Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 2022-12-14, n. 202210961
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Pubblicato il 14/12/2022
N. 10961/2022REG.PROV.COLL.
N. 06811/2016 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6811 del 2016, proposto da:
A A, M C, R M M, M G C, M C, rappresentati e difesi dall’avvocato E G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Cnisello Balsamo, in persona del Sindaco
pro tempore
, non costituito in giudizio;
per la riforma:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) n. 00965/2016, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 dicembre 2022 il Consigliere Lorenzo Cordì e lette le conclusioni rassegnate da parte appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Gli appellanti indicati in epigrafe impugnano la sentenza n. 965/2016 con la quale il T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano (Sezione Seconda) respinge il ricorso da loro proposto per:
i ) l’accertamento della non debenza di alcuna somma per contributo di concessione (per intervenuta prescrizione) e dell’intervenuta formazione del silenzio-assenso ex art. 35, comma 18, della legge n. 47 del 1985 sulla relativa istanza di condono presentata;
ii ) l’annullamento dei provvedimenti dirigenziali del 16.11.2011 (prot. n. 20003 e n. 20009), con i quali si respinge l’istanza di condono edilizio per la realizzazione di opere (mutamento di destinazione d’uso da residenza ad ufficio) eseguite sull’immobile ubicato in Cnisello Balsamo, via Libertà, n. 20, con conseguente condanna del Comune al rilascio formale del titolo edilizio.
2. In punto di fatto si osserva che, con atto di compravendita del 16 ottobre 1985, i sigg. Arnaboldi A, Breggion Flavia, Cocia G e Moretti Romana Maria acquistavano, dalla medesima parte venditrice (Gve s.p.a.), i seguenti diritti su beni immobili situati nel Comune di Cnisello Balsamo, tutti facenti parte di un medesimo fabbricato. I Signori Arnaboldi A e Cocia G acquistavano in comunione (con quota pari al 50 per cento ciascuno) il diritto di nuda proprietà su una porzione di fabbricato composta da cinque locali, identificata catastalmente al foglio 29, mappale 346, sub . 67 (unità int. 21-22-23/A). Il sig. Arnaboldi A acquistava, inoltre, il diritto di proprietà su altra porzione di fabbricato composta da due locali, identificata catastalmente al foglio 29, mappale 346, sub . 80 (unità int. 50). Le Signore R M M (coniuge del sig. Cocia G) e F B (coniuge del sig. Arnaboldi A) acquistavano in comunione (con quota pari al 50 per cento ciascuna) il diritto di usufrutto sulla porzione di immobile identificata catastalmente al foglio 29, mappale 346, sub . 67 (si tratta dell’unità 21-22-23/B di cui i sigg. Arnaboldi A e Cocia G divenivano nudi proprietari). Per queste due porzioni di immobili (int. 21-22-23/B e int. 50), in data 16 settembre 1985, la parte venditrice presentava al Comune di Cnisello Balsamo istanze di condono ai sensi della legge n. 47 del 1985. In particolare, per l’unità int. 21-22-23/B era presentata la domanda n. 007755308/15, avente ad oggetto un cambio di destinazione d’uso con opere (da residenziale ad ufficio);per l’unità int. 50 era presentata la domanda n. 007755308/11, anch’essa riguardante un cambio di destinazione d’uso con opere (sempre da residenziale ad ufficio).
2.1. Il Comune di Cnisello Balsamo, con provvedimenti prot. n. 20003 e prot. n. 20009 emessi in data 10 maggio 2011, respingeva le domande, rilevando, per entrambe, il mancato versamento del contributo di concessione di cui all’art. 37 della legge n. 47 del 1985. Avverso questi provvedimenti, i sigg. Arnaboldi A, M R M, Cocia M, Cocia Maria Giovanna e Cocia M (gli ultimi tre successori mortis causa del sig. Cocia G) proponevano ricorso al T.A.R. per la Lombardia – sede di Milano chiedendo di annullare gli atti impugnati. Gli odierni appellanti chiedevano, inoltre, di accertare l’intervenuta prescrizione del diritto del Comune di Cnisello Balsamo a pretendere il versamento del contributo di concessione, nonché la formazione del silenzio-assenso sulle domande di condono.
2.2. Il Giudice di primo grado respingeva il ricorso osservando, in relazione all’eccezione di prescrizione e all’intervenuta formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono (primo motivo del ricorso), che:
i ) il termine di prescrizione del diritto del Comune alla pretesa del contributo di concessione è pari a dieci anni, decorrenti dal momento di rilascio o di formazione tacita del titolo edilizio;
ii ) risulta, pertanto, necessario accertare quali siano gli elementi necessari per la formazione del silenzio-assenso sulle domande di condono, con particolare riferimento alla disciplina, applicabile alla fattispecie in esame, del primo condono dettata dagli artt. 31 e seguenti della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
iii ) in proposito va richiamato l’art. 35, comma 18, della l. n. 47/1985, a mente del quale “ decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti ”;
iv ) la disposizione richiede, al fine della formazione del silenzio-assenso, l’avvenuto integrale pagamento delle somme dovute a conguaglio, senza però specificare se tale conguaglio si riferisca solo all’importo dell’oblazione ovvero anche a quello del contributo di costruzione;
v ) va, tuttavia, osservato che, in base al successivo art. 37, primo comma, “ il versamento dell'oblazione non esime i soggetti di cui all'art. 31, primo e terzo comma, dalla corresponsione al comune, ai fini del rilascio della concessione, del contributo previsto dall'art. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ove dovuto ”;
vi ) tale disposizione è valorizzata dalla giurisprudenza per affermare che le somme cui fa riferimento il precedente art. 35 riguardano non solo l’oblazione ma anche il contributo di concessione, e che, quindi, anche per il primo condono, l’istituto del silenzio-assenso può formarsi solo a seguito dell’integrale versamento del suddetto contributo;
vii ) applicando questi principi al caso concreto, non può ritenersi formato il silenzio-assenso sull’istanza stante il mancato versamento del contributo di concessione;ne consegue che il termine di prescrizione del diritto alla corresponsione del contributo stesso non può ritenersi neppure iniziato a decorrere.
2.3. Il Giudice di primo grado respingeva anche il secondo motivo di ricorso con il quale gli odierni appellanti sottolineavano come la domanda di versamento del contributo di costruzione dovesse rivolgersi alla società venditrice (autrice degli abusi per i quali è presentata domanda di condono), e come, al contrario, l’agire del Comune fosse contrastante con i doveri di imparzialità, trasparenza e correttezza impedendo, di fatto, la rivalsa nei confronti del responsabile dell’abuso stante il lungo tempo trascorso e l’intervenuto fallimento di Gve s.p.a.
2.3.1. In relazione a tale motivo, il T.A.R. osservava, in primo luogo, come la prestazione connessa al contributo di concessione costituisca oggetto di un’obbligazione “ propter rem ”;ne consegue che soggetto passivo dell’obbligazione non è soltanto colui che ha presentato la domanda di rilascio del titolo edilizio ma anche, in via solidale, coloro che acquisiscono diritti reali sul bene immobile cui il titolo stesso si riferisce.
2.3.2. In secondo luogo, il Giudice di primo grado osservava come, nell’atto di acquisto, era indicata la circostanza che, in relazione agli immobili che ne costituivano oggetto, erano state presentate diverse domande di condono, fra cui quelle in esame. Doveva, pertanto, affermarsi la consapevolezza degli acquirenti del rischio di formulazione nei loro confronti di una richiesta di pagamento da parte del Comune. Non era, pertanto, predicabile una situazione di affidamento in capo agli odierni appellanti.
3. Gli appellanti impugnano la sentenza del T.A.R. articolando due motivi di ricorso.
3.1. Con il primo motivo deducono l’erroneità del capo di sentenza nella parte in cui ritiene non maturata la prescrizione della pretesa comunale osservando come, secondo un orientamento giurisprudenziale, il termine decennale di prescrizione del contributo di concessione decorre dalla data di presentazione della domanda e non dal pagamento dell’ultima rata del condono. Evidenziano, inoltre, come la normativa sul primo condono non richiedeva il versamento degli oneri concessori con la conseguenza che era onere del Comune chiedere tempestivamente il pagamento di tali somme. A comprova di tale tesi gli appellanti osservano come solo nel secondo condono sia richiesta una anticipazione delle somme dovute a titolo di oneri concessori e come la prospettazione sia confermata dalla circolare del Ministero dei lavori Pubblici n. 142 del 1989. Ritengono, inoltre, che, nel caso di specie, il termine sarebbe, comunque, decorso dalla data del perfezionamento del titolo per silenzio-assenso.
3.2. Con il secondo motivo deducono l’erroneità del capo di sentenza con il quale il T.A.R. respinge il secondo motivo di ricorso osservando come la legge consenta agli altri soggetti interessati di rivalersi nei confronti del proprietario per le spese sostenute per il pagamento dell’oblazione e del contributo di concessione. Nel caso di specie, il T.A.R. ometterebbe di considerare come la prolungata ed ingiustificata inerzia del Comune nel richiedere il pagamento del contributo di concessione al soggetto richiedente la sanatoria e responsabile dell’abuso e il formulare simile istanza ai successivi acquirenti dopo molto tempo rappresenterebbe comportamento contrastante “ col dovere di imparzialità, trasparenza e correttezza dell’agire amministrativo, tenuto conto che, atteso il tempo trascorso, la eventuale rivalsa […] verso il loro dante causa è di fatto oggi non più possibile ”.
4. L’Amministrazione comunale di Cnisello Balsamo omette di costituirsi in giudizio nonostante la rituale notificazione del ricorso in appello.
5. In vista dell’udienza pubblica del 1.12.2022 gli appellanti depositano memoria difensiva conclusionale con la quale insistono nei motivi di ricorso in appello. All’udienza del 1.12.2022 la causa è trattenuta in decisione.
6. Entrando in medias res il Collegio osserva come la questione logicamente prioritaria del primo motivo di ricorso in appello sia costituita dai presupposti dell’accoglimento tacito di cui all’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985, che testualmente prevede: “ Fermo il disposto del primo comma dell'art. 40 e con l'esclusione dei casi di cui all'art. 33, decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti ”.
6.1. In forza della disposizione sopra richiamata la domanda deve, quindi, intendersi accolta se, sussistenti i presupposti legittimanti l’intervento (su cui v. infra ) e decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, la parte interessata provveda, altresì, al pagamento di “ tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ”. Secondo il T.A.R. per la Lombardia tale formula ricomprende non soltanto le somme dovute a titolo di oblazione ma anche il contributo di concessione ex art. 37 della L. n. 47/1985.
6.1.1. A sostegno di tale soluzione il Giudice di primo grado richiama la sentenza della Sezione n. 612/2013, secondo la quale, dal combinato disposto delle previsioni di cui all’art. 35, comma 18, e 37, comma 1, della L. n. 47/1985, si deduce che l’accoglimento dell’istanza per silenzio “ presupponga non solo l’avvenuto pagamento dell’oblazione e la presentazione della documentazione richiesta ma anche la corresponsione al Comune dei contributi relativi agli oneri concessori ”.
6.1.2. Osserva la Sezione come:
i ) il primo comma dell’art. 37 della L. n. 47/1985 sia chiaro nell’imporre, “ ai fini del rilascio della concessione ”, il versamento, unitamente all’oblazione, dei predetti oneri;
ii ) la disposizione di cui all’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985, nella parte in cui stabilisce che si forma il silenzio assenso “ ove l’interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ”, vada, pertanto, intesa nel senso che, tra tali somme, devono essere incluse anche quelle di cui all’art. 37 del medesimo articolato normativo.
6.1.3. Tale soluzione sarebbe successivamente solo esplicitata dalla normativa statale sul c.d. secondo condono (art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269) che, quindi, non avrebbe portata propriamente innovativa ma solo confermativa di una regola implicita nel sistema. Del resto, secondo la Sezione, il pagamento degli oneri concessori sarebbe coerente: i ) sul piano generale con il meccanismo che presiede alla formazione del silenzio assenso il quale, consentendo che, per fini di semplificazione, si possa prescindere dall’adozione di un atto espresso e motivato, postula che la domanda di avvio del procedimento sia completa; ii ) sul piano specifico, con la natura del procedimento di sanatoria che presuppone la già intervenuta realizzazione illecita delle opere ( cfr ., inoltre, per tale soluzione: Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 giugno 2022, n. 5053, secondo la quale non è sufficiente la presentazione della domanda di condono ma “ occorre che, unitamente alla domanda, si sia provveduto al pagamento di tutte le somme (oblazione, oneri urbanizzazione, contributo costo costruzione) e che sia stata allegata tutta la documentazione necessaria per il suo esame, prescritta dal comma 3, art. 35, L. 47/85 ”;v., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. VII, 29 novembre 2022, n. 10493).
6.2. Parte appellante contesta la decisione di primo grado osservando, in primo luogo, come la stessa non tenga conto dell’orientamento giurisprudenziale secondo il quale il “ dies a quo ” dal quale far decorrere il termine decennale di prescrizione del diritto del Comune a pretendere il pagamento del contributo di concessione vada individuato nella data della presentazione della domanda di condono e non già dalla data del pagamento dell'ultima rata del condono edilizio.
6.2.1. Tale assunto muove dalla sentenza di questo Consiglio n. 1364/2012 secondo la quale il silenzio si perfeziona anche se mancano i presupposti per l'accoglimento della domanda e il termine di prescrizione decorre (in coerenza con tale impostazione) dalla presentazione della domanda.
6.2.2. La soluzione interpretativa indicata è, però, rimeditata dalla successiva giurisprudenza di questo Consiglio che, con specifico riferimento ai casi di condono edilizio, ritiene che il titolo si formi per silentium solo laddove la domanda di presentata sia connotata dai requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta (Consiglio di Stato, Sez. VI, 5 dicembre 2018, n. 6899; cfr ., inoltre, Consiglio di Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2018, n. 753, secondo la quale “ il decorso dei termini fissati dall'art. 35 comma 18, l. 28 febbraio 1985, n. 47 presuppone in ogni caso la completezza della domanda di sanatoria ”; cfr ., inoltre, Consiglio di Stato, sezione II, 4 novembre 2019, n. 7523;Id., Sez. II, 13 luglio 2020, n. 4540;cfr. da ultimo Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 settembre 2022, n. 8303;15 marzo 2022, n. 1813;Id., 24 novembre 2020, n. 7382 dove si precisa ulteriormente come per la formazione del silenzio-assenso si richiede che la domanda sia completa dei documenti necessari, l’oblazione sia stata pagata, l’opera non sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità;per la diversa soluzione affermata nella differente ipotesi di silenzio-assenso ex art. 20 del D.P.R. n. 380/2021, v., invece, Consiglio di Stato, Sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746). Dello stesso avviso si mostra la giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo la quale “ il silenzio-assenso sulla domanda di condono non si perfeziona per il solo fatto dell'inutile decorso del termine perentorio a far data dalla presentazione della domanda di sanatoria e del pagamento dell'oblazione, se non sopravviene la risposta dal Comune, occorrendo altresì l'acquisizione della prova della sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi stabiliti delle specifiche disposizioni di settore ” ( cfr .: Cassazione penale, Sez. III, 21 novembre 2018, n. 55374).
6.3. In coerenza con tale impostazione la giurisprudenza ritiene, quindi, che la prescrizione decorra dal momento di formazione del titolo in modo espresso o secondo il meccanismo dell’accoglimento tacito di cui all’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985 ( cfr ., sul punto, Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 aprile 2014, n. 2264;sul punto, v., comunque, infra , per le necessarie precisazioni).
6.4. Chiarito che la prescrizione decorre dal momento di formazione del titolo e non da quello di presentazione dell’istanza occorre incentrare l’attenzione sul tema relativo ai presupposti per l’accoglimento in forza tacita della domanda di condono.
6.5. A tal fine deve osservarsi come, per la fattispecie complessa di cui all’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985, l’accoglimento dell’istanza si determini:
i ) in presenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del condono (v., supra , punto 6.2.2.);
ii ) con il decorso del termine di ventiquattro mesi dalla presentazione dell’istanza senza che intervengano provvedimenti da parte del Comune;
iii ) con il pagamento di “ tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ”.
6.5.1. In sostanza, la peculiare fattispecie in esame richiede per il formarsi del titolo in forma tacita, oltre alla ricorrenza delle condizioni oggettive e soggettive previste dalla norma e alla completezza della documentazione, il pagamento delle somme a conguaglio pur prevedendo che, trascorsi trentasei mesi, si prescriva l’eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti. Pertanto, se, da un lato, il titolo si forma solo ove le somme siano corrisposte, dall’altro, si ipotizza, comunque, la sussistenza di un diritto di credito non solo al rimborso ma anche ad un (ulteriore, evidentemente) conguaglio con un termine di prescrizione breve (trentasei mesi) per l’esercizio del diritto.
6.6. La disposizione impone, quindi, di verificare quali siano “ tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ”, il cui pagamento è presupposto per l’accoglimento tacito della domanda e, al contempo, di chiarire i rapporti tra la previsione di cui alla prima parte dell’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985 e la regula iuris racchiusa nell’alinea finale (inserita – unitamente alla proposizione “ ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento ” - dall’articolo 4, comma 6, del decreto-legge 12 gennaio 1988, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 13 marzo 1988, n. 68) che, come evidenziato, postula la sussistenza di un diritto di credito relativo anche a somme a conguaglio, fissando, per tale pretesa, un termine di prescrizione breve.
6.7. Procedendo con ordine il Collegio osserva come la formulazione letterale del disposto legale in esame conduca a ritenere la corresponsione del contributo di concessione presupposto necessario per la formazione dell’accoglimento tacito dell’istanza. Infatti, il legislatore si riferisce a “ tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ”, facendo, quindi, riferimento agli interi obblighi di pagamento gravanti sul soggetto richiedente il condono. Tra questi non vi è solo l’obbligazione di corrispondere l’oblazione ma anche le somme dovute per il contributo di concessione di cui all’art. 37 della L. n. 47/1985, atteso che il pagamento della sola oblazione non esime dall’obbligo del versamento di tali somme. In sostanza, l’ampia formula utilizzata dal legislatore nella previsione di cui all’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985 e l’espressa indicazione dell’obbligo di pagamento del contributo di concessione ex art. 37 della L. n. 47/1985 conducono a ritenere anche tale contributo parte integrante degli obblighi pecuniari richiesti per l’accoglimento tacito della domanda di condono.
6.8. Del resto, deve osservarsi come il contributo in esame sia commisurato ex art. 3 della L. n. 10/1977 (richiamato dalla previsione di cui all’art. 37 della L. n. 47/1985) all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione. In sostanza il legislatore impone il pagamento di somme connesse sia al maggior aggravio urbanistico che all’incremento di ricchezza generato dallo sfruttamento del territorio ( cfr ., per tale definizione del costo di costruzione, Consiglio di Stato, Sez. IV, 20 dicembre 2013, n. 6160). La riconduzione integrale dell’intervento nell’ambito della legalità per il tramite dell’eccezionale procedimento di condono, non può, quindi, che ricomprendere la corresponsione di somme parametrate sull’incidenza dell’intervento realizzato e sul maggior valore conseguito dall’immobile. Inoltre, la circostanza che, nell’ambito delle procedure di condono, l’intervento sia già realizzato (e, conseguentemente, si sia già verificato un incremento del carico urbanistico e un arricchimento del privato), conduce a ritenere il pagamento delle somme correlate a tali elementi un necessario presupposto proprio per riportare integralmente nella legalità l’intervento. Con l’ulteriore corollario che, affinché il titolo che mira proprio a ricondurre l’intervento nella legalità possa formarsi, risulta necessario provvedere alla corresponsione di tali somme.
6.9. Tale conclusione non si ritiene smentita dai rilievi di parte appellante fondati sulla soluzione esposta dalla circolare del Ministero dei lavori pubblici n. 142 del 1989. Secondo il Ministero, il contributo non costituisce presupposto per il rilascio del condono atteso che lo stesso, secondo la previsione di cui all’art. 11 della L. n. 10/1977, è corrisposto al Comune per la quota relativa agli oneri di urbanizzazione ma, a norma dell'art. 47, della L. n. 457/1978, è rateizzato in non più di 4 rate semestrali mentre la quota relativa al costo di costruzione “ è corrisposta in corso d'opera e, comunque, non oltre 60 giorni dalla ultimazione delle opere ”. Da tali indicazioni normative il Ministero ritiene che il dovere di corrispondere il contributo sorga dopo il rilascio del provvedimento e, pertanto, il pagamento di tali somme non può costituire presupposto per la formazione del silenzio-assenso.
6.9.1. Osserva, tuttavia, il Collegio come tale disposizione sia chiaramente riferita all’ipotesi “ fisiologica ” di edificazione preventivamente assentita da un titolo e, quindi, di un incremento del carico urbanistico e di ricchezza generato dallo sfruttamento del suolo ancora in divenire. In sostanza, la scansione nel tempo degli obblighi di pagamento rispecchia la formazione progressiva degli elementi fattuali generatori le due componenti del contributo di concessione. Un discorso diverso vale, invece, per la procedura di condono ove, come già esposto, tali elementi fattuali sono già pienamente realizzati e, quindi, si è già verificato l’incremento sia del carico urbanistico che del valore della proprietà immobiliare. Pertanto, ove tali presupposti fattuali si siano già realizzati, la dilazione nel tempo degli obblighi di pagamento risulta priva della naturalia ratio che la sorregge in caso di edificazione legittimamente assentita e progressivamente realizzata.
6.9.2. Né a diversa conclusione conduce il confronto con le disposizioni contenute all’interno della L. n. 724/1994 (c.d. secondo condono) che prevedono meccanismi di liquidazione ed anticipazione delle somme dovute a titolo di oneri. In tal caso si tratta, infatti, di normativa volta a disciplinare le modalità e la misura dell’estinzione dell’obbligazione secondo precise scelte del legislatore e non di un regolamento fondativo dell’obbligo di corrispondere il contributo di concessione che, come spiegato, deriva dallo stesso meccanismo del condono quale fattispecie eccezionale volte a ricondurre integralmente alla legalità interventi privi di titolo e che, come tale, comporta necessariamente il versamento delle somme dovute per il maggior carico urbanistico creato e per l’incremento di ricchezza realizzato. In altri termini, si tratta di regole che disciplinano il quantum e il quomodo della prestazione oggetto di obbligazione e non anche l’ an che deve ritenersi immanente alla stessa legittimazione postuma dell’intervento che si attua per il tramite delle procedure di condono.
6.10. Inoltre, la tesi esposta non può ritenersi smentita dalla ritenuta carenza di un meccanismo espresso di autoliquidazione/anticipazione delle somme dovute a titolo di contributo di concessione. Osserva, infatti, il Collegio come l’argomentazione non tenga conto della peculiarità del meccanismo dell’accoglimento tacito di cui all’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985. Infatti, in caso di provvedimento espresso la liquidazione è operata dal Comune al momento dell’emanazione di tale provvedimento. Diverso è il caso dell’accoglimento tacito che, al contrario, postula proprio l’autoliquidazione delle somme da parte del privato al fine di ottenere il rilascio del titolo secondo il meccanismo procedurale di cui all’art. 35, comma 18, della L. n. 47/1985. Attività che, del resto, risulta alla portata del privato trattandosi di effettuare un computo secondo le tabelle e le determinazioni di cui agli artt. 5, 6 e 10 della L. n. 10/1977 o i diversi criteri previsti dalle Regione in attuazione delle regole di cui all’art. 37, commi 2 e 3, della L. n. 47/1985. Risulta, quindi, possibile per il privato (che intenda presentare una pratica di condono completa ed idonea a determinare l’acquisizione del titolo mediante il meccanismo dell’accoglimento tacito) liquidare autonomamente gli importi e provvedere al pagamento degli stessi ottenendo, in tal modo e in caso di ricorrenza degli ulteriori presupposti, l’accoglimento tacito di tale domanda.
6.11. Le considerazioni esposte nel precedente punto offrono, inoltre, adeguato significato alla previsione di cui all’art. 37, comma 18, ultima parte, della L. n. 47/1985. Come esposto in precedenza la prima parte di tale disposizione prevede, infatti, che decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda, quest’ultima si intenda accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. La successiva seconda parte prevede, invece, che trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti. In sostanza, per l’accoglimento tacito del titolo è necessario, ex aliis , corrispondere tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio;al contempo, è possibile che residuino somme a conguaglio (oltre che a rimborso) che, tuttavia, possono essere pretese entro il termine di prescrizione di trentasei mesi. Tale apparente aporia normativa trova, tuttavia, soluzione ove per somme eventualmente dovute a conguaglio di cui alla prima parte della disposizione si intenda far riferimento proprio alle somme liquidate direttamente dal privato al momento di presentazione della domanda. Situazione che, ove effettuata in conformità ai criteri legali sopra indicati, determina, quindi, la possibilità di formazione del titolo mediante il meccanismo dell’accoglimento tacito. Sono, tuttavia, possibili errori nell’ambito dell’attività di autoliquidazione, pur diligentemente operata dal privato, o, comunque, divergenze sull’entità delle somme dovute. E’ a tali situazioni che sembra ragionevolmente riferirsi la seconda parte della previsione in esame che consente, quindi, all’Amministrazione di far valere eventuali maggiori pretese nel termine previsto senza, al contempo, privare il privato del titolo ottenuto mediante il meccanismo dell’accoglimento tacito ove, comunque, l’autoliquidazione sia diligentemente operata nel rispetto delle tabelle e dei criteri valevoli per la determinazione degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione.
6.12. In ragione di quanto esposto il primo motivo di ricorso in appello deve respingersi in quanto infondato.
7. Parimenti infondato risulta il secondo motivo di ricorso in appello.
7.1. Costituisce, infatti, jus receptum il principio in base al quale la normativa sul condono, nel disciplinare le obbligazioni ad esso connesse, include gli aventi causa tra i soggetti in ogni caso legittimati dal punto di vista passivo, configurando esse una sorta di obbligazioni propter rem legate alla proprietà del bene, sia con riferimento alle somme dovute a titolo di oblazione, sia per gli altri oneri concessori (Consiglio di Stato, Sez. II, 12 aprile 2021, n. 2952). Pertanto, correttamente il Comune rivolge la pretesa nei confronti degli odierni appellanti, subentrati nella titolarità dei diritti reali gravanti sui beni immobili oggetto delle domande di condono presentate da Gve s.p.a. e, per questa ragione, obbligati in solido con quest’ultima al pagamento del contributo di concessione correlato alle suddette domande.
7.2. Inoltre, il ritardo con il quale il Comune rivolge la richiesta di pagamento non costituisce vizio di legittimità dei provvedimenti impugnati. Sul punto si osserva, in primo luogo, come sia corretto quanto affermato dal T.A.R. che evidenzia come, nell’atto di acquisto, sia indicata la presentazione di diverse domande di condono, con conseguente non predicabilità di una lesione dell’affidamento degli acquirenti, consapevoli della possibilità che venga loro richiesto da parte del Comune il pagamento di quanto dovuto.
7.3. Inoltre, non inficia la legittimità del provvedimento né elide la pretesa pecuniaria fatta valere dal Comune il ritardo nella richiesta di adempimento.
7.4. Nella prospettiva degli appellanti, l’obbligo di cooperazione del creditore o, in termini più generali, il dovere di agire in modo conforme a buona fede si tradurrebbe nel dovere di formulazione immediata (o, comunque, in termini ragionevoli) della richiesta di pagamento che, ove violato, renderebbe illegittima la pretesa. La tesi postula, in sostanza, la sussistenza di un esercizio non corretto o, persino, abusivo del diritto da cui conseguirebbe l’impossibilità di richiedere il pagamento della somma.
7.5. Osserva, tuttavia, il Collegio come una simile prospettiva si tradurrebbe, in questi termini, nell’ingresso nell’ordinamento del noto istituto, elaborato dalla dottrina e giurisprudenza tedesca, della Verwirkung . Figura che, come noto, trovò peculiare applicazione negli anni successivi alla prima guerra mondiale quando il deprezzamento della moneta avente corso legale spinse ad abbandonare il principio del valore nominale dei debiti pecuniari ammettendo la rivalutazione giurisprudenziale dei crediti e consentendo, pertanto, al creditore di ottenere la rivalutazione del credito tenendo conto, tuttavia, dell’esigenza del debitore di conoscere nel più breve tempo possibile l’entità della prestazione da eseguire. E’ in tale terreno che sorge la tesi che ritiene il creditore decaduto dal diritto alla rivalutazione nel caso di perdurante inerzia nell’esercizio del diritto che legittima il debitore a ritenere che questo non sarebbe stato esercitato. Una tesi che attecchisce in un ordinamento come quello tedesco segnato da termini di prescrizione particolarmente lunghi e che, in taluni casi, arrivano a trent’anni ( cfr ., § 197 BGB, non interessato dalla Gesetz zur Modernisierung des Schuldrechts ).
7.5.1. Le successive evoluzioni giurisprudenziali e dottrinali conducono ad una progressiva estensione dei confini dell’istituto che riceve, inoltre, due distinte configurazioni. Infatti, secondo l’orientamento prevalente e condiviso da parte della dottrina italiana, l’istituto si configura come una manifestazione dell’abuso del diritto, in violazione del divieto di venire contra factum proprium , comportamento ritenuto contrario al dovere di buona fede e correttezza di cui al § 242 BGB. Secondo altro orientamento la Verwirkung consisterebbe in un “ ritardo sleale ” nell'esercizio del diritto al solo scopo di trarre vantaggi indebiti. Quest’ultima teoria si incentra, quindi, su un elemento soggettivo rappresentato dalla intenzionalità nel trarre vantaggi ulteriori a danno di interessi altrui. Elemento che, pur volendo ipotizzare tout court la possibilità di applicazione dell’istituto, difetta chiaramente nel caso di specie mancando evidenze in ordine alla intenzionalità lesiva della condotta comunale.
7.5.2. In ogni caso, va considerato (spostando l’attenzione anche sulla configurazione “ classica ” dell’istituto) come la vicenda in esame debba osservarsi attraverso i principi propri che governano l’ordinamento, che, invero, già dispone di un complesso sistema di protezione della posizione del debitore. In particolare, vige il principio del dovere di comportamento secondo correttezza e buona fede, operante tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (articolo 1175 c.c.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione di un contratto (articolo 1375 c.c.), specificandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell'interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, attribuita. Del resto, la stessa Relazione ministeriale al codice civile evidenzia come il principio di solidarietà (pur evocato con venature in parte estranee all’attuale contesto ordinamentale) “ richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore ” (punto 558).
7.5.3. Tale notazione acquisisce ulteriore peculiare valenza nel quadro di valori introdotti dalla Costituzione considerato che l’obbligo in esame viene ricondotto tra gli “ inderogabili doveri di solidarietà sociale ” imposti dall’articolo 2 della Costituzione ( cfr ., ex multis , Consiglio di Stato, Sez. IV, 17 gennaio 2019, n. 417;Id., Sez. VI, 7 marzo 2019, n. 1586; cfr ., inoltre, Corte Costituzionale, 2 aprile 2014, n. 77). La rilevanza dell’obbligo si esplica nell'imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, precipui doveri di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge. Per converso, simile obbligo esclude che possano ammettersi azioni ispirate da ragioni meramente opportunistiche.
7.5.4. Il principio opera anche con riferimento ai tempi della richiesta di adempimento come dimostrano le applicazioni giurisprudenziali che utilizzano il canone sia al fine di temperare il rigore della regola dello statim debetur di cui all’articolo 1183 c.c. ( cfr ., Cassazione civile, sez. III, 5 novembre 1985, n. 5360), sia al fine di verificare la congruità delle condotte del soggetto cui spetta la fissazione di un termine per l’adempimento ( cfr ., Cassazione civile, sez. II, 27 gennaio 2011, n. 1905).
7.5.5. Invero, a stretto rigore, la correttezza dei termini di esercizio della richiesta di pagamento in esame va più propriamente verificata in relazione alla situazione doverosa propria del creditore che, secondo alcuni settori della dottrina, costituisce una vera e propria obbligazione accessoria e secondaria, mentre, secondo altri, un onere consistente nel dovere strumentale di tenere un comportamento che eviti di trasformare il proprio diritto in un potenziale generatore di conseguenze negative per il debitore.
7.5.6. Nel caso di specie, la richiesta di pagamento risulta formulata a definizione del procedimento di condono e, quindi, ad una vicenda propriamente amministrativa che non può assorbirsi tout court nel terreno civilistico nel quale la innesta la parte appellante. Non può, infatti, omettersi di considerare come la pretesa comunale sorga dal titolo e non possono, pertanto, considerarsi come momenti rilevanti del rapporto obbligatorio i periodi antecedenti all’insorgenza dell’obbligazione. Diversamente opinando, lo stesso rapporto tra il privato e la Pubblica Amministrazione terminerebbe per configurarsi come un rapporto lato sensu di matrice obbligatorio, svilendone la portata propriamente pubblicistica. Infatti, la natura paritetica del rapporto tra privato e Pubblica Amministrazione, affermata dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 12 del 2018, riguarda, più esattamente, il rapporto successivo alla formazione del titolo;sono, al contrario, attratti dal diritto pubblico i momenti antecedenti che, pertanto, restano ancorati alle regole proprie di tale settore dell’ordinamento. Pertanto, non possono riferirsi alla condotta pubblicistica del Comune resistente regole che governano il rapporto obbligatorio e ne postulano necessariamente l’esistenza. Simili regole operano, come spiegato, solo dopo l’insorgenza dell’obbligazione. Pertanto, nel caso di specie, non è postulabile un ritardo contrario al dovere di cooperazione atteso che la richiesta di pagamento è strumentale al rilascio del titolo, stante la non configurabilità dell’accoglimento tacito della domanda. Del resto, l’interesse del debitore a non subire pregiudizio dal ritardo del creditore trova tutela precipua nell’ordinamento negli istituti dell’offerta formale e non formale e nella successiva procedura di liberazione coattiva. Istituti che, tuttavia, non sono neppure predicabili nel caso di specie non soltanto per la mancanza degli atti del debitore richiesti dalle pertinenti disposizioni civilistiche ma, prima ancora, per la non postulabilità del presupposto che fonda tali istituti, consistente nel ritardo imputabile al creditore e che, nel caso di specie, essendo piuttosto “ rimproverabile ” l’operato del privato che omette il versamento di una somma necessaria per il formarsi del titolo.
7.6. Né risulta fondata la domanda svolta osservando, per completezza di trattazione, il comportamento comunale attraverso la differente categoria del c.d. abuso del diritto, operante in ambiti diversi dal perimetro di operatività dei doveri di cooperazione del creditore e del più generale dovere di correttezza delle parti nel rapporto obbligatorio. Infatti, al fine di predicare una contrarietà sostanziale all’ordinamento del comportamento comunale risulterebbe necessario acquisire l’evidenza che l’attesa sia strumentale al fine di ottenere un maggior vantaggio economico. Si dovrebbe accertare, pertanto, se il comportamento (formalmente conforme alle regole in tema di richiesta di adempimento della prestazione) annidi in sé un carattere di contrarietà al diritto oggettivo (per evocare alcune delle definizioni della pur controversa categoria dell’abuso del diritto). Ma invero, e pur prescindendo da ulteriori complesse indagini sulla categoria appena evocata, nel caso di specie difettano evidenze che consentano di affermare che l’inerzia del Comune sia strumentale ad ottenere maggiori vantaggi, limitandosi la richiesta al pagamento di quanto effettivamente dovuto. Al contrario, come risulta dai provvedimenti impugnati in primo grado, la pretesa di pagamento è limitata alle somme dovute a titolo di urbanizzazione primaria e secondaria e di costo di costruzione, e non vi sono neppure contestazioni specifiche in ordine alla non esigibilità o incongruità degli interessi di mora computati. Pertanto, pur se osservato attraverso la lente di un canone di congruità sostanziale il comportamento non risulta qualificabile come abusivo difettando elementi (anche semplicemente indiziari) che possano condurre a simile affermazione. E’ evidente, infatti, come, al fine di decretare il carattere abusivo di una condotta sia, comunque, necessario un accertamento solido e puntuale degli elementi di fatto che sorreggono un simile giudizio. Lo evidenzia anche quella parte della dottrina che intravvede nella categoria dell’abuso del diritto un sintomo del nuovo ruolo riconosciuto alla mediazione giudiziale nell'ottica di un passaggio dal paradigma di un diritto individuabile a priori nella oggettiva consistenza di un sistema di enunciati posti a quello di un diritto valutabile solo all'esito del procedimento applicativo e quindi in relazione alla specificità di una vicenda vissuta. Ma tale operazione non può che effettuarsi sui dati concreti del frammento di esperienza sotto la lente giudiziale onde non trasformare tale operazione in una mera giustizia intuizionistica del caso concreto. E, come spiegato, nel caso di specie i dati della vicenda non confortano la prospettazione della parte appellante.
8. In definitiva, il ricorso in appello deve essere respinto.
9. Nulla sulle spese stante la mancata costituzione in giudizio del Comune di Cnisello Balsamo.