CGARS, sez. I, sentenza 2023-07-18, n. 202300447

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Sul provvedimento

Citazione :
CGARS, sez. I, sentenza 2023-07-18, n. 202300447
Giurisdizione : Consiglio Di Giustizia Amministrativa per la Regione siciliana
Numero : 202300447
Data del deposito : 18 luglio 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 18/07/2023

N. 00447/2023REG.PROV.COLL.

N. 00048/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA

Sezione giurisdizionale

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 48 del 2021, proposto da
Condominio “Il Suk”, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato Nicolò D'Alessandro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Taormina, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima) n. 1427/2020;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 aprile 2023 il Cons. Maria Immordino e uditi per le parti gli avvocati come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO



1.E’stata appellata la sentenza del TAR Sicilia, Sezione staccata di Catania, n. 1427/2020, che ha respinto il ricorso per l’annullamento del provvedimento del Comune di Taormina n. 37, del 7 marzo 2001, con cui l’Amministrazione ha ingiunto la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad alcune “piazzole” e ad una “scaletta realizzate sulla scogliera”, come accertato in data 23 maggio 2008 da parte della Capitaneria di Porto di Messina.



2.Giova, ai fini di una migliore comprensione della controversia de qua , una sintesi dei fatti sottesi alla stessa.



2.1. Innanzi al TAR Catania è stato impugnato, dall’odierno appellante, nella sua qualità di amministratore del condominio denominato “Il SUK”, il provvedimento del Comune di Taormina n. 37 del 7 marzo 2001, con il quale l’Amministrazione ha ingiunto la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi in relazione ad alcune “ piazzole ” e ad una “ scaletta realizzate sulla scogliera, come accertato in data 23 maggio 2008 da parte della Capitaneria di Porto di Messina ”.

Il ricorrente lamentava che: a) l’ordinanza impugnata era intervenuta a distanza di oltre trent’anni dall’epoca in cui le opere erano state realizzate;
b) le norme ritenute violate non erano vigenti al momento della realizzazione delle opere;
c) il provvedimento non era adeguatamente motivato in ordine alla persistenza dell’interesse pubblico alla rimozione di quanto realizzato;
d) la stessa Amministrazione riconosceva che per le opere in contestazione sarebbe stata necessaria una semplice autorizzazione edilizia, di talché nella specie avrebbe dovuto essere applicata esclusivamente la sanzione pecuniaria e non l’ordine di ripristino;
e) la natura pertinenziale delle suddette opere non determinava alcuna modifica del carico urbanistico.



2.2. Costituitosi in giudizio il Comune di Taormina ha eccepito che: a) l’Amministrazione ha avuto notizia dell’esistenza delle opere in questione in data 6 giugno 2000, a seguito di segnalazione da parte della Capitaneria di Porto;
b) per quanto attiene al contestato difetto di motivazione, risulta sufficiente la mera affermazione della abusività del manufatto, non essendo indispensabile la menzione del persistente interesse pubblico al ripristino della legalità violata;
c) il Comune ha fatto riferimento alla generica assenza di un idoneo titolo autorizzativo, senza alcuna ulteriore specificazione, con la conseguenza che risulta assolutamente gratuita e ingiustificata l’affermazione del ricorrente secondo cui l’Amministrazione avrebbe dichiarato che per le opere in esame sarebbe risultata sufficiente una semplice autorizzazione;
d) in ogni caso, sono soggette a concessione edilizia tutte le attività consistenti nella modificazione dello stato materiale e della configurazione del suolo al fine di adattarlo ad un impiego diverso, nonché quelle che producano un mutamento e un’alterazione di rilievo ambientale, estetico o anche solo funzionale. Con successiva memoria del 1 aprile 2020 il Comune ha ulteriormente precisato che: a) diversamente da quanto affermato in ricorso (in cui si fa riferimento alla realizzazione di una sola piazzola), sono state realizzate una pluralità di piattaforme, le quali si estendono per circa ottocento metri quadri di scogliera;
b) come affermato dalla giurisprudenza amministrativa, l’ordine di demolizione non richiede alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse che impongano la rimozione dell’abuso, anche qualora esso intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’intervento;
c) per quanto attiene al rilievo che le norme violate non sarebbero state vigenti all’epoca dell’effettuazione dell’intervento, non sussiste alcuna prova in ordine all’epoca in cui le opere in questione sono state realizzate;
d) in ogni caso, gli abusi edilizi sono illeciti di carattere permanente;
e) le pertinenze, poi, devono rispondere ad un’oggettiva esigenza funzionale dell’edificio principale e non a soddisfare un bisogno di natura meramente soggettiva dei proprietari degli immobili;
f) in ogni caso, anche volendo ritenere che le opere in questione possano qualificarsi come pertinenze, qualunque manufatto da realizzare in zona sottoposta a vincolo è soggetto alla previa autorizzazione paesaggistica ed ambientale.



2.3. In risposta alle deduzioni del Comune intimato, il ricorrente, con memoria del 2 aprile 2020, ha chiarito che i manufatti in questione sono di dimensioni assai modeste e che trattasi di vere proprie pertinenze urbanistiche ai sensi dell’art. 7, secondo comma, lettera a), della legge n. 94/1982, e con memoria del 17 aprile 2020 ha, ulteriormente, precisato che: a) le opere in questione sono risalenti, come risulta da foto panoramiche storiche dei primi anni settanta del secolo scorso;
b) non vi è stata alcuna occupazione della scogliera e certamente non nella misura indicata dall’Amministrazione;
c) il Comune non è titolare dell’interesse alla tutela dell’ambiente e l’ordinanza impugnata non dichiara che i manufatti siano abusivi in ragione di una qualsivoglia incompatibilità con il contesto ambientale.



3. Il TAR adito ha respinto il ricorso richiamando, in primo luogo quell’orientamento del giudice penale e amministrativo (T.A.R. Campania, Napoli, III, n. 42/2020;
Cass. Pen., III, n. 29963/2019;
T.A.R. Lazio, I, n. 70/2014;
T.A.R. Marche, Ancona, I, n. 134/2012), secondo cui gli interventi di pavimentazione di aree esterne sono soggetti a concessione edilizia allorquando determinino una trasformazione urbanistica ed edilizia tendenzialmente permanente, con alterazione significativa dell'assetto del territorio e dello stato dei luoghi. O, nel caso in esame, osserva il Giudice di prime cure, da una segnalazione della Capitaneria di Porto del 23 maggio 2000 è emersa l’intervenuta realizzazione di “ diverse piattaforme di cemento ricavate tra la scogliera ”, di “ una scala di accesso che permette di arrivare dal... condominio alle piattaforme ” e di “ un alloggiamento di cemento interrato ”. Mentre in una nota, alla quale sono state allegate alcune fotografie, del Comando di Polizia Municipale del 27 febbraio 2001 si afferma, che sui luoghi era stata accertata la presenza di “ piazzuole” e di “ una scaletta realizzate abusivamente sulla scogliera ”. Dalla suindicata documentazione il TAR adito ha tratto la conclusione che le opere in esame, in ragione della loro obiettiva consistenza, necessitavano certamente di concessione edilizia, determinando esse una trasformazione urbanistica ed edilizia dei luoghi tendenzialmente permanente e di significativa entità, e che le stesse, in quanto prospicienti il mare, sono anche in contrasto con la normativa paesaggistica ed ambientale, che ovviamente il Comune è tenuto a rispettare e far osservare, sebbene la relativa materia non sia di sua stretta competenza.

Secondo il Giudice di prime cure, inoltre, non avrebbe alcuna rilevanza il fatto che l’ordinanza impugnata sia intervenuta a distanza di molti anni dall’epoca in cui le opere sono state realizzate e che la stessa non sia motivata in ordine alla persistenza dell’interesse pubblico alla rimozione di quanto realizzato, ciò in quanto, come statuito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017, “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un’opera abusiva e giammai assistita da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongano la rimozione dell'abuso e tale principio non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione a demolire intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso (e persino allorquando, oltre a ciò, il titolare attuale non sia il responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino )”. Spetta al ricorrente, osserva, inoltre, il TAR Catania, l’onere di dimostrare che al momento della realizzazione delle opere non erano ancora vigenti le disposizioni di legge che si ritengono violate, dimostrazione che nella controversia in oggetto non è stata data, essendosi lo stesso limitato a produrre alcune cartoline risalenti agli anni settanta del secolo scorso, epoca in cui gli interventi al di fuori del centro abitato - ammesso che il luogo in esame debba qualificarsi tale - già necessitavano di un titolo edilizio per la loro realizzazione.

Il Giudice di prime cure confuta, inoltre, l’affermazione del ricorrente, secondo cui l’Amministrazione avrebbe affermato che per le opere in contestazione sarebbe stata necessaria una semplice autorizzazione edilizia. Affermazione riconducibile al fatto che, l’ordine di demolizione e ripristino, contiene soltanto un generico riferimento alla “ assenza di idoneo titolo autorizzativo ”, senza alcuna distinzione di ordine tecnico fra autorizzazione e concessione edilizia.

Quanto all’affermata natura pertinenziale delle opere in contestazione, il TAR richiama quella giurisprudenza secondo cui “ il vincolo funzionale che lega la cosa principale alla pertinenza non può avere un qualsiasi contenuto “ad libitum” del titolare, ma deve realizzare effettivamente un miglior sfruttamento o una maggiore utilizzazione della cosa principale di cui deve fornire un riscontro obiettivo ed attuale, per cui si ritiene necessario, ai fini della sua configurabilità, che l’utilità o il miglioramento siano oggettivamente arrecati dalla cosa accessoria a quella principale e non al proprietario di essa (sul punto, cfr. Cass. Civ., II, n. 2587/1988)”. Si legge nella sentenza gravata, ad ulteriore specificazione delle caratteristiche della natura pertinenziale di un bene, che questa necessita, oltre del requisito soggettivo dell'appartenenza di entrambi i beni in capo al medesimo soggetto, anche un di elemento oggettivo, consistente nella materiale destinazione del bene accessorio ad una relazione di complementarità diretta e immediata con quello principale (Cass. civ. Sez. II, 20/05/2019, n. 13507, ove si afferma, conseguentemente, l’insussistenza del vincolo pertinenziale in relazione ai mobili e alle suppellettili), diversamente, nella fattispecie de qua , rileva il TAR adito, “ le piazzuole, la scala e l’alloggio che sono stati realizzati non costituiscono ornamento o cose destinate in modo durevole a servizio del condominio (art. 817, primo comma, c.c.), ma soddisfano semplicemente l’esigenza soggettiva dei proprietari e dei frequentatori degli alloggi di usufruire in modo più confortevole e gradevole del mare” .

Tardiva infine, perché non contenuta nel ricorso introduttivo, ma sollevata solo con la memoria, mai notificata, depositata in data 2 aprile 2020, è stata ritenuta la censura secondo cui le opere in esame costituirebbero pertinenze urbanistiche ai sensi dell’art. 7, secondo comma, lettera a), del decreto legge n. 9/1982, convertito in legge n. 94/1982. Anche se, viene osservato dal Giudice di prime cure, tale disposizione concerne una fattispecie diversa, ossia “ opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici già esistenti ”, il che non ricorre nella fattispecie de qua .

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