CGARS, sez. I, sentenza 2018-12-14, n. 201801006
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Pubblicato il 14/12/2018
N. 01006/2018REG.PROV.COLL.
N. 00969/2017 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 969 del 2017, proposto da
S Antonino, rappresentato e difeso dall'avvocato G R, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Guglielmo Oberdan, 5;
contro
Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, Prefettura di Agrigento - Ufficio territoriale del Governo, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore , rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Palermo, via Alcide De Gasperi, 81;
per l’esecuzione
del giudicato formatosi sulla sentenza del CONSIGLIO GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA - SEZIONE GIURISDIZIONALE n. 00397/2014, nonché per la declaratoria di nullità e/o per l'annullamento della nota n. 0072197 del 6.10.2017 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali;nonché, in via subordinata, per l'annullamento di ogni atto presupposto, connesso o consequenziale rispetto a quello impugnato;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e di Prefettura di Agrigento - Ufficio territoriale del Governo;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 14 giugno 2018 il cons. Silvia La Guardia e uditi per le parti l’avv. Monica Di Giorgio, su delega dell’avv. G R, e l'avv. dello Stato Fabio Caserta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Il ricorrente agisce per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza n. 397/2014 di questo CGA, depositata in data 10.07.2014 e notificata alle amministrazioni resistenti, presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, in data 16.07.2014, nonché per la declaratoria di nullità e/o per l'annullamento della nota n. 72197 del 6.10.2017 del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e, in subordine, per l'annullamento di ogni atto presupposto, connesso o consequenziale rispetto a quello impugnato.
Egli espone quanto segue:
- di aver presentato domanda per godere dei benefici previsti dall’art. 1, comma 1 bis, l. 19.7.1993, n. 237 nella qualità di erede di un ex socio della Cooperativa agricola “Poggio Diana”, con sede in Ribera - posta in liquidazione coatta amministrativa con provvedimento dell’Assessorato regionale alla cooperazione di data 12.1.1991 – in favore della quale i soci avevano prestato fideiussione bancaria a garanzia di erogazioni finanziarie da parte di banche;
- di essere stato utilmente collocato in apposita graduatoria con d.m. 18.12.1995 del Ministero qui intimato, ma che in data 25.2.2009 con nota n. 2936 l’Amministrazione respingeva l’istanza di accollo da parte dello Stato dei debiti contratti dai soci di cooperative a titolo di garanzia per ottenere finanziamenti dalle banche in ragione dell’informativa resa dalla Prefettura di Agrigento secondo cui in capo alla cooperativa predetta sussistevano le cause interdittive di cui all’art. 10 l. n. 575/1965 e all’art. 4 d.l. n. 490/1994;
- di aver impugnato, unitamente ad altri ex soci della cooperativa, tali provvedimenti e che il Tar adito respingeva il ricorso con sentenza n. 962/2013;
- di avere, con altri ex soci, proposto impugnazione, accolta dal C.G.A. con sentenza n. 397/2014, di annullamento dei provvedimenti impugnati in primo grado con particolare riferimento alla ritenuta illegittimità all’informativa antimafia posta a base del rigetto delle istanze proposte dagli ex soci;
- di aver nuovamente adito il C.G.A. con ricorso per l’ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza n. 397/2015 e che tale ulteriore ricorso veniva accolto con sentenza n. 672/2015;
- che, dopo quest’ultima pronuncia, l’amministrazione provvedeva al pagamento delle somme dovute in favore delle banche creditrici;
- che, tuttavia, la medesima, con la nota 6.10.2017, qui contestata, disponeva, sulla base del rilievo che egli non risultava tra i firmatari della procura per il ricorso in appello, il recupero della quota di spettanza del ricorrente.
Il ricorrente sostiene che tale provvedimento di recupero costituisca violazione del giudicato nascente dalla sentenza n. 397/2015, che lo include nel novero dei soggetti appellanti in favore dei quali è stata pronunciata, e che è ormai inammissibile qualsiasi eccezione, quale il riferimento contenuto nella nota anzidetta, tesa a contestare la procura ad litem apposta sul ricorso in appello proposto dall’odierno ricorrente.
Afferma, quindi, l’irrilevanza del rilievo opposto nel provvedimento e con cui si intende giustificare il recupero, atteso che il difetto di procura non impedisce il formarsi del giudicato, che si determina in relazione all’inclusione anche del soggetto che avrebbe omesso la firma della procura. L’amministrazione, soggiunge il ricorrente, se avesse inteso contestare il difetto di procura avrebbe dovuto eccepirlo nel corso del giudizio o, a tutto concedere, mediante un ricorso per revocazione in ragione del ritenuto errore di fatto, da proporsi nei debiti termini;sicché l’acquiescenza prestata comporta il definitivo consolidamento del giudicato nascente dalla sentenza anche nei suoi confronti, donde la nullità del contrastante atto impugnato.
In via subordinata, il ricorrente sostiene che, comunque, gli effetti del giudicato nascente dalla sentenza n. 397/2015 del C.G.A. sarebbero applicabili nei suoi confronti ed egli sarebbe legittimato a chiederne l’ottemperanza.
Dopo aver puntualizzato che il procedimento sull’istanza di riconoscimento del beneficio dell’accollo del debito non è connotato da alcuna discrezionalità, il ricorrente afferma che l’annullamento dell’informativa antimafia opera anche nei suoi riguardi, vuoi in considerazione della motivazione della sentenza invocata (laddove rileva che “ riguardo ai soci, poiché il beneficio di manleva rileva personalmente per ciascuno di essi, l’opportuna attività di prevenzione antimafia ” avrebbe potuto, nei confronti di due nominati soggetti, diversi dall’odierno ricorrente, giustificarne l’esclusione con “ ulteriori provvedimenti con i quali venisse evidenziata la loro contiguità agli ambienti del crimine organizzato”), vuoi per il carattere inscindibile del provvedimento interdittivo, ostativo al riconoscimento del beneficio, annullato con la sentenza predetta;da quest’ultima gli deriverebbe una situazione di vantaggio che lo legittimerebbe, quand’anche lo si ritenesse estraneo al giudizio di appello, a proporre il ricorso per ottemperanza.
Il ricorrente chiede, quindi, sia dichiarata la nullità o l’illegittimità della nota del 6.10.2017, nella parte in cui intenderebbe negare l’erogazione in favore del ricorrente del beneficio anzidetto, al contempo ordinando al Ministero di ottemperare alla sentenza n. 397 citata e, così, di ordinare “ il riconoscimento del beneficio dell’accollo dei debiti oggi gravanti sul ricorrente, ai sensi dell’art. 1, comma 1 bis, della l. 19 luglio 1993, n. 237 ”.
Resiste l’amministrazione intimata, che, con memoria notificata a controparte, chiede - previa: a) correzione ex art. 86 c.p.a. della sentenza n. 397/2014, con eliminazione del nominativo del ricorrente, il che comporterebbe l’integrale caducazione della sentenza n. 672/2015;b) comunque, revocazione di quest’ultima sentenza, in riferimento agli artt. 106 c.p.a. e 395, nn. 1 e 4, c.p.c. - che il presente ricorso sia dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione attiva o comunque respinto perché infondato, in quanto i provvedimenti annullati sarebbero scindibili e l’unico giudicato formatosi nei confronti del ricorrente sarebbe quello, sfavorevole, relativo alla sentenza del Tar n. 962/2014.
Il Collegio osserva, quanto alla richiesta di correzione della sentenza n. 397/2014, che il rimedio approntato dall’art. 86 c.p.a., relativamente ad omissioni o errori materiali, è volto ad emendare, non la statuizione giurisdizionale, bensì unicamente la redazione del documento in cui detta statuizione è riportata, adeguando, senza alcuna necessità di rinnovazione dell’attività volitiva e valutativa del giudice – per cui è indispensabile l’esperimento di un gravame -, le modalità esteriori della statuizione a quella che dal documento medesimo emerge essere inequivocabilmente la volontà del giudice che l’ha pronunciata, così ovviando ad un difetto accidentale della formulazione della sentenza.
L’amministrazione, invece, qui la chiede in relazione alla segnalata mancanza di sottoscrizione della procura ad impugnare la sentenza di primo grado, ossia ad un profilo che attiene alla volontà e capacità di stare in giudizio, al cui proposito la giurisprudenza osserva che (v. Cons. Stato., sez. IV, 20.3.2018, n. 1762) “L'art. 40, comma 1, lett. d), c.p.a., prescrive come contenuto necessario del ricorso "la sottoscrizione del ricorrente, se esso sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale"… L'art. 101, comma 1, c.p.a. reitera la medesima prescrizione per il ricorso in appello … Le norme sono chiaramente finalizzate alla acquisizione di una procura speciale rilasciata esplicitamente per entrambi i giudizi o anche per il giudizio di secondo grado (Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2017, n. 3809) … L'indicazione della procura speciale, e ancor prima la sua effettiva sussistenza, è elemento essenziale del ricorso (arg. ex Cons. Stato, sez. III, 20 maggio 2014, n. 2603), la cui mancanza conduce all'inammissibilità dell'impugnazione (arg. ex Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2006, n. 4868).”
E’ stato, ancora, affermato (in sede di revocazione), relativamente ad un caso di mancanza di una valida delibera che autorizzasse a proporre l'appello come sia “ ben possibile che il giudice abbia valutato la questione e, in assenza di ogni contestazione di parte appellata, abbia ritenuto non sussistere alcun vizio dell'autorizzazione a proporre il gravame incidente sull'ammissibilità dello stesso (dovendo per converso il giudice avvertire le parti della presenza di una causa di inammissibilità ai sensi dell'art. 73 c.p.a.) e lo abbia pertanto esaminato nel merito ”, discutendosi, in definitiva di un “ profilo non emerso in corso di causa e che, quand'anche sussistente, configurerebbe al più un errore di diritto sulla (implicitamente ritenuta) ammissibilità del gravame.” (così Cons. Stato, sez. IV, 29.9.2016, n. 4008).
La richiesta di correzione non può, dunque, trovare accoglimento e, ferma restando la predetta sentenza n. 397/2014, neppure sono riscontrabili i vizi revocatori addotti riguardo alla pronuncia (n. 672/2015) sulla relativa ottemperanza.
In questa sede, dunque, non può che darsi atto del contrasto della contestata nota n. 72197 del 6.10.2017 con il giudicato inter partes e conseguentemente, in accoglimento del presente ricorso, dichiararne la nullità, reiterando l’ordine di ottemperanza di cui alla sentenza n. 672/2015.
Si ravvedono, nella particolarità della controversia, i presupposti per la compensazione delle spese del presente giudizio tra le parti.