Corte d'Appello Palermo, sentenza 25/11/2024, n. 935
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Testo completo
REPUBBLICA ITALIANA CORTE DI APPELLO DI PALERMO IN NOME DEL POPOLO ITALIANO La Corte di Appello di Palermo, sezione controversie di lavoro, previdenza ed assistenza, composta dai Sigg.ri Magistrati:
1) Dott. Maria G. Di Marco Presidente
2) Dott. Caterina Greco Consigliere relatore
3) Dott. Claudio Antonelli Consigliere Riunita in camera di consiglio, ha pronunciato la seguente SENTENZA nel procedimento n. 346/2024 R.G.L., promosso DA NA AN, rappresentato e difeso dall'avv. DANILE GIUSEPPE Ricorrente in riassunzione già reclamato e reclamante incidentale
CONTRO
T.U.A. (Trasporti Urbani Agrigento) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Carlo Boursier Niutta, Antonio Armentano e Roberto Scelfo Resistente in riassunzione già reclamante All'udienza del 7 novembre 2024 le parti hanno concluso come dai rispettivi atti difensivi.
FATTO
Con la sentenza n. 579/2021 pubblicata il 10 maggio 2021, questa Corte d'Appello, in diversa composizione, confermava la sentenza n. 744/2020 pubblicata il 23 settembre 2020 dal Tribunale G.L. di Agrigento, che nell'ambito del procedimento instaurato con il rito di cui alla legge n. 92 del 2012, aveva ritenuto l'illegittimità del licenziamento disciplinare intimato in data 17 novembre 2017 a GE AS da T.U.A. (Trasporti Urbani Agrigento) S.r.l., riconoscendo al dipendente la tutela reintegratoria di cui al comma 4 dell'art. 18 S.d.L., come novellato dalla suddetta disciplina, condannando altresì la “società a pagare l'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a
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quello di effettiva reintegrazione, comunque, non superiore a dodici mensilità, nonché al versamento, per il medesimo periodo dei contributi previdenziali e assistenziali”. La Corte – in sintesi – ha innanzitutto respinto l'impugnazione della società, statuendo che il comportamento addebitato al lavoratore risultava “tipizzato dalle norme contrattuali e legali applicabili al rapporto di lavoro per cui è causa che allo stesso ricollegano una sanzione meramente conservativa”, con la conseguente illegittimità del licenziamento e applicabilità della tutela prevista dal comma 4 dell'art. 18 S.d.L.;
pur accogliendo, inoltre, il reclamo incidentale del lavoratore - che lamentava la mancata osservanza, in sede di procedimento disciplinare, delle forme previste dall'art. 53 del R.D. n. 148 del 1931 – ha dichiarato che tale violazione formale si sarebbe dovuta ricondurre “nell'alveo di operatività della ipotesi sanzionata nella forma (più lieve) della inefficacia cui consegue, ai sensi dell'art. 18 della legge n. 300/1970, una tutela reintegratoria piena soltanto nel caso in cui si accerti l'insussistenza del fatto contestato” residuando, in difetto, la mera tutela indennitaria. Con ordinanza n. 2858/2024 del 31 gennaio 2024, la Corte di Cassazione, in accoglimento del primo motivo di ricorso incidentale proposto dal AS, e dichiarati assorbiti il secondo ed il terzo, nonché inammissibile il ricorso principale di TU RL , ha annullato la sentenza impugnata rinviando a questa Corte, in diversa composizione, per la decisione nel merito “che si uniformerà a quanto statuito, regolando anche le spese del giudizio di legittimità”. Ha tempestivamente riassunto il giudizio GE AS, con ricorso depositato il 2 aprile 2024. La T.U.A. s.r.l. ha resistito con memoria del 18 ottobre 2024, riproponendo i motivi di reclamo ed eccependo una questione di legittimità costituzionale dell'art.53 dl R.D. n.148/1931, in relazione all'art.3 della Costituzione, ribadita in sede di discussione orale. All'udienza del 7 novembre 2024, sulle conclusioni delle parti, la causa è stata posta in decisione. MOTIVI Nel merito, occorre prendere atto del principio affermato dalla sentenza di rinvio, cui questa Corte, quale giudice di rinvio, ai sensi dell'art. 384 c.2 c.p.c., è chiamata a dare applicazione.
Va premesso, infatti, che, nell'analisi delle domande formulate, il giudice di rinvio è certamente vincolato ad un criterio di stretta devoluzione nel quale è chiamato ad applicare, nel riesame del merito, il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione e a non esorbitare dal solco delle questioni di fatto e di diritto che ne costituiscono l'indefettibile antecedente logico-giuridico;
si parla, infatti, di
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giudizio chiuso per definire una tipologia di accertamento nel quale le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata (art. 394 comma 2° c.p.c.), cosicché “è preclusa ad esse ogni possibilità di presentare nuove domande, eccezioni, nonché conclusioni diverse, salvo che queste, intese nell'ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Corte di Cassazione. Conseguentemente, nel giudizio di rinvio non possono essere proposti dalle parti, né presi in esame dal giudice, motivi di impugnazione differenti da quelli che erano stati formulati nel giudizio di appello conclusosi con la sentenza cassata e che continuano a delimitare, da un lato, l'effetto devolutivo dello stesso gravame e, dall'altro, la formazione del giudicato interno” (Cass. n. 5137 del 21/02/2019).
La Corte di Cassazione, in particolare, ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso incidentale del lavoratore con il quale il AS ha denunciato “la violazione e falsa applicazione dell'art. 53 del R.D. n. 148 del 1931, in relazione all'art. 1418, comma 1, c.c. e dell'art. 18, commi 1 e 6, della l. n. 300 del 1970, eccependo che erroneamente la Corte territoriale ha dichiarato l'assorbimento del reclamo incidentale del AS perché l'eventuale accoglimento non avrebbe mutato gli effetti sostanziali della decisione, atteso che, ove il procedimento disciplinare sia stato posto in essere in violazione di norme imperative di legge, come nel caso di specie di radicale omissione da parte della datrice di lavoro della procedura garantista prevista dall'art. 53 R.D. n. 148 del 1931, il licenziamento è da ritenere radicalmente nullo in quanto “riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge” con applicazione della c.d. tutela reintegratoria piena di cui al primo comma dell'art. 18 della L. n. 300 del 1970 in luogo di quella attenuata invece riconosciuta dai giudici del merito.”
Ha, dunque, ribadito la Suprema Corte che “In tema di sanzioni disciplinari, la violazione del procedimento di cui all'art. 53 del r.d. n. 148 del 1931, all. A, comporta la nullità del provvedimento disciplinare e, in particolare, un'invalidità c.d.
nello stesso senso v. Cass. lav. n. 17286 del 2015;
Cass. n. 13804 del 2017;
Cass. n. 12770 del 2019;
Cass. n. 32681 del 2021;
Cass. n. 6765 del 2023;
Cass. n. 9530 del 2023;
Cass. n. 15355 del 2023;
alle quali tutte si rinvia per ogni ulteriore aspetto, anche ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c.).”
La Corte ha, poi, valutato che “l'accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale del lavoratore assorbe gli altri, in quanto l'interesse di chi ricorre è già interamente soddisfatto dalla fondatezza del primo mezzo di gravame, e determina altresì l'inammissibilità del ricorso principale della società, atteso che la riconosciuta nullità del provvedimento espulsivo per il vizio rilevato, con conseguente tutela reintegratoria piena, rende priva di interesse ogni ulteriore indagine sulla sussistenza o meno di una giusta causa di recesso.”
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In applicazione di tale principio di diritto al caso di specie, e limitato il thema decidendum
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