TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2014-05-06, n. 201404710

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Sul provvedimento

Citazione :
TAR Roma, sez. 3Q, sentenza 2014-05-06, n. 201404710
Giurisdizione : Tribunale amministrativo regionale - Roma
Numero : 201404710
Data del deposito : 6 maggio 2014
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 05263/2009 REG.RIC.

N. 04710/2014 REG.PROV.COLL.

N. 05263/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Terza Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale n. 5263/09, proposto dal sig. S L, rappresentato e difeso dagli avv.ti M L e G L presso il cui studio in Roma, Largo Luigi Tenco n. 13 è elettivamente domiciliato,

contro

la Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. E C e con questa elettivamente domiciliata presso il proprio ufficio legale in Roma, via Marcantonio Colonna n. 27,

per la condanna

della Regione Lazio al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei provvedimenti illegittimi emessi ed annullati dal Tar Lazio, sez. III bis, con sentenza n. 2136 del 25 marzo 2005.


Visti il ricorso ed i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Lazio;

Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 30 aprile 2014 il Consigliere Giulia Ferrari;
uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;

Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue:


FATTO

1. Con ricorso notificato in data 5 giugno 2009 e depositato il successivo 24 giugno il sig. S L ha chiesto la condanna della Regione Lazio a risarcirlo per i danni subiti in conseguenza dei provvedimenti illegittimi da lui impugnati ed annullati dal Tar Lazio, sez. III bis, con sentenza n. 2136 del 25 marzo 2005.

Espone, in fatto, che la Regione Lazio, con avviso pubblicato il 4 luglio 2000, aveva indetto un pubblico concorso per la nomina del Direttore generale delle Aziende sanitarie e ospedaliere presenti sul territorio regionale, secondo la disciplina dettata dall’art. 3 bis, d.lgs. n. 229 del 1999. I requisiti necessari per l’ammissione dei partecipanti erano il possesso del diploma di laurea e l’esperienza, almeno quinquennale, di direzione tecnica o amministrativa in enti, aziende e strutture pubbliche e private in posizione dirigenziale con autonomia gestionale e diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche e finanziarie, svolta nei dieci anni precedenti la pubblicazione dell’avviso. In data 25 ottobre 2000 l’Assessorato per le politiche della sanità gli aveva comunicato che gli Esperti, incaricati di vagliare le istanze, non lo avevano ritenuto idoneo perché non in possesso dei requisiti necessari per l’inserimento nell’elenco dei partecipanti aspiranti alla nomina. Avverso detta esclusione e la successiva delibera di Giunta, che aveva predisposto l’elenco degli aspiranti idonei alla nomina di Direttore generale, aveva proposto ricorso al Tar che, con sentenza della Sez. III bis n. 2136 del 25 marzo 2005, lo aveva accolto.

Non essendo stato l’annullamento giurisdizionale degli atti lesivi produttivo di effetti concreti per lui e non avendo quindi ottenuto un ristoro in forma specifica, ha chiesto il risarcimento per equivalente, sussistendone i presupposti della colpa, del danno ingiusto e del nesso eziologico. Tale danno si sostanzia nella differenza tra il compenso stabilito per l’incarico triennale di Direttore generale di Azienda sanitaria (circa € 160.000,00 annui) e quello che percepiva all’epoca del concorso (circa € 75,661,67), per un totale, riferito al triennio, di € 255.000,00, somma alla quale si aggiunge il premio conseguibile per il raggiungimento degli obiettivi (circa € 51.000,00), per un totale di € 306.000,00;
subordinatamente, nella misura pari al 20% del valore dell’utile conseguibile per ogni anno di mandato, tenendo conto sia delle concrete possibilità di essere nominato Direttore generale sia degli effetti indiretti sulla propria situazione complessiva, finanziaria e patrimoniale, dalla data di adozione dei provvedimenti illegittimi sino all’esecuzione della sentenza, per un totale pari ad € 51.000,00.

3. Si è costituita in giudizio la Regione Lazio, che con memoria depositata il 26 marzo 2014 ha sostenuto l’infondatezza, nel merito, del ricorso.

4. Con ordinanza n. 138 del 7 gennaio 2014 sono stati disposti incombenti istruttori.

5. All’udienza del 30 aprile 2014 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Come esposto in narrativa, il sig. S L ha chiesto la condanna della Regione Lazio a risarcirlo per i danni subiti per essere stato ingiustamente estromesso dalla valutazione per la nomina del Direttore generale delle Aziende sanitarie e ospedaliere presenti sul territorio regionale, sull’erroneo assunto che non fosse in possesso dei requisiti richiesti dal bando. Con sentenza n. 2136 del 25 marzo 2005 il Tar Lazio, sez. III bis, ha affermato l’illegittimità di tale estromissione ma dalla pronuncia non è conseguito la riedizione del potere valutativo, con la conseguenza che è ora possibile solo il risarcimento per equivalente.

Il ricorrente quantifica il ristoro richiesto nella differenza tra il compenso stabilito per l’incarico triennale di Direttore generale di Azienda sanitaria (circa € 160.000,00 annui) e quello che percepiva all’epoca del concorso (circa € 75,661,67), per un totale, riferito al triennio, di € 255.000,00, alla quale aggiunge il premio conseguibile per il raggiungimento degli obiettivi (circa € 51.000,00), per un totale di € 306.000,00;
subordinatamente, nella misura pari al 20% del valore dell’utile conseguibile per ogni anno di mandato, tenendo conto sia delle concrete possibilità di essere nominato Direttore generale, sia degli effetti indiretti sulla propria situazione complessiva, finanziaria e patrimoniale, dalla data di adozione dei provvedimenti illegittimi sino all’esecuzione della sentenza, per un totale pari ad € 51.000,00.

Con ordinanza n. 138 del 7 gennaio 2014 la Sezione ha disposto incombenti istruttori, chiedendo alla Regione, che all’epoca si era costituita solo formalmente, se la posizione del ricorrente fosse stata rivalutata alla luce della pronuncia giurisdizionale. La Regione, con breve nota depositata il 26 marzo 2014, ha chiarito che la sentenza n. 2136 del 25 marzo 2005 le era stata notificata solo il 17 giugno 2005 e che con delibera di Giunta n. 684 del 26 luglio 2005 era stato approvato il nuovo elenco regionale di candidati idonei a posti di Direttore generale di Aziende sanitarie, all’esito di una nuova selezione avviata con avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 41, IV serie speciale del 24 maggio 2005, procedura alla quale il ricorrente non aveva partecipato.

Il ricorso deve essere accolto, seppure nei limiti che saranno di seguito chiariti.

Giova premettere che in sede di risarcimento del danno derivante da procedimento amministrativo illegittimo, ai fini dell’ammissibilità della relativa domanda non è sufficiente il mero annullamento del provvedimento lesivo, ma è necessario che sia fornita la prova, oltre che del danno subito, anche della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa dell’Amministrazione, che sono configurabili quando l'adozione dell'atto illegittimo è avvenuta in violazione delle regole proprie dell'azione amministrativa, desumibili sia dai principi costituzionali d'imparzialità e buon andamento, sia dalle norme di legge ordinaria in materia di celerità, efficienza, efficacia e trasparenza, sia dai principi generali dell'ordinamento, quanto a ragionevolezza, proporzionalità ed adeguatezza;
essa è quindi connessa alla particolare dimensione della responsabilità dell'Amministrazione per lesione di interessi legittimi, identificabili con quelli al cd. giusto procedimento, che richiede competenza, attenzione, celerità ed efficacia, quali necessari parametri di valutazione dell'azione amministrativa (Cons. St., sez. IV, 8 aprile 2014, n. 1644;
id., sez. VI, 28 agosto 2013, n. 4310;
id., sez. V, 23 maggio 2011, n. 3070).

Il riconoscimento di un danno risarcibile, come conseguenza dell’azione amministrativa illegittima, non è dunque qualificabile come evento direttamente conseguente alla declaratoria giurisdizionale dell’illegittimità di un atto amministrativo, ma deve essere fondato su una pluralità di presupposti, desumibili dalla normativa civilistica in tema di danno extracontrattuale, che contemplano, accanto all’accertata non conformità a legge del provvedimento lesivo, anche la sussistenza del danno de quo, la puntuale e ragionevole dimostrazione del rapporto di causa ed effetto che si instaura tra atto illegittimo e danno e l’imputabilità all’Amministrazione stessa del fatto;
non c’è quindi un meccanismo di automatica equivalenza tra l’intervenuto annullamento dell’atto amministrativo, l’evidenziato comportamento illegittimo della Pubblica amministrazione e la risarcibilità del danno ingiusto eventualmente patito dal soggetto destinatario degli effetti lesivi dell’atto annullato, ed è alla parte istante, secondo la normale ripartizione dell’onere probatorio nell’ambito dei diritti soggettivi, che spetta dare contezza dei fatti sui quali si fonda la propria pretesa (Cons. St., sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3266).

Il Collegio ben conosce la giurisprudenza consolidata del giudice amministrativo secondo cui la domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento, annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta ove persistano in capo all’Amministrazione significativi spazi di discrezionalità in sede di riesercizio del potere e, in tale particolare contesto, il privato ha titolo al risarcimento solo ove, sussistendo gli altri requisiti dell’illecito, riesca a dimostrare che la propria aspirazione al provvedimento era destinata, secondo un criterio di normalità, ad un esito favorevole (Cons. St., sez. IV, 4 settembre 2013, n. 4439;
id., sez. III, 25 febbraio 2013, n. 1137).

Ritiene però che nella fattispecie sottoposta al proprio esame tali principi non siano applicabili. Ed invero, per stessa ammissione della Regione Lazio, alla sentenza n. 2136 del 25 marzo 2005 non è stata data esecuzione, pur essendo intrinseco nella parabola argomentativa della decisione che l’Amministrazione avrebbe dovuto motivare le ragioni per le quali non aveva espresso alcun giudizio sui titoli che il ricorrente aveva dichiarato e documentato di possedere. E’ ben vero che le sentenze di accoglimento sono autoesecutive, atteso che per esse l’effetto giuridico si realizza esclusivamente mediante l’emanazione, da parte del giudice, della statuizione di annullamento, senza che dal giudicato derivi per l’Amministrazione alcun obbligo di compiere ulteriori attività materiali o giuridiche (Cons. St., sez. IV, 28 dicembre 2011, n. 6875). E’ però altresì vero che in alcuni limitati casi, nei quali rientra certamente quello all’esame del Collegio, per dare concreta esecuzione alla pronuncia occorre una doverosa attività da parte dell’Amministrazione, evincibile dalla stessa portata della decisione. Se il giudice annulla il provvedimento per difetto di motivazione l’Amministrazione deve rideterminarsi motivando.

Nulla di tutto questo è stato fatto, rendendo così inutile la pronuncia giurisdizionale.

Né varrebbe opporre che l’interessato ha notificato la sentenza solo il 17 giugno 2005, rendendo così impossibile ogni ulteriore attività, essendosi appena conclusa la nuova valutazione di candidati al posto di Direttore generale, che sarebbe stata approvata appena un mese dopo (delibera di Giunta del 26 luglio 2005 n. 684). In primo luogo perché la sentenza è stata rilasciata in copia alla Regione, dalla Segreteria della Sezione, in data 25 marzo 2005, e cioè lo stesso giorno in cui è stata pubblicata. In ogni caso, ove anche volesse prescindersi da questo elemento fattuale, non può disconoscersi che il ricorrente, che aveva partecipato alla selezione bandita nel 2000, ove in possesso dei requisiti avrebbe avuto le stesse aspettative di nomina dei soggetti utilmente collocati nell’elenco formato nel 2005, non avendo superato i 70 anni previsti dall’art. 8, comma 6, l. reg. Lazio 16 giugno 1994, n. 18.

Non è dubbio quindi che sussiste l’elemento soggettivo della colpa in capo alla Regione, che, pur non avendo appellato la sentenza del Tar, non ha inteso darle esecuzione.

Il Collegio conviene con il ricorrente che dal comportamento omissivo della Regione egli ha subito un danno patrimoniale.

Non è però condivisibile l’assunto secondo cui il danno si sostanzierebbe nella mancata attribuzione dell’incarico di Direttore generale. E ciò sia perché ove la Regione avesse riattivato il procedimento motivando in ordine al possesso o meno dei requisiti questo avrebbe ben potuto concludersi con una nuova esclusione, emendata questa volta del vizio riscontrato dal Tar, sia perché non tutti i candidati compresi nell’elenco sarebbero stati nominati, costituendo lo stesso un serbatoio dal quale individuare i soggetti ai quali poter attribuire l’incarico.

Il danno va individuato invece nella perdita di chance, intesa come astratta possibilità di un esito favorevole della riedizione del potere, in una deminutio consistente nella perdita non di un vantaggio economico ma della mera possibilità di conseguire il bene della vita cui si aspira (l’inclusione nell’elenco per la nomina a Direttore generale), secondo una valutazione ex ante da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito dell’Amministrazione ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale. La mera possibilità di conseguire il vantaggio sperato configura, infatti, un’entità a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione, la quale tuttavia deve essere accompagnata dalla prova – che spetta al danneggiato offrire, sia pure in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità – dell’avvenuta realizzazione, in concreto, di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza immediata e diretta (Tar Piemonte, sez. II, 27 marzo 2014, n. 541). L’annullamento giurisdizionale dell’esclusione dalla procedura, per non averne congruamente argomentato le ragioni, annullamento disposto anche alla luce della documentazione depositata in atti dall’interessato nel precedente giudizio, concretizza, in considerazione della peculiarità della vicenda al vaglio di questo giudice, il presupposto che rende possibile accedere alla domanda risarcitoria.

La fattispecie oggetto della presente controversia richiede, pertanto, un giudizio probabilistico sulla possibilità che il ricorrente avrebbe avuto di essere incluso nell’elenco dei possibili nominandi, anche ai fini di proporzionare la somma da liquidarsi a titolo di risarcimento in ragione delle concrete possibilità di inclusione e nomina a Direttore generale.

Giova infine precisare, in relazione alla prova della chance - prova alla quale, come si è detto, è tenuto il soggetto che afferma di aver patito un danno - che la giurisprudenza amministrativa, dal Collegio condivisa, ha affermato che la risarcibilità della chance non può intendersi subordinata all'offerta in giudizio di una prova in termini di certezza, perché ciò è logicamente incompatibile con la natura di tale voce di danno, risultando invece sufficiente che gli elementi addotti, in virtù dell'inderogabile principio contenuto nell'art. 2697 c.c., consentano una prognosi concreta e ragionevole circa la possibilità di vantaggi futuri, invece impediti a causa della condotta illecita altrui (Cons. St., sez. V, 8 aprile 2014, n. 1672). La chance, come già chiarito, costituisce infatti lo strumento concettuale grazie al quale sono ammessi alla tutela risarcitoria aspettative di incremento patrimoniale, vantaggi proiettati nel futuro, mediante un’attualizzazione della relativa possibilità di conseguirli, segnalandosi per configurare, simultaneamente, una posizione sostanziale "derivata" dall'utilità finale che la prefigura e una "tecnica" di liquidazione del danno, connessa al tipo di elemento patrimoniale indeterminato a priori, ma comunque determinabile, sotteso alla peculiare situazione sostanziale vulnerata. (Cons. Stato, sez. V, 18 aprile 2012, n. 2256;
Tar Milano, sez. IV, 8 aprile 2014 n. 928).

Nel caso di specie, il comportamento illegittimo del gruppo di Esperti - che ha immotivatamente escluso il ricorrente dalla selezione per l’inclusione nell’elenco dei possibili nominandi all’incarico triennale di Direttore generale di Asl, per asserita mancanza di requisiti – e quello della Regione – che non ha riattivato il procedimento motivando in ordine al possesso o meno dei requisiti in capo al ricorrente – ha certamente concretizzato una compromissione della chance di successo del ricorrente.

Ne deriva, pertanto, che va risarcita la chance di successo illegittimamente compromessa dall’Amministrazione.

2. Tutto ciò chiarito, e passando alla quantificazione del danno sub specie di perdita di chance, rileva il Collegio che a tali fini occorre verificare, come si è detto, le concrete possibilità di conseguire il bene ultimo della vita cui il ricorrente aspirava per ottenere un concreto guadagno (id est, la nomina a Direttore generale), considerando che: a) l’accoglimento del ricorso proposto avverso l’esclusione dalla selezione per mancanza dei requisiti è stato disposto solo perché la stessa non era stata motivata dalla Regione, e non per l’effettivo possesso, in capo all’interessato, dei requisiti, con la conseguenza che, ove vi fosse stata la doverosa riedizione, in parte qua, del potere, il provvedimento di esclusione avrebbe potuto essere confermato, seppure motivatamente;
b) ove anche la Regione, nel motivare le ragioni dell’esclusione, si fosse resa conto dell’errore in cui era incorsa, essendo in realtà il ricorrente in possesso dei requisiti richiesti dalla lex specialis della procedura, e lo avesse incluso nell’elenco, non per questo il ricorrente sarebbe stato di sicuro nominato Direttore generale di una Azienda sanitaria.

In relazione alla quantificazione del danno non spetta pertanto che affidarsi ad una liquidazione equitativa, tenendo conto delle concrete possibilità che non solo gli Esperti, nel motivare l’esclusione, si rendessero conto che il ricorrente effettivamente possedeva i requisiti per essere incluso nell’elenco ma anche che, tra i diversi aspiranti ai posti disponibili, fosse poi effettivamente nominato Direttore generale. Sotto questo profilo può rilevarsi che lo stesso ricorrente avrebbe potuto agire per ottenere l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 2136 del 25 marzo 2005 richiedendo questa, sebbene di annullamento, una concreta attività da parte dell’Amministrazione. Ove il ricorrente si fosse diligentemente attivato con gli strumenti processuali idonei, avrebbe ottenuto quella riedizione del potere che, ove conclusasi favorevolmente, avrebbe accertato con certezza il suo diritto ad essere incluso nell’elenco formatosi nel 2000. In altri termini, avrebbe dimostrato che le possibilità di conseguire il bene della vita cui aspirava erano più concrete perché in possesso dei requisiti necessari per la predetta inclusione nell’elenco.

Alla luce di tali elementi il Collegio ritiene equo liquidare al ricorrente il risarcimento dei danni per una somma complessiva pari a € 10.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione separatamente calcolati sul capitale dalla data di deposito della presente sentenza fino al saldo.

3. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere accolto nei limiti innanzi indicati.

Le spese e gli onorari del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

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