Trib. Roma, sentenza 08/04/2024, n. 4132

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Sul provvedimento

Citazione :
Trib. Roma, sentenza 08/04/2024, n. 4132
Giurisdizione : Trib. Roma
Numero : 4132
Data del deposito : 8 aprile 2024

Testo completo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI ROMA
II SEZIONE LAVORO
nella persona del Giudice dott. O P ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. 9309 del ruolo generale per l'anno 2023 all'esito della camera di consiglio dell'udienza dell'8 aprile 2024 e vertente
TRA
elettivamente domiciliato in Roma, via Ciro Menotti, 24, Parte_1
presso lo studio dell'avv. P C che lo rappresenta e lo difende con l'avv.
L C in forza di procura in atti
RICORRENTE
E
Controparte_1
in persona del ,rappresentato e difeso ex lege
[...] Controparte_2
dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, siti in Roma, via dei
Portoghesi, n. 12, è domiciliato.
RESISTENTE


1 SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 16 marzo 2023, il ricorrente, premesso di essere stato detenuto in vari istituti carcerari e di aver prestato, dal mese di gennaio 2014 al mese di settembre 2017, attività lavorativa, dettagliatamente descritta con riferimento alle mansioni ed agli orari di lavoro osservati, ha dedotto che solo a far data dall'ottobre
2017 il aveva provveduto ad adeguare parzialmente le mercedi versate in CP_1
ragione di quanto dovuto secondo la normativa legale e contrattuale in materia;
che non erano stati corrisposti sia i lavori pregressi prima dell'ottobre 2017 che il trascinamento a tutte le voci retributive variabili e non predeterminabili come tredicesima, TFR, ecc. Concludeva chiedendo la condanna del al CP_1
versamento delle differenze maturate nella misura di euro 4.736,85 oltre interessi e rivalutazione.
Costituitosi in giudizio, il convenuto ha eccepito la prescrizione CP_1
quinquennale di cui all'art. 2948 c.c. con riferimento alle prestazioni lavorative eseguite dal ricorrente poiché ogni singolo periodo lavorativo doveva essere considerato autonomamente, con la conseguenza che la prescrizione doveva farsi decorrere dalla fine di ciascun intervallo. Deduceva, in particolare, che nel caso di specie, ad ogni interruzione del rapporto (gennaio 2014, agosto 2015, dicembre 2015, giugno 2016 e settembre 2017) corrispondeva un diverso termine di prescrizione, termini tutti ampiamenti decorsi al tempo della notifica del ricorso avversario, effettuata in data 15 aprile 2023;
che la circostanza secondo cui il ricorrente avrebbe svolto la propria prestazione lavorativa anche oltre il periodo di tempo indicato a pag.
10 del ricorso introduttivo del presente giudizio era stata soltanto genericamente dedotta ed era rimasta sprovvista del benché minimo fondamento probatorio;
che anche se tale circostanza corrispondesse al vero, non ci sarebbe stato motivo per ritenere sospeso il decorso del termine di prescrizione per agire in giudizio stante
l'assenza di qualsivoglia metus del detenuto/ricorrente nei confronti del datore di lavoro pubblico dimostrata non solo dall'instaurazione del presente giudizio, ma
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anche dalla circostanza che il Ministero della Giustizia, in quanto Pubblica
Amministrazione, non sceglieva arbitrariamente il soggetto col quale instaurare il rapporto di lavoro, ma lo faceva nel rispetto delle regole procedimentale indicate dalla legge (Legge n. 354/1975), cosa che escludeva ogni profilo di possibile discriminazione e, conseguentemente, ogni possibile timore in capo al detenuto;
che la richiesta di controparte di euro 4.736,85 era eccessiva in quanto comprensiva di alcune voci non dovute, quali: la quattordicesima mensilità e gli scatti di anzianità, non spettanti perché espressione di un contratto collettivo che non andava applicato direttamente, ma che doveva solamente essere tenuto in considerazione come parametro di riferimento, l'indennità per ferie/permessi non godute/i e l'indennità per lo svolgimento di lavoro festivo/straordinario, non dovute in quanto non provate, il compenso raddoppiato per il lavoro festivo, non dovuto in quanto non determinato dalla competente Commissione prevista dall'art. 23 della Legge n. 354/1975 nella versione applicabile fino al 2018.
Concludeva per il rigetto del ricorso in quanto infondato in fatto e diritto;
con vittoria delle spese di lite.
All'odierna udienza la causa viene decisa con sentenza contestuale di cui viene data lettura.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere affermata la competenza funzionale del giudice del lavoro trattandosi di controversia relativa al pagamento della retribuzione spettante al detenuto, alla stregua della pronuncia della Corte costituzionale n.341 del 2006, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69 della Legge n. 354 del 1975
(Cass. n.21573/2007).
Inoltre, sussiste la competenza territoriale di questo Tribunale, stante l'applicabilità alla fattispecie dell'art.413 comma 2 c.p.c. e non del successivo comma 5. Al riguardo la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che "Nelle controversie relative al
3 rapporto di lavoro delle persone detenute all'interno degli istituti penitenziari, non è applicabile il criterio di competenza territoriale di cui all'art. 413, quinto comma, cod. proc. civ., da intendersi specificamente riferito ai rapporti di lavoro pubblico, mentre sono applicabili i criteri previsti dall'art. 413, secondo comma, cod. proc. civ., svolgendosi tali prestazioni di lavoro - sia pure per il perseguimento dell'obbiettivo di fornire alle persone detenute occasioni di lavoro - nell'ambito di una struttura aziendale finalizzata alla produzione di beni per il soddisfacimento di commesse pubbliche ed anche private, il cui carattere limitato non ne impedisce
l'utilizzazione come criterio per radicare la competenza territoriale. Ne consegue che, intercorrendo il rapporto di lavoro con il , il quale, per Controparte_1
il tramite del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, esercita un ruolo fondamentale su rilevanti aspetti organizzativi dell'attività produttiva realizzata nei singoli istituti, e, quindi, va considerato quale centro di direzione e coordinamento delle strutture aziendali che fanno capo ai singoli istituti, in applicazione del criterio di collegamento stabilito dall'art. 413, secondo comma, cod. proc. civ. costituito dalla sede dell'azienda (ossia del luogo in cui l'azienda viene gestita), sussiste la competenza del Tribunale di Roma, ferma restando l'operatività degli altri due fori alternativi, ivi enunciati, a scelta della parte attrice." (Cass. n.18309/2009 e nello stesso senso Cass. Civ. Sez. Lav., Ordinanza n. 12205 dell'8 maggio 2019, Cass. Civ.
Sez. Lav., Ordinanza n. 12306 del 9 maggio 2019 e Cass. Civ. Sez. Lav., Ordinanza
n. 12307 del 9 maggio 2019).
Si osserva, altresì, che, in difetto di specifiche allegazioni di fatto sulle specifiche circostanze di attribuzione degli incarichi, è infondata l'eccezione di prescrizione parziale del credito alla luce del consolidato e condiviso principio giurisprudenziale secondo cui il termine non decorre in costanza di rapporto di lavoro (“In tema di lavoro carcerario, il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, in sé privo di stabilità, poiché, nei confronti del prestatore, è configurabile una situazione di "metus", che, pur non identificandosi necessariamente in un timore di rappresaglie da parte del datore di
4 lavoro, è riconducibile alla circostanza che la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dall'attività lavorativa del detenuto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero attesa la necessità di preservare le modalità essenziali di esecuzione della pena e le corrispondenti esigenze organizzative dell'amministrazione penitenziaria. Ne consegue, peraltro, che la sospensione della prescrizione permane solo fino alla cessazione del rapporto di lavoro in quanto, in assenza di specifiche disposizioni, non può estendersi all'intero periodo di detenzione” (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav., Sentenza n. 2696 del 11 febbraio 2015 e nello stesso senso Cass. Civ. Sez. Lav., Sentenza n. 21573 del 15 ottobre 2007;
Cass. Civ. Sez. Lav., Sentenza n. 3925 del 26 febbraio 2015;
Cass. Civ.
Sez. Lav., Sentenza n. 7147 del 9 aprile 2015, Cass. Civ. Sez. Lav., Ordinanza n.
27340 del 24 ottobre 2019 e da ultimo Cass. Civ. Sez. Lav., Ordinanza n. 2092 del 19 gennaio 2024
Corte d'Appello di Roma Sezione Lavoro Sentenza n. 2608 del 21 giugno 2023).
In via generale si osserva che il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo, è obbligatorio ed è remunerato, come previsto dall'articolo 20 della Legge n. 354/1975.
In particolare, l'art. 20 dell'Ordinamento Penitenziario prevede che: "il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato" e che "l'organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale". L'art. 20 L.
354 cit. prevede poi che: "La durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale. Ai detenuti e agli internati che frequentano i corsi di formazione professionale di cui al comma primo è garantita, nei limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni altra tutela prevista dalle disposizioni vigenti in ordine a tali corsi". Il comma 6 del medesimo articolo stabilisce inoltre che: “la durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di
5 tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa e previdenziale”. Il rapporto non si costituisce per contratto, ma mediante provvedimenti di
assegnazione al lavoro” (cfr. art. 20, comma 6 della Legge n. 354/75 e s.m.). Inoltre,
i posti disponibili hanno carattere limitato e le assegnazioni dipendono dall'utile collocazione in una apposita graduatoria (cfr. art.20, comma 7 della Legge n. 354/75
e s.m.). Le assegnazioni al lavoro sono precarie, e non danno luogo a rapporti stabili, per come stabilito dall'art. 47, comma 10, del D.P.R. n. 230/2000, secondo cui “I posti di lavoro a disposizione della popolazione detenuta di ciascun istituto, sono fissati in un'apposita tabella predisposta dalla direzione e distinta tra lavorazioni interne, esterne e servizi di istituto. Nella tabella sono, altresì, indicati i posti di lavoro disponibili all'interno per il lavoro a domicilio, nonché i posti di lavoro disponibili all'esterno. La tabella è modificata secondo il variare della situazione ed
è approvata dal provveditore regionale”. Inoltre, nessuna disciplina risulta esistere quanto alla cessazione del “rapporto di lavoro” interno. Il lavoratore detenuto può essere “escluso dall'attività lavorativa” se manifesta un sostanziale rifiuto ad espletarla (art. 53 D.P.R.), o escluso dalle attività in comune per motivi disciplinari
(art.77 che peraltro non si riferisce specificamente al lavoro come tale). In sostanza come rilevato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità il lavoro penitenziario non dà luogo ad un rapporto giuridico obbligatorio simile, per struttura, a quello delineato dall'art. 2094 c.c., nel quale una parte assume stabilmente l'obbligo di collaborare nell'impresa, l'altra quello di corrispondere la retribuzione, e tali obblighi persistono fino a quando una delle parti recede. Invece i detenuti hanno il diritto e
l'obbligo di lavorare in quanto e per quanto ammessi al lavoro e per il tempo in cui, di volta in volta, sussiste disponibilità di lavoro carcerario, per cui non vi sono né dimissioni né licenziamenti. Tale ricostruzione risulta confermata anche dalla recente circolare del D.A.P. del 19 novembre 2018 e dal messaggio dell' n. 909 del 5 CP_3
marzo 2019 che hanno chiarito, richiamando la sentenza della Cassazione penale n.
18505 del 3 maggio 2006, che ai detenuti lavoratori inframurari l'indennità di
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disoccupazione non spetta perché i periodi di inattività che si determinano in relazione ai meccanismi di rotazione non sono equiparabili al licenziamento.
Peraltro, ai fini di stabilire il decorso o meno della prescrizione, in una situazione di detenzione prolungata, non risulta comprensibile il concetto di cessazione del rapporto di lavoro, non sussistendo un rapporto lavorativo stabile tra le parti ma soltanto un diritto dovere al lavoro in relazione alle necessità e alla graduatoria. In ogni caso, l'esistenza di fatti estintivi del “rapporto di lavoro carcerario”, atti ad interrompere il regime di sospensione del termine prescrizionale, va provata da chi la deduce. Le interruzioni dell'attività lavorativa, peraltro non dimostrate, in costanza di regime di detenzione, non necessariamente implicano cessazioni di rapporto. Ma la prova dell'interruzione neppure può essere ricavata dal fatto che l'attività sia stata svolta in diverse carceri, posto che il rapporto di lavoro si instaura col Ministero, e non con l'Istituto di pena (Cass. 18309/2009), per cui il trasferimento del detenuto non comporta, di per sé, cessazione del rapporto. Né la cessazione del rapporto può essere desunta dal mutamento di mansioni di volta in volta assegnate.
Nel caso di specie è pacifico (poiché incontestato) che il ricorrente ha lavorato in maniera continuativa dal mese di gennaio 2014 al mese di settembre 2017. Inoltre parte ricorrente ha allegato le buste paga che dimostrano lo svolgimento dell'attività lavorativa nel 2018 e nel 2020 (cfr. doc. nn. 6 e 6A del fascicolo di parte ricorrente) ed è documentato che l'azione giudiziaria è stata iniziata nell'anno 2023 (con conseguente sospensione del decorso del termine prescrizionale), di talché il credito non risulta estinto.
Il ricorrente ha indicato nell'atto introduttivo le mansioni svolte di “Inserviente di cucina, cat. C”. Si tratta mansioni molto semplici e pertanto la loro espressione riassuntiva sopra indicata è di per sé sufficiente a indicare in modo esaustivo i compiti svolti dal detenuto, per permettere al Giudice di verificarne la proporzionalità
e la sufficienza ex art. 36 Cost., nonché il rispetto dei criteri speciali di proporzionalità fissati nell'art. 22 della Legge n. 254/1975. Ha altresì specificato i periodi di tempo in cui è stata prestata attività lavorativa, l'inquadramento delle
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mansioni espletate, le norme di diritto invocate nonché l'inadempimento della
Commissione ministeriale relativamente all'obbligo di adeguare la mercede ai minimi retributivi della contrattazione collettiva succedutasi nel tempo e le differenze retributive spettanti. A fronte di tali dettagliate allegazioni di fatto, sulla cui base sono stati redatti i conteggi allegati al ricorso, il resistente non ha specificamente CP_1
contestato le circostanze addotte da parte ricorrente, limitandosi a difese generiche e in parte inconferenti. In particolare, non ha controdedotto nulla di specifico circa gli orari rispettati, le mansioni svolte nonché il mancato adeguamento dei minimi retributivi. Peraltro, avendo il presente giudizio ad oggetto, almeno in parte, la sussistenza o meno del diritto all'adeguamento della retribuzione percepita agli incrementi del frattempo intervenuti in forza dei rinnovi dei contratti collettivi presi a riferimento dallo stesso , elementi come il contenuto delle Controparte_1
mansioni espletate e le concrete modalità di svolgimento delle stesse, nonché la distribuzione giornaliera dell'orario di lavoro non hanno particolare rilievo se non ai fini dei conteggi. Del resto, l'indagine volta ad accertare la sussistenza o meno del diritto all'adeguamento richiesto non dipende certo dai predetti elementi fattuali, atteso che, ove dovuto, l'adeguamento può e deve trovare applicazione con riferimento alle ore già conteggiate nelle buste paga e per le mansioni in esse specificate. Peraltro, le circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione risultano dalla documentazione allegata al ricorso e in particolare dalle copie degli estratti mercede nonché dai cedolini paga, non oggetto di alcuna specifica contestazione da parte del resistente. Analoghe considerazioni possono valere con CP_1
riferimento alle differenze retributive. Pertanto, sulla base di tali cedolini deve ritenersi dimostrato che il ricorrente ha svolto lavoro carcerario nel periodo di cui al ricorso (dal mese di gennaio 2014 al mese di settembre 2017) nonché in epoca successiva almeno fino al 2020, durante il quale è stato detenuto, senza soluzione di continuità, presso vari Istituti. Le attività di volta in volta svolte dal ricorrente, le ore di lavoro mensilmente prestate, e la mercede percepita risultano, come sopra
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evidenziato, dai predetti cedolini paga per cui non sussiste alcuna indeterminatezza del ricorso.
Ciò posto, si osserva che ai sensi dell'art. 22 Legge n. 354/75 (come modificata dall'art. 7 Legge n. 663/86) “Le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro. A tale fine è costituita una commissione composta dal (omissis) degli istituti di prevenzione e di pena, che la presiede, dal direttore dell'ufficio del lavoro dei detenuti e degli internati della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena, da un ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena, da un rappresentante del ministero del tesoro, da un rappresentante del ministero del lavoro e della previdenza sociale e da un delegato per ciascuna delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. La commissione stabilisce, altresì, il numero massimo di ore di permesso di assenza dal lavoro retribuite e le condizioni
e modalità di fruizione delle stesse da parte dei detenuti e degli internati addetti alle lavorazioni, interne o esterne, o ai servizi di istituto, i quali frequentino i corsi della scuola d'obbligo o delle scuole di istruzione secondaria di secondo grado, o i corsi di addestramento professionale, ove tali corsi si svolgano, negli istituti penitenziari, durante l'orario di lavoro ordinario".
La Commissione istituita in forza della normativa sopra richiamata, ha determinato la mercede da corrispondere a ciascuna categoria di lavoranti detenuti, con decorrenza dall'1 aprile 1976 individuando per ciascuna “attività” intramuraria sia il contratto collettivo di riferimento che l'inquadramento, tenuto conto della quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato ed ha stabilito, così, che la mercede spettante è pari a
2/3 della retribuzione prevista dal contratto collettivo di riferimento in relazione agli inquadramenti ritenuti applicabili per ciascuna attività intramuraria. La Commissione ha, peraltro, specificamente previsto che “…la mercede, riferita ai contratti nazionali di categoria, stabilita per giornate lavorative, è costituita dalla paga base, nonché
9 dai ratei dell'indennità di contingenza, della 13^ mensilità e dell'indennità di anzianità…. Le effettive prestazioni di ogni lavorante in base alla quantità e alla qualità del lavoro vanno rapportate alle mansioni previste per ogni categoria nei prospetti d'inquadramento, attribuendo quindi il corrispondente livello retributivo…”, nonché la durata ordinaria del lavoro in 40 ore settimanali;
la corresponsione nelle giornate festive di una doppia mercede e della maggiorazione oraria del 25% per il lavoro straordinario
” (cfr. Circolare n. 2294/4748 del 9 marzo
1976).
Nella specie è incontestato fra le parti in causa che il convenuto non abbia CP_1
provveduto all'adeguamento e/o aggiornamento delle tabelle determinate dalla nel 1994 e quindi delle mercedi in relazione alla mansione espletata dal Org_1
ricorrente. Tale circostanza, del resto emerge anche dalla documentazione depositata in atti dal ricorrente (cfr. doc. nn. 4, 3A, 5, 4A, 6 e 6A del fascicolo di parte ricorrente) da cui risulta che tali mercedi non sono state mai aggiornate. In conseguenza di ciò la parte ricorrente con il presente giudizio ha chiesto in primo luogo l'adeguamento della mercede da calcolarsi sulla base dei 2/3 della retribuzione prevista dai C.C.N.L. succedutisi durante il periodo di lavoro prestato dal detenuto fino al settembre 2017. Occorre tuttavia considerare che il legislatore non ha previsto la piena equiparazione del lavoro "intramurario" in carcere con quello subordinato, tant'è che a titolo di compenso per la prestazione fornita ha stabilito la corresponsione di una mercede carceraria.
Il criterio della giusta retribuzione di cui all'art. 36 Cost. va dunque coordinato con la natura del lavoro prestato dal detenuto. Pertanto, alla luce dell'art. 36 Cost., che prevede il diritto di tutti i lavoratori ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità della prestazione fornita, e delle richiamate norme dell'Ordinamento
Penitenziario, deve ritenersi che i detenuti che abbiano prestato attività lavorativa interna abbiano diritto ad una mercede non inferiore ai 2/3 del trattamento economico previsto dai C.C.N.L. dei singoli settori cui sono riconducibili le mansioni di volta in volta espletate e dai corrispondenti adeguamenti. Nella fattispecie in esame il
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ricorrente ha, coerentemente, chiesto l'adeguamento della base di calcolo costituita dai vari C.C.N.L. succedutisi nel tempo sulla quale poi operare la decurtazione di 1/3 ai fini della determinazione della mercede spettante. In sostanza, come rilevato da
Cass. pen. n. 36250 dell'8 luglio 2004, “non si può automaticamente applicare il minimo di legge, senza quella valutazione della qualità e quantità del lavoro prestato che giustifica la decurtazione rispetto alla retribuzione del lavoro libero. Per contro non si può neppure ritenere applicabile, senza tale valutazione, la retribuzione prevista dai contratti collettivi di lavoro, che potrebbe essere esuberante rispetto ai parametri legislativi e costituzionali, cioè rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato, in genere inferiori a quelle del lavoro libero tanto da avere indotto il legislatore ad un'apposita disciplina, in conformità al dettato costituzionale. Deve ritenersi, invece, che una volta intervenuta una valutazione da parte della commissione - tenendo conto, in via generale, delle caratteristiche del lavoro carcerario, in relazione ai parametri indicati dalla legge e dalla Costituzione - essa resti valida finché non sia modificata, in conformità ad un'eventuale cambiamento delle caratteristiche organizzative, qualitative e quantitative del lavoro carcerario;
con la conseguenza che la mercede per il lavoro dei detenuti deve essere corrisposta in base alle percentuali fissate dalla commissione nel suo ultimo intervento. Poiché il compito affidato alla commissione è soltanto quello di stabilire la percentuale della mercede rispetto al trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro, ne consegue che in mancanza di aggiornamenti delle tabelle della commissione resterà ferma la percentuale precedentemente fissata, ma essa deve essere calcolata, per legge, in relazione alla retribuzione prevista dai contratti collettivi di lavoro, che sono quelli via via succedutisi durante il periodo di lavoro prestato dal detenuto e non solo quello vigente al momento della determinazione della tabella della commissione
”.
Alla stregua dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.1087 del 13 dicembre 1988, il ricorso deve ritenersi fondato. Quindi deve dichiararsi il diritto del ricorrente all'adeguamento del valore della mercede, fino al settembre
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2017, da computarsi in misura pari ai 2/3 della retribuzione prevista dai C.C.N.L. vigente al tempo di espletamento del lavoro intramurario da parte del ricorrente. Le voci relative a tredicesima, quattordicesima, ferie e TFR debbono anche essere calcolate sulla base della retribuzione aggiornata alle previsioni economiche della contrattazione collettiva vigente al momento dell'attività lavorativa. Quanto alla tredicesima, quattordicesima e al TFR va rilevato che i relativi ratei sono stati mensilmente erogati con la mercede e conglobati in essa;
tale circostanza trova conferma nella circolare n.2294/4748 del 9/3/1976 e dalle tabelle mercede in vigore prodotte in giudizio, dalle quali risulta che la sopra indicata aveva Org_1
stabilito che la mercede per la giornata lavorativa è formata dalle quote di paga base, nonché dai ratei di indennità di contingenza, dalla tredicesima mensilità e dall'indennità di anzianità. Tuttavia, tale conglobamento non esclude che anche la quota spettante a titolo di tredicesima e quattordicesima mensilità e TFR dovesse essere determinata sulla base della retribuzione aggiornata nei termini sopra indicati.
Identiche considerazioni valgono anche per l'indennità sostitutiva delle ferie. Dalle buste paga depositate in atti risulta infatti che detta indennità è stata mensilmente erogata dall'amministrazione, ma ciò non esclude il diritto del ricorrente a percepire
l'adeguamento della somma corrisposta in ragione di quanto sin qui illustrato in merito alla mercede. Al riguardo si osserva che deve essere riconosciuta l'indennità per ferie non godute anche alla luce della sentenza della Corte Cost. n. 158/2001 con la quale è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 20 comma 16 della Legge n. 354/75 nella parte in cui non attribuiva al detenuto che prestasse lavoro per l'amministrazione carceraria il diritto al riposo annuale retribuito, costituente diritto irrinunciabile costituzionalmente garantito. È evidente che sia la sussistenza di tale diritto che la sua quantificazione (e quindi la quantificazione della relativa indennità sostitutiva) sono connessi all'effettivo svolgimento di attività lavorativa retribuita nell'arco della settimana e della giornata con esclusione delle ore di riposo e di quelle destinate alle attività alternative, culturali o ricreative, che vengono svolte all'interno dell'istituto carcerario. Tuttavia, in mancanza di una espressa regolamentazione dell'istituto in
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esame da parte dell'Amministrazione, deve concludersi nel senso che, una volta dimostrato l'espletamento della prestazione lavorativa e le concrete modalità temporali di quest'ultima (periodo, ore e giorni lavorati) deve essere riconosciuto al lavoratore il diritto in questione in base proporzionale alla quantità del lavoro svolto
(cfr. Corte Appello Roma 2956 del 25 marzo 2014 e n. 7638/2015). Nella specie, la prova del mancato godimento di ferie emerge dalle stesse buste paga - nelle quali sono indicati i giorni di ferie fruiti e pagati e quelli maturati e non goduti - ben potendosi ritenere che siano state fruite e remunerate le ferie esattamente (solo) nelle quantità indicate nelle buste paga. È quindi dovuta l'indennità di ferie non godute proporzionata al periodo di attività di lavoro ed alla quantità di ore rese, regolarmente indicate nei prospetti mensili. Con riferimento alle buste paga depositate in atti da cui si desumono le mansioni svolte dal ricorrente e le ore di lavoro prestate per ciascun mese e in base alle tabelle di corrispondenza redatte dalla stessa Commissione nel
1993 risultano essere stati correttamente elaborati i conteggi depositati che, pertanto, in assenza di specifiche contestazioni, possono essere posti a fondamento della presente sentenza corrispondendo ai criteri sopra esplicitati. In particolare, le differenze retributive sulle giornate lavorate sono state esattamente calcolate con riferimento al percepito e al numero di giorni lavorati nonché dei dati offerti dalle buste paga agli atti e, tenuto conto del computo dei minimi retributivi di cui al
C.C.N.L. richiamato nei prospetti paga con il dovuto abbattimento. Dal raffronto tra le buste paga prodotte e i conteggi elaborati si evidenzia il persistere di un credito nella misura indicata in ricorso. Del resto “Nel rito del lavoro, il convenuto ha l'onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore, ai sensi degli artt.
167, primo comma, e 416, terzo comma cod. proc. civ. , e tale onere opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l'affermazione dell'erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell'esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire
13 all'attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato. Ne consegue che la mancata o generica contestazione in primo grado rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile "(cfr. tra le molte Cass. civ. Sez. Lavoro, Sentenza n. 4051 del 18 febbraio 2011 e nello stesso senso Cass. civ. Sez. Lavoro, Sentenza n. 4104 del 2 marzo 2016;
Cass. civ. Sez.
Lavoro, Sentenza n. 10116 del 18 maggio 2015;
Cass. civ. Sez. Lavoro, Sentenza n.
6332 del 19 marzo 2014;
Cass. civ. Sez. Lavoro, Sentenza n. 563 del 17 gennaio
2012;
Cass. civ. Sez. Lavoro, Sentenza n. 18378 del 19 agosto 2009;
Cass. civ. Sez.
Lavoro, Sentenza n. 945 del 19 gennaio 2006;
Cass. civ. Sez. Lavoro, Sentenza n.
9285 del 10 giugno 2003;
Cass. civ. Sez. Lavoro, Sentenza n. 7103 del 29 maggio
2000). In definitiva, il convenuto ha l'onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall'attore, formulando una critica precisa e puntuale che individui il vizio da cui il conteggio in considerazione sarebbe affetto e offrendo contestualmente di provarne il fondamento;
la contestazione, infatti, deve ritenersi tamquam non esset qualora non involga specifiche circostanze di fatto suscettibili di dimostrare la non congruità e la non rispondenza al vero dei conteggi medesimi, circostanze che devono risultare dagli atti o essere successivamente provate. Alla luce di quanto esposto spetta al ricorrente la somma di euro 4.736,85 per differenze retributive relative agli anni dal 2014 al 2017. Su tale somma devono essere calcolati gli interessi legali dalle singole scadenze fino al soddisfo. A tale ultimo riguardo, si osserva infatti che come affermato dalla S.C., “in materia di lavoro dei detenuti, trattandosi di rapporto di lavoro con il Ministero della Giustizia, opera il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi poiché non ricorre la medesima "ratio" di cui alla pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale n. 459 del 2000 - che ha escluso il divieto per i crediti dei lavoratori privati - ma sussistono ragioni di contenimento della spesa pubblica, che giustificano la differenziazione della disciplina” (Cass. 17869/2014).
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Le spese di lite si liquidano come da dispositivo, sulla scorta del valore della controversia e dei minimi tariffari, ridotti del 30% in considerazione della serialità del contenzioso e del disposto di cui all'art. 4 comma 4 D.M. 55/2014.
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