Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2020-12-10, n. 202007860
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Pubblicato il 10/12/2020
N. 07860/2020REG.PROV.COLL.
N. 09799/2014 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO I
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9799 del 2014, proposto dal signor M O, rappresentato e difeso dall’avvocato R Z ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato A P in Roma, via Cassia, n. 1280;
contro
il Comune di Volpiano, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dagli avvocati G S e M F ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo dei suindicati difensori in Roma, via dei Gracchi, n. 20;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sez. II, 29 agosto 2014 n. 1434, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Vista la costituzione in giudizio del comune appellato ed i documenti prodotti;
Esaminate le ulteriori memorie depositate dalle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del 29 ottobre 2020 il Cons. Stefano Toschei e uditi gli avvocati Ornella Brighenti, per delega dell’avvocato R Z e M F, anche per delega dell’avvocato G S;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. – Con ricorso in appello il signor M O ha chiesto a questo Consiglio la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sez. II, 29 agosto 2014 n. 1434, con la quale è stato respinto il ricorso (R.G. n. 569/2008) proposto ai fini dell’annullamento del provvedimento del responsabile del Servizio ambiente e territorio del Comune di Volpiano 31 gennaio 2008 prot. n. 2294 (pratica n. 330/2004) con il quale è stata respinta la domanda di condono edilizio presentata nel 2004 e concernente la costruzione di un fabbricato ad uso ricovero attrezzi agricoli nel predetto Comune di Volpiano.
2. – La vicenda che fa da sfondo al presente contenzioso in grado di appello può essere sinteticamente ricostruita sulla scorta dei documenti e degli atti prodotti dalle parti controvertenti nei due gradi di giudizio (con riferimento al comune solo per il giudizio di secondo grado, non essendosi costituito dinanzi al TAR per il Piemonte) nonché da quanto sintetizzato nella parte in fatto della sentenza qui oggetto di appello, come segue:
- con istanza del 7 dicembre 2004 prot. n. 23355 l’odierno appellante chiedeva al Comune di Volpiano, in applicazione delle disposizioni sul condono edilizio recate dal d.l. 30 settembre 2003, n. 269 convertito, con modificazioni, nella l. 24 novembre 2003, n. 326 (recante Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell'andamento dei conti pubblici), il rilascio della sanatoria edilizia con riferimento ad una tettoia chiusa ad uso ricovero attrezzi agricoli;
- il comune respingeva l’istanza con provvedimento 31 gennaio 2008 prot. n. 2294;
- l’odierno appellante proponeva ricorso nei confronti del suddetto provvedimento di diniego dinanzi al TAR per il Piemonte, sostenendo che l’atto impugnato fosse affetto da difetto di istruttoria e di motivazione ed affermando che le ragioni poste dall’amministrazione alla base del provvedimento, costituite dalla presenza sull’area di un vincolo idrogeologico, determinato dall’esistenza di una falda acquifera, di un vincolo paesaggistico-ambientale dovuto alla fascia di rispetto di 150 m. dal tracciato dell’Autostrada Torino-Aosta e dalla impossibilità di estendere la sanatoria di cui alla l. 326/2003 alle nuove costruzioni non residenziali, non costituissero ragioni sufficienti a respingere l’istanza e comunque non fossero compatibili con la situazione di fatto e di diritto delle opere realizzate e fatte oggetto di domanda di condono;
- il Tribunale amministrativo regionale riteneva infondate le censure dedotte nei confronti dell’atto di diniego di sanatoria in quanto: a)l’immobile in questione è situato in un’area individuata dal PRGC con la sigla AAM, area protetta per la ricarica della falda acquifera e la captazione idropotabile;b) più specificamente, per come indicato dall’art. 42 delle NTA al PRGC, “ si tratta di area di rispetto delle prese dei pozzi dell’Acquedotto municipale di Torino (AAM) su cui non possono essere attuate trasformazioni del territorio in contrasto con le disposizioni igienico-sanitarie vigenti in materia (…) ”;c) ne deriva che, per effetto della surriferita qualificazione dell’area, su di essa grava un vincolo di inedificabilità assoluta;d) d’altronde, trattandosi di immobile non residenziale di nuova costruzione, tale tipologia di realizzazioni edilizie sono escluse dall’ambito di applicazione della sanatoria di cui all’art. 32, comma 25, l. 326/2003.
3. – L’appellante chiede, dunque, la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sez. II, 29 agosto 2014 n. 1434 sostenendo la evidente erroneità delle conclusioni alle quali è giunto il predetto Tribunale e tracciando sostanzialmente tre coordinate contestative che condurrebbero alla dichiarazione di illegittimità del provvedimento impugnato in primo grado e alla conseguente inattendibilità del percorso argomentativo fatto proprio dal giudice di primo grado per respingere il ricorso in quella sede proposti.
In sintesi, dunque, i motivi di appello sono i seguenti:
1) erra il Tribunale amministrativo regionale affermando che “ come prescritto 42 delle NTA al PRGC. si tratta di area di rispetto delle prese dei pozzi dell'Acquedotto municipale di Torino (AAM) su cui non possono essere attuate trasformazioni del territorio in contrasto con le disposizioni igienico-sanitarie vigenti in materia (...) ”. Tale affermazione, infatti, non tiene conto della fondamentale circostanza per la quale l’opera oggetto della domanda di sanatoria è costituita da un fabbricato agricolo ad uso ricovero attrezzi e persone dalle ridotte dimensioni (mq 42,28, con altezza massima inferiore a tre metri), appoggiato solo superficialmente sul terreno, con la conseguenza che la sua installazione non è in grado di interferire con la falda acquifera, che normalmente è situata a tre metri di profondità. Peraltro dalla motivazione sia del provvedimento impugnato che della sentenza di rigetto del ricorso proposto non è dato di comprendere per quali ragioni la presenza dell’opera interferirebbe o si porrebbe in contrasto con le disposizioni igienico-sanitarie vigenti in materia;
2) il Tribunale non ha poi affatto tenuto conto della memoria che l’odierno appellante aveva prodotto in sede di osservazioni al preavviso di diniego e che il comune non ha, immotivatamente, considerato nell’adozione del provvedimento finale di diniego di sanatoria che, dunque, appare fortemente carente su tale aspetto. Se il Tribunale (e, prima ancora, il comune) avesse attentamente riflettuto sulle osservazioni presentate in sede di partecipazione procedimentale dall’odierno appellante, avrebbe colto la fondatezza della interpretazione della normativa sul condono edilizio prospettata, nel senso che sono sanabili anche i manufatti non residenziali. A conforto di tale tesi l’appellante segnala l’interpretazione della legge sul condono edilizio del 2003 recata dal punto 4 della circolare del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, 7 dicembre 2005 n. 2699 (dal titolo “ Articolo 32 del decreto-legge n. 269/2003 convertito, con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326 relativo a Misure per la riqualificazione urbanistica, ambientale e paesaggistica, per l'incentivazione dell'attività di repressione dell'abusivismo edilizio, nonché per la definizione degli illeciti edilizi e delle occupazioni di aree demaniali ”) nel quale, espressamente, si legge che: “ Per le nuove costruzioni con destinazione d'uso non residenziali, invece, come previsto dai precedenti condoni, la sanatoria è ammessa anche oltre i limiti volumetrici previsti per i manufatti residenziali. Si precisa che per costruzioni non residenziali si intendono tutti gli immobili finalizzati alla produzione di beni e/o servizi, o con destinazioni d'uso terziarie e direzionali, come identificate dagli strumenti di pianificazione comunale ”. Ne deriva che la sanatoria sarebbe stata agevolmente accordabile nel caso di specie, trattandosi del condono edilizio di una baracca destinata al ricovero di attrezzi agricoli per la coltivazione di un appezzamento di terreno di ridotta estensione (mq. 3427) per la produzione di ortaggi ad uso personale, con la conseguenza che le ridotte dimensioni dell’opera abusiva, di mq. 42,28 e con un’altezza non superiore a tre metri, sono di per sé indicative del fatto che si tratti di un c.d. abuso minore;
3) infine il Tribunale ha errato nel ritenere non necessaria l’acquisizione del parere della commissione edilizia integrata nell’ambito del procedimento di condono edilizio in questione, in quanto se, come sia l’amministrazione che il giudice di primo grado hanno ritenuto di poter (erroneamente) affermare, fosse confermata l’esistenza di un contrasto delle opere realizzate con le disposizioni igienico sanitarie applicabili in quell’area, sarebbe contraddittorio immaginare la sussistenza di tale contrasto e non acquisire nel corso della procedura il parere della commissione edilizia integrata.
4. – Si è costituito nel presente giudizio di appello il Comune di Volpiano confermando la correttezza della sentenza di primo grado e contestando la fondatezza delle censure dedotte in grado di appello.
In particolare la difesa comunale ha ricordato, in sintesi, che:
1) l’immobile oggetto del provvedimento di diniego è costituito da una tettoia chiusa ad uso ricovero attrezzi agricoli realizzata ex novo in area agricola di PRGC;
2) detta area è soggetta a vincolo di inedificabilità assoluta, essendo individuata dal PRGC con la sigla “AAM”, vale a dire area protetta per la ricarica della falda acquifera e la captazione idropotabile;
3) a tale proposito, con riferimento alla destinazione urbanistica dell’area, l’art. 42 delle NTA di PRGC stabilisce che si tratta di “ area di rispetto delle prese dei pozzi dell’Acquedotto municipale di Torino (AAM) su cui non possono essere attuate trasformazioni del territorio in contrasto con le disposizioni igienico sanitarie vigenti in materia. ”;
4) la surriferita condizione di inedificabilità assoluta del suolo rende, quindi, irrilevante qualunque indagine sulle caratteristiche costruttive del nuovo manufatto realizzato in violazione del divieto, tenuto anche conto che l’art. 32, comma 27, lett. d), l. 326/2003 stabilisce che non siano, comunque, suscettibili di sanatoria le opere “ realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ”;
5) la natura vincolata del potere esercitato dall’amministrazione rende, comunque, ininfluente la mancata acquisizione del parere della CIE, anche tenendo conto della previsione recata dall’art. 21-octies, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241.
Da quanto sopra consegue, ad avviso dell’amministrazione appellata, la reiezione del gravame proposto.
5. – Le parti hanno presentato ulteriori memorie confermando le opposte conclusioni già anticipate negli atti processuali.
6. – Osserva il Collegio che, in seguito all’esame della documentazione depositata dalle parti non vi sono dubbi che:
- l’area in cui si trova l’opera oggetto di richiesta di condono edilizio sia vincolata e quindi inedificabile perché “ area di rispetto delle prese dei pozzi dell’Acquedotto municipale di Torino (AAM) ”;
- la costruzione oggetto di condono edilizio sia una “ nuova costruzione ad uso non residenziale ”.
7. - In punto di diritto va ricordato, in conformità all'indirizzo tracciato da Cons. Stato, Ad. pl., 23 aprile 2009 n. 4 (cfr., tra le ultime e nello stesso senso, Cons. Stato, Sez. IV, 18 settembre 2019 n.6221;Sez. VI, 3 dicembre 2018 n. 6855 e 14 aprile 2015 n. 1917), qui condiviso, che:
- gli ampliamenti di costruzioni esistenti, senza alcuna distinzione circa la loro destinazione d'uso, sono suscettibili di condono;
- infatti il legislatore del 2003, nel reiterare la normativa sul condono, ha inteso ridurne l'ambito di operatività oltre che per preservare varie tipologie di vincoli posti a tutela del territorio, anche con riferimento alla destinazione del manufatto, nell'obiettivo di bilanciare l'interesse al recupero della legalità violata con le imponenti ragioni di finanza pubblica emergenti;
- le tipologie di “abusi minori” come definite dall'art. 32, comma 25, d.l. 269/2003, convertito dalla l. 326/2003, non contemplano, tra le fattispecie di abuso sanabili, le “nuove costruzioni con destinazione non residenziale”;
- nella stessa formulazione della norma è insito per le nuove costruzioni abusive il limite della destinazione “residenziale”, laddove, ad un semplice raffronto con l'analoga disposizione di cui all'art. 39 l. 23 dicembre 1994, n. 724, balza evidente il requisito ulteriore e differente della residenzialità prescritto per le nuove costruzioni dalla norma del 2003 a differenza di quanto previsto nel 1994;
- da qui discende che la condonabilità delle opere con destinazione non residenziale deve intendersi limitata dalla normativa alle sole ipotesi di opere realizzate “in ampliamento” entro i limiti di cubatura ivi prescritti, proprio in quanto per tale ipotesi non v'è alcun discrimine con riferimento alla destinazione residenziale o non, a differenza di quanto avviene per le nuove costruzioni.
Sicché il fabbricato (ad uso ricovero attrezzi agricoli) realizzato ex novo dall’appellante, tenuto conto che non è mai stata posta in discussione nel presente giudizio la caratteristica dell’opera quale “nuova costruzione” ad uso “non residenziale”, non può ricondursi nell’alveo delle categorie di opere condonabili ai sensi del d.l. 269/2003, convertito dalla l. 326/2003.
8. – In secondo luogo va confermato che la costruzione abusiva in un'area soggetta a vincolo idrogeologico non può essere condonata.
Infatti, ai fini della sanatoria edilizia (cfr. Cons. Stato, Sez. I, 27 maggio 2016 n. 282, Sez. IV, 28 luglio 2005 n. 4013 e 5 luglio 2000 n. 3731) per un fabbricato realizzato nella fascia di rispetto trova, infatti, applicazione la normativa statale ex art. 33 l. 28 febbraio 1985, n. 47, nel quale è prescritto che “ non sono suscettibili di sanatoria quando siano in contrasto con i seguenti vincoli, qualora questi comportino inedificabilità e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse: a) vincoli imposti da leggi statali e regionali nonché dagli strumenti urbanistici a tutela di interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesistici, ambientali, idrogeologici (…) ”.
Chiarito che non è posta in dubbio, nel presente giudizio, la presenza del vincolo di inedificabilità nell’area in questione, essendo invece sostenuto che per la natura della costruzione (incidente solo sulla superficie del terreno e inidonea a raggiungere la falda acquifera che, normalmente, è rinvenibile ad una profondità non inferiore a tre metri dal suolo) quest’ultima non può recare danno o provocare inquinamento alla falsa acquifera e quindi deve considerarsi “insensibile” allo scopo del vincolo, va ancora ricordato che, con riferimento al c.d. condono del 2003, l’art. 32, comma 27, lett. d), d.l. n. 269/2003, esclude la sanabilità delle opere abusivamente realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti, prima della loro esecuzione, sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, senza che possano rinvenirsi nella norma eccezioni, per così dire, sostanzialistiche o funzionali allo scopo del vincolo di protezione, rispetto all’applicazione della norma impeditiva il condono.
9. - Da ultimo va segnalato che il parere della commissione edilizia non era necessario, siccome il rigetto non è stato basato su valutazioni tecniche, bensì giuridiche (cfr., in argomento, Cons. Stato, Sez. II, 3 febbraio 2020 n. 866).
Va pure precisato che la specialità del procedimento di condono edilizio rispetto all’ordinario procedimento di rilascio della concessione ad edificare e l'assenza di una specifica previsione in ordine alla necessità dei pareri medesimi rendono non obbligatoria la previa acquisizione del parere della Commissione edilizia e della Commissione edilizia integrata, ma tutt’al più facoltativa, al fine di acquisire eventuali informazioni e valutazioni con riguardo a particolari e sporadici casi incerti e complessi, in assenza dei quali il rilascio della concessione in sanatoria è subordinato soltanto alla verifica dei presupposti e delle condizioni espressamente e chiaramente fissati dal legislatore (cfr., tra le molte, Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 2019 n. 1757).
Nella specie, la circostanza dell’essere il diniego di condono gravato sufficientemente motivato con riferimento all’irregolarità urbanistica del bene, in applicazione delle inequivoche disposizioni di piano e senza la necessità di procedere a valutazioni tecniche, accompagnato dalla esclusione del tipo di opera dalla categorie di quelle condonabili per effetto del d.l. 269/2003, legittimava l'amministrazione procedente a non acquisire il parere delle suddette commissioni.
10. - Ritenuti quindi infondati i motivi dedotti in grado di appello, il relativo gravame (n. R.g. 9799/2014) va respinto potendosi, per l’effetto, confermare la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, Sez. II, 29 agosto 2014 n. 1434, con conseguente conferma della reiezione del ricorso di primo grado (R.g. n. 569/2008).
Le spese del giudizio di secondo grado seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a., liquidandosi a carico del signor M O e a favore del Comune di Volpiano, nella misura complessiva di € 2.000,00 (euro duemila/00) oltre accessori come per legge.