione ottava, 15 aprile 2010, n. 1981;
Sezione staccata di Salerno, sezione seconda, 4 aprile 2008, n. 478;
Tar Liguria, sezione prima, 24 giugno 2007, n. 1114;
Tar Lombardia, Milano, sezione seconda, 21 marzo 2006, n. 642;
Tar Piemonte - Torino, sezione prima, 8 marzo 2006, n. 1173;
Tar Sicilia - Catania, sezione prima, 17 ottobre 2005, n. 1723).

Di contro, il ricorrente non ha dimostrato di aver gravato l’effetto legale tipico di diniego delineato dalla fattispecie in commento, che, pertanto, deve ritenersi oramai consolidato, sì da rendere – alla stregua delle acquisizioni processuali - intangibili le misure repressive disposte.

Va, infine, disattesa l’eccezione di incostituzionalità sollevata dal ricorrente secondo cui sarebbe costituzionalmente illegittima le legge n. 47/1985 nella parte in cui prevede la sanzione aggiuntiva dell’acquisizione dell’opera abusiva e della relativa area di sedime.

Sul punto, mette conto evidenziare, anzitutto, che la questione proposta non è assistita dal predicato della rilevanza, venendo oggi in discussione solo il provvedimento di demolizione e non anche quello di acquisizione.

Ad ogni buon conto, vale aggiungere che la questione in argomento ha già trovato la sua composizione dinanzi al Giudice delle leggi, secondo cui è manifestamente infondata, in riferimento all'art. 42 cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 15 comma 3 della legge n. 10 del 1977, nella parte in cui prevede l' acquisizione gratuita dell'area sulla quale insiste la costruzione abusiva al patrimonio indisponibile del comune;
invero, detta acquisizione rappresenta la reazione dell'ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima, esegue un'opera in totale difformità o in assenza della concessione e, poi, non adempie l'obbligo di demolire l'opera stessa entro il termine fissato dal sindaco (cfr. Corte costituzionale, 15 febbraio 1991 n. 82).

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazione il ricorso va accolto con conseguente annullamento dell’atto impugnato nei limiti sopra evidenziati (e cioè solo in riferimento al manufatto occupante una superficie di mq. 50), dovendosi intendere, per il resto, infondato.

Le spese di lite possono essere compensate in ragione della reciproca soccombenza.

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