TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-01-23, n. 202301186

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 5B, sentenza 2023-01-23, n. 202301186
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 202301186
Data del deposito : 23 gennaio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 23/01/2023

N. 01186/2023 REG.PROV.COLL.

N. 13406/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Quinta Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 13406 del 2014, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato A C, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato G C in Roma, via D. Purificato,147;

contro

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
Prefettura -OMISSIS-, non costituita in giudizio;

per l’annullamento

del provvedimento del Ministero dell’Interno del 15 maggio 2014, prot.-OMISSIS-, di reiezione dell’istanza del ricorrente volta ad ottenere la cittadinanza italiana;


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2022 il dott. Enrico Mattei e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe si contesta la legittimità del provvedimento prot.-OMISSIS-, emesso dal Ministero dell’Interno in data 15 maggio 2014, con il quale è stata rigettata la domanda di cittadinanza italiana presentata dal ricorrente in data 26 maggio 2010, ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f), della legge n. 91/1992, risultando a carico dell’istante i seguenti pregiudizi penali:

- in data 28 febbraio 2006, decreto penale di condanna del G.I.P. del Tribunale di -OMISSIS-, esecutivo in data 5 marzo 2006, per il reato di cui all’art. 186, comma 2 Codice della Strada;

- in data 25 gennaio 2006, sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti da parte del Tribunale -OMISSIS-, irrevocabile in data 4 aprile 2006 per i reati di cui agli artt. 81, 110, 635 comma 2 e 3 e 639 c.p. (danneggiamento, deturpamento, imbrattamento continuato in concorso).

Lamenta in sintesi il ricorrente l’illegittimità dell’atto impugnato per eccesso di potere per insufficiente istruttoria, irragionevolezza, motivazione insufficiente, violazione dell’art. 6, comma 1, della legge n. 91/1992, non essendo possibile rinvenire dal tenore del provvedimento impugnato, alcuna indicazione specifica in ordine ai presupposti di fatto e di diritto posti a fondamento della decisione di rigetto della domanda di cittadinanza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito in giudizio con atto di mera forma.

In vista della trattazione del merito il ricorrente ha depositato una memoria conclusionale.

All’udienza pubblica del giorno 9 dicembre 2022, la causa è passata in decisione.

Il ricorso è infondato e va respinto.

Sul punto il Collegio osserva quanto segue in merito alla natura del provvedimento di concessione della cittadinanza alla luce della giurisprudenza in materia, di recente sintetizzata dalla Sezione (TAR Lazio, sez. V bis, n. 2943, 2944, 2947, 3018, 3471, 5130 del 2022), secondo cui l’acquisizione dello status di cittadino italiano per naturalizzazione è oggetto di un provvedimento di concessione, che presuppone un’amplissima discrezionalità in capo all’Amministrazione, come si ricava dalla norma, attributiva del relativo potere, contenuta nell’art. 9, comma 1, della legge n. 91/1992, ai sensi del quale la cittadinanza “può” essere concessa.

Tale discrezionalità si esplica, in particolare, in un potere valutativo in ordine al definitivo inserimento dell’istante all’interno della comunità nazionale, in quanto al conferimento dello status civitatis è collegata una capacità giuridica speciale, propria del cittadino, che comporta non solo diritti – consistenti, sostanzialmente, nei “diritti politici” di elettorato attivo e passivo (che consente, mediante l’espressione del voto alle elezioni politiche, la partecipazione all’autodeterminazione della vita del Paese di cui si chiede di entrare a far parte), e nella possibilità di assunzione di cariche pubbliche – ma anche doveri nei confronti dello Stato-comunità, con implicazioni d’ordine politico-amministrativo;
si tratta infatti di determinazioni che rappresentano un’esplicazione del potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (cfr. Consiglio di Stato, AG, n. 9/1999 del 10.6.1999;
sez. IV n. 798/1999;
n. 4460/2000;
n. 195/2005;
sez, I, 3.12.2008 n. 1796/08;
sez. VI, n. 3006/2011;
Sez. III, n. 6374/2018;
n. 1390/2019, n. 4121/2021;
TAR Lazio, Sez. II quater, n. 10588 e 10590 del 2012;
n. 3920/2013;
4199/2013).

L’interesse dell’istante a ottenere la cittadinanza deve quindi necessariamente coniugarsi con l’interesse pubblico a inserire lo stesso a pieno titolo nella comunità nazionale.

Se si considera il particolare atteggiarsi di siffatto interesse pubblico, avente natura “composita”, in quanto teso alla tutela della sicurezza, della stabilità economico-sociale, del rispetto dell’identità nazionale, è facile dunque comprendere il significativo condizionamento che ne deriva sul piano dell’agire del soggetto (il Ministero dell’Interno) alla cui cura lo stesso è affidato.

In questo quadro, pertanto, l’Amministrazione ha il compito di verificare che il soggetto istante sia in possesso delle qualità ritenute necessarie per ottenere la cittadinanza, quali l’assenza di precedenti penali, la sussistenza di redditi sufficienti a sostenersi, una condotta di vita che esprima integrazione sociale e rispetto dei valori di convivenza civile.

La concessione della cittadinanza rappresenta infatti il suggello, sul piano giuridico, di un processo di integrazione che nei fatti sia già stato portato a compimento, la formalizzazione di una preesistente situazione di “cittadinanza sostanziale” che giustifica l’attribuzione dello status giuridico.

In altri termini, l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale può avvenire (solo) quando l’Amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto a dimostrare la sua capacità di inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare problemi all’ordine e alla sicurezza nazionale, disattendere le regole di civile convivenza ovvero violare i valori identitari dello Stato (cfr., ex multis , TAR Lazio, Roma, Sez. I ter, n. 3227/2021;
n. 12006/2021 e sez. II quater, n. 12568/2009;
Cons. St., sez. III, n. 4121/2021;
n. 8233/2020;
n. 7122/2019;
n. 7036/2020;
n. 2131/2019;
n. 1930/2019;
n. 657/2017;
n. 2601/2015;
sez. VI, n. 3103/2006;
n.798/1999).

Tanto chiarito sulla natura discrezionale del potere de quo , ne deriva che il sindacato giurisdizionale sulla valutazione compiuta dall’Amministrazione – circa il completo inserimento o meno dello straniero nella comunità nazionale – non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole.

Ciò in quanto la giurisprudenza, dalla quale non vi è motivo per discostarsi, ha costantemente chiarito che, al cospetto dell’esercizio di un potere altamente discrezionale, come quello in esame, il sindacato del giudice amministrativo si esaurisce nel controllo del vizio di eccesso di potere, nelle particolari figure sintomatiche dell’inadeguatezza del procedimento istruttorio, illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà, irragionevolezza della scelta adottata o difetto di motivazione, e non può estendersi all’autonoma valutazione delle circostanze di fatto e di diritto su cui fondare il giudizio di idoneità richiesto per l’acquisizione dello status di cittadino.

Il vaglio giurisdizionale non può sconfinare, quindi, nell’esame del merito della scelta adottata, riservata all’autonoma valutazione discrezionale dell’Amministrazione ( ex multis , Cons. St., Sez. IV n. 6473/2021;
Sez. VI, n. 5913/2011;
n. 4862/2010;
n. 3456/2006;
TAR Lazio, Sez. I ter, n. 3226/2021, Sez. II quater, n. 5665/2012), la quale, nello svolgere tale delicata valutazione, “ben può rilevare che nell’ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni” (T.A.R. Lazio, sentenza n. 5615/2015).

Applicando le suesposte coordinate giurisprudenziali al caso di specie, il Collegio ritiene infondate le censure formulate con il ricorso, avendo l’Amministrazione valutato in maniera non manifestamente illogica la situazione del ricorrente, risultando a carico di quest’ultimo precedenti penali (guida in stato di ebrezza, danneggiamento, deturpamento, imbrattamento continuato in concorso), che, globalmente considerati, per la loro natura plurioffensiva, rappresentano un indice sintomatico di inaffidabilità e di una non compiuta integrazione nella comunità nazionale, desumibile in primis dal rispetto delle regole di civile convivenza per quanto riguarda il rispetto della vita e dell’integrità fisica altrui (messe a repentaglio dalla guida in stato di ebbrezza) e degli spazi comuni oltre che delle cose altrui (con conseguente degrado dell’ambiente, che anch’esso incide sulla qualità della vita e benessere collettivo) e dalla rigorosa, sicura osservanza delle leggi vigenti nell’ordinamento giuridico italiano. Si tratta di circostanze ammesse dallo stesso ricorrente che, al riguardo, contesta unicamente l’addebito della loro omessa dichiarazione nella domanda di cittadinanza, disconoscendone la gravità (definiti come “piccolo problemino con la giustizia”) e lamentando il difetto di motivazione al riguardo.

La prospettazione del ricorrente non merita condivisione.

I reati ascritti al ricorrente, tutti oggetto di pronunce definitive di condanna, denotano, infatti, una tendenza caratteriale della persona che desta un particolare allarme sociale e disvalore rispetto ai principi di una ordinata convivenza all’interno dello Stato, in quanto mettono a rischio l’incolumità pubblica e privata.

Come già ripetutamente chiarito da questa Sezione, tale giudizio prognostico è frutto di una valutazione complessa, in cui l’Autorità chiamata a formularlo non si limita a considerare in modo atomistico i singoli precedenti, ma li valuta nel complesso insieme dei loro reciproci rapporti, nella periodicità e reiteratività, nella loro natura: si tratta, appunto, di “indicatori”, cioè di “elementi di fatto” che sono apprezzati, sotto il profilo della loro valenza significativa dell’indole del richiedente, in modo “globale”, trattandosi di esprimere un giudizio “sintetico”, che ha natura di valutazione “d’impatto” (TAR Lazio, sez. V bis, n. n. 3527/2022, 5113/2022, 5348/2022, 6941/22, 7206/22,8206/22, 8127/22, 8131 e 32, 8189/22, 8932/22, 9291/22, ).

In tale prospettiva, pertanto, è stata riconosciuta non irragionevole la valenza prognostica negativa attribuita a quelle condotte che, anche a prescindere dalla rilevanza sotto il profilo della gravità penale, sono considerate come contrarie al dovere di solidarietà, che implica, in primo luogo, quello di non mettere a repentaglio la sicurezza e l’incolumità altrui, quali la guida in stato di ebbrezza inquadrandola nel più ampio ambito dei reati stradali, (TAR Lazio, sez. V bis, sentenze n. 2943, 2947, 3026 e 3027, 4469, 4945, 4703, 4945, 6126, 6490, 8045 del 2022;
ord. 4552/2022;
8380 e 16221 del 2022).

Non può d’altra parte trovare accoglimento l’eccezione avente ad oggetto la presunta violazione dell’art. 6 della legge n. 91/1992, trovando le disposizioni di tale norma esclusiva applicazione alle istanze volte al riconoscimento della cittadinanza iure matrimonii e non a quelle, come nel caso di specie, di concessione della cittadinanza italiana presentate ai sensi dell’art 9 della medesima legge.

Al riguardo la giurisprudenza in materia ha chiarito che la commissione di reati puniti con la pena edittale massima pari o superiore a 3 anni, essendo automaticamente ostativa ex art. 6, comma 1, lett. b), l. n. 91/1992 (che recita: “precludono l'acquisto della cittadinanza ai sensi dell'articolo 5 [...] la condanna per un delitto non colposo per il quale la legge preveda una pena edittale non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione"), è ostativa persino all’acquisto della cittadinanza italiana per matrimonio (che costituisce un diritto per il coniuge di un connazionale per cui la cittadinanza può essere negata solo nelle ipotesi tassativamente predeterminate dal legislatore), precisando che tale circostanza risulta a fortiori preclusiva all’acquisto della cittadinanza italiana per naturalizzazione (TAR Lazio, sez. II quater, n. 1833/15;
3582/14;
n. 9947/2016, 324/2017;
TAR Lazio, sez. I ter, n. 11734/2019, 4632/2020;cfr Consiglio di Stato VI n. 52/2011, sez. III, n. 1726/2019, 8734/2019, 4151/2021;
TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944/2022;
n. 4236/22;
n. 4295/2022;
4941/2022;
n. 5130/2022;
n. 5131/2022;
n. 6254/2022, n. 8210/2022, n. 8305/2022);
la medesima giurisprudenza ha inoltre precisato che l’ambito dei reati valutabili ai fini della concessione della cittadinanza per naturalizzazione va oltre quelli sopraindicati. È stato infatti al riguardo precisato che “con riguardo alle domande di concessione per residenza, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 91/1992, quale quella in esame, invece, il legislatore ha preferito non precludere all’Amministrazione la possibilità di valutare, “caso per caso”, anche diverse ed ulteriori fattispecie criminose (vedi, tra tante, Cons. Stato sez. III, 14 maggio 2019, n. 3121;
id., 21 ottobre 2019, n. 7122;
come ribadito, da ultimo, anche con riferimento specifico anche alla guida in stato di ebbrezza, dalle stesse sentenze invocate dal ricorrente, Cons. St., sez. III, 5.3.2021, n. 1893;
31.5.2021 n. 4151;
8022/2021;
cfr. TAR sez. V bis, nn. 2943, 2944, 2045, 3027, 4625, 4651, 4888, 4941, 4945, 5113 del 2022, tra tante, da ultimo, TAR sez. V bis, nn. 13811/2022).

Occorre infine considerare che la dichiarazione non veritiera fatta dal ricorrente in sede di domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana, in ordine alla sussistenza dei citati precedenti penali, è suscettibile di determinare la reiezione della domanda anche a prescindere dalla sussistenza del reato di falso, ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. n. 445/2000, essendo indicativa di una non compiuta integrazione, e conoscenza dei principi che informano anche il procedimento in questione, che il richiedente ha il dovere di acquisire (cfr. T.A.R. Lazio - Roma, sez. I Ter, 31/08/2020 n. 9289;
TAR Lazio, sez. V bis, n. 2944, 2945, 2946, 2947, 3026, 3475 3621 del 2022 e seguenti).

Va del pari disatteso il motivo di censura con cui denuncia l’omessa acquisizione del parere del Consiglio di Stato, prescritto dall’art. 9 della legge n. 91/1992, essendo tale incombente procedimentale stato eliminato, nell’ambito di una generale riforma volta a semplificare l’azione amministrativa, dall’art. 17 co. 26 della legge n. 127/1997 (“È abrogata ogni diversa disposizione di legge che preveda il parere del Consiglio di Stato in via obbligatoria”), come ripetutamente chiarito, anche di recente, da questa Sezione (vedi, tra tante, Tar Lazio, sez. V bis, 13911/2022, n. 10802/2022).

che il provvedimento di diniego è stato adottato oltre il termine prescritto dall’art. 8 della legge 91/1992: anche in questo caso si tratta di norma prevista esclusivamente nel caso di richiesta della cittadinanza per matrimonio ex art. 5 della medesima legge.

Quanto infine all’ultimo mezzo di gravame, con cui censura

Le considerazioni che precedono impongono il rigetto del ricorso.

Le spese del giudizio seguono, come da regola, la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.

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