Trib. Napoli, sentenza 20/03/2024, n. 2081
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il giudice del tribunale di Napoli in funzione di giudice del lavoro dott. Ada
Bonfiglio ha emesso all'esito della camera di consiglio dell'udienza di discussione del 13/03/2024 la seguente
SENTENZA
Nella causa iscritta al n. 9333 ruolo gen. dell'anno 2023
TRA
LO ON rappresentato e difeso, in virtù di mandato in atti, dall' avv. Giovanni Amendola
e dall'avv.to Carlo VI e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato;
opponente
E
US CE S.r.l. rappresentata e difesa, in virtù di mandato in atti, dagli avv.ti Fabrizio Proietti e
Emanuele Bove presso cui elettivamente domicilia;
opposto
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato il 17.05.2023 il ricorrente indicato in epigrafe ha proposto opposizione all'ordinanza n.9868/2023 ai sensi dell'art. 1, comma 49, legge n. 92/2012, con la quale, questo Giudice, nella prima fase del giudizio,
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ritenendo il licenziamento irrogato ai sensi dell'art 2119 cod. civ. supportato dalla 'giusta causa' che la norma prescrive, ritenute pertanto, non sussistenti le condizioni per la reintegra nel posto di lavoro richiesta, ha rigettato la domanda proposta dall'odierno opponente.
L'istante, dopo aver ripercorso la vicenda lavorativa e evidenziato i punti motivazionali non condivisi dell'ordinanza della prima fase ha, in sintesi, in questa fase d'opposizione dedotto l'illegittimità della procedura disciplinare applicata e la sproporzionalità dell'adottato provvedimento di licenziamento.
Ha quindi concluso chiedendo, in riforma dell'ordinanza impugnata: “dichiarare illegittimo/nullo/inesistente/inefficace il licenziamento del ricorrente, oltre alla reintegra nel posto di lavoro ed al risarcimento danni come per legge commisurato all' ultima retribuzione percepita (nel giugno 2022) pari a euro
2.638,55 lorde.”;
spese vinte.
Nel resistere alla domanda e nel riportarsi a quanto già argomentato in prima fase, la US CE ha concluso per il rigetto dell'opposizione, con articolate argomentazioni in fatto e in diritto.
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L'opposizione all'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art. 1, comma 49, L.
92/2012 introduce una nuova fase processuale, che è solo eventuale. L'inizio di detta fase, infatti, è subordinato alla scelta di colui che, in sede sommaria, ha ricevuto una pronuncia, in tutto o in parte, negativa.
Il giudizio di opposizione non consiste in una impugnazione dell'ordinanza emessa all'esito della fase sommaria, ma in nuovo esame di merito, a cognizione piena, della materia del contendere, che è suscettibile di essere modificata in tutte le sue componenti. In altri termini esso produce la
'riespansione' del giudizio, chiamando il giudice di primo grado ad esaminare
l'oggetto dell'originaria impugnativa di licenziamento nella pienezza della
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cognizione integrale. (Cfr. ex multis Cass., sez. lav., n. 27655/2017: n. 30443/
2018;
n. 9458/ 2019).
Tanto il momento sommario, quanto quello solo eventuale sono fasi del giudizio di primo grado, tuttavia, nella fase sommaria il giudice compie solo gli atti istruttori indispensabili, in sede di opposizione deve compiere gli atti istruttori ammissibili e rilevanti. Il criterio selettivo ex art 1, comma 57, della L. 92/2012, passa, pertanto, dalla indispensabilità alla rilevanza. Ove, di conseguenza, le richieste probatorie non superino, alla stregua delle ordinarie regole della cognizione piena, il vaglio di utilità ai fini della sentenza che definisce il giudizio, il giudice può, direttamente, invitare i difensori alla discussione oppure differirla, assegnando un termine per il deposito di note difensive.
Ebbene, nel caso di specie, è stato ritenuto ultroneo ogni ulteriore approfondimento istruttorio, atteso che la allegazioni fattuali dedotte dalle parti e la documentazione rispettivamente versata agli atti forniscono adeguati e sufficienti elementi di giudizio per dirimere le questioni per cui è causa, che rendono superflua l'escussione di testimoni su circostanze di fatto, che sono state negli stessi termini dedotte ed illustrate, con ogni necessario approfondimento in punto di fatto e di diritto, negli scritti difensivi depositati nella prima fase del giudizio, peraltro introdotta con ricorso redatto ai sensi dell'art
414 cpc ( è stato poi disposto il mutamento di rito).
Ne consegue che per la decisione della causa può senz'altro farsi riferimento alle motivazioni dell'ordinanza opposta, seppure con le precisazioni che si renderanno necessarie in questa fase d'opposizione.
Preliminarmente va evidenziato che il presente ricorso ha ad oggetto
l'impugnativa del licenziamento disciplinare comminato al ricorrente dalla società convenuta in giudizio in data 26.5.2022.
Va premesso che sono dati documentali e incontestati che il ricorrente dall'1.7.2018 è stato nominato, dalla segreteria Regionale Campania Molise della Fast, dirigente coordinatore delle RSA, carica in ragione della quale ha
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fruito dei permessi sindacali previsti dalla legge 300/70;
che a settembre 2018 ha stipulato un contratto di lavoro a tempo indeterminato in qualità di docente scolastico per 18 ore settimanali, trasformato in part time, su richiesta del lavoratore, per conservare il rapporto in corso con MA Service.
Dalla documentazione versata in atti risulta altresì che la società datrice di lavoro ha dato il consenso alla contestuale attività di docenza nei limiti temporali
e contenutistici precisati nella mail del 25.9.2018 del responsabile del ricorrente, sig Bruschi Victor, in cui si legge“…come da te richiesto, ci rendiamo disponibili
a concederti fino al 31 dicembre 2018 per sperimentare la fattibilità e compatibilità dell'incarico scolastico con l'attività che svolgi per MAn che non dovrà essere penalizzata in alcun modo. Durante questo periodo, ti sarà concesso di coprire con ferie/permessi le giornate in cui non presterai servizio per MAn, e in caso di attività di formazione pianificate per il fine settimana
(vedi mail in calce), resta inteso che non ti sarà riconosciuta nessun tipo di maggiorazione/indennità aggiuntiva…”. Dalla mail del 21 dicembre 2018 e dalla mail dell'11.9.2019, provenienti dal medesimo responsabile, inoltre emerge, rispettivamente, che la società ha chiesto al VI di documentare la prosecuzione dell'incarico di docenza fino a giugno ( cfr docc 8 e 10 nella prod ric) e che, successivamente, la società non acconsentiva più all'esecuzione di una prestazione in part-time, neppure verticale, invitando contestualmente il dipendente a riprendere il regime del tempo pieno dal 16 settembre 2019 ( cfr doc 8 nella produzione della srl).
Tanto precisato in punto di fatto, la domanda proposta dal ricorrente, all'esito di discussione orale e esaminata la documentazione prodotta dalle parti, deve ritenersi infondata e va rigettata per le seguenti considerazioni, vagliati singolarmente i motivi di impugnazione dedotti.
Con il ricorso in opposizione il VI ha evidenziato, in primo luogo, l'assenza di una 'formalizzazione' dello smart working, lamentando che l'azienda avrebbe dovuto regolamentare le modalità di utilizzo dei permessi sindacali (art. 23 Stat.
Lavoro) durante il lavoro agile, con conseguente 'illegittima ingerenza' del
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datore di lavoro ex post, nel caso di specie, delle modalità di utilizzo dei permessi.
Tuttavia i rilievi formulati con l'opposizione non risultano assumere alcuna rilevanza nella fattispecie in esame.
Ed infatti, la questione di cui si controverte, ossia il punto focale della contestazione disciplinare che ha dato luogo al licenziamento, non riguarda le
'modalità' con cui sono stati fruiti i permessi sindacali, ma piuttosto l'aver constatato che i permessi sono stati richiesti e poi riconosciuti dall'azienda per giorni e orari in cui è stata registrata un'oggettiva incompatibilità tra l'esercizio della prerogativa sindacale e lo svolgimento dell'attività di docenza presso un istituto scolastico. Circostanza da cui è stata fatta conseguire la 'mancanza' della prestazione lavorativa per fatto imputabile al lavoratore.
D'altra parte, la specifica richiesta di permessi orari, con puntuale indicazione della fascia oraria in cui il VI avrebbe dovuto dedicarsi all'attività sindacale, costituisce prova evidente che anche nell'intenzione dell'OS e quindi del VI stesso, quei precisi segmenti orari, 'sottratti' alla prestazione lavorativa giornaliera, dovessero essere finalizzati specificamente a scopi e attività sindacali. Che poi il ricorrente fosse in smart-working è dato ininfluente al fine che qui interessa – con ogni ricaduta sull'asserita assenza di regolamentazione
– dal momento che con la richiesta dei permessi orari ne sono stati definiti e circoscritti anche i limiti, giacché nei giorni e nelle fasce orarie contenuti nella richiesta di permessi, al lavoratore è stato consentito di non mettere a disposizione di MA le proprie energie lavorative – circostanza che caratterizza la subordinazione anche se in smart-working – in quanto contestualmente impegnato come RSU.
Ne consegue che solo la prova dell'effettivo impegno come sindacalista durante le fasce orarie comunicate al datore di lavoro può rendere giustificata la richiesta dei permessi orari in questione, a prescindere dalla circostanza che a richiederli sia un lavoratore in smart-working o meno, risultando quindi irrilevante la modalità con cui di fatto avrebbe dovuto svolgersi la prestazione di
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lavoro nei giorni e nelle ore specificate nella istanza presentata ai sensi dell'art
23 St Lav.
Senonché il ricorrente non ha provato in alcun modo di aver impiegato i permessi orari per la sua attività sindacale, avendo dedotto di aver partecipato via web alle riunioni e agli incontri programmati, mentre si trovava effettivamente presso la scuola in cui – per come risulta pacifico in causa - svolge attività di docenza.
Ed infatti solo la indicazione dei link utilizzati per detti collegamenti avrebbe potuto concretamente confutare l'assunto della contestazione disciplinare.
Omissione in cui è