Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2022-09-07, n. 202207804
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Pubblicato il 07/09/2022
N. 07804/2022REG.PROV.COLL.
N. 03115/2022 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3115 del 2022, proposto dall’avvocato A S, rappresentato e difeso in proprio nonché dagli avvocati F V e F L, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di Sant'Antimo, in persona del sindaco
pro
tempore, non costituito in giudizio;
nei confronti
della società Apollo s.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentata e difesa dagli avvocati G C, D L, F S e J P, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio Lipani Catricalà &Partners, sito in Roma, via Vittoria Colonna n. 40;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 1260 del 24 febbraio 2022, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società Apollo s.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2022 il consigliere Claudio Tucciarelli e uditi per le parti gli avvocati F V, A S, G C e J P.
FATTO e DIRITTO
1. Il ricorrente in primo grado, proprietario confinante con il compendio immobiliare della società Apollo s.r.l., che sta procedendo alla demolizione e ricostruzione di edificio residenziale avvalendosi della normativa sulle aree degradate sulla base di convenzione stipulata con il Comune, ha proposto ricorso al T.a.r. per la Campania per l'annullamento: del permesso di costruire n. 100/2019 del 18 luglio 2019 rilasciato dal responsabile del VII Settore urbanistica/edilizia privata del Comune di Sant'Antimo alla Apollo s.n.c. di N F e V P (poi Apollo s.r.l.) per “sostituzione edilizia ai sensi dell'art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009”, consistente nella demolizione di un opificio dismesso ( ex conceria) posto in via Garibaldi n. 25 e nella realizzazione di un nuovo edificio residenziale di n. 24 unità abitative su quattro piani fuori terra dell'altezza di 12,40 m. (8.583 mc.) e un piano interrato con 32 box auto;b) di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale, tra cui la relazione “istruttoria favorevole del 15 marzo 2019 prot. n. 7873 e successivo aggiornamento del 23 maggio 2018 prot. n. 14849”, la convenzione del 21 giugno 2019 e l'atto di sua modifica del 1° ottobre 2019, e tutti gli atti dell'istruttoria, i pareri e le relazioni istruttorie acquisiti;per la declaratoria di nullità, inefficacia e decadenza del permesso di costruire n. 100/2019 del 18 luglio 2019 e della segnalazione certificata di inizio attività (S.C.I.A.) in variante al permesso di costruire n. 100/2019, presentata nel dicembre 2019 al Comune dalla Apollo s.n.c. di N F e V P per modifiche al piano interrato, al piano terra e ai piani superiori;per la declaratoria di nullità e inefficacia della convenzione urbanistica per intervento ai sensi dell'art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009, stipulata in data 21 giugno 2019, e dell'atto di sua modifica del 1° ottobre 2019.
2. Con il ricorso in primo grado sono state mosse le seguenti censure agli atti impugnati.
2.1. Violazione dell’art. 2, comma 1, lettera a), e dell’art. 7, comma 5, l.r. n. 19/2009;dell’art. 5, comma 9, del d.l. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011;dell’art. 24 della l.r. n. 16/2004;dell’art. 14 del d.P.R. n. 380/2001;incompetenza del responsabile comunale e competenza del Consiglio comunale;violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990;eccesso di potere per difetto di istruttoria e inesistenza dei presupposti.
In particolare, non sarebbero soddisfatti i presupposti per l’intervento in un’area urbana degradata, al fine di recuperare immobili dismessi o edifici a destinazione non residenziale dismessi. L’intervento non riguarderebbe infatti un’area urbana degradata e, quindi, nella specie difetterebbe il presupposto di fatto e di diritto previsto dall’art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009.
2.2. Violazione dell’art. 5, comma 9, del d.l. n. 70/2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 106/2011 e del D.M. n. 1444/1968;violazione dell’art. 14 disp. prel. c.c. e dell’art. 3 della legge n. 241/1990;eccesso di potere per difetto di istruttoria e inesistenza dei presupposti.
In particolare, l’art. 5, comma 9, del decreto-legge n. 70/2011 ha previsto che le Regioni possano approvare specifiche leggi al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate. Nel caso di specie, il Comune avrebbe dovuto escludere la compatibilità e complementarietà dell’uso residenziale, tenuto conto delle previsioni contenute nel D.M. n. 1444/1968 e nel P.R.G. per la zona “H – verde pubblico attrezzato” nella quale è allocato il complesso immobiliare di cui si controverte, che non consentirebbero l’edilizia abitativa privata.
2.3. Violazione dell’art. 7, commi 1 e 5, della l.r. n. 19/2009 e dell’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per inesistenza dei presupposti e illogicità.
In particolare, l’intervento in questione ha riguardato un complesso produttivo originariamente realizzato su un più ampio lotto, costituito non dal solo opificio ma anche dalla palazzina uffici per cui, ai fini dell’applicazione dell’art. 7 il progetto avrebbe dovuto interessare l’intero complesso immobiliare
2.4. Violazione dell’art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009, dell’art. 5, comma 9, del d.l. n. 70/2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106/2011, dell’art. 24 della l.r. n. 16/2004 e dell’art. 14 del d.P.R. n. 380/2001, incompetenza del responsabile comunale e competenza del Consiglio comunale, violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria ed inesistenza dei presupposti.
In particolare, non sarebbe stata osservata la prescritta procedura di variante o comunque quella per il rilascio di permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali, che impone la previa deliberazione del consiglio comunale.
2.5. Violazione dell’art. 3, comma 1, lettera a), dell’art. 12- bis , comma 1, e dell’art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009, violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria per inesistenza, travisamento, erroneità dei presupposti.
In particolare, sia l’opificio sia la palazzina sarebbero stati realizzati in difformità dalla licenza edilizia n. 1236/63 e interessati da interventi abusivi, per cui sarebbero mancati i presupposti per l’intervento attuale. Risulterebbero agli atti prove che l’epoca di realizzazione degli abusi edilizi è sicuramente successiva alla data del 31 agosto1967.
Il responsabile del VII Settore avrebbe avuto il dovere di avviare una ben più approfondita istruttoria.
Andrebbe inoltre accertata l’invalidità, inefficacia e decadenza del permesso n. 100/2019, per mancata osservanza della prescrizione n. 19) a esso specificamente apposta, concernente la corrispondenza a verità di quanto dichiarato.
2.6. Violazione dell’art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009 e dell’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per inesistenza dei presupposti.
Mancherebbe il presupposto della “sostituzione edilizia”, costituito dalla “parità di volumetrie esistenti”, da intendersi come volumetrie legittimamente esistenti.
2.7. Violazione dell’art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009, del D.M. n. 1444/1968 e dell’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per travisamento dei presupposti e sproporzione.
In particolare, non sarebbero stati rispettati gli standard urbanistici di cui al D.M. n. 1444/1968.
2.8. Violazione dell’art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009 e dell’art. 8 del D.M. n. 1444/1968.
Sarebbero violati i limiti di altezza di m. 10.
2.9. Violazione dell’art. 7, comma 5, della l.r. n. 19/2009, dell’art. 28-bis del d.P.R. n. 380/2001, dell’art. 10, comma 6, della legge n. 80/2014, del D.M. 2/4/2008 e dell’art. 19 della l.r. n. 19/1997, incompetenza del responsabile comunale e competenza del Consiglio comunale, eccesso di potere per contraddittorietà con la delibera di g.r. Campania n. 356 dell’8 agosto 2014, difetto di istruttoria, inesistenza dei presupposti.
Sarebbero state disattese, con convenzione del 1° ottobre 2019, per di più senza la necessaria approvazione del Consiglio comunale, le finalità e gli obiettivi normativamente previsti di riqualificazione delle aree urbane degradate, riduzione del disagio abitativo e integrazione sociale, il tutto anche senza pretendere alcuna garanzia.
2.10. Violazione degli artt. 16, 18 e 46 del d.lgs. n. 285/1992 e dell’art. 7 del regolamento comunale per il rilascio delle autorizzazioni per la realizzazione di accessi e passi carrabili;violazione dell’art. 3 della legge n. 241/1990, eccesso di potere per difetto di istruttoria e inesistenza dei presupposti.
E’ contestata l’apertura di un varco carrabile, in violazione delle disposizioni secondo cui i passi carrabili sono autorizzabili purché vi sia una distanza dalle intersezioni di almeno 8 metri.
2.11. Illegittimità derivata e inefficacia della S.C.I.A. del dicembre 2019.
Dall’annullamento del permesso di costruire n. 100 del 2019 dovrebbe derivare la inefficacia della S.C.I.A. del dicembre 2019, in variante al permesso di costruire n. 100/2019.
3. La società controinteressata si è costituita in primo grado, eccependo l’irricevibilità del ricorso in quanto, alla data di inizio lavori, era stato regolarmente affisso, come previsto dalle disposizioni di legge, all’esterno del cantiere, il cartello dei lavori in cui era stato indicato il numero e la data di rilascio del permesso di costruire, il rendering dell’erigendo edificio, la ditta esecutrice dei lavori, il direttore dei lavori, la data di comunicazione al Comune di inizio lavori. A quella data, lo stesso titolo edilizio sarebbe stato presente nell’albo pretorio on line del Comune di Sant’Antimo, visitabile da qualunque cittadino. Contemporaneamente all’affissione del cartello, sarebbero iniziati imponenti lavori di demolizione dell’edificio preesistente. Nel merito, la società ha chiesto il rigetto del ricorso perché infondato.
4. L’istanza cautelare di parte ricorrente è stata respinta dal T.a.r. Campania con ordinanza n. 1223 del 2021.
In sede di appello cautelare, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5149 del 20 settembre 2021, ha accolto l’appello di parte ricorrente e ha disposto la sospensione cautelare degli atti impugnati.
5. La sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione seconda, n. 1260 del 24 febbraio 2022 ha rilevato che è rimasto incontestato che la società controinteressata avesse esposto il cartello recante gli estremi del permesso di costruire, il rendering dell’erigendo edificio, che esso fosse visibile, che la presenza del cantiere avrebbe dovuto indurre l’interessato ad attivarsi, che nella zona in questione alcuna attività edilizia poteva essere realizzata sul fondo di proprietà della società Apollo e che dal cronoprogramma dei lavori emergeva la data da cui erano stati avviati ed erano percepibili i lavori di ricostruzione. La sentenza ha inoltre annotato che, sin dal 2015, il ricorrente era a conoscenza dell’attività edilizia che intendeva realizzare la società Apollo, come emerge dall’esposto dallo stesso all’epoca presentato. Il ricorso invece è stato notificato solo il 1° giugno 2021.
La sentenza ha quindi dichiarato irricevibile il ricorso, in quanto tardivamente proposto, e ha compensato le spese di giudizio.
6. Il ricorrente ha quindi interposto appello, con istanza cautelare, avverso la sentenza del T.a.r., contestando gli argomenti utilizzati dalla impugnata sentenza in favore della irricevibilità del ricorso e le conseguenti deduzioni tratte dal T.a.r. con riguardo: a) all’esposizione del cartello di cantiere, recante gli estremi del permesso di costruire;b) alla pretesa conoscenza dell’esistenza dell’atto e degli effetti;c) alla vicinitas e alla potenzialità della conoscenza dell’atto e dell’entità delle opere assentite;d) all’asserita inedificabilità dell’area e conseguente potenziale conoscenza della lesività dell’atto ampliativo al solo inizio dei lavori.
L’appello ripropone poi gli undici motivi già proposti in primo grado.
7. Si è costituita nel giudizio di appello la Apollo s.r.l.
8. All’udienza del 5 maggio 2022 per la trattazione della domanda cautelare, anche su accordo delle parti, è stato disposto il rinvio alla trattazione del merito nell’udienza del 23 giugno 2022.
9. L’appellante ha poi depositato, il 13 maggio 2022, perizia tecnica che illustra lo stato dei luoghi ed esclude che l’area in questione costituisca area degradata.
10. La società ha eccepito l’inammissibilità della produzione in secondo grado di nuova perizia tecnica.
11. All’udienza pubblica del 23 giugno 2022, la causa è stata trattenuta in decisione, senza che alcuna delle parti abbia insistito per l’esame dell’incidente cautelare.
12. L’appello va respinto in quanto gli argomenti svolti dalla sentenza del T.a.r. impugnata sono esenti dalle censure mosse loro dall’appello.
Va considerato infatti che, nella controversia in esame:
- risulta dagli atti di causa, ed è rimasto incontestato, che la società controinteressata avesse esposto il cartello recante gli estremi del permesso di costruire, il rendering dell’erigendo edificio;
- la sola presenza dello stesso cartello, al di là della agevole leggibilità o meno di quanto in esso riportato, avrebbe dovuto indurre il ricorrente ad attivarsi tempestivamente al fine di verificare l’esistenza ed il contenuto di un eventuale titolo edilizio rilasciato dal Comune alla società Apollo;
- la presenza di un cartello di cantiere, in concomitanza del contestuale avvio dei lavori, onera chi intende contestare un titolo edilizio di esercitare sollecitamente l’accesso documentale, atteso che la richiesta di accesso non è idonea ex se a far differire i termini di proposizione del ricorso;
- dal cronoprogramma in atti, che non è contestato da parte ricorrente, emerge che le opere di demolizione sono iniziate in data 2 febbraio 2021 e che in data 17 marzo 2021 era iniziato il tracciamento e la perforazione e getto di n. 10 pali;
- sin dal 2015 l’appellante era a conoscenza dell’attività edilizia che intendeva realizzare la società Apollo, come emerge dall’esposto dallo stesso all’epoca presentato per la revoca o l’annullamento del permesso di costruire n. 28/2013 del 29 giugno 2015, cui replicò a suo tempo il Comune (nota n. 38054 del 29 ottobre 2015), riportando ampi stralci dell’esposto in cui erano elencati asseriti vizi corrispondenti a quelli oggetto del ricorso al T.a.r., prima, e, ora, dell’appello: l’'opificio industriale di cui si chiedeva la demolizione e ricostruzione non ricadrebbe in area urbana degradata;esso risulterebbe costruito in zona H (verde pubblico attrezzato;destinazione successiva alla costruzione) nella quale non sono possibili costruzioni di alcun tipo;sarebbe stata autorizzata un'altezza dei nuovi fabbricati non prevista da alcuno strumento urbanistico e in violazione dell'art.8 del D.M. n. 1444/1968;il permesso di costruire non rispetterebbe gli inderogabili standard urbanistici del D.M. n. 1444/1968;sarebbe stato necessario, vista la consistenza del progetto, acquisire bilanci, stato patrimoniale e denunzie dei redditi della società;il permesso di costruire non avrebbe potuto essere rilasciato perché condizione indispensabile per poter usufruire del piano casa è che d'immobile da demolire non risulti costruito in, assenza o in difformità del titolo abilitativo.
Il Collegio ritiene che le censure dell’appellante avverso la dichiarazione di irricevibilità del suo ricorso da parte della sentenza impugnata non siano in grado di scalfirne l’impianto.
E infatti, per giurisprudenza consolidata, cui il Collegio aderisce, il termine per impugnare i provvedimenti autorizzativi di interventi edilizi decorre dal momento in cui “le opere realizzate rivelano, in modo certo ed univoco, le loro caratteristiche e, quindi, l'entità delle violazioni urbanistiche e della lesione eventualmente derivante dal provvedimento” (ex multis Cons. Stato, sez. IV, n. 5607 del 2022;n. 245 del 2018;sez. IV, n. 5125 del 2016).
Ne deriva che chi si ritenga leso da un provvedimento che ha autorizzato un intervento edilizio deve impugnare il relativo provvedimento entro il termine di legge, che decorre dal momento in cui è in grado di percepire la lesività dello stesso.
Va infatti ribadito che su chi vanta un interesse legittimo alla rimozione del titolo abilitativo incombono inevitabilmente oneri di diligenza ai fini delle eventuali iniziative giudiziarie che si vogliano intraprendere. Altrimenti, tale interesse si rivelerebbe dotato di una tutela irragionevolmente maggiore rispetto al corrispondente interesse allo sfruttamento del titolo edilizio.
Tale onere di diligenza comporta – come ha rilevato anche il primo giudice – che i soggetti che si ritengano lesi dall’avvio di un cantiere in un’area limitrofa alle loro proprietà si debbano attivare con sollecitudine per accertare le proprie ragioni, non potendosi procrastinare sine die l’accesso agli atti (finalizzato ad avere la piena conoscenza della tipologia dell’intervento edilizio) e così produrre un prolungamento del termine d’impugnazione del titolo abilitativo, con una connessa condizione protratta d’incertezza sulla legittimità del provvedimento amministrativo (v. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 5607 del 2022).
Infatti “se ha un senso l’attesa, da parte del terzo, del completamento dell’opera quando questi non sia in condizione, in un precedente stadio d’avanzamento, di apprezzare l’illegittimità del titolo abilitante, se lo stato di avanzamento dei lavori sia già tale da indurre il sospetto di una possibile violazione della normativa urbanistica, il ricorrente ha l’onere di documentarsi in ordine alle previsioni progettuali, al fine di verificare la sussistenza di un vizio del titolo ed inibire l’ulteriore attività realizzativa. Non può, quindi, limitarsi ad attendere il completamento dell’opera omettendo di esercitare il diritto di accesso. Nel sistema delle tutele, il diritto di accesso e le modalità del suo esercizio, in mancanza di una completa ed esaustiva conoscenza del provvedimento, costituiscono fattori che, così come il completamento dei lavori e il tipo dei vizi deducibili in relazione a tale completamento, concorrono ad individuare, con riferimento al caso concreto, il punto di equilibrio tra i principi di effettività e satisfattività da una parte, e quelli di certezza delle situazioni giuridiche e legittimo affidamento dall’altra. Infatti, il principio di trasparenza, sostanzia e rende effettiva la tutela del terzo attraverso il diritto alla piena conoscenza della documentazione amministrativa, ma tale diritto rimane uno strumento che il terzo ha l’onere di attivare non appena abbia contezza od anche il ragionevole sospetto che l’attività materiale pregiudizievole, che si compie sotto i suoi occhi, sia sorretta da un titolo amministrativo abilitante, non conosciuto o non conosciuto sufficientemente” (così, ex multis , Consiglio di Stato, sez. II, n. 2011/2020).
Nel caso di specie, sussisteva, come si è visto, una serie di indici univoci da cui l’appellante avrebbe dovuto e potuto dedurre la sussistenza di un provvedimento in ipotesi lesivo della propria sfera giuridica.
La “conoscenza piena” dei provvedimenti riguardanti l’attività edilizia posta in essere da soggetti terzi ai fini del computo del termine della proposizione del ricorso non può essere scambiata con la conoscenza integrale del provvedimento. E’ invece sufficiente la percezione dell’esistenza dello stesso e degli aspetti che ne rendono evidente la lesività della propria sfera giuridica, in modo da concretizzare l’attualità dell’interesse ad agire (cfr. Cons. Stato, sez. II, 26 giugno 2019, n. 4390;Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2018, n. 3075;nonché id. 22 gennaio 2019, n. 534).
E’ peraltro da condividere quanto sostenuto dalla sentenza impugnata del T.a.r. circa la variabilità dei contesti, da cui scaturiscono diverse condizioni in cui può considerarsi perfezionata la percezione della lesività del titolo edilizio rilasciato o assentito a terzi. Tale elemento può infatti variare a seconda della natura dell’opera, dello stato di avanzamento dei lavori o della loro anche astratta assentibilità, esclusa, ad esempio, in zona a inedificabilità assoluta, in relazione alla quale perfino l’inizio dei lavori può rivelarsi sufficiente allo scopo (cfr., ex multis , Cons. Stato, sez. II, n. 8335 del 2020;sez. IV, n. 7966 del 2019;sez. IV, n. 5754 del 2017;sez. VI, n. 4830 del 2017;sez. IV, n. 4701 del 2016;sez. IV, n. 1135 del 2016;sez. IV, n. 4910 e n. 4909 del 2015;sez. IV, n. 6337 del 2014;sez. V, n. 2107 del 2013;sez. VI, n. 2209 del 2012).
In questa prospettiva, la vicinitas rispetto all’area e alle opere edilizie contestate non investe solamente l’interesse ad agire ma costituisce ulteriore indizio che l’interessato abbia potuto avere più agevolmente conoscenza della consistenza dei lavori prima ancora della conclusione dei medesimi.
Nel caso di specie, il ricorrente, residente nei pressi dell’area dell’intervento contestato, sostiene che nessuna attività edilizia poteva essere realizzata sul fondo di proprietà della società Apollo, insistente su zona classificata come “H” dal P.R.G. in cui non sarebbe stato consentito alcun intervento edilizio. Ciò consolida ulteriormente la conclusione che già l’avvio dei lavori era idoneo a fare percepire all’appellante la lesività del permesso impugnato.
Anche a considerare la sola fase ricostruttiva, dal cronoprogramma in atti, non contestato da parte ricorrente, risulta che le opere di demolizione sono iniziate in data 2 febbraio 2021 e che in data 17 marzo 2021 era iniziato il tracciamento e la perforazione e getto di n. 10 pali prospetto nord;in data 18 marzo 2021 la trivellazione di n. 27 pali prospetto nord e getto di n. 24 pali;in data 19 marzo 2021 la trivellazione di n. 26 pali e getto di n. 29 pali e così via sino al 26 marzo 2021.
Ne deriva che l’avvio di lavori di ricostruzione era sicuramente percepibile per lo meno sin da questa data, mentre il ricorso è stato notificato solo il 1° giugno 2021.
In definitiva, una volta enucleato e ribadito il principio secondo cui chi intende contestare un intervento edilizio ha il preciso onere di attivarsi tempestivamente, secondo i canoni di diligenza e di buona fede in senso oggettivo, senza potere differire per fatto a sé imputabile l’impugnativa del titolo edilizio, se ne deve trarre il corollario, riguardo al caso in esame, che gli oneri di diligenza non sono stati osservati mentre – come riportato puntualmente dalla sentenza impugnata – sussistevano plurimi e inequivoci elementi probatori da cui era possibile desumere la portata dell’intervento contestato dagli appellanti. Conseguentemente è stata dichiarata l’irricevibilità del ricorso, che qui va confermata.
13. In conclusione, per le suindicate ragioni l’appello va respinto. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo.