Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-02-02, n. 201200587

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2012-02-02, n. 201200587
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 201200587
Data del deposito : 2 febbraio 2012
Fonte ufficiale :

Testo completo

N. 07930/2010 REG.RIC.

N. 00587/2012REG.PROV.COLL.

N. 07930/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7930 del 2010, proposto dai signori F C e G C, rappresentati e difesi dall'avvocato A B, con domicilio eletto presso lo stesso difensore in Roma, via Taranto, 18;

contro

Il Ministero per i beni e le attività culturali, la Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno Avellino e Benevento, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
il Comune di Ascea, Responsabile del Settore Tecnico del Comune di Ascea, non costituito;

per la REVOCAZIONE

della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. VI n. 2142/2010, resa tra le parti, concernente ESERCIZIO DIRITTO DI PRELAZIONE SU IMMOBILE DI INTERESSE ARCHEOLOGICO


Visti il ricorso per revocazione e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attivita' culturali e della Soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino e Benevento;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2011 il consigliere di Stato G C S e uditi per le parti l’avvocato Brancaccio e l'avvocato dello Stato Marone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. I signori Francesco e G C impugnano per revocazione la sentenza di questo Consiglio di Stato 15 aprile 2010, n. 2142, che ha respinto il ricorso in appello (RG n. 2142/10) proposto per la riforma della sentenza del Tar della Campania, sede di Salerno, n.1608/08, di reiezione dell’impugnativa originaria, rivolta contro il decreto di prelazione – emesso in data 20 dicembre 1996 - sull’immobile sito in località Vignali del Comune di Ascea (particelle nn. 7 e 23 del fg. 11, partita 4123), già sottoposto al vincolo archeologico.

Assumono i ricorrenti che ricorrerebbe nel caso di specie il vizio revocatorio dell’errore di fatto di cui all’art. 395, n. 4, cpc, in quanto, nell’esaminare tre distinti motivi d’appello, questo Consiglio sarebbe incorso in altrettanti errori di fatto che ne avrebbero condizionato la decisione.

Tali errori sarebbero in particolare consistiti:

a) nel ritenere che il signor F C abbia ricevuto la comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’esercizio del diritto di prelazione sul bene;

b) nel ritenere applicabile alla fattispecie il d.m. 165/2002 anziché, ratione temporis , il d.m. 495/94 in tema di oneri formali applicabili ai procedimenti di competenza del Ministero dei beni culturali;
c) nell’omessa pronuncia sui motivi nn. IV e V del ricorso in appello.

Sulla base di tali premesse fattuali i ricorrenti concludono per l’accoglimento del ricorso per revocazione e, con esso, dell’appello definito con la sentenza impugnata e ancora, in via consequenziale, per l’accoglimento, in riforma integrale della sentenza del Tar, del ricorso di primo grado.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i beni e le attività culturali per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.

All’udienza del 20 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

2. Osserva il Collegio che il ricorso per revocazione in esame si appalesa in parte inammissibile ed in parte infondato.

Giova premettere che l’errore di fatto revocatorio legittimante, ai sensi dell’art. 106 del cod. proc. amm. e dell’art. 395 n. 4) del cod. proc. amm., l’applicazione del rimedio straordinario della revocazione di una sentenza, ricorre esclusivamente quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente accertata, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ha pronunciato (cfr. Consiglio di Stato del 14 gennaio 2010, n. 4011;
del 7 settembre 2010, n. 5230;
del 6 luglio 2010, n. 4305;
nonché Consiglio di Stato, ad. plen., 17 maggio 2010 n. 2).

La giurisprudenza ha più volte chiarito che l’errore che consente di rimettere in discussione il decisum con il rimedio straordinario della revocazione non è quello che coinvolge l’attività valutativa dell’organo decidente, ma piuttosto quello volto ad eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, errore derivante da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio. Deve trattarsi quindi di una svista, obiettivamente ed immediatamente rilevabile, che non può coincidere con un capo decisorio (ancorchè, in tesi, errato o non condivisibile) su un punto controverso sul quale abbia espressamente pronunciato la sentenza impugnata per revocazione.

3. Alla luce dei rilievi che precedono, il Collegio osserva che il primo motivo del ricorso per revocazione in esame è sicuramente inammissibile.

Con lo stesso infatti si tenta di provocare un nuovo giudizio su una questione di diritto già decisa con la sentenza impugnata, in relazione al dedotto vizio di omessa comunicazione di avvio del procedimento di esercizio della prelazione da parte dell’Autorità soprintendentizia.

Il ricorrente afferma che la disciplina applicabile ratione temporis sarebbe diversa d.m. 495/94) da quella ritenuta applicabile dal giudice (d.m. 165/02), ma in tal modo non fa altro che sollecitare, inammissibilmente, il riesercizio della potestas decidendi su una questione controversa sulla quale la sentenza impugnata si è già espressamente pronunciata, avendo affermando essa il principio che nei procedimenti ad istanza di parte (quale appunto quello che prende le mosse dalla denuntiatio dell’atto sottoposto a prelazione legale) non è prevista la comunicazione di avvio del procedimento (quale che sia la disciplina normativa applicabile ratione temporis).

Peraltro la questione riproposta, sulla quale si è già pronunciata la sentenza impugnata, non riguarda all’evidenza un errore di fatto, ma attiene a profili interpretativi che riguardano l’istituto partecipativo nei procedimenti ad istanza di parte di competenza del Ministero per i beni e le attività.

In definitiva si tratta di una questione di diritto e non di fatto, onde ricorre altra ragione per ritenere la inammissibilità della censura;
che si aggiunge a quella, di per sé assorbente, dall’essere stato, quello impugnato per preteso errore revocatorio, un punto controverso sul quale la sentenza si è espressamente soffermata con esauriente ancorchè succinta motivazione.

Peraltro, la censura come riproposta è anche infondata, poiché:

- gli atti di alienazione, posti in essere con atti notarili del 1981 e del 1994, non furono a suo tempo comunicati al Ministero, che ne ha avuto notizia a seguito della denuncia posta in essere nel corso del 1996 e trasmessa alla Soprintendenza di Salerno;

- il procedimento di prelazione – sia pure tardivamente - è stato attivato dagli interessati, sicché, pur valutando il quadro normativo vigente quando è stato emesso il decreto di prelazione (e le disposizioni del regolamento n. 495 del 1994), non può che rilevarsi l’insussistenza dell’obbligo di avvertire gli interessanti della pendenza del procedimento da loro stessi attivato e destinato a concludersi entro il termine massimo legale di due mesi.

4. Con distinti motivi il ricorrente si duole del fatto che la impugnata sentenza sarebbe viziata da omessa pronuncia sui motivi quarto e quinto del ricorso in appello.

L'omessa pronuncia su una censura sollevata dalla parte è effettivamente riconducibile all'errore di fatto idoneo a fondare il giudizio revocatorio ogni qualvolta essa risulti evidente dalla lettura della sentenza e sia chiaro che in nessun modo il giudice abbia preso in esame la censura medesima ( fra le tante, Consiglio Stato , sez. VI, 04 settembre 2007 , n. 4629).

Nel caso di specie, osserva la Sezione che l’omissione di pronuncia sussiste, in quanto nella impugnata sentenza non risulta una decisione espressa sui suddetti motivi di appello (quarto e quinto), che riguardavano in particolare il difetto di motivazione del provvedimento con il quale è stata esercitata la prelazione da parte del Ministero dei beni culturali, nonché la erroneità della decisione del Tar di ritenere improcedibili per difetto di interesse i ricorsi proposti avverso i dinieghi adottati dalle competenti autorità sugli interventi edilizi a carattere straordinario (per ritenuta estraneità oggettuale degli stessi rispetto alla perimetrazione del vincolo archeologico).

5. Si devono pertanto esaminare i motivi non esaminati dalla sentenza n. 2142 del 2010.

Ritiene il Collegio che tali motivi d’appello risultano infondati e vanno pertanto disattesi in esito al giudizio rescissorio.

5.1. Quanto alla dedotta carenza motivazionale del decreto di esercizio della prelazione, va osservato che la stessa in concreto è insussistente, posto che il decreto individua chiaramente i presupposti per l’esercizio della prelazione, compendiandoli nell’esigenza di preservare il complesso monumentale dell’antica città di Velia anche in vista della realizzazione di un parco archeologico.

La prelazione del resto risulta esercitata su particelle di terreno già dichiarate di importante interesse archeologico con decreto ministeriale del 28 luglio 1975 (talvolta erroneamente riferito all’anno 1995 in alcuni atti del giudizio), in quanto facenti parte di un più ampio complesso monumentale di indubbio interesse culturale;
di qui l’evidenza delle ragioni sottese all’esercizio della prelazione anche in vista di una migliore fruizione pubblica del bene e della complessiva organizzazione dell’importante parco archeologico.

6. Venendo alla censura afferente la declaratoria di improcedibilità, per difetto di interesse, dei ricorsi avverso i denegati titoli edilizi relativi ad interventi di ristrutturazione di un fabbricato rurale insistente sui terreni oggetto di prelazione (in ordine alla quale i ricorrenti in revocazione lamentano ancora l’omessa pronuncia nell’ambito della sentenza in questa sede impugnata), il Collegio ne rileva la infondatezza nel merito.

Appare incontestato in fatto che, quantomeno in parte qua , il fabbricato rurale ricade nell’ambito della particella n. 8 del foglio 11, e cioè di una particella di terreno sulla quale il Ministero ha legittimamente esercitato la prelazione, divenendone pertanto proprietario.

Ciò è sufficiente a ritenere corretta la decisione dei giudici di primo grado di improcedibilità dei ricorsi prodotti avverso i provvedimenti edilizi negativi, posto che l’avocazione alla mano pubblica dell’area di sedime sulla quale (almeno in parte) insiste il fabbricato da ristrutturare è di sicuro ostacolo alla realizzazione del proposto intervento edilizio (quantomeno nei termini inizialmente previsti).

Pertanto, va confermata la statuizione con cui il TAR ha dichiarato improcedibili le censure rivolte contro il diniego autorizzazione manutenzione straordinaria (emesso l’11 marzo 2005) e contro la comunicazione parere commissione edilizia su pratica per lavori manutenzione straordinaria (n. 5346 del 21 aprile 2005).

Peraltro, è altresì infondata la censura formulata nell’atto d’appello (secondo cui vi sarebbe stata l’usucapione speciale di fondi rustici ai sensi dell’art. 1159 bis, a seguito della stipula dei rogiti notarili di alienazione), poiché - in base alla legge n. 1089 del 1939 sul potere statale di prelazione (rilevante ratione temporis nel rpesente giudizio), come trasfusa dapprima nel testo unico n. 490 del 1999 e poi nel Codice n. 42 del 2004 – il mancato rispetto delle disposizioni sulla comunicazione allo Stato degli atti di alienazione determina l’inefficacia di questi e il divieto di consegna del bene all’apparente acquirente, con l’assoluta preclusione di poter ravvisare l’usucapione a favore di chi abbia acquisito il possesso del bene (cfr. Cass., 7 aprile 1992, n. 4260).

7. In definitiva, il ricorso per revocazione in esame va in parte dichiarato inammissibile ed in parte risulta ammissibile sotto il profilo rescindente, con reiezione – in fase rescissoria – delle censure non esaminate dalla sentenza della Sezione n.2142 del 2010.

Le spese di lite del presente giudizio di revocazione – in misura contenuta, in considerazione della sua parziale ammissibilità - seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

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