TAR Napoli, sez. VI, sentenza 2017-02-22, n. 201701073
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Testo completo
Pubblicato il 22/02/2017
N. 01073/2017 REG.PROV.COLL.
N. 00684/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 684 del 2009, proposto da:
F C, rappresentato e difeso, dall’avvocato M G D S C.F. DSCMGR66B41H501P con il quale domicilia ai sensi dell’art. 25 c.p.a. in Napoli presso la segreteria del T.A.R.;
contro
Comune di Barano d’Ischia, in persona del rappresentante legale p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato C R C.F. RSSCRC48S21L245K, con il quale domicilia ai sensi dell’art. 25 c.p.a. in Napoli presso la segreteria del T.A.R.;
Regione Campania, in persona del Presidente p.t. della Giunta regionale, rappresentata e difesa, dall’Avvocato Agostino Grimaldi C.F. GRMGTN54M24F839V, con il quale elettivamente domicilia in Napoli alla via S. Lucia n. 81;
per l'annullamento
a) dell’ordinanza di demolizione n. 139 del 14 novembre 2008 emessa dal dirigente dell’Ufficio Tecnico comunale del Comune di Barano d’Ischia;
b) dell’ordinanza di sospensione dei lavori adottata in data 9 dicembre 2008 dalla Regione Campania;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Barano d'Ischia e della Regione Campania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 31 gennaio 2017 la dott.ssa Paola Palmarini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in epigrafe, il ricorrente ha impugnato: a) l’ordinanza con la quale il Comune di Barano d’Ischia gli ha ingiunto di demolire ad horas, ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. n. 380/2001, un manufatto di circa 38 mq (“alto circa mt. 3 costituito da n. 3 mura portanti in celloblok ed un quarto a sacco, con copertura in lamiere zincate a carattere precario”) realizzato in località via Bosco dei Conti in assenza di alcun titolo in zona paesaggisticamente vincolata;b) il provvedimento con il quale il dirigente del Settore Provinciale del Genio civile di Napoli della Regione Campania ha disposto la sospensione dei lavori abusivi in corso e ordinato il deposito, entro il termine di 45 gg., del progetto esecutivo dei lavori e la nomina del collaudatore.
A sostegno del gravame il ricorrente deduce varie censure di violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere.
Si sono costituiti per resistere sia la Regione Campania sia il Comune di Barano d’Ischia.
All’udienza pubblica del 31 gennaio 2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.
Come esposto in fatto l’oggetto del presente giudizio verte, in primo luogo, sulla legittimità, contestata sotto più profili dal ricorrente, del provvedimento repressivo assunto dal Comune di Barano d’Ischia, ai fini edilizi e paesaggistico – ambientali, a fronte della realizzazione, in assenza di alcun titolo dell’intervento edilizio sopra descritto che consiste nella costruzione di un manufatto di circa 38 mq.
Va, innanzitutto, respinto il primo motivo con il quale il ricorrente si duole del fatto che in ambito assoggettato a vincoli di natura paesistica il provvedimento impugnato doveva essere adottato dal Sindaco previa acquisizione del parere della Commissione per il paesaggio. Al riguardo va rimarcato che, anche in presenza di vincoli di natura ambientale, come nella specie, in forza del disposto di cui all'art. 27, comma 1, del D.P.R. n. 380/2001 compete al Comune in proprio e non quale autorità subdelegata dalla Regione l'esercizio della vigilanza sull'attività urbanistico - edilizia che si svolge nel territorio comunale. Inoltre per giurisprudenza pacifica anche di questa Sezione in sede di emanazione di ordine di demolizione di opere edilizie abusive su area vincolata non è necessario acquisire il parere della Commissione Edilizia Integrata (Tar Campania, Napoli, questa sezione sesta, sentenza 26 giugno 2009, n. 3530;676 del 10 febbraio 2009, 27 marzo 2007, n. 2885) ovvero della Commissione edilizia, della sezione urbanistica compartimentale o di altra autorità" (ex multis, Tar Campania, Napoli, sezione quarta, 9 aprile 2010, n. 1884;sezione settima, 12 marzo 2010, n. 1438;Tar Lazio Roma, sezione seconda, 11 settembre 2009, n. 8644).
Con il sesto motivo il ricorrente lamenta che per il manufatto in questione sarebbe stata presentata in data 1° marzo 1995 domanda di condono edilizio ai sensi della legge n. 724/1994 non ancora esitata da parte del Comune. Alla luce di quanto precede il ricorrente invoca l’applicazione degli artt. 38 e 44 della legge n. 47/1985 i quali stabiliscono che in pendenza dell’esame della domanda di condono è sospesa l’adozione di provvedimenti sanzionatori.
Il motivo non ha pregio.
Ed, invero, il Collegio non ignora quel diffuso orientamento giurisprudenziale, di cui questa stessa Sezione ha più volte fatto applicazione, secondo cui ogni procedimento sanzionatorio in materia edilizia deve restare sospeso qualora risulti presentata istanza di concessione in sanatoria fino alla definizione di detta istanza da parte del Comune, senza che il giudice possa in ogni caso sostituirsi a tale effetto di sospensione, nemmeno per una valutazione in via incidentale della eventuale condonabilità delle opere di cui si tratta (cfr. ex multis Tar Campania, VI Sezione, sentenza n. 2244 del 30 aprile 2013;n. 3500 del 04.07.2013;Consiglio Stato sez. IV, 04 novembre 2005 , n. 5273;sez. IV, 03 maggio 2005 , n. 2137).
Ciò nondimeno, deve, però, rilevarsi, quale assorbente causa ostativa alla valorizzazione della domanda attorea, la mancata dimostrazione dell’effettiva coincidenza tra l’oggetto della domanda di condono (con numero prot. 2932 del 1° marzo 1995) e le opere in contestazione.
Il ricorrente non ha, invero, prodotto in atti l’intera documentazione (segnatamente una puntuale relazione sulle opere eseguite ed il relativo corredo fotografico) che avrebbe dovuto essere allegata alla domanda di condono ovvero conferenti elementi di prova a sostegno del proprio assunto impedendo così, in apice, la stessa possibilità di svolgere in questa sede un approfondito vaglio sulla latitudine dell’istanza di sanatoria rispetto alle opere qui in rilevo.
Risulta, invero, prodotta in giudizio solo copia della suddetta istanza nella quale l’illecito di cui si chiede la sanatoria è riferito alla “costruzione di un manufatto ad uso deposito agricolo della superficie utile di mq. 28,58” situato alla via G. Garibaldi n. 59 mentre nell’ordinanza di demolizione si descrive un manufatto di mq. 38 sito in località Bosco dei Conti.
Orbene, a cagione della genericità dei sopra riportati contenuti descrittivi ed in assenza di ulteriori e più specifici e pertinenti elementi di valutazione, appare di tutta evidenza come la suddetta istanza di sanatoria non si riveli idonea a dimostrare, in termini di sufficiente certezza, la dedotta coincidenza delle opere denunciate nella citata domanda di condono con quelle oggetto del qui avversato ordine di demolizione, coincidenza non desumibile dal semplice raffronto tra i due atti.
Sul punto, il Collegio evidenzia che è onere della parte ricorrente provare i fatti su cui si fonda la domanda, vieppiù se ricadono nella sua sfera di signoria, di talchè la medesima parte avrebbe dovuto dimostrare in modo chiaro, oltre che in termini di certezza, la coincidenza dell’opera contestazione con quella di cui alla domanda di condono pendente. Tale risultato non può dirsi di certo raggiunto in ragione della sola documentazione suindicata.
Com’è noto, il principio cd. dispositivo con metodo acquisitivo – operante nel processo amministrativo - trova ragione di essere in riferimento solo ad atti e documenti formati ovvero custoditi dall’Amministrazione, per i quali, non essendovi un immediato e generalizzato accesso da parte del privato, più difficile potrebbe risultare l’assolvimento dell’onus probandi nei rigorosi termini di cui all’art. 2697 c.c.
Il ricorrente, in tali ipotesi, è tenuto solo ad allegare un principio di prova, spostandosi, per il resto, a carico dell'amministrazione l'onere di fornire la prova contraria alle deduzioni esposte in domanda e di dimostrare la legittimità dell'atto impugnato.
Viceversa, in tutti i casi – com’è quello di specie - nei quali sono nella piena disponibilità della parte gli elementi atti a sostenere la fondatezza della domanda giudiziale azionata la regola generale dell'onere della prova trova integrale applicazione pure nel processo amministrativo.
Il suddetto principio – già introdotto in via pretoria – trova oggi formale consacrazione nell’art. 64 (comma 1°) c.p.a., secondo cui “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni”.
Con il secondo motivo parte ricorrente afferma che si sarebbe trattato di meri lavori di manutenzione straordinaria su un manufatto esistente da tempo.
Il motivo è infondato.
In argomento la giurisprudenza ha affermato che l'onere di fornire la prova dell'epoca di realizzazione di un abuso edilizio incombe sull'interessato, e non sull'Amministrazione, che, in presenza di un'opera edilizia non assistita da un titolo edilizio che la legittimi, ha solo il potere-dovere di sanzionarla ai sensi di legge e di adottare, ove ricorrano i presupposti, il provvedimento di demolizione (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 02 luglio 2010, n. 16569).
Di contro, la puntuale descrizione dell’intervento eseguito sine titulo – che ha portato alla realizzazione ex novo di un fabbricato, con conseguente creazione di nuovi volumi e superfici, ed alla incisiva modifica dello stato dei luoghi - riflette con assoluta evidenza la rilevanza edilizia del contestato abuso.
Vale aggiungere che l'intervento in contestazione ricade in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, in considerazione della intervenuta dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’intero territorio del Comune di Barano d’Ischia giusta d.m. del 19.6.1958.
In ragione di quanto detto, stante la qualificata alterazione dell'aspetto esteriore dei luoghi conseguita, l’intervento in questione, per il solo fatto di insistere in zona vincolata, risultava, anzitutto, soggetto alla previa acquisizione dell'autorizzazione paesaggistica.
Sotto diverso profilo, poi, le opere abusive realizzate, comportanti la realizzazione di nuovi volumi e superfici, richiedevano il previo rilascio (oltre che dell’autorizzazione paesistica anche) del permesso di costruire (cfr. secondo motivo con il quale si deduce l’assentibilità con semplice DIA delle opere realizzate).
In argomento, il Consiglio di Stato ha poi affermato (cfr. sentenza sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 62), che a prescindere dal titolo edilizio ritenuto più idoneo e corretto per realizzare l’intervento edilizio in zona vincolata (DIA o permesso di costruire), ciò che rileva è il fatto che lo stesso è stato posto in essere in assoluta carenza di titolo abilitativo e, pertanto, ai sensi dell’art. 27, comma 2 del D.P.R. n. 380 del 2001 deve essere sanzionato. “Detto articolo riconosce, infatti, all’amministrazione comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutta l’attività urbanistica ed edilizia, imponendo l'adozione di provvedimenti di demolizione in presenza di opere realizzate in zone vincolate in assenza dei relativi titoli abilitativi, al fine di ripristinare la legalità violata dall’intervento edilizio non autorizzato. E ciò mediante l’esercizio di un potere-dovere del tutto privo di margini di discrezionalità in quanto rivolto solo a reprimere gli abusi accertati, da esercitare anche in ipotesi di opere assentibili con DIA, prive di autorizzazione paesaggistica”.
Non sussiste, pertanto, la dedotta violazione dell’art 27 cit. le cui disposizioni sono state legittimamente applicate dall’amministrazione comunale. Tale norma sanziona, infatti, con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate e siffatta misura resta applicabile sia che venga accertato l'inizio che l'avvenuta esecuzione di interventi abusivi e non vede la sua efficacia limitata alle sole zone di inedificabilità assoluta (Tar Campania, questa sesta sezione, ex multis, sentenze n. 4489 del 7 novembre 2013, n. 2636 del 5 giugno 2012, n. 5804 del 14 dicembre 2011, n. 2382 del 28 aprile 2011;n. 1636 del 23 marzo 2011, n. 2814 del 6 maggio 2010, n. 2076 del 21 aprile 2010, n. 1775 del 7 aprile 2010 e n. 1731 del 30 marzo 2010;e cfr. anche, amplius, sezione terza, 11 marzo 2009, n. 1376).
Parimenti infondate si rivelano, le ulteriori censure con cui parte ricorrente lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato con riguardo alla mancata valutazione della sanabilità dell’opera, all’omessa comparazione degli interessi in gioco anche in relazione al tempo trascorso.
Vale, infatti, ribadire che a fronte delle descritte emergenze istruttorie la realizzazione delle opere in questione, in mancanza dei prescritti titoli abilitativi, di per se stessa, fondava la reazione repressiva dell’organo di vigilanza.
In altri termini, nel modello legale di riferimento non vi è spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto: l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria.
Priva di pregio risulta la censura incentrata sulla omissione della fase partecipativa al procedimento (violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990) in quanto i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, non devono essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento (ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV 12 aprile 2005, n. 3780;13 gennaio 2006, n. 651), perché trattasi di provvedimenti tipizzati e vincolati, che presuppongono un mero accertamento tecnico sulla consistenza delle opere realizzate e sul carattere non assentito delle medesime.
Oggetto della presente controversia è anche il provvedimento con il quale il Settore Provinciale del Genio civile di Napoli della Regione Campania ha disposto la sospensione dei lavori intrapresi dal ricorrente, giusta verbale del 16 ottobre 2008 trasmesso dal Comando di Polizia Municipale, concedendogli un termine di 45 gg. per il deposito degli elaborati tecnici prescritti dall’art. 2 della l.r. n. 9/1983 e per la nomina del collaudatore prevista dalla stessa legge.
Giova premettere, che la legge regionale n. 9 del 1983 ha dettato disposizioni finalizzate alla prevenzione del rischio sismico assegnando alla Regione specifici poteri di vigilanza nella materia. Come evidenziato dalla difesa regionale, non avendo il ricorrente adempiuto all’obbligo di denuncia dei lavori intrapresi in zona sismica (espressamente prevista dall’art. 2 della citata legge regionale) e non avendola corredata di tutti i documenti ivi indicati, l’amministrazione ha doverosamente sospeso i lavori in questione ai sensi dell’art. 6 della stessa legge, assegnando nel contempo un termine per procedere a tutti gli adempimenti di legge. L’art. 6 cit. prevede (nella versione applicabile ratione temporis alla fattispecie), infatti, che “Per la violazione dell' obbligo del deposito degli atti di cui all' art. 2 della presente legge e dell' art. 11 del DL n. 57/1982 convertito in legge 29 aprile 1982, n. 187, nonchè , per la omessa denuncia dell' art. 17 della legge n. 64/1974, il Sindaco trasmette il processo verbale, redatto dagli agenti o dai tecnici di cui all' ultimo comma del precedente art. 5, al Pretore ed all' Ufficio Provinciale del Genio Civile o Sezione Autonoma, che ordina la sospensione dei lavori, fissando nel relativo provvedimento un termine per il deposito degli atti nelle forme di cui all' art. 2 della presente legge, e per la nomina del collaudatore”.
La Regione ha, dunque, adottato un atto dovuto e vincolato che risponde a evidenti esigenze cautelari tese a scongiurare i rischi, per l’incolumità pubblica, connessi alla esistenza di opere edili, non collaudate, eseguite in zona sismica.
Infondata, pertanto, la censura con la quale parte ricorrente lamenta l’insussistenza dei presupposti per adottare l’atto.
Il provvedimento impugnato ha, infatti, come unico (e sufficiente) presupposto l’avvio di lavori edili in zona sismica non denunciati ai sensi dell’art. 2 della richiamata legge regionale (sul punto giova rammentare come parte ricorrente non abbia in alcun modo dimostrato l’affermata risalenza del fabbricato e, dunque, dei lavori) e per i quali non sono stati effettuati tutti gli adempimenti ivi previsti (deposito del progetto esecutivo e nomina del collaudatore).
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e trovano liquidazione in dispositivo.