TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-06, n. 202408981

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2024-05-06, n. 202408981
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202408981
Data del deposito : 6 maggio 2024
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 06/05/2024

N. 08981/2024 REG.PROV.COLL.

N. 06714/2019 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6714 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati C C e D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Stela Kapllani in Roma, via G.Ferrari, 4 Pal.B;

contro

Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

del provvedimento di diniego di concessione della domanda di cittadinanza italiana ex art. 9, comma 1, lett. f), legge n. 91/1992, n. -OMISSIS-, emesso in data 17/12/2018 e notificato in data 13/03/2019


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2024 la dott.ssa Antonietta Giudice e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

I. - Il ricorrente ha presentato istanza intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, in data 25 febbraio 2014.

II. - Esperita l’istruttoria di rito, l’Amministrazione ha respinto la domanda con d.m. 17 dicembre 2018, previa comunicazione del preavviso di diniego ai sensi dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990, ritenendo che non vi fosse coincidenza tra l’interesse pubblico e quello del richiedente alla concessione della cittadinanza per la presenza di una pluralità di pregiudizi di carattere penale emersi sul conto dell’istante nel corso dell’istruttoria, in quanto:

- in data 23.03.2006 è stato segnalato all’A.G. da personale dell’U.P.G. S.P. della Questura di -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 625, comma 1, parte 3, del c.p. ( furto aggravato );

-in data 23.04.2008 è stato segnalato all’A.G. da personale della Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- (PT) ex artt. 12, comma 5, e 33, comma 8, del D. Lgs. 286/98, Testo Unico delle norme concernenti la disciplina dell’immigrazione, e art. 479 del c.p. ( falso in atto pubblico );

-in data 23.07.2014 è stato segnalato all’A.G. da personale dell’U.P.G. S.P. della Questura di -OMISSIS- ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D. Lgs 286/98 ( omessa esibizione da parte dello straniero di passaporto o di altro documento d’identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato ).

Al richiedente viene altresì contestato di non aver autocertificato la propria effettiva posizione penale.

III. – Il ricorrente eccepisce l’illegittimità dell’atto impugnato, chiedendone l’annullamento dell’efficacia in quanto asseritamente affetto dai vizi di:

Illegittimità del provvedimento per eccesso di potere dovuto a difetto di istruttoria e di motivazione. Travisamento dei fatti e violazione di legge, art. 6 e 9, L. 91/1992.

A. Sui legami con il territorio. Effettivo inserimento nel tessuto sociale.

B. Sull’esistenza di precedenti penali.

Il ricorrente lamenta la mancata valutazione del livello di integrazione sociale raggiunto e degli esiti favorevoli sul piano processuale penale delle condotte penali contestategli.

IV. - Il Ministero dell’interno, costituito in giudizio per resistere al ricorso, ha depositato documenti del fascicolo del procedimento e una relazione difensiva, contestando nel merito le censure ex adverso svolte e concludendo per il rigetto della domanda di annullamento del diniego impugnato.

V. – Il ricorrente ha replicato con memoria in cui ha ribadito le censure di cui all’atto introduttivo del giudizio e ha precisato, di contro la contestata non veritiera dichiarazione, che al momento della presentazione della domanda non vi fossero procedimenti penali pendenti.

VI. – All’udienza pubblica del 14 febbraio 2024 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

I. - Il ricorso è infondato.

II. - Il Collegio reputa utile una premessa di carattere teorico in ordine al potere attribuito all’amministrazione in materia, all’interesse pubblico protetto e alla natura del relativo provvedimento (vedi, da ultimo, TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2945, 3018 e 3471/2022).

L'acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone l'esplicarsi di un'amplissima discrezionalità in capo all'Amministrazione. Ciò si desume, ictu oculi , dalla norma attributiva del potere, l’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, a tenore del quale la cittadinanza “ può ” - e non “ deve ” - essere concessa.

La dilatata discrezionalità in questo procedimento si estrinseca attraverso l’esercizio di un potere valutativo che si traduce in un apprezzamento di opportunità in ordine al definitivo inserimento dell'istante all'interno della comunità nazionale, apprezzamento influenzato e conformato dalla circostanza che al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti - consistenti, sostanzialmente, oltre nel diritto di incolato, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consentono, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si entra a far parte e la possibilità di assunzione di cariche pubbliche) - ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità – consistente nel dovere di difenderla anche a costo della propria vita in caso di guerra (“ il sacro dovere di difendere la Patria ” sancito, a carico dei soli cittadini, dall’art. 52 della Costituzione), nonché, in tempo di pace, nell'adempimento dei “ doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale ”, consistenti nell’apportare il proprio attivo contributo alla Comunità di cui entra a far parte (art. 2 e 53 Cost.).

A differenza dei normali procedimenti concessori, che esplicano i loro effetti esclusivamente sul piano di uno specifico rapporto Amministrazione/Amministrato, l’ammissione di un nuovo componente nell’elemento costitutivo dello Stato (Popolo), incide sul rapporto individuo/Stato-Comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta, pertanto, di determinazioni che rappresentano un'esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (vedi, da ultimo, Consiglio di Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
cfr. Cons. Stato, AG, n. 9/1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, n. 1796/2008;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

È stato, in proposito, anche osservato che il provvedimento di concessione della cittadinanza refluisce nel novero degli atti di alta amministrazione, che sottende una valutazione di opportunità politico-amministrativa, caratterizzata da un altissimo grado di discrezionalità nella valutazione dei fatti accertati e acquisiti al procedimento: l'interesse dell'istante ad ottenere la cittadinanza deve necessariamente coniugarsi con l'interesse pubblico ad inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

E se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto coevamente teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’ agere del soggetto alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’amministrazione ha il compito di verificare che nel soggetto istante risiedano e si concentrino le qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprime integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza deve rappresentare il suggello sul piano giuridico di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico (in proposito, Tar Lazio, Sez. II quater, sent. n. 621/2016: “ concessione che costituisce l’effetto della compiuta appartenenza alla comunità nazionale e non causa della stessa ”).

In altre parole, si tratta di valutare il possesso di ogni requisito atto ad assicurare l’inserimento in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato, gravare sulla finanza pubblica (cfr. ex multis , Tar Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227 e n. 12006 del 2021 e sez. II quater, n. 12568/ 2009;
Cons. Stato, sez. III, n. 104/2022;
n. 4121/2021;
n. 7036 e n. 8233 del 2020;
n. 1930, n. 7122 e n. 2131 del 2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

III. - Se, dunque, il potere dell’Amministrazione ha natura discrezionale, il sindacato giurisdizionale sulla valutazione dell’effettiva e compiuta integrazione nella comunità nazionale deve essere contenuto entro i ristretti argini del controllo estrinseco e formale, esaurendosi nello scrutinio del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, con preclusione di un’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto oggetto del giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cui è causa;
il vaglio giurisdizionale non deve sconfinare nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. Stato, sez. III, 7.1.2022 n. 104;
Sez. IV, n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
Tar Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012).

IV. - Alla luce del quadro ricostruito, è possibile ritenere prive di pregio le censure di parte attrice, volte a confutare l’operato dell’amministrazione resistente che ha formulato un giudizio di inaffidabilità del ricorrente e di non compiuta integrazione nella comunità nazionale tenuto conto degli elementi istruttori raccolti, da cui è emersa la riconducibilità al richiedente di una pluralità di condotte penalmente rilevanti che hanno finito ragionevolmente per riflettersi in maniera negativa sulla formulazione del giudizio di idoneità da parte dell’amministrazione, chiamata a contemperare l’interesse pubblico composito da tutelare, come in premesse individuato, e l’interesse vantato dal richiedente, anche se rimaste senza esito sfavorevole sul piano processuale penale.

Si tratta dei seguenti pregiudizi penali:

- in data 23.03.2006 segnalazione all’A.G. da personale dell’U.P.G. S.P. della Questura di -OMISSIS-, ai sensi dell’art. 625, comma 1, parte 3, del c.p. ( furto aggravato ). Il richiedente assume di non averne avuto conoscenza e sottolinea che in ogni caso non è sfociata in alcun procedimento amministrativo o penale a suo carico;

- in data 23.04.2008 segnalazione all’A.G. da personale della Stazione dei Carabinieri di -OMISSIS- (PT) ex artt. 12, comma 5, e 33, comma 8, del D. Lgs. 286/98, Testo Unico delle norme concernenti la disciplina dell’immigrazione, e art. 479 del c.p. ( falso in atto pubblico ), sfociato in una sentenza del 05.04.2016 di estinzione dei reati per prescrizione;

- in data 23.07.2014 segnalazione all’A.G. da personale dell’U.P.G. S.P. della Questura di -OMISSIS- ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D. Lgs 286/1998 ( omessa esibizione da parte dello straniero di passaporto o di altro documento d’identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato ), definita con sentenza di assoluzione per particolare tenuità del fatto.

Le molteplici condotte addebitate all’interessato penalmente rilevanti, suscettibili di ledere beni giuridici fondamentali per l’ordinamento, assumono significatività, da un lato, in quanto poste in essere in epoca diversa, a distanza di anni l’una dall’altra (circostanza che denota una costante propensione a porsi in contrasto con le norme penali e le regole di civile convivenza), ma in ogni caso nel decennio antecedente la presentazione della domanda (il c.d. “periodo di osservazione”, determinante al fine della formulazione del giudizio prognostico di idoneità all’acquisto dello status ¸ in quanto coincidente con il frangente temporale in cui devono essere maturati i requisiti per l’acquisto della cittadinanza, compreso quello dell’irreprensibilità della condotta), dall’altro, in quanto, considerate non atomisticamente, sono risultate rivelatrici di una personalità suscettibile di mettere in concreto pericolo la pacifica convivenza dei cittadini e di una “scarsa aderenza ai valori della comunità (cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II quater, 15/04/2015, n. 5554) e, nella fattispecie, ancor minore interesse per la concessione dello status civitatis ove non anche scarsa considerazione degli obblighi che si accompagnano a detta concessione ” (cfr. in tal senso Tar Lazio, sez. I ter, n. 5708/2019).

Con specifico riferimento a quest’ultimo aspetto, come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, il giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l’Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole del richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto” (TAR Lazio, sez. V bis, n. n. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22,8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22).

I profili evidenziati consentono quindi di ritenere non irragionevole il giudizio di ostatività all’acquisizione del bene della vita da parte del richiedente lo status formulato dalla p.a.

V. - Peraltro, quanto all’argomento difensivo volto a far leva sull’assenza di esiti sfavorevoli sul piano penale, la parte non tiene conto che nella vicenda in esame non emerge tanto un giudizio di pericolosità, che potrebbe comportare anche la revoca del titolo di soggiorno, ma una valutazione di non adeguatezza del ricorrente ad uno stabile inserimento nella comunità nazionale, non avendo potuto vantare una condotta irreprensibile, bensì fonte di allarme sociale quale è la ripetuta e grave violazione di norme poste a presidio della tenuta dell’ordinamento.

In proposito, si consideri altresì che mentre il diritto penale e il diritto processuale penale ruotano intorno al principio del favor rei , dato che si tratta di punire con la privazione della libertà personale, nel caso della concessione della cittadinanza si tratta di conferire in modo irrevocabile un quid pluris , che può compromettere la comunità intera, per cui l’azione amministrativa deve essere ispirata al principio di precauzione ( semel cives, semper cives );
la valutazione che l’Amministrazione è chiamata a compiere per concedere lo status di cittadino ha riguardo principalmente all’interesse pubblico alla tutela dell’ordinamento.

In tale prospettiva è stato ribadito, anche di recente, quanto al valore delle notizie di reato che “le valutazioni sul grado di assimilazione dei valori fondamentali dell’ordinamento, infatti, si pongono su un piano diverso e autonomo rispetto a quello penale, non solo per il diverso rigore probatorio (nel caso della condanna è necessario raggiungere un grado “oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre nel caso del diniego della cittadinanza è sufficiente il “fondato sospetto”), ma anche per la stessa ragione di tale diversificato rigore ossia che la concessione della cittadinanza comporta come quid pluris l’attribuzione dei c.d. diritti politici” (Cons. St., sez. 8364/2023).

Infatti, il giudice penale, titolare di un potere punitivo, agisce con l’intento di accertare se il comportamento contestato abbia arrecato al bene giuridico protetto dall’ordinamento un livello di offesa tale da giustificare la compressione della libertà personale del soggetto agente, nel rispetto del principio dell’ habeas corpus e del principio dell’inviolabilità personale (art. 13 Cost.).

Nel caso del procedimento concessorio, invece, l’autorità pubblica ha un potere di ampliamento – non già di restrizione - della sfera giuridica del soggetto, un potere di costituire una posizione giuridica soggettiva ex novo, non preesistente neanche in capo alla stessa p.a., ma di cui è ad essa riservata la disponibilità, attesa l’esigenza di valutare se l’interesse della richiedente a far parte in maniera stabile della comunità nazionale sia conciliabile con il giustapposto interesse pubblico ad ammettere un nuovo individuo nel novero dei cittadini nel rispetto della sicurezza, della stabilità economico-sociale, dell’identità nazionale (cfr., Tar Lazio, V bis, sentenza n. 8204 del 20 giugno 2022).

In tale prospettiva non assume valore dirimente il fatto che alcune notizie di reato non sarebbero giunte a processo oppure che il procedimento penale si sia concluso con sentenza di non doversi procedere per prescrizione del reato (che non attesta l’innocenza dell’imputato) oppure con una pronuncia di assoluzione con formula dubitativa, in quanto “ Le valutazioni sul grado di assimilazione dei valori fondamentali dell’ordinamento, infatti, si pongono su un piano diverso e autonomo rispetto a quello penale, non solo per il diverso rigore probatorio (nel caso della condanna è necessario raggiungere un grado “oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre nel caso del diniego della cittadinanza è sufficiente il “fondato sospetto”), ma anche per la stessa ragione di tale diversificato rigore ossia che la concessione della cittadinanza comporta come quid pluris l’attribuzione dei c.d. diritti politici ” per cui il fatto storico addebitato, inquadrato nel complesso quadro di elementi (gravi e diversificati comportamenti illeciti), anche a prescindere dell’accertamento in sede penale, può essere ragionevolmente posto a fondamento del diniego della cittadinanza, ove assunto nel suo valore indicativo di “ tendenza a ignorare sistematicamente le leggi e le istituzioni in generale indice di una persistente inaffidabilità del medesimo e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile anche dal rispetto delle norme penali e di civile convivenza ” (Cons. St., sez. III, n. 2745/2023;
cfr. di recente, Cons. St., sez. III, n. 8379/2023, a maggior ragione in caso di plurime denunce e condanne).

Tenendo conto della finalità perseguita e degli effetti discendenti dal provvedimento di concessione della cittadinanza è stato anche precisato che, ove alla notizia di reato sia stato dato seguito con l’instaurazione di un procedimento penale, l’eventuale favorevole conclusione con una sentenza di assoluzione per mancanza di prova sulla reale responsabilità del soggetto, non esclude che tale elemento possa essere “ legittimante considerato in ragione del principio di cautela che impone di valutare qualsivoglia situazione di astratta pericolosità sociale ” (Cons. St., sez. III, n. 5569/2023 e 3421/2021), trattandosi di circostanze che possono essere “ legittimamente ponderate al fine della valutazione del livello di integrazione ”.

O, conclusivamente, di contro a quanto espressamente argomentato dalla difesa attorea, si osserva che la giurisprudenza è costante nel ritenere che l’Amministrazione, “ a prescindere dagli esiti processuali ” - in virtù del noto fenomeno della “pluriqualificazione” del fatto giuridico, per cui lo stesso comportamento può assumere diversa rilevanza, sul piano penale, civile, fiscale, amministrativo, etc. a seconda dei settori d’azione, delle materie e delle finalità perseguite - è chiamata, comunque, a prendere in considerazione il “fatto storico” per il particolare valore sintomatico che può assumere in quel procedimento (Consiglio di Stato, Sez. III, 14 febbraio 2022, n. 1057;
id. 28 maggio 2021, n. 4122;
id., 16 novembre 2020, n. 7036;
id., 23 dicembre 2019, n. 8734;
id., 21 ottobre 2019, n. 7122;
id., 14 maggio 2019, n. 3121;
sez. IV, n. 1788/2009, n. 4862/2010;
T.A.R. Lazio sez. V bis, n. 2944/2022;
sez. II quater, n. 10590/12;
10678/2013).

VI. - O, in tale prospettiva, nella ponderazione dei contrapposti interessi in gioco nel procedimento di naturalizzazione, occorre considerare che il diniego della cittadinanza non preclude all’interessato di ripresentare l’istanza nel futuro. Mentre, nel caso di accoglimento dell’istanza, le conseguenze sono tendenzialmente irreversibili ed interessano l’intera collettività in quanto il soggetto viene ad essere ammesso stabilmente nella comunità nazionale in via definitiva – con diritto di partecipazione alla determinazione delle scelte politiche. In tale prospettiva non può ritenersi sproporzionato, ove si considerino le gravità delle conseguenze per la generalità dei consociati, il provvedimento che nega la cittadinanza, in via di precauzione adeguatamente avanzata, a quei soggetti di cui si dubita che possano assicurare il rispetto dei valori fondamentali, quali la vita e la incolumità delle persone, la fiducia ed il riguardo per le Istituzioni dello Stato (TAR Lazio, Sez. V, n. 2944/2022).

Da questo punto non può trovare positivo riscontro nemmeno la lamentata omessa considerazione dell’integrazione nel tessuto sociale italiano dell’interessato. Questa Sezione, peraltro, ha più volte chiarito che lo stabile inserimento socio-economico non rappresenta un elemento degno di speciale merito, in grado di far venir meno i constatati motivi ostativi alla concessione dello status anelato, esso è solo il prerequisito della richiesta di cittadinanza, in quanto presupposto minimo per conservare il titolo di soggiorno, che autorizza la permanenza dello straniero sul territorio nazionale ( ex multis , Tar Lazio, Sez. V bis, nn. 2945 e 4295 del 2022).

L’inserimento sociale e professionale del richiedente rappresenta un elemento sintomatico di una raggiunta situazione di normalità che consente la permanenza dello straniero in Italia, ma non consiste in una particolare benemerenza tale da indurre la Pubblica Amministrazione a ritenere l’interesse pubblico ad integrare nella comunità nazionale un elemento se ha dimostrato di non condividerne i fondamentali valori di solidarietà e sicurezza.

In altre parole, si richiede che l’istante sia non solo materialmente in condizioni di effettivo inserimento nella società italiana, ma che sul piano dei valori mostri, indefettibilmente, una convinta adesione ai valori fondamentali dell'ordinamento di cui egli chiede di far parte con il riconoscimento della cittadinanza.

VII. – La dimostrata legittimità del provvedimento in parte qua , solleva il Collegio dal dovere di uno scrutinio puntuale dell’ulteriore successivo motivo ostativo al rilascio dello status , rappresentato dalla omessa autocertificazione della propria posizione giudiziaria.

Infatti, l’atto gravato, in quanto plurimotivato, supererebbe comunque la “prova di resistenza” - essendo sufficiente il riscontro della legittimità di una delle autonome ragioni giustificatrici della decisione amministrativa per condurre al rigetto dell’intero ricorso (cfr. Cons. Stato, sez. IV, sentenza n. 6470 del 2021).

VIII. - Il Collegio, pertanto, ritiene, sulla scorta dei postulati enucleati, che le conclusioni a cui è giunta l’Amministrazione siano immuni dai vizi dedotti con i motivi di ricorso e che quindi il ricorso deve essere respinto perché infondato.

IX. - Il Collegio ritiene, alla luce di tutto quanto osservato, il provvedimento impugnato supportato da una adeguata indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che ne hanno determinato l'adozione in relazione alle risultanze dell'istruttoria, avendo l’Amministrazione valutato correttamente tutti fatti occorsi e risultando chiaro il percorso logico-giuridico seguito dall'Autorità emanante.

X. - In conclusione, per quanto osservato, il Collegio respinge il ricorso.

XI. - Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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