TAR Venezia, sez. II, sentenza 2019-04-08, n. 201900431
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 08/04/2019
N. 00431/2019 REG.PROV.COLL.
N. 01832/2001 REG.RIC.
REPUBBLICA IALIANA
IN NOME DEL POPOLO IALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1832 del 2001, proposto dal sig.
A G, rappresentato e difeso dall’avv. S S e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso, in Venezia-Mestre, via Carducci, n. 45
contro
Comune di Venezia, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avv.ti A I, N O e M Masetto e con domicilio eletto presso la Sede municipale, in Venezia, S. Marco, n. 4091
Regione Veneto, non costituita in giudizio
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, in persona del Ministro
pro tempore
,
ex lege
rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Venezia e domiciliato presso gli Uffici della stessa, in Venezia, San Marco, n. 63
per l’annullamento
- del provvedimento del Comune di Venezia n. 38329/24062/01 del 7 maggio 2001, notificato il 17 maggio 2001, recante rigetto della domanda di concessione in sanatoria presentata dal sig. A G il 27 giugno 1987 per la copertura di una terrazza dell’immobile sito in Lido, via Colombo, n. 5;
- del parere contrario espresso dalla Commissione per la Salvaguardia di Venezia con atto prot. n. 97/45774 del 13 febbraio 2001;
- di ogni altro atto connesso, presupposto e conseguente, incluso, per quanto occorrer possa, il decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 1° agosto 1985.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Venezia;
Visto il controricorso del Ministero dell’Ambiente;
Visto il decreto presidenziale n. 2122/2011 del 20 settembre 2011, recante declaratoria di perenzione del ricorso;
Visti la dichiarazione di permanenza dell’interesse proposta dal ricorrente ai sensi dell’art. 1, comma 2, dell’allegato 3 al d.lgs. n. 104/2010 e il decreto presidenziale n. 252/2012 del 7 marzo 2012, con il quale è stato revocato il decreto di perenzione e si è disposta la reiscrizione del ricorso sul ruolo di merito;
Viste l’ordinanza presidenziale istruttoria n. 1060/2016 del 2 dicembre 2016 e la memoria versata in atti dal ricorrente in ottemperanza alla stessa;
Visti, altresì, l’ordinanza presidenziale istruttoria n. 763/2018 del 14 novembre 2018 ed i documenti trasmessi dal Comune di Venezia a riscontro della stessa;
Visto il nuovo controricorso del Ministero dell’Ambiente;
Vista la memoria del Comune di Venezia;
Viste le memorie e la repliche del ricorrente e del Ministero dell’Ambiente;
Visti tutti gli atti della causa;
Nominato relatore nell’udienza “ di smaltimento ” del 2 aprile 2019 il dott. P D B;
Uditi i difensori presenti delle parti costituite, come specificato nel verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue
FATTO
Con il ricorso indicato in epigrafe il sig. A G ha impugnato i seguenti provvedimenti ed atti:
- il provvedimento del Comune di Venezia n. 38329/24062/01 del 7 maggio 2001, recante il rigetto della domanda di concessione in sanatoria presentata dallo stesso sig. G il 27 giugno 1987 per la copertura di una terrazza dell’immobile sito in Lido, via Colombo, n. 5;
- il parere contrario espresso dalla Commissione per la Salvaguardia di Venezia con l’atto prot. n. 97/45774 del 13 febbraio 2001;
- per quanto occorrer possa, il decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 1° agosto 1985, istitutivo del vincolo.
In punto di fatto il ricorrente espone:
- di essere proprietario di un immobile sito in Lido di Venezia, alla via C. Colombo, n. 5, nel quale ha realizzato (sostiene: sin dal 1953) la copertura della terrazza esterna;
- che dopo l’entrata in vigore della l. n. 47/1985 presentava al Comune di Venezia apposita domanda di condono per l’intervento edilizio in questione;
- che, però, il Comune, visto il parere negativo della Commissione per la Salvaguardia di Venezia, con il provvedimento del 7 maggio 2001 respingeva la surriferita istanza, adducendo a motivazione dell’impossibilità di rilasciare la sanatoria per la copertura della terrazza al piano I° il fatto che questa, “ per precarietà ed uso di materiale improprio, comporta danno al sito tutelato ”.
A supporto del gravame, l’esponente ha dedotto i seguenti motivi:
1) violazione dell’art. 31 della l. n. 47/1985, nonché eccesso di potere per errore di fatto e/o difetto di presupposto, in quanto la copertura oggetto dell’istanza di condono rientrerebbe pacificamente nelle previsioni dell’art. 31, ult. comma, della l. n. 47/1985, trattandosi di intervento realizzato nel 1953 e, quindi, prima del 1° settembre 1967 e che, peraltro, al tempo della sua esecuzione non sarebbe stato assoggettato al regime della concessione edilizia;
2) violazione dell’art. 32 della l. n. 47/1985, nonché eccesso di potere per carenza di presupposto e/o erronea rappresentazione dei fatti, poiché il parere su cui si è fondato il diniego di sanatoria avrebbe dovuto essere espresso dall’autorità preposta alla tutela del vincolo ex l. n. 1497/1939 e non già dalla Commissione per la Salvaguardia di Venezia;
3) violazione degli artt. 32 e 35 della l. n. 47/1985, degli artt. 1 e 2 della l. n. 1497/1939 e dell’art. 3 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per carenza di motivazione, perplessità, illogicità, incongruenza e/o insufficienza della motivazione, travisamento dei fatti e carenza dei presupposti, poiché il decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 1° agosto 1985, che ha previsto, sulla zona dove si trova l’immobile per cui è causa, il vincolo ex l. n. 1497/1939, sarebbe divenuto inefficace a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 27 giugno 1986. In ogni caso, il vincolo sarebbe illegittimo nella parte in cui avrebbe assoggettato un territorio vasto e diversificato, qual è il Lido di Venezia, ad un regime del tutto indifferenziato;
4) violazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di motivazione, perplessità, illogicità ed insufficienza della motivazione, nonché per difetto e/o insufficienza dell’istruttoria, in quanto il parere negativo su cui si è basato il diniego di condono si tradurrebbe in una mera petizione di principio ed in un’affermazione apodittica, priva di riscontro istruttorio. In specie, il richiamo alla precarietà del manufatto ed all’uso di materiale improprio non consentirebbe di capire né gli elementi concreti e materiali dell’affermata alterazione del sito, né l’effettiva ragione dell’incompatibilità del manufatto con l’ambiente circostante. Inoltre, la P.A. avrebbe omesso di indicare gli accorgimenti e suggerimenti tali da rendere compatibile l’intervento.
Si sono costituiti in giudizio sia il Comune di Venezia, sia il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con atti di costituzione formale, mentre non si è costituita in giudizio la Regione Veneto, pur evocata.
Con decreto presidenziale n. 2122/2011 del 20 settembre 2011 è stata dichiarata la perenzione del ricorso: tuttavia, a seguito della presentazione, da parte del ricorrente, della dichiarazione di interesse ex art. 1, comma 2, dell’allegato 3 al d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.), con decreto presidenziale n. 252/2012 del 7 marzo 2012 sono state disposte la revoca del decreto di perenzione e la reiscrizione del ricorso sul ruolo di merito.
Successivamente, con ordinanza presidenziale n. 1060/2016 del 2 dicembre 2016 le parti sono state invitate a comprovare la persistenza dell’interesse alla decisione nel merito della causa. L’esponente ha manifestato, a mezzo di memoria, il permanere di detto interesse.
Ancora, con ordinanza presidenziale n. 763/2018 del 14 novembre 2018 è stato disposto incombente istruttorio, cui il Comune di Venezia ha ottemperato con deposito del 17 dicembre 2018.
In vista dell’udienza di discussione della causa la parte privata e le parti pubbliche hanno depositato memorie e repliche.
All’udienza pubblica “ di smaltimento ” del 2 aprile 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITO
Il ricorso è parzialmente fondato e da accogliere, nei termini ed entro i limiti che di seguito si vanno ad esporre.
È, anzitutto, infondato il primo motivo di ricorso, a mezzo del quale il sig. G invoca l’art. 31, ult. comma, della l. n. 47/1985, lamentandone la violazione.
Da un lato, infatti, il ricorrente non ha fornito adeguata prova dell’avvenuta realizzazione dell’abuso nell’anno 1953, all’uopo non potendo bastare la denuncia di variazione al N.C.E.U. del 10 gennaio 1988, versata in atti come all. 1 al ricorso.
D’altro lato, la doglianza del privato è intrinsecamente contraddittoria: invero, il sig. G afferma l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 31, ult. comma, cit., ma, nel contempo, sostiene che l’opera di cui si discute non sarebbe stata assoggettata, all’epoca della sua costruzione, al regime della licenza di costruzione (poi concessione edilizia): tuttavia, l’art. 31, ult. comma, della l. n. 47/1985 si riferisce alle “ opere ultimate anteriormente al 1° settembre 1967 per le quali era richiesto, ai sensi dell’art. 31, primo comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e dei regolamenti edilizi comunali, il rilascio della licenza di costruzione ”, dunque risulta avere un oggetto diverso.
È, poi, infondato il secondo motivo di ricorso, a mezzo del quale il privato lamenta l’incompetenza della Commissione per la Salvaguardia di Venezia ad esprimere il parere per la sanatoria sul bene immobile sottoposto a vincolo, ai sensi dell’art. 32 della l. n. 47/1985.
La questione è stata affrontata in un recentissimo precedente di questa Sezione (T.A.R. Veneto, Sez. II, 29 gennaio 2019, n. 117), di cui si richiamano i passaggi rilevanti al fine di confutare la doglianza dell’odierno ricorrente.
“(….) Il Collegio non intende discostarsi dal consolidato orientamento interpretativo del Tribunale il quale ha evidenziato - sulla base della ricostruzione dell’evoluzione storico-normativa - che l’art. 1 della l. reg. 6 marzo 1984, n. 11 (poi abrogata dalla l. reg. n. 63/1994) aveva subdelegato alle Province le funzioni amministrative per la protezione delle bellezze naturali di cui all’art. 82 del d.P.R. n. 616/1977 (ad esclusione di quelle concernenti l’individuazione delle bellezze naturali), compresa la formulazione del parere ex art. 32 della l. n. 47/1985.
Tale parere rientrava, infatti, nella previsione dell’art. 1, comma 2, lett. a), della l. reg. n. 11/1984, riguardante la necessaria, preventiva determinazione di compatibilità delle opere realizzande con l’assetto ambientale tutelato.
La competenza ad esprimersi, ex art. 32 della l. n. 47/1985, sulla compatibilità ambientale delle opere abusive oggetto di istanza di condono era quindi demandata alla Provincia e, specificamente, al suo Presidente (art. 4, comma 1, della l. reg. n. 11/1984), sentito il parere della Commissione consultiva di cui all’art. 2, comma 1, della l. reg. n. 11 cit. (Commissione consultiva provinciale per i beni ambientali). Né si sarebbe potuto opporre che la l. n. 47/1985 è posteriore alla l. reg. n. 11/1984: la funzione di cui all’art. 32 della l. n. 47/1985, infatti, inerisce alla tutela dei beni ambientali e, pertanto, va esercitata dall’organo individuato in base alla ripartizione delle competenze effettuata dal legislatore statale (con il d.P.R. n. 616/1977) e da quello regionale (con la l. reg. n. 11/1984). E tale regime valeva anche per gli interventi eseguiti nella conterminazione lagunare di Venezia, nel territorio dei centri storici di Chioggia e Sottomarina e in Pellestrina, Lido e S. Erasmo, in virtù della deroga espressa dettata dall’art. 42 della l. n. 47/1985 alla disciplina introdotta dalla l. 16 aprile 1973, n. 171 (“ Interventi per la salvaguardia di Venezia ”).
Tuttavia, con l’entrata in vigore della l. 4 agosto 1991, n. 360, la competenza ad esprimere il parere di cui all’art. 32 della l. n. 47/1985 circa gli abusi eseguiti nel comprensorio della laguna veneta, è stata sottratta alla Provincia ed attribuita alla Commissione per la Salvaguardia di Venezia;invero, l’art. 4, comma 3, della l. n. 360/1991, nel dettare il nuovo testo dell’art. 6 della l. n. 171/1973, ha stabilito che “ la Commissione per la Salvaguardia di Venezia esprime parere vincolante su tutti gli interventi di trasformazione e di modifica del territorio (…..) da eseguirsi nella vigente conterminazione lagunare (.….)” e che “ Il parere della Commissione sostituisce ogni altro parere, visto, autorizzazione, nulla osta, intesa o assenso (…..)” ivi compreso “ il parere della commissione provinciale per i beni ambientali ”.
In definitiva, l’art. 4 della l. n. 360/1991, nel riscrivere l’art. 6 della l. n. 171/1973, ha assegnato in esclusiva alla Commissione per la Salvaguardia di Venezia le competenze consultive in materia ambientale, con effetto derogatorio rispetto al previgente assetto ordinamentale.
Quanto al regime temporale del riferito passaggio di competenze consultive dalla Provincia alla Commissione, è stato sottolineato come, al fine di stabilire l’autorità competente ad emettere il parere di compatibilità delle opere abusive, rilevi la disciplina in vigore al tempo in cui il parere viene reso: cfr. T.A.R. Veneto, sez. II, 11 dicembre 2017, n. 1122 ed ivi precedenti giurisprudenziali. E nel caso di specie il parere per cui è causa è stato reso nel settembre 1998, quando, perciò, il passaggio delle competenze consultive era già ampiamente avvenuto ”.
Va aggiunto che nello stesso senso è la giurisprudenza consolidata di questo Tribunale (cfr., ex multis , T.A.R. Veneto, Sez. II, 11 dicembre 2017, n. 1124;id., 1° febbraio 2011, n. 182;id., 21 ottobre 2010, n. 5697).
Mette conto, inoltre, sottolineare che pure nella vicenda qui in esame il parere della Commissione per la Salvaguardia di Venezia, essendo stato reso il 13 febbraio 2001, è ben posteriore al trasferimento delle competenze consultive in capo alla predetta Commissione. Se ne evince anche per questo verso l’infondatezza del motivo.
Ancora, è infondato il terzo motivo di ricorso, nella parte in cui esso reca la censura dell’inefficacia del decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 1° agosto 1985, recante l’istituzione del vincolo paesistico-ambientale sull’area de qua , a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 27 giugno 1986.
Anche a tal proposito basta richiamare le considerazioni espresse della sentenza di questa Sezione n. 117 del 29 gennaio 2019 e che di seguito si riportano:
“(….) Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi dall’indirizzo interpretativo del Tribunale il quale ha evidenziato che il vincolo paesaggistico di cui alla l. n. 1497/1939 insiste su tutto il territorio della laguna veneziana sulla base del D.M. 1° agosto 1985, il quale, ancorché annullato dalla sentenza T.A.R. Veneto, 25 ottobre 1986, n. 74, è stato “recuperato” per effetto della sentenza Cons. Stato, sez. VI, 19 febbraio 1993, n. 168.
In particolare, la cit. sentenza n. 74/1986 ha annullato il D.M. 1° agosto 1985 sulla base della delega alle Regioni, ex art. 82 del d.P.R. n. 616/1977, delle funzioni amministrative in tema di protezione delle bellezze naturali per quanto attiene alla loro individuazione (individuazione che è rimasta esclusa dalla subdelega alle Province) e tutela ed alle relative sanzioni. La sentenza si basa, inoltre, sulla pubblicazione di detto decreto nella G.U. del 21 settembre 1985, cioè dopo l’entrata in vigore dell’art. 1- ter della legge 8 agosto 1985, n. 431, pubblicata il 22 agosto 1985: per effetto di tale disposizione, infatti, l’organo centrale sarebbe rimasto privo del potere di provvedere in materia, in quanto l’art. 1- ter cit. ha devoluto alle Regioni il compito di individuare le aree in cui sono vietate, fino all’adozione dei piani paesistici, ogni modificazione dell’assetto del territorio, nonché qualsiasi opera edilizia.
Tuttavia, il Consiglio di Stato, con la cit. sentenza n. 168/1993, ha chiarito come il potere dello Stato di procedere alla dichiarazione di bellezza naturale di zone del territorio in via di integrazione degli elenchi, previsto dall’art. 82, secondo comma, lett. a), del d.P.R. n. 616/1977, abbia natura concorrente e non sostitutiva e, pertanto, non richieda, per il suo esercizio, l’inerzia dell’autorità regionale delegata. In altre parole, a seguito dell’entrata in vigore del d.P.R. n. 616/1977, il potere di sottoposizione a tutela delle c.d. bellezze d’insieme spetta in via autonoma e concorrente anche allo Stato, oltre che alle Regioni.
Inconferente è, poi, il richiamo da parte della ricorrente alla sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 27 giugno 1986, che riguarda i vincoli temporanei di inedificabilità assoluta ex art. 1- ter ed art. 1- quinquies della l. n. 431/1985, la cui imposizione – ha affermato il Giudice delle leggi – dopo l’entrata in vigore della citata l. n. 431/1985 spetta in via esclusiva alle Regioni ”.
Ed anche per il profilo ora riportato vale l’osservazione che le conclusioni della sentenza n. 117/2019 cit. altro non fanno che richiamare l’indirizzo della giurisprudenza consolidata di questo Tribunale (cfr., ex multis , T.A.R. Veneto, Sez. II, n. 1124/2017, cit.;id., n. 182/2011, cit.;id., 22 maggio 2006, n. 1407).
Per quanto riguarda, poi, l’impugnativa del decreto del Ministro per i Beni e le Attività Culturali del 1° agosto 1985 – alla quale attiene la seconda parte del terzo motivo di ricorso – la stessa presenta un evidente profilo di inammissibilità, poiché – come giustamente rileva la difesa erariale – il ricorrente ha omesso di evocare in giudizio il Ministero dei Beni ed Attività Culturali (M.I.B.A.C.), limitandosi ad evocare, erroneamente, il Ministero dell’Ambiente.
In definitiva, perciò, il terzo motivo di ricorso è in parte infondato e nella restante parte inammissibile, nei termini ora specificati.
Infine, il quarto motivo è infondato nella parte in cui censura la mancata indicazione, ad opera della P.A., di suggerimenti e/o accorgimenti tali da rendere possibile l’armonizzazione del manufatto con l’ambiente circostante.
In argomento si richiama, infatti, la giurisprudenza di questo Tribunale, la quale ha evidenziato come la scelta di dettare o meno le suesposte prescrizioni (o accorgimenti, o suggerimenti) rientri nella sfera delle valutazioni ampiamente discrezionali della P.A., non sindacabili, come ben noto, se non nei casi di manifesta illogicità od incongruenza, o di travisamento dei fatti (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 13 marzo 2018, n. 285;id., 11 dicembre 2017, n. 1138 e n. 1122).
Il quarto motivo di ricorso è, invece, fondato e da accogliere nella parte in cui contiene la censura di difetto di motivazione e di istruttoria da cui è afflitto il diniego di condono, per non avere la P.A. sufficientemente esposto i motivi del contrasto del manufatto abusivo (copertura della terrazza) con il contesto tutelato.
Al riguardo si premette che questo Tribunale, in molteplici recenti arresti (T.A.R. Veneto, Sez. II, n. 285 del 2018 e nn. 1138, 1124, 1122 e 1055 del 2017 citt.), ha sottolineato come una data tipologia di manufatto abusivo possa avere un impatto assai diverso, a seconda del contesto in cui si colloca. Più in dettaglio, ove l’opera vada a inserirsi nell’ambito del centro monumentale di Venezia, non sarà necessaria una motivazione particolarmente approfondita circa l’inadeguatezza dell’abuso rispetto al contesto monumentale della città storica, quantomeno se tale inadeguatezza sia ictu oculi percepibile: in questi casi, infatti, l’obbligo di motivazione ex art. 3 della l. n. 241/1990 potrà dirsi adeguatamente soddisfatto dal diniego di condono pur in forma sintetica, risultando le ragioni della determinazione amministrativa evidenti ed apprezzabili dal contesto (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, n. 1055/2017 e n. 182/2011, citt.).
A conclusioni diverse si dovrà, invece, pervenire per le opere abusive ubicate in contesti diversi dal centro monumentale di Venezia: in questi casi, infatti, non potendo percepirsi ictu oculi le ragioni di “inadeguatezza” dell’abuso rispetto al contesto, ai fini della legittimità del diniego di condono sarà, di regola, necessaria una specificazione concreta per dimostrare il contrasto dell’opera con il tutelato interesse paesaggistico-ambientale (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, n. 245/2018, cit.).
Di recente, in relazione a taluni manufatti abusivi siti nel territorio del (nuovo) Comune di Cavallino-Treporti, questo Tribunale ha giudicato insufficiente la motivazione del diniego di sanatoria incentrata sulla tipologia della costruzione e sui materiali utilizzati nell’edificazione (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, 5 luglio 2017, nn. 638 e 640).
Ebbene, nel caso all’esame, dal diniego impugnato e dagli altri atti di causa non si possono evincere le ragioni che hanno indotto la P.A. a considerare la copertura, per cui è stata negata la sanatoria, tale da comportare un’alterazione del contesto ambientale oggetto di tutela.
Da un lato, infatti, il riferimento alla precarietà del manufatto abusivo ed al materiale “ improprio ” in esso utilizzato appare generico e non in grado di esplicitare le ragioni di fatto poste alla base dell’atto di diniego: in quest’ultimo, invero, non viene specificato nulla al fine di dimostrare il contrasto della copertura abusiva della terrazza con l’interesse paesistico-ambientale tutelato, non precisandosi né quale sia il materiale utilizzato, né in che cosa consista la sua improprietà (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, n. 245 del 2018 e nn. 638 e 640 del 2017, citt.).
D’altro lato – a differenza di altra fattispecie (cfr. T.A.R. Veneto, Sez. II, n. 1138/2017, cit.) – nella vicenda qui in esame, a dar conto delle ragioni sottese al giudizio espresso dalla P.A. non sono utili neppure le fotografie versate in atti dalla difesa comunale con il deposito del 17 dicembre 2018 (cfr. le foto allegate al doc. 2).
Ne discende la fondatezza del quarto motivo di ricorso, nei termini ora riferiti.
In conclusione, alla luce di quanto esposto il ricorso è parzialmente fondato e da accogliere, attesa la fondatezza (di parte) del quarto motivo e previa declaratoria di infondatezza del primo, secondo, terzo (in parte) e quarto (anch’esso in parte) motivo, nonché di inammissibilità della restante parte del terzo motivo di gravame.
Dal parziale accoglimento del ricorso deriva l’annullamento sia del diniego di condono impugnato, sia del presupposto parere della Commissione per la Salvaguardia di Venezia – su cui il diniego si è basato – trattandosi di atti ambedue viziati da difetto di motivazione e di istruttoria.
Va, invece, dichiarata inammissibile l’impugnazione del decreto del Ministro per i Beni Culturali ed Ambientali del 1° agosto 1985.
Da ultimo, il Collegio ritiene di dover compensare integralmente le spese tra le parti, tenuto conto del carattere risalente della controversia, nonché della fondatezza solo parziale del ricorso.