TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2016-08-08, n. 201609226

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 2T, sentenza 2016-08-08, n. 201609226
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201609226
Data del deposito : 8 agosto 2016
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 08/08/2016

N. 09226/2016 REG.PROV.COLL.

N. 01800/2015 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Ter)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1800 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Società Fondiaria Industriale Romagnola Sfir Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati V C I, A M, con domicilio eletto presso l’avv. V C I in Roma, Via Dora, 1;

contro

Agea - Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura e Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, in persona dei rispettivi legali rappresentanti p.t., rappresentati e difesa per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della nota prot. AGEA.UMU.2014.2343 del 26.11.14 con la quale è stato comunicato alla ricorrente che, ad esito della Decisione in data 18.11.2014, in corso di pubblicazione, con la quale l’U.E. ha escluso dal finanziamento U.E. destinato all’Italia un importo pari ad euro 90.498.735,16, l’Agenzia deve attivare il procedimento di recupero delle somme già pagate che non sono dovute agli zuccherifici che non hanno smantellato i silos, pur in assenza di riforma dei procedimenti di approvazione dei progetti di ristrutturazione e di istruttoria delle connesse rendicontazioni, e che la quota del predetto importo da restituire riconducibile alla ricorrente è pari ad euro 51.012.883,13, erogato ai sensi dei regolamenti CE nn. 320/06 e 986/06, quali aiuti per la ristrutturazione nel settore bietilico saccarifero e non utilizzati

e di ogni altro atto presupposto, collegato, connesso e/o consequenziale,

impugnata con il ricorso originario

e per la richiesta chiarimenti sull'ottemperanza della sentenza n. 9841/11 del Tar Lazio sezione Seconda ter

Nonché per l’annullamento

- della nota AGEA - Organismo Pagatore Ufficio Monocratico del 2/2/2015, prot. n. DAPU.2015.25 con la quale è stato comunicato alla ricorrente che, in relazione alla nota del 26/11/2014, prot. n. AGEA.UMU.2014.2341, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea L.16 del 23 gennaio 2015 la decisione dell’Unione Europea di escludere dal finanziamento U.E. destinato all’Italia un importo pari ad euro 90.498.735,16 (questione silos-fondo per la ristrutturazione per il settore dello zucchero);

impugnata con il primo ricorso per motivi aggiunti

- della scheda Informativa Credito, emessa da Agea in data 9.12.2014, n. 327539 nella quale risulta indicato un presunto debito a carico della società ricorrente per un importo pari ad pari ad euro 28.525.970,92, della scheda Informativa Credito, emessa da Agea in data 9.12.2014, n. 327541 nella quale risulta indicato un presunto debito a carico della società ricorrente per un importo pari ad pari ad euro 4.083.338,77 e della scheda Informativa Credito, emessa da Agea in data 9.12.2014, n. 327543 nella quale risulta indicato un presunto debito a carico della società ricorrente per un importo pari ad pari ad euro 18.403.523,44, quali aiuti assegnati per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero ai sensi dei Regolamenti 2006/320/CE e 2006/968/CE nelle campagne 2006, 2007 e 2008;

- degli eventuali atti, non conosciuti, con i quali la stessa Agea ha disposto la trascrizione di siffatto presunto debito nella suddetta scheda;

- di ogni ulteriore atto presupposto, connesso e/o consequenziale, ivi comprese le note Agea del 26.11.2014, n. DAPU.2014/00317;
3.11.2014, prot. AGEA.UMU.2014.2202;
3.11.2014, prot. AGEA.DPMU.2014.4710;
10.10.2014, prot. n. AGEA.UMU.2014.2077 e 25.7.2014, prot. n. AGEA.DAPU.2014.193 nonché della nota del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali 1.10.2014, prot. n. 5566 e di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale.

Impugnati con il secondo ricorso per motivi aggiunti


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Agea - Agenzia Per Le Erogazioni in Agricoltura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 giugno 2016 la dott.ssa M L M e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso in epigrafe, la ricorrente impugna la nota 26.11.2014 prot. n. AGEA.UMU.2014.2343, con cui l’AGEA ha comunicato alla società che, in esito alla Decisione in data 18.11.2014, in corso di pubblicazione, con la quale la Commissione U.E. ha escluso dal finanziamento a carico del FEOGA, destinato all’Italia, una parte dei contributi per la dismissione degli zuccherifici, per un importo pari ad euro 90.498.735,16, l’Agenzia deve attivare un procedimento di recupero delle somme già pagate che non sono dovute agli zuccherifici che non hanno smantellato i silos “pur in assenza di riforma dei procedimenti di approvazione dei progetti di ristrutturazione e di istruttoria delle connesse rendicontazioni ” e che la quota del predetto importo da restituire riconducibile alla società ricorrente è pari ad euro 51.012.883,13.

Avverso detta nota, la ricorrente, dopo aver ripercorso i tratti salienti della vicenda, ha dedotto vari motivi di impugnazione per violazione di legge ed eccesso di potere.

In particolare, con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione del regolamento 320/2006 e 968/2002, del d.m. 15.2.2007, contraddittorietà, irragionevolezza e mancanza dei presupposti, perché non sussisterebbe il contestato inadempimento, essendo la ricorrente perfettamente adempiente agli obblighi connessi ai Piani di ristrutturazione approvati dalle autorità competenti.

Con il secondo motivo, la ricorrente contesta il difetto di motivazione.

Con il terzo motivo, la ricorrente deduce la violazione ed elusione della sentenza del Consiglio di Stato n. 3185/2014, che aveva ordinato la demolizione dei silos e non la restituzione degli aiuti percepiti. La società ricorrente si era resa disponibile all’esecuzione della citata sentenza.

Con il quarto motivo, la ricorrente si duole della violazione degli artt. 21 quinques e 21 nonies della l. 241/1990 e della violazione del legittimo affidamento, in quanto le autorità nazionali hanno indotto la ricorrente a confidare – senza sua colpa – di aver correttamente adempiuto agli obblighi previsti dai Piani di ristrutturazione, cosicché non può ora essere tenuta alla restituzione deli aiuti percepiti in buona fede. In tal senso, la ricorrente cita anche copiosa giurisprudenza comunitaria, volta ad escludere l’obbligo di restituzione del privato in buona fede, ancorché non quello dello Stato membro.

Con il quinto motivo, in via ulteriormente gradata, la ricorrente sostiene che l’importo da restituire sarebbe al più di 18 milioni di euro, concernenti le campagne 2008/2009, in quanto, ai sensi dell’art. 31 del Reg. 1290/2005, le spese eseguite più di 24 mesi prima della comunicazione scritta da parte della Commissione allo Stato membro degli esiti delle verifiche, non possono essere oggetto di recupero.

Il ricorso si conclude quindi chiedendo al giudice adito l’annullamento del provvedimento impugnato e di dettare, in qualità di giudice dell’ottemperanza, le corrette modalità di esecuzione della sentenza del TAR Lazio 9481/2011, confermata dal Consiglio di Stato con sentenza 3185/2014.

Con la decisione 16.1.2015, n. 103, la Commissione UE ha quindi escluso dal finanziamento a carico del FEAGA una parte dei contributi riconosciuti allo Stato italiano e da quest’ultimo alla società ricorrente, per la dismissione degli zuccherifici, ritenendo sussistente la fattispecie dello smantellamento parziale degli impianti di produzione e non di quello totale.

Tale decisione è stata impugnata dallo Stato Italiano innanzi al Tribunale di primo grado U.E. (causa T-135/15) e la causa è tuttora pendente.

Con un primo ricorso per motivi aggiunti, la società ha impugnato la nota dell’AGEA del 2.2.2015 con la quale è stato comunicato all'impresa che in relazione alla nota AGEA del 26.11.2014 è stata pubblicata sulla G.U.UE del 23 gennaio 2015 la decisione della U.E di escludere dal finanziamento destinato all' Italia la cifra di 90.498.735,16, fondo per la ristrutturazione per il settore dello zucchero.

Il ricorso per motivi aggiunti riproduce le stesse doglianze già svolte nel ricorso originario per illegittimità derivata.

L’Agea e il Ministero si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso, opponendosi alle pretese della ricorrente.

Con ordinanza n.1716 del 2015 di questa Sezione, tenuto conto della impugnazione da parte dello Stato italiano, dinanzi al Tribunale dell'U.E., della decisione della Commissione Europea n. 103/2015, di cui sopra si è detto, è stata accolta la domanda cautelare proposta dalla ricorrente e sono stati sospesi gli effetti degli atti impugnati con il ricorso originario e con il primo ricorso per motivi aggiunti.

Con un secondo ricorso per motivi aggiunti, notificato in data 10.6.2015, la società ha impugnato anche le schede informative Credito emessa da Agea nelle quali risulta indicato un presunto debito a carico della società per euro 51.012.883,13, quale aiuto assegnato per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero.

Deduce, in primo luogo, l’illegittimità derivata delle schede in questione per i medesimi vizi già dedotti in sede di ricorso originario e con il primo ricorso per motivi aggiunti.

Lamenta poi, con il secondo mezzo di gravame, la violazione del Regolamento 2006/885/CE e dell’art. 8 ter della l. 33/2009, nonché dei regolamenti 2005/1290/CE, 2006/320/CE, 2006/968/CE, 2013/1306/CE, difetto di istruttoria e di motivazione perché non è imputabile alla società ricorrente alcuna irregolarità o inadempienza;
inoltre la questione controversa è ancora sub iudice, pertanto allo stato, non sussiste alcun accertamento circa la debenza della somma di che trattasi a carico della società ricorrente.

Con il terzo motivo, la ricorrente deduce anche la violazione del Regolamento 2006/885/CE e dell’art. 8 ter della l. 33/2009, nonché dei regolamenti 2005/1290/CE, 2006/320/CE, 2006/968/CE, 2013/1306/CE, difetto di istruttoria e di motivazione perché non sussisterebbe il presunto automatismo tra il provvedimento della Commissione e il recupero delle somme, in ordine al quale le schede di credito impugnate sono propedeutiche e strumentali.

In numerose decisioni delle Corti europee è stato infatti chiarito che le decisioni di rettifica della Commissione, come quella in esame, riguardano unicamente i rapporti finanziari tra Stato membro e Commissione. In caso di percezione in buona fede dell’aiuto per una interpretazione adottata dagli organi nazionali, non sarebbe dunque possibile né in forza del diritto comunitario né della maggior parte dei sistemi giuridici nazionali, recuperare gli importi indebitamente pagati. (cfr. Corte di giustizia, 7.2.1979, Commissione c/ Paesi Bassi). Tale principio sarebbe stato codificato anche dal regolamento n. 2005/1290/CE art. 32, par.5.

Infine, l’art. 26 del regolamento 2006/968/CE non prevedrebbe, secondo la ricorrente, la possibilità di recupero nel caso di specie, essendo esso unicamente ammesso nell’ipotesi in cui il beneficiario non adempia agli impegni previsti, secondo i casi, dal piano di ristrutturazione, dal piano aziendale o dal programma di ristrutturazione nazionale. Ciò confermerebbe che eventuali irregolarità dei suddetti piani non possono essere imputate alle imprese medesime né giustificare la ripetizione delle somme.

Mancherebbe poi nella procedura un intervento del MIPAAF, necessario in virtù dei principi del contrarius actus.

Con il quarto motivo, la ricorrente sostiene che il comportamento dello Stato italiano, che da un lato ha presentato ricorso dinanzi al Tribunale dell’UE avverso la decisione della Commissione europea a dall’altro agisce per il recupero, come se ritenesse accertato il presunto debito a carico della società ricorrente.

Le parti hanno concordemente chiesto un primo rinvio dell’udienza pubblica fissata per 12 gennaio 2016, in attesa della decisione del tribunale UE.

In vista dell’udienza del 24 maggio 2016, le parti hanno chiesto un rinvio o la sospensione del giudizio nell’attesa della decisione del Tribunale dell’UE sulla impugnazione della decisione di rettifica della Commissione, ravvisando un rapporto di pregiudizialità tra i due giudizi.

All’esito dell’udienza pubblica del 24 maggio 2016, con ordinanza collegiale n. 6232 del 2016, il Collegio ha manifestato alle parti, ai sensi dell’art. 73, comma 3, c.p.a. dubbi in punto di giurisdizione del giudice adito, dubbi peraltro già adombrati in sede di ordinanza cautelare.

La società ricorrente ha depositato una memoria sostenendo la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo in primo luogo in relazione alla azione di ottemperanza svolta nel presente giudizio congiuntamente con quella di annullamento, nonché, per connessione, anche in relazione alla azione impugnatoria.

Inoltre, ha sostenuto l’esistenza della giurisdizione amministrativa per la natura discrezionale dei provvedimenti impugnati, non esistendo un obbligo in capo alle autorità nazionale di ripetere le somme stanziate. Ed infatti, in identica situazione, così si è comportata la Slovenia, escludendo ogni obbligo di restituzione da parte delle imprese beneficiarie.

Infine, non vi sarebbe la giurisdizione del giudice ordinario in quanto nel caso di specie non è configurabile alcun inadempimento da parte della società ricorrente, la quale non ha fatto altro che attenersi ai piani di ristrutturazione approvati dalle autorità nazionali.

La presente controversia, pertanto, non riguarderebbe l’accertamento dell’eventuale inadempimento dell’impresa ma l’eventuale illegittimità derivata dell’atto di recupero, a causa della presunta originaria illegittimità del provvedimento di erogazione dell’aiuto.

La causa è stata quindi trattenuta in decisione.

2. La vicenda in esame, che è stata oggetto di diverse pronunce del giudice amministrativo nonché di una decisione della Corte di giustizia (sentenza 14 novembre 2013 resa nelle cause riunite da C-187/12 a C-189/12), sollecitata con rinvio pregiudiziale da parte del Consiglio di Stato (ordinanza 12 aprile 2012 n. 2083), concerne la mancata demolizione di alcuni silos presenti negli impianti di produzione dello zucchero della ricorrente, nell’ambito della attuazione di aiuti comunitari per lo smantellamento degli zuccherifici. La questione di tale demolizione è risultata rilevante al fine di stabilire se alla ricorrente spettasse l’aiuto per l’integrale o solo per il parziale smantellamento dell’impianto di produzione dello zucchero.

Sul punto, le autorità italiane (MIPAAF) avevano ritenuto ammissibile la domanda di aiuto integrale pur in mancanza della previsione della demolizione dei silos. L’aiuto era stato quindi erogato.

A seguito di visita degli ispettori europei, era stata riscontrata la presenza di silos ed impianti di confezionamento. I revisori della Commissione hanno quindi ritenuto che il mantenimento dei silos non fosse conforme ai Regolamenti C.E. nn. 320/2006 e 968/2006 ai fini dell’ammissibilità a tasso pieno dell’aiuto, implicante il completo smantellamento di tutti i manufatti direttamente connessi alla produzione, quali appunto sarebbero i silos dovendo essi essere considerati come “direttamente connessi alla produzione dello zucchero” (in quanto “impianti di imballaggio” di cui all’art. 4, paragrafo 1, lett. c) del cit. regolamento C.E. n. 968/2006).

AGEA, in esecuzione delle indicazioni fornite dai revisori della Commissione, ha quindi invitato l’impresa ricorrente a procedere all’integrale smantellamento dei silos.

Avverso tale atto, la ricorrente ha proposto ricorso dinanzi al TAR Lazio e successivamente appello al Consiglio di stato.

La questione giuridica affrontata dai giudici amministrativi in quella sede era, in sintesi, se gli articoli 3 e 4 del regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio del 20 febbraio 2006 e l’articolo 4 del regolamento (CE) n. 968/2006 della Commissione del 27 giugno 2006 dovessero essere interpretati nel senso che la locuzione “impianti di produzione” comprenda o meno gli impianti utilizzati dalle imprese saccarifere per l’attività di packaging dello zucchero ai fini della sua commercializzazione che, pertanto, nel caso di impianti quali silos, se sia necessario espletare un’analisi caso per caso per verificare se gli impianti medesimi siano connessi alla “linea di produzione” ovvero siano connessi ad altre attività, diverse dalla produzione, quali il packaging.

Sul punto è stato chiesto, come si è detto, l’avviso della Corte di giustizia.

La Corte di giustizia, nella citata pronuncia, ha statuito che: “Gli articoli 3 e 4 del regolamento (CE) n. 320/2006 del Consiglio, del 20 febbraio 2006, relativo a un regime temporaneo per la ristrutturazione dell’industria dello zucchero nella Comunità e che modifica il regolamento (CE) n. 1290/2005 relativo al finanziamento della politica agricola comune, e l’articolo 4 del regolamento (CE) n. 968/2006 della Commissione, del 27 giugno 2006, recante modalità di applicazione del regolamento n. 320/2006, devono essere interpretati nel senso che, ai loro fini, la nozione di “impianti di produzione” comprende i silos destinati allo stoccaggio dello zucchero del beneficiario dell’aiuto, a prescindere se questi siano utilizzati anche per altri usi. Non rientrano in tale nozione né i silos utilizzati unicamente per lo stoccaggio di zucchero, prodotto entro quota, depositato da altri produttori o acquistato da questi ultimi, né quelli utilizzati solamente per il confezionamento o l’imballaggio di zucchero ai fini della sua commercializzazione. Spetta al giudice nazionale valutare caso per caso, tenendo conto delle caratteristiche tecniche o del vero uso che è fatto dei silos di cui trattasi”.

All’esito di tale pronuncia, il Consiglio di Stato, con decisione n. 3185/2015 ha ritenuto che i silos dovessero essere smantellati.

Nel frattempo, però, la Commissione europea ha comunicato l’intenzione di procedere alla decisione di rettifica del finanziamento attribuito allo Stato Italiano nell’ambito del FEOGA, proprio in relazione alla questione dello smantellamento dei silos degli zuccherifici, il che ha dato luogo al presente contenzioso.

Ed infatti, in esecuzione della decisione di rettifica della Commissione nei confronti dello Stato italiano, AGEA ha chiesto alla ricorrente la restituzione della somma di euro 51.012.883,13, erogata ai sensi dei regolamenti CE nn. 320/06 e 986/06, quali aiuti per la ristrutturazione nel settore bietilico saccarifero e non utilizzati.

3. Tanto premesso, il Collegio ritiene che la controversia, nella parte in cui si riferisce alla proposta azione di annullamento degli atti di recupero adottati da AGEA, appartenga alla giurisdizione del giudice ordinario.

Va in primo luogo evidenziato che la domanda di chiarimenti, in qualità di giudice dell’ottemperanza, delle decisioni del TAR Lazio e del Consiglio di Stato circa le modalità di esecuzione dell’obbligo di smantellamento dei silos va dichiarata improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

E’ infatti chiaro che, come ha segnalato l’Avvocatura dello Stato nella sua memoria, una volta intervenuta la decisione di rettifica della Commissione UE, adottata sulla base della asserita doverosità degli smantellamenti dei silos, la questione del loro smantellamento ha perso rilevanza, essendo ora passato alla competenza del Tribunale Ue l’accertamento della correttezza del percorso interpretativo fatto proprio della Commissione UE nell’adozione del provvedimento di rettifica finanziaria.

Inoltre, la sicura spettanza alla giurisdizione del giudice adito della cognizione della domanda di ottemperanza non può giustificare per ragioni di connessione, l’estensione della giurisdizione amministrativa anche alle ulteriori domande di annullamento, spese sempre nel presente giudizio, non essendo per pacifica giurisprudenza, derogabile la giurisdizione per ragioni di connessione. (cfr. sul tema specifico Adunanza Plenaria, 29 gennaio 2014, n. 6).

La domanda di annullamento in esame ha ad oggetto atti di recupero di aiuti comunitari asseritamente indebitamente erogati, a seguito di un preteso inadempimento da parte dell’impresa agli obblighi comunitari di smantellamento integrale degli zuccherifici.

La giurisdizione del giudice ordinario in tali fattispecie si radica sia per la natura vincolata degli atti in esame sia per l’afferenza di essi alla fase esecutiva del rapporto derivante dalla assunzione delle obbligazioni correlate alla corresponsione dell’aiuto comunitario.

Quanto al primo profilo, osserva il Collegio che la decisione di AGEA di recupero consegue in modo vincolato alla decisione di rettifica finanziaria adottata dalla Commissione europea. Fino a che tale atto non venga annullato dal Tribunale della UE, dinanzi al quale pende ora l’impugnativa proposta dallo Stato italiano, tale atto resta valido ed efficace e pertanto AGEA, in qualità di organismo pagatore, è tenuta a darvi esecuzione, disponendo il recupero dell’aiuto indebitamente erogato alle imprese, nell’esercizio delle sue c.d. funzioni di amministrazione indiretta, nell’ambito del sistema amministrativo dell’UE.

L’esclusione del finanziamento destinato all’Italia da parte della Commissione, pur riguardando i soli rapporti con lo Stato membro, infatti, ove non venissero intraprese le azioni di recupero, si tradurrebbe, per l’ordinamento interno, in un danno erariale, suscettibile – secondo quanto affermato dalla giurisprudenza del giudice contabile - di essere sanzionato nelle forme della responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti a carico dei funzionari inadempienti.

In relazione a tale profilo, dunque, le pronunce della Corte di giustizia citate dalla ricorrente non appaiono dirimenti per la fattispecie in esame, in quanto esse attengono unicamente a profili inerenti i rapporti tra Stato membro e UE.

Come si legge nelle citate decisioni, lo Stato membro potrebbe, riconosciuta la buona fede dell’accipiente e l’esistenza di errori interpretativi imputabili alle autorità nazionali, limitare o evitare il recupero delle somme attribuire ai beneficiari, trattandosi di profili non di stretto interesse comunitario. Ed infatti – come si legge nelle sentenze in questione – le decisioni di rettifica finanziaria riguardano solo i rapporti tra la Commissione e lo Stato membro interessato.

L’obbligo di recupero nei confronti dei beneficiari degli aiuti, tuttavia, in presenza di una decisione di rettifica della Commissione, attiene – come si e detto - ai rapporti inerenti l’ordinamento interno. Ed infatti le somme, ove non recuperate, finirebbero per gravare sui bilanci nazionali. E’ pertanto all’ordinamento interno dei singoli Stati membri che occorre guardare per verificare se vi sia o meno tale possibilità di non procedere al recupero dell’aiuto indebitamente percepito, in ragione della buona fede dell’accipiente.

In relazione a tali profili, la questione si pone, riguardandola dal punto di vista dell’ordinamento interno dello Stato italiano, in termini di esecuzione del rapporto obbligatorio tra ente pagatore e beneficiario del contributo comunitario e in termini di obbligo di restituzione di importi indebitamente percepiti. Si tratta, dunque, evidentemente di controversia che appartiene alla cognizione del giudice ordinario, potendo eventualmente farsi applicazione, in quella sede, dei principi dell’affidamento e della buona fede invocati dalle parti nel presente giudizio.

Nemmeno può dirsi che permangano profili autoritivi e discrezionali in relazione alla mera eventualità – che non si è verificata per quanto riguarda lo Stato italiano – che lo Stato membro possa decidere, a livello politico, di assumere su di sé l’onere finanziario del contributo indebitamente erogato e di non chiedere al beneficiario il recupero, valorizzando la sua buona fede, come sostenuto dalle pronunce delle Corti europee menzionate nella memoria conclusiva della ricorrente.

Una tale decisione, infatti, in primo luogo, non è stata adottata dallo Stato italiano, né essa rientrerebbe probabilmente nelle competenze di AGEA. Dovrebbe poi verificarsi che un tale comportamento dello Stato membro non incorra in sanzioni da parte dell’ordinamento comunitario, sotto forma di procedura di infrazione o indebita corresponsione di aiuto di Stato.

La giurisdizione spetta inoltre al giudice ordinario anche in applicazione dei principi, definitivamente sanciti dalla AP 6 del 2014, in relazione al criterio di riparto in materia di ripetizione di contribuiti e sovvenzioni pubbliche.

La citata pronuncia, come è noto, ha statuito che: “Qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull'inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo. In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all'inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione;

- è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario.”

Ed infatti, come si è visto, nel caso di specie, il presupposto per la decisione di rettifica adottata dalla Commissione è un preteso inadempimento rispetto ad un obbligo di smaltellamento integrale degli impianti produttivi, comprensivo anche dei silos, gravante sui beneficiari dell’aiuto.

La circostanza che vi sia stata una prima approvazione ministeriale dei piani di ristrutturazione originariamente presentati e che tali atti non risultano essere stati espressamente revocati non può infatti trasformare una questione oggettivamente inerente l’accertamento di un preteso inadempimento da parte dei beneficiari dell’aiuto, da verificarsi alla luce della disciplina eurounitaria, in una questione di legittimità del provvedimento interno di erogazione dell’aiuto, potendosi eventualmente solo valorizzare detti profili– come sostenuto dalle parti – ai fini della prova della buona fede e del legittimo affidamento dei beneficiari del contributo.

Ed infatti è certo che non si verte, nel caso in esame, in ipotesi di revoca del provvedimento attributivo dell’aiuto per originaria carenza dei presupposti, ma appunto si tratta di un asserito inadempimento agli obblighi di smantellamento degli impianti produttivi previsti dalle norme comunitarie applicate, così come interpretate dalla Commissione.

L’intreccio di competenze della Commissione europea e degli organi dello Stato membro nella attuazione della disciplina inerente l’applicazione del contributo in questione fa sì che inevitabilmente possano esservi delle incongruenze tra i due livelli, interno e comunitario, nella interpretazione ed attuazione della normativa comunitaria.

In sostanza, la progressiva emersione di forme di gestione condivisa, a livello nazionale ed europeo, delle politiche comunitarie richiede forme di coordinamento delle attività degli uffici coinvolti, essendo possibili divergenze interpretative.

Ciò tuttavia non deve far perdere di vista la circostanza che comunque, in casi come questi, le autorità nazionali agiscono in attuazione del diritto comunitario e le loro statuizioni possono essere non condivise dagli uffici della Commissione.

In presenza dunque di un atto della Commissione che, come nel caso in esame, assuma formalmente una posizione interpretativa diversa da quella fatta propria dell’autorità nazionale, e giunga a disporre una rettifica finanziaria non riconoscendo la legittimità di contributi – a suo dire – indebitamente erogati, la questione della spettanza o meno dell’aiuto comunitario cessa di essere di diritto interno e deve essere scrutinata dal giudice degli atti dell’UE. Ed infatti, correttamente lo Stato italiano ha sottoposto la questione pregiudiziale della legittimità della citata decisione al Tribunale di primo grado dell’UE, al quale soltanto spetta ora verificare la legittimità della interpretazione fatta propria dalla Commissione e contestata dallo Stato italiano.

Peraltro, da questo punto di vista, e qualora sotto forma di vizio di invalidità derivata si volesse mettere in dubbio in questa sede la legittimità della decisione della Commissione europea, potrebbe profilarsi anche un difetto di giurisdizione del giudice nazionale rispetto al giudice dell’UE.

Il giudice interno infatti potrebbe solo sollevare un rinvio pregiudiziale per interpellare la Corte di giustizia sulla legittimità della decisione della Commissione in esame, quale atto presupposto all’adozione di atti nazionali, ai sensi dell’art. 267, lett. b) del TFUE.

In conclusione, la domanda di chiarimenti in sede di ottemperanza va dichiarata improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse e su quella di annullamento di cui al ricorso originario e ai vari motivi aggiunti va dichiarata la carenza di giurisdizione del giudice adito in favore del giudice ordinario, dinanzi al quale il presente giudizio potrà essere riassunto secondo i principi della traslatio iudicii .

Le questioni, dunque, della eventuale sospensione del giudizio in attesa della pregiudiziale decisione del Tribunale UE, nonché dell’eventuale rinvio pregiudiziale per verificare la legittimità della decisione di rettifica della Commissione, potranno essere vagliate dal giudice ordinario in quella sede.

Le spese possono essere compensate, sussistendo giusti motivi attesa la complessità della fattispecie.

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