TAR Roma, sez. 2B, sentenza 2019-05-03, n. 201905636
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Pubblicato il 03/05/2019
N. 05636/2019 REG.PROV.COLL.
N. 05141/2019 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Seconda Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5141 del 2019, proposto da
M V e A B, rappresentati e difesi dagli avvocati G P, A P e M F S, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro p.t., Ufficio Territoriale del Governo Roma e Commissione Elettorale Circondariale di Velletri, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Comune di Artena
per l'annullamento
del verbale della Commissione Elettorale Circondariale di Velletri del 28 Aprile 2019 (comunicato in pari data al delegato della lista ARTENA RINASCE Sig. Armando Bartololelli), nella parte in cui dispone l'esclusione del candidato M V, “in quanto, sulla base del Certificato Casellario Giudiziale del 26/04/2019, il summenzionato rientra nella causa di incandidabilità di cui all'art. 10 del D.Lgs. 235/2012 lettera a) – relativamente all'ipotesi di cui all'art. 73 del testo unico approvato con DPR 309/1990 – in combinato disposto con l'art. 15 e 16 del D. Lgs. sopra citato, avendo riportato sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 e art. 445 c.p.p.), divenuta irrevocabile il 23/06/2011.”
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno, dell’Ufficio Territoriale del Governo di Roma e della Commissione Elettorale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella udienza pubblica del giorno 3 maggio 2019 la dott.ssa Ofelia Fratamico e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe il sig. M V – candidatosi quale Consigliere Comunale nella lista Artena Rinasce per la competizione elettorale amministrativa del 26 maggio 2019 del Comune di Artena – ed il sig. Armando Bartolelli, in qualità di delegato della medesima lista, hanno proposto azione impugnatoria avverso il verbale della Commissione Elettorale Circondariale di Velletri del 28.04.2019, nella parte in cui veniva disposta l’esclusione del candidato M V dalla lista dei candidati per l'elezione del Sindaco e del Consiglio Comunale, chiedendo, altresì, la condanna dell’Amministrazione a procedere alla riammissione del sig. M V nella lista dei candidati.
La contestata esclusione è stata disposta in quanto, sulla base del Certificato del Casellario Giudiziale del 26.04.2019 il sig. M V è risultato rientrare “nella causa di incandidabilità di cui all’art. 10 del d.lgs. 235/2012 lettera a) – relativamente all’ipotesi di cui all’art. 73 del testo unico approvato con DPR 309/1990 – in combinato disposto con l’art. 15 e 16 del d.lgs. sopra citato, avendo riportato sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 444 e art. 445 c.p.p.) divenuta irrevocabile il 23.06.2011.
Avverso il gravato atto, parte ricorrente ha dedotto un unico, articolato motivo di censura: violazione e falsa applicazione degli artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 235/2012, avendo il candidato subito sentenza ex art. 444 c.p.p. anteriormente all’entrata in vigore del decreto legislativo surrichiamato.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno, la Prefettura di Roma e la Commissione Elettorale Circondariale di Velletri, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso, in quanto infondato.
All’udienza pubblica del 3.05.2019 la causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.
I ricorrenti, evidenziando che la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. nei confronti del sig M V era divenuta irrevocabile in data 23.06.2011, hanno lamentato, in primo luogo, l’illegittimità della sua esclusione dalla lista Artena Rinasce e dalle elezioni amministrative del Comune di Artena per la pretesa omessa o errata applicazione da parte della Commissione dell’art. 16 del d.lgs. n. 235/2012 (entrato in vigore il 5.01.2013) per cui “la disposizione del comma 1 dell’art. 15 si applica alle sentenze previste dall’art. 444 del codice di procedura penale pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore del presente testo unico”.
In base a tale norma la sentenza ex art. 444 c.p.p., divenuta irrevocabile anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 235/2012, non avrebbe, a loro parere, potuto operare quale causa di incandidabilità come, del resto, ritenuto dalla precedente Commissione Elettorale che, nel 2014, non aveva rilevato a carico del sig. M V alcun motivo di esclusione della candidatura.
Inoltre, avendo svolto nella precedente Amministrazione le funzioni di Consigliere e di Assessore, il sig. M V avrebbe dato “di fatto prova effettiva non soltanto di buona condotta, ma di positivo esercizio di funzioni civiche in favore della popolazione del Comune di Artena”.
I ricorrenti hanno, poi, affermato: a) la sostanziale equiparazione del meccanismo premiale di estinzione automatica del reato e di ogni suo effetto determinato dall’art. 445 c.p.p. in corrispondenza del decorso di un quinquennio nel quale il reo non abbia commesso delitti o contravvenzioni della stessa indole alla sentenza di riabilitazione ai fini della candidabilità;b) la necessità di privilegiare comunque, “in caso di contrasti interpretativi, il diritto costituzionale di elettorato passivo”;c) la possibile incostituzionalità di una lettura restrittiva degli artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 235/2012 “attesa l’irrilevanza sociale della norma restrittiva preclusiva di un diritto fondamentale”.
Tali censure sono infondate e devono essere rigettate.
La materia della incandidabilità per le cariche elettive è attualmente disciplinata dal D.Lgs. n. 235 del 2012 il quale, nel disporre, all’art. 15, che l’incandidabilità opera anche nel caso di sentenza definitiva che disponga l’applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p., prevede, al comma 3, che “la sentenza di riabilitazione, ai sensi dell’art. 178 e seguenti del codice penale, è l’unica causa di estinzione anticipata dell’incandidabilità”.
Stante il chiaro tenore della norma, inserita in un testo normativo recante il testo unico in materia di incandidabilità, non può aversi estinzione della situazione di incandidabilità al di fuori dei casi in cui sia intervenuta una sentenza di riabilitazione, adottata ai sensi degli artt. 178 e seguenti c.p.p., non potendo conseguentemente essere equiparate alla riabilitazione – agli specifici fini della estinzione della incandidabilità – diverse ipotesi in cui si verifichi l’estinzione del reato o degli effetti penali della condanna, come avviene nei casi di estinzione del reato e dei relativi effetti ai sensi dell’art. 445 c.p.p.
Al riguardo, ritiene il Collegio di ribadire l’orientamento già espresso dalla Sezione nella pronuncia n. 5556 del 18.05.2018 e manifestato anche dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 2552 del 2017, per cui la riabilitazione non possa trovare equipollenti sulla base di interpretazioni estensive ed analogiche, le quali condurrebbero alla sostanziale disapplicazione della chiara norma di cui all’art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 235 del 2012, espressamente riferita, tenuto conto del suo inserimento sistematico, anche alle ipotesi di condanna ex art. 444 c.p.p.
In tale direzione depone, invero, l’espressione ‘unica’ riferita alla riabilitazione come causa di estinzione della situazione di incandidabilità.
Nè le due figure della riabilitazione e dell’estinzione del reato e degli effetti penali possono ritenersi equivalenti sotto il profilo sostanziale, dal momento che l’estinzione del reato e degli effetti penali della condanna di cui all’art. 445 c.p.p. discende dal mero decorso del tempo ove il condannato non commetta altro reato della stessa indole nel termine di cinque anni, mentre nel caso della riabilitazione l’effetto estintivo si verifica solo se il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta.
Ai fini della riabilitazione non è, difatti, sufficiente la mancata commissione di altri reati, come nel caso dell’estinzione conseguente al patteggiamento ai sensi dell’art. 445 c.p.p., ma occorre l’accertamento del “completo ravvedimento dispiegato nel tempo e mantenuto sino al momento della decisione, e tradotto anche nella eliminazione (ove possibile) delle conseguenze civili del reato” (Cassazione Penale, Sezione I, 18 giugno 2009, n. 31089).
Mentre, infatti, l’estinzione della pena patteggiata si produce con il solo mancato avveramento della condizione risolutiva nel previsto arco temporale, la riabilitazione viene pronunziata all’esito di un effettivo approdo rieducativo del reo, così emergendo la diversità degli istituti dell'estinzione del reato e della riabilitazione per presupposti e modalità di funzionamento atteso che: l'estinzione del reato è istituto che si fonda, ai sensi dell'art. 167 comma 1 c.p., sul decorso dei termini stabiliti unitamente ad ulteriori elementi (il condannato non commetta entro tali termini un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempia gli obblighi impostigli);la riabilitazione è un beneficio che può essere concesso solo a seguito di una pronuncia del Tribunale di sorveglianza con cui si riscontri che è decorso il termine fissato dalla legge “ dal giorno in cui la pena principale è stata eseguita o si è in altro modo estinta, e il condannato ha dato prove effettive e costanti di buona condotta ” ex art. 179, comma 1, c.p. (Consiglio di Stato, sez. V, 31 gennaio 2017, n. 386).
In effetti la riabilitazione, ai sensi dell'art. 178 c.p., estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti;in questo contesto essa costituisce, quindi, un istituto che vale ad attestare in modo più sicuro il riacquistato possesso dei requisiti morali da parte del condannato perché opera sulla base di una valutazione ex post della condotta dello stesso e, a differenza dell'estinzione della pena, non opera ope legis, ma postula uno specifica pronuncia costitutiva, fondata sulla verifica di prove effettive e costanti di buona condotta. Il rapporto fra le due misure va, pertanto, inteso in termini di compatibilità e differenza di effetti, atteso che la persona condannata ha interesse ad ottenere la riabilitazione anche quando il reato risulti estinto per il compiuto decorso del termine previsto dalla legge, in quanto essa comporta vantaggi ulteriori rispetto a quelli prodotti dall'estinzione ex art. 167 comma 1, c.p., anche ai fini della candidabilità secondo le rigorose disposizioni dettate dal citato art. 15 del D.Lgs. n. 235 del 2012.
La Corte di Cassazione ha difatti riconosciuto al condannato, la cui pena sia stata medio tempore estinta ex art. 445 c. 2 c.p.a., l’interesse a chiedere la riabilitazione, in quanto correlato ad una completa valutazione post factum, non irrilevante sul piano dei diritti della persona (ex plurimis: Cass. Pen. Sez. I, 18 giugno 2009, n. 31089 citata).
Ne consegue che sebbene entrambi gli istituti – della riabilitazione e dell’estinzione della pena patteggiata - assicurino al condannato la cessazione degli effetti penali della condanna, non possono ritenersi sovrapponibili ed equiparabili, in quanto solo con la riabilitazione si acquista la certezza dell’effettiva rieducazione del reo, poiché l’estinzione ex art. 445 c.p.p. deriva dal solo dato fattuale del mero decorso del tempo.
Dalle differenze sostanziali tra i due istituti emerge la ratio della scelta rigorosa del Legislatore il quale, nell’ambito della propria discrezionalità, non ha ritenuto – nel dettare la norma di cui all’art. 15, comma 3, del D.Lgs. n. 235 del 2012 – di dover ancorare la cessazione della situazione di incandidabilità al venir meno degli effetti penali della condanna, richiedendo, invece, espressamente la prova dell’effettiva rieducazione del reo, come attestata attraverso la sentenza di riabilitazione, quale elemento indefettibile per il riacquisto dei requisiti di onorabilità richiesti dall’art. 54, comma 2, della Costituzione, per l’accesso alle funzioni pubbliche, ben potendo il Legislatore, nel disciplinare i requisiti per l'accesso e il mantenimento delle cariche elettive, ricercare un bilanciamento tra gli interessi in gioco, ossia tra il diritto di elettorato passivo, da un lato, e il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione (Corte Costituzionale, 19 novembre 2015, n. 236).
Per tali argomentazioni la questione di costituzionalità degli artt. 15 e 16 del d.lgs. n. 235/2012, prospettata dai ricorrenti con riguardo alla previsione della riabilitazione come “unica” causa di estinzione della situazione di incandidabilità – ritenuta eccessivamente restrittiva del diritto costituzionale all’elettorato passivo - si rivela manifestamente infondata, essendo le due fattispecie (della sentenza di riabilitazione da un lato e della mera estinzione ex art. 445 c.p.p.) sostanzialmente diverse e non equiparabili.
Anche le ulteriori doglianze svolte dal ricorrente circa l’anteriorità del passaggio in giudicato della sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. rispetto all’entrata in vigore del d.lgs. n. 235/2012 (5.01.2013) sono infondate e devono essere respinte.
Come già affermato da questa Sezione nella citata pronuncia n. 5556 del 18.05.2018, richiamata dalla Commissione nella motivazione del provvedimento impugnato, (e confermata anche dal Consiglio di Stato con la decisione n. 3067/2018), “in ragione della data .. (del 23.06.2011) in cui è divenuta irrevocabile la sentenza di condanna del ricorrente con pena patteggiata per uno dei reati in materia di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1999, trova, infatti, applicazione l’art. 16 del D. Lgs. n. 235 del 2012, ai sensi del cui comma 1 è prevista l’incandidabilità alle elezioni, se già rinvenibile nella disciplina previgente, per le sentenze di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. pronunciate successivamente alla data della sua entrata in vigore, da cui consegue che può essere candidato in un'elezione solo chi ha patteggiato una condanna penale prima dell'entrata in vigore della normativa sui requisiti morali per l'accesso alle cariche amministrative e politiche, e ciò in base alla ricostruzione del quadro normativo stratificatosi nel tempo”.
Difatti, la normativa precedente, individuata nell’art. 15 della legge n. 55 del 1990, come modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 13 dicembre 1999 n. 475, prevedeva già, al comma 1-bis, l’equiparazione, agli effetti della disciplina ivi prevista, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna, contemplando quale causa di incandidabilità i reati di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990.
Inoltre, il comma 3, del citato art. 1 della legge n. 475 del 1999 – la cui vigenza è stata fatta salva dal D.Lgs. n. 267 del 2000 che ha abrogato la legge n. 375 del 1999 ad eccezione proprio dell'art. 1, comma 3 - al fine di regolare gli effetti temporali della predetta equiparazione, ha espressamente previsto che “la disposizione del comma 1-bis dell’art. 15 della legge 19 marzo 1990 n. 55, introdotto dal comma 2 del presente articolo, si applica alle sentenze previste dall’articolo 444 del codice di procedura penale pronunciate successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge” (1 gennaio 2000).
Sotto il profilo della ricostruzione del quadro normativo, deve ancora rilevarsi che l’art. 58 del D.Lgs. n. 267 del 2000 – poi abrogato con il D.Lgs. n. 235 del 2012 – prevede anch’esso la incandidabilità nei casi di condanne per i reati di cui all'art. 73 del testo unico approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, emergendo quindi una continuità normativa nella previsione della incandidabilità per siffatta tipologia di reati perseguiti con sentenze di patteggiamento.
In applicazione delle illustrate coordinate ermeneutiche, assume quindi carattere dirimente la circostanza che, nella fattispecie in esame, viene in rilievo una condanna ex art. 444 c.p.p. adottata nel 2011, ovvero allorquando era già operante l'equiparazione delle sentenze di patteggiamento a quelle di condanna sulla base della previsione di cui all’art. 15 della legge n. 55 del 1990, poi modificato dall’art. 1, comma 2, della legge 13 dicembre 1999 n. 475, che prevedeva l’equiparazione, ai fini della incandidabilità, delle sentenze ex art. 444 c.p.p. alle sentenze di condanna, tenuto conto degli effetti intertemporali regolati dal comma 3 dell’art. 1 della legge n. 475 del 1999, sopra citato, e della norma di cui all’art. 58 del D.Lgs. n. 267 del 2000.
In conclusione, alla luce delle considerazioni sopra illustrate, non potendo gli effetti estintivi di cui all’art. 445 c.p.p. essere equiparati alla riabilitazione, prevista dall’art. 15 del D.Lgs. n. 235 del 2012 come unica causa di estinzione della incandidabilità, e venendo in rilievo una sentenza di condanna emessa nel 2011 ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – e quindi successivamente all’1 gennaio 2000, data oltre la quale ha assunto rilevanza la situazione di incandidabilità per condanne emesse, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per i reati di cui all’art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 - il ricorrente è stato legittimamente escluso dalla competizione, trattandosi di incandidabilità già prevista nella precedente disciplina e non avendo parte ricorrente ottenuto la riabilitazione, cui non può essere assimilata, quale causa di cessazione della situazione di incandidabilità, l’intervenuta estinzione del reato e di ogni effetto penale di cui alla condanna ex art. 444 c.p.p., ostandovi il tenore letterale dell’art. 15 del D.Lgs. n. 235 del 2012.
Sulla valenza ostativa della sentenza di applicazione della pena ex art. 444 non può neppure incidere il fatto che alle precedenti elezioni amministrative del 2014 la candidatura del sig. M V fosse stata ritenuta ammissibile dalla precedente Commissione Elettorale.
Tale ammissione, essendo ricollegabile a cause non note (possibile mancanza negli atti del certificato del Casellario Giudiziale, eventuale omesso esame di tale elemento da parte della Commissione …) lungi dal poter dare luogo ad un legittimo affidamento, come dedotto dal difensore di parte ricorrente anche all’udienza di discussione, configura un mero fatto, insuscettibile, in ogni caso, di condurre a conseguenze diverse da quelle prescritte in modo del tutto vincolato dalla disciplina normativa vigente, correttamente applicata dall’Amministrazione nel provvedimento impugnato.
Le considerazioni sopra illustrate conducono, conseguentemente, al rigetto integrale del ricorso.
Per la particolarità della controversia sussistono, comunque, giusti motivi per compensare tra le parti le spese.