Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2012-07-30, n. 201204321
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N. 04321/2012REG.PROV.COLL.
N. 01525/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 1525 del 2012, proposto da R C, in persona del Sindaco
pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. N S, domiciliata per legge in Roma, via del Tempio di Giove, 21,
contro
MALICA S.p.a. (già IMMOBILIARE OTTAVIO S.r.l.), in persona del legale rappresentante
pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. F M, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, viale G. Mazzini, 11,
nei confronti di
- REGIONE LAZIO, in persona del Presidente
pro tempore,
rappresentata e difesa dall’avv. Stefania R, domiciliata per legge in Roma, via Marcantonio Colonna, 27;
- PROVINCIA DI ROMA, in persona del Presidente
pro tempore,
non costituita;
per l’annullamento e/o la riforma,
previa sospensione degli effetti,
della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Seconda, nr. 6442/2011 del 21 aprile – 29 luglio 2011, non notificata, nella parte in cui: a ) ha accolto parzialmente il ricorso, ed annullato la “ zonizzazione (...) a verde pubblico delle aree della società ricorrente ”, se e nella misura in cui la medesime fossero state “ già assoggettate alla predetta disciplina di zona dai precedenti strumenti urbanistici scaduti ”; b ) ha accolto parzialmente il ricorso, ed annullato la “ introduzione del contributo straordinario (previsto dall’art. 20 NTA ”; c ) ha condannato l’Amministrazione alle spese di lite;nonché infine per il rigetto integrale del ricorso di primo grado e dei motivi aggiunti proposti avverso: la delibera di Consiglio Comunale nr. 33 del 2003 di adozione del Nuovo P.R.G. di Roma;la delibera di Consiglio Comunale nr. 64 del 2006 di controdeduzioni alle osservazioni presentate nei confronti del Nuovo P.R.G. di Roma;l’accordo di copianificazione sottoscritto in data 6 febbraio 2008 dal Sindaco del Comune di Roma e dal Presidente della Regione Lazio, sentito il Presidente della Provincia di Roma;la deliberazione di Consiglio Comunale nr. 18 del 2008 e la deliberazione di Giunta Regionale nr. 80 del 2008, di approvazione del Nuovo P.R.G. di Roma e connessi elaborati, comprensivi delle N.T.A. approvate.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Malica S.p.a. e della Regione Lazio;
Visto l’appello incidentale proposto da Malica S.p.a.;
Viste le memorie prodotte dal Comune appellante (in data 15 maggio 2012) e da Malica S.p.a. (in date 30 marzo e 29 maggio 2012) a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 19 giugno 2012, il Consigliere R G;
Uditi l’avv. S per il Comune appellante, l’avv. M per Malica S.p.a. e l’avv. R per la Regione Lazio;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Roma Capitale (già Comune di Roma) ha impugnato, chiedendone la parziale riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, accogliendo in parte il ricorso proposto dalla società Immobiliare Ottavio S.r.l. (poi incorporata dalla società Malica S.p.a.) avverso gli atti relativi all’adozione ed all’approvazione del Nuovo P.R.G. della città di Roma, ha annullato, da un lato, la destinazione a verde pubblico impressa ad aree in proprietà della società istante e, dall’altro, le prescrizioni delle N.T.A. (art. 20) introducenti l’istituto del “ contributo straordinario ”.
A sostegno dell’appello, ha dedotto:
1) il carattere non espropriativo della destinazione impressa ai suoli de quibus, sia dalla previgente strumentazione urbanistica che dal Nuovo P.R.G.;
2) la conseguente non necessità di estesa motivazione a sostegno della predetta destinazione;
3) il carattere non viziante della omessa previsione di indennizzo;
4) in ogni caso, l’assenza di continuità tra la pregressa destinazione e quella impressa dal Nuovo P.R.G., essendo gli eventuali previgenti vincoli espropriativi scaduti ben prima dell’adozione del nuovo strumento urbanistico generale;
5) la legittimità dell’istituto del ricorso straordinario, stante il carattere non espropriativo della previsione e comunque la presenza di adeguata “copertura “ normativa alla stessa.
La Regione Lazio, ritualmente costituitasi, si è associata all’appello dell’Amministrazione comunale, chiedendone l’accoglimento.
Si è altresì costituita l’originaria ricorrente, Malica S.p.a., la quale, oltre a opporsi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello, ha impugnato in via incidentale la medesima sentenza del T.A.R. capitolino per le parti che la hanno vista soccombente, sulla base dei seguenti motivi:
I) omessa pronuncia sul primo motivo aggiunto;violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 della legge 17 agosto 1942, nr. 1150, e degli artt. 7 e segg. della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (in relazione alla mancata ripubblicazione del Nuovo P.R.G. a seguito delle consistenti modifiche introdotte in fase di controdeduzioni comunali alle osservazioni proposte dagli interessati);
II) violazione e falsa applicazione degli artt. 66- bis della legge regionale del Lazio 22 dicembre 1999, nr. 38, e 10 della legge nr. 1150 del 1942;eccesso di potere per contraddittorietà (in relazione alla reiezione del secondo motivo aggiunto, relativo alle modifiche introdotte in sede di copianificazione);
III) omessa pronuncia e contraddittorietà della sentenza impugnata;violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 10 della legge nr. 1150 del 1942 e dell’art. 66- bis della l.r. nr. 38 del 1999;violazione e falsa applicazione dell’art. 16 del d.P.R. 6 giugno 2001, nr. 380;violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e segg. della legge nr. 1150 del 1942;violazione e falsa applicazione degli artt. 41 e 42 Cost., degli artt. 39 e segg., II – 76 e II – 77 del Trattato del 29 ottobre 2004 e dell’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU del 20 marzo 1952;disparità di trattamento (in relazione all’avere il T.A.R. escluso la natura tributaria del contributo straordinario ed all’assorbimento di tutti i residui motivi di gravame su di esso articolati col quarto motivo aggiunto);
IV) omessa pronuncia sul quinto motivo aggiunto;violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 42 Cost. e dell’art. 37 del d.P.R. 8 giugno 2001, nr. 327;eccesso di potere per sviamento e disparità di trattamento (in relazione alla cessione compensativa disciplinata dall’art. 22 delle N.T.A.).
Alla camera di consiglio del 3 aprile 2012, fissata per l’esame della domanda incidentale di sospensiva, questo è stato differito sull’accordo delle parti, per essere abbinato alla trattazione del merito.
All’udienza del 19 giugno 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. È controversa la disciplina urbanistica relativa ad un’area sita nel territorio del Comune di Roma, di proprietà della società Immobiliare Ottavio S.r.l., poi incorporata dall’odierna appellata ed appellante incidentale, Malica S.p.a.
Detta area nel previgente P.R.G. del 1965 risultava destinata in parte a zona G4 (“ case con orto e giardino ”), in parte a zona H2 (“ costruzioni necessarie per la conduzione agricola ”), in parte a zona M1 (“ servizi generali pubblici o gestiti da enti pubblici ”) e in parte a zona N (“ verde pubblico ”).
Nel Nuovo P.R.G. adottato i medesimi suoli sono stati in parte destinati a “ verde pubblico ”, in parte a “ servizi pubblici di livello urbano ”, e per la parte residua ricompresi nel c.d. “Ambito di trasformazione ordinaria” (A.T.O.) con destinazione prevalentemente residenziale (R29);in sede di controdeduzioni alle osservazioni, peraltro, a seguito della soppressione del predetto A.T.O., quest’ultima porzione di area è stata destinata a “ verde privato ” e soggetta a contributo straordinario ai sensi dell’art. 20 delle N.T.A.
Avverso tali determinazioni la società proprietaria dei suoli è insorta con ricorso giurisdizionale, che il T.A.R. del Lazio ha solo in parte accolto: in particolare, sono stati annullati la destinazione a “ verde pubblico ” impressa dal Nuovo P.R.G. e l’istituto del contributo straordinario applicabile ad altra porzione delle aree per cui è causa.
La sentenza così resa è oggi appellata dall’Amministrazione comunale capitolina, e in via incidentale anche dalla originaria ricorrente, in relazione alle censure disattese ovvero non esaminate dal giudice di primo grado.
2. Tutto ciò premesso, e principiando dall’appello proposto da Roma Capitale, lo stesso si appalesa fondato e pertanto meritevole di accoglimento.
3. In primo luogo, con riguardo alle porzioni di proprietà della società ricorrente in primo grado che nel Nuovo P.R.G. sono state destinate a “ verde pubblico ” e “ servizi pubblici di livello urbano ”, il primo giudice, tenuto conto della pregressa zonizzazione di dette aree, ha ravvisato nella complessiva operazione posta in essere dall’Amministrazione una reiterazione di vincoli espropriativi, ritenendola illegittima siccome non congruamente motivata e non accompagnata dalla previsione di indennizzo.
Tuttavia, anche a voler prescindere dalle osservazioni in fatto svolte dall’Amministrazione appellante – laddove, sulla scorta di un’accurata ricostruzione della “storia” urbanistica dell’area, esclude vi sia stata continuità fra la destinazione precedente e quella attuale, di modo che non sarebbe possibile parlare di “reiterazione” di vincoli – la Sezione non ritiene di dover condividere le conclusioni raggiunte dal T.A.R.
3.1. Sul punto, questa Sezione ha già più volte avuto modo di enunciare il principio per cui il carattere espropriativo o meno di un vincolo di piano si desume non già, in maniera astratta, dalla qualificazione che il P.R.G. dà della destinazione impressa ai suoli, ma dalla concreta disciplina urbanistica per essi stabilita quale ricavabile dalle prescrizioni delle N.T.A.
Più specificamente, si è avuto modo di affermare che il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai requisiti oggettivi, di natura e struttura, dei vincoli stessi, ricorrendo in particolare tale carattere ove siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono ed in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica;di contro il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 23 luglio 2009, nr. 4662;id., 23 settembre 2008, nr. 4606).
3.2. Ciò premesso, con riferimento alla destinazione a zona N (“ verde pubblico attrezzato ”) stabilita dal previgente strumento urbanistico, sulla scorta del consolidato indirizzo della Sezione può convenirsi con l’avviso di parte appellante secondo cui questa aveva natura conformativa e non comportava un vincolo preordinato all’esproprio, in quanto non comportava né l’ablazione dei suoli né il sostanziale svuotamento dei diritti dominicali di natura privata insistenti su di essi;infatti, detta disciplina previgente consentiva significativi e consistenti interventi edificatori, sia pure limitati a particolari tipologie di opere (p.es. impianti sportivi) e previa predisposizione di piani particolareggiati, allo scopo di assicurare la coerenza dell’edificazione privata con la generale “zonizzazione” intesa al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico: ciò che, in ragione di quanto più sopra precisato, è sufficiente per escludere che potesse trattarsi di vincoli espropriativi (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 2012, nr. 2116;Cons. Stato, sez. IV, 19 gennaio 2012, nr. 244;id., 13 luglio 2011, nr. 4242;id., 3 dicembre 2010, nr. 8531;id., 12 maggio 2010, nr. 2843;id., 12 maggio 2010, nr. 2159).
3.3. Se tale è la conclusione per quanto concerne la destinazione pregressa, qualche dubbio può sorgere invece in ordine alla disciplina urbanistica impressa ai medesimi suoli dal Nuovo P.R.G., laddove è dato cogliere nelle prescrizioni di piano una tendenza ad ampliare e consolidare gli obiettivi pubblicistici cui le aree de quibus risultano asservite, con correlativo intensificarsi delle previsioni vincolistiche e dell’incidenza della mano pubblica a scapito della proprietà privata.
Ciò è dato evincere soprattutto dalla disciplina generale dei “ servizi pubblici ” contenuta nell’art. 83 delle N.T.A., il quale, con disposizioni applicabili tanto alle aree destinate a “ servizi pubblici di livello urbano ” (art. 84) quanto a quelle destinate a “ verde pubblico ” (art. 85), prevede fra l’altro:
- che “ ...Le aree su cui tali servizi non siano già stati realizzati e che non siano già di proprietà di Enti pubblici, o comunque istituzionalmente preposti alla realizzazione e/o gestione dei servizi di cui al comma 1, sono preordinate alla acquisizione pubblica da parte del Comune o di altri soggetti qualificabili quali beneficiari o promotori dell’esproprio, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. c) e d), del DPR n. 327/2001 ” (comma 2);
- che “ ...Gli immobili privati esistenti, non adibiti a servizi pubblici, ma a funzioni assimilabili alle destinazioni d’uso di cui agli articoli 84 e 85, possono rimanere di proprietà privata, purché ne sia garantito l’uso pubblico tramite convenzione con il Comune o con altri Enti pubblici competenti ” (comma 4);
- che “ ...Le aree di cui al comma 2 sono acquisite tramite espropriazione per pubblica utilità, ai sensi del DPR n. 327/2001, ovvero, nei casi e con le modalità espressamente previste dall’art. 22, mediante cessione compensativa ” (comma 5).
Tuttavia, il fatto che le previsioni del Nuovo P.R.G. capitolino comportino l’introduzione di vincoli di natura espropriativa non modifica le conclusioni dianzi anticipate in ordine all’infondatezza delle censure articolate in primo grado dalla società ricorrente: infatti, alla luce di quanto si è più sopra rilevato circa il carattere non espropriativo della precedente disciplina urbanistica, è evidente che ci si trova in presenza non di reiterazione di vincoli espropriativi, ma al più di previsioni espropriative ex novo introdotte (o, se si vuole, di trasformazione in espropriativa di una precedente destinazione conformativa), con la conseguente non invocabilità del principio che impone all’Amministrazione un onere motivazionale particolarmente intenso, applicandosi – al contrario – i comuni principi in ragione dei quali a sostegno delle scelte pianificatorie del Comune non è richiesta, salvi i casi di sussistenza di aspettative giuridiche qualificate in capo ai privati interessati, una motivazione specifica ed estesa, e le ragioni delle scelte adottate possono ricavarsi dai principi generali che ispirano lo strumento urbanistico (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 4 aprile 2011, n. 2104;id., 9 dicembre 2010, nr. 8682;id., 4 maggio 2010, nr. 2545;id., 29 dicembre 2009, nr. 9006).
3.4. Per identiche ragioni, non può concordarsi col primo giudice neanche in ordine al carattere viziante della mancata previsione di un indennizzo per la previsione del vincolo espropriativo de quo.
Infatti, è jus receptum che detta omissione, al di là della possibilità di far valere la pretesa all’indennizzo dinanzi al giudice ordinario – e fuori dei casi, come detto non pertinenti alla fattispecie, di reiterazione del vincolo -, non si riverbera in termini di illegittimità sulla previsione del P.R.G. che impone su un suolo un vincolo di natura espropriativa (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl., 24 maggio 2007, nr. 7;Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2010, nr. 2627;id., 21 aprile 2010, nr. 2262).
4. Passando alla porzione di suoli di proprietà dell’odierna appellata, i quali sono stati assoggettati a “ verde privato ” con obbligo di corresponsione di “ contributo straordinario ”, il T.A.R. capitolino ha annullato la previsione di quest’ultimo istituto, contenuta nell’art. 20 delle N.T.A.
Anche in relazione a tale statuizione l’appello dell’Amministrazione risulta fondato, essendo vero che il primo giudice non ha tenuto conto della pregressa giurisprudenza di questa Sezione, la quale, esaminando proprio l’istituto del contributo straordinario quale previsto dal P.R.G. di Roma, ne ha esclusa l’illegittimità sotto molti dei profili sollevati anche nel presente giudizio (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 luglio 2010, nn. da 4542 a 4546).
4.1. Proprio perché la presente fattispecie è in larga misura sovrapponibile a quelle esaminate in occasione delle decisioni testé richiamate, giova richiamare i principali punti della motivazione di queste ultime sul punto.
In particolare, in quella sede l’istituto de quo è stato ricondotto a più generali finalità di perequazione urbanistica perseguite dallo strumento urbanistico romano, comuni anche al diverso meccanismo della cessione compensativa (art. 22 delle N.T.A.), la cui legittimità “ si regge su due pilastri fondamentali, entrambi ben noti al nostro ordinamento: da un lato, la potestà conformativa del territorio di cui l’Amministrazione è titolare nell’esercizio della propria attività di pianificazione;dall’altro, la possibilità di ricorrere a modelli privatistici e consensuali per il perseguimento di finalità di pubblico interesse (...)
Sul punto, è importante sottolineare la circostanza su cui insistono le Amministrazioni appellanti, e che non risulta contestata né smentita ex adverso, secondo cui il nuovo P.R.G., nel procedere alla ricognizione delle aree la cui destinazione comporterà l’applicabilità dei nuovi istituti perequativi, ha in partenza confermato gli indici di fabbricabilità sulle stesse previsti dalla disciplina urbanistica previgente, di tal che le nuove previsioni vanno ad affiancarsi, integrandolo, a un assetto sostanzialmente confermativo di quello preesistente.
In siffatta situazione appare evidente che, laddove l’Amministrazione avesse omesso di introdurre tali innovative prescrizioni e si fosse limitata a confermare gli indici preesistenti, i proprietari interessati non avrebbero potuto eccepire alcunché a fronte di una tale modalità di esercizio dell’ampia discrezionalità che – come è noto – connota le scelte in materia di pianificazione del territorio, non potendo certo vantare alcuna legittima aspettativa a un regime più favorevole (è discutibile, invero, che un’aspettativa del genere sarebbe sussistita anche in caso di modifica in pejus rispetto agli indici preesistenti, ma trattasi di ipotesi che in questa sede non è necessario esaminare) (...)
Nel caso di specie, (...) la previsione della cessione al Comune di una quota di edificabilità viene introdotta de futuro, in stretta correlazione con la previsione di una quota di edificabilità aggiuntiva di cui il proprietario potrà fruire consentendo – appunto – alla cessione di parte di essa;analogamente, a norma dell’art. 20 delle N.T.A., il proprietario del suolo potrà fruire di ulteriore edificabilità corrispondendo un contributo straordinario predeterminato ex ante.
In altri termini, il pianificatore in questo caso, dopo aver proceduto alla fase “statica” dell’assegnazione a ciascuna zona della propria destinazione urbanistica e dei relativi indici di edificabilità, ha inteso conferire al P.R.G. anche una dimensione “dinamica”, idonea a prevedere la possibile evoluzione futura dell’assetto del territorio comunale: in tale prospettive, per quanto concerne la realizzazione di opere pubbliche, urbanizzazioni e infrastrutture, in aggiunta e in alternativa all’imposizione di vincoli su specifici suoli finalizzati a future espropriazioni, per il reperimento dei suoli e delle risorse necessarie sono stati introdotti i meccanismi appena descritti (...)
Così correttamente ricostruita la portata delle previsioni urbanistiche oggetto di censura nel presente giudizio, occorre ora verificare se le stesse esorbitino i limiti del potere conformativo spettante all’Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio.
Con riguardo a tale potere, è noto che esso è stato da tempo individuato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale come espressione della potestà amministrativa di governo del territorio, alla quale è connaturata la facoltà di porre condizioni e limiti al godimento del diritto di proprietà non di singoli individui, ma di intere categorie e tipologie di immobili identificati in termini generali e astratti;in particolare la Corte ha escluso che potessero qualificarsi in termini di vincolo espropriativo tutte le condizioni e i limiti che possono essere imposti ai suoli in conseguenza della loro specifica destinazione (ivi compresi i limiti di cubatura connessi agli indici di fabbricabilità previsti dal P.R.G. per le varie categorie di zone in cui il territorio viene suddiviso), e – a maggior ragione – ha negato carattere ablatorio a quei vincoli (c.d. “conformativi”) attraverso i quali, seppure la proprietà viene asservita al perseguimento di obiettivi di interesse generale quali la realizzazione di opere pubbliche o infrastrutture, non è escluso che la realizzazione di tali interventi possa avvenire ad iniziativa privata o mista pubblico-privata, e comunque la concreta disciplina impressa al suolo non comporti il totale svuotamento di ogni sua vocazione edificatoria (cfr., fra le tante, la sent. nr. 179 del 20 maggio 1999).
Se tutto questo è vero, non occorre approfondire la questione teorica del rapporto fra il governo del territorio (nel senso appena precisato) e lo statuto civilistico del diritto di proprietà, per rendersi conto di come l’operazione condotta dal Comune di Roma attraverso i ricordati meccanismi perequativi connessi all’attribuzione de futuro ai suoli di una cubatura aggiuntiva, lungi dal costituire un anomalo “ibrido” tra conformazione ed espropriazione come ritenuto dal primo giudice, rientri a pieno titolo nel legittimo esercizio della potestà pianificatoria e conformativa del territorio.
Ed infatti ciò che l’Amministrazione ha fatto, in sostanza, è in primo luogo attribuire ai suoli un determinato indice di edificabilità (nella specie corrispondente a quello già posseduto sotto il vigore del precedente P.R.G.), ciò che pacificamente non travalica l’ordinario esercizio del potere di pianificazione;di poi, nella già evidenziata prospettiva “dinamica”, ha proceduto a porre le basi per possibili incrementi futuri della cubatura edificabile, predisponendo i meccanismi con i quali questa potrà essere riconosciuta ai vari suoli, in ragione della loro zonizzazione e tipologia (...)
Una volta evidenziato come le prescrizioni urbanistiche all’esame risultino in linea con una moderna concezione della potestà conformativa riconosciuta all’Amministrazione nella propria attività di pianificazione del territorio, occorre soffermarsi sulle particolari modalità con le quali le N.T.A. dispongono debba avvenire la perequazione urbanistica e finanziaria, allorquando troveranno applicazione i richiamati istituti della cessione di volumetrie al Comune e del contributo straordinario: al riguardo, viene in rilievo quello che si è anticipato essere il secondo dei pilastri su cui si reggono le innovative previsioni del P.R.G. capitolino, e cioè il ricorso a strumenti negoziali e consensuali per il perseguimento di obiettivi di pubblico interesse (...)
Più in generale, la Sezione reputa che la “copertura” normativa alla previsione dei più volte richiamati strumenti consensuali per il perseguimento di finalità perequative (e ciò vale sia per la cessione di aree che per il contributo straordinario) vada individuata, come correttamente evidenziato dall’Amministrazione regionale nel proprio appello, nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 bis, e 11 della già citata legge nr. 241 del 1990.
Ed invero, ad avviso della dottrina e della giurisprudenza maggioritarie, con la “novella” del 2005 il legislatore ha optato per una piena e assoluta fungibilità dello strumento consensuale rispetto a quello autoritativo, sul presupposto della maggiore idoneità del primo al perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse.
Non è certo questa la sede per verificare la validità e la condivisibilità di siffatto assunto teorico: ciò che conta è che oggi, essendo venuta meno la previgente riserva alla legge dei casi in cui alle amministrazioni è consentito ricorrere ad accordi in sostituzione di provvedimenti autoritativi, tale possibilità deve ritenersi sempre e comunque sussistente (salvi i casi di espresso divieto normativo);col che, secondo l’opinione preferibile, non è stato affatto introdotto il principio della atipicità degli strumenti consensuali in contrapposizione a quello di tipicità e nominatività dei provvedimenti, atteso che lo strumento convenzionale dovrà pur sempre prendere il posto di un provvedimento autoritativo individuato fra quelli “tipici” disciplinati dalla legge: a garanzia del rispetto di tale limite, lo stesso art. 11 innanzi citato prevede l’obbligo di una previa determinazione amministrativa che anticipi e legittimi il ricorso allo strumento dell’accordo.
Pertanto, nel caso di specie l’Amministrazione altro non ha fatto – lo si ribadisce - che predeterminare le condizioni alle quali potranno attivarsi i ridetti meccanismi convenzionali, solo se e quando i proprietari interessati ritengano di voler avvalersi degli incentivi cui sono collegati (e, cioè, di voler fruire della volumetria aggiuntiva assegnata ai loro suoli dal P.R.G.);ove ciò non avvenga, il Comune che fosse interessato alla realizzazione di opere di urbanizzazione e infrastrutture dovrà attivarsi con gli strumenti tradizionali all’uopo predisposti dall’ordinamento, in primis le procedure espropriative (naturalmente, se del caso, previa localizzazione delle aree su cui operare gli interventi e formale imposizione di vincoli preordinati all’esproprio con apposita variante urbanistica).
È proprio la natura “facoltativa” degli istituti perequativi de quibus, nel senso che la loro applicazione è rimessa a una libera scelta degli interessati, a escludere che negli stessi possa ravvisarsi una forzosa ablazione della proprietà nonché, nel caso del contributo straordinario, che si tratti di prestazione patrimoniale imposta in violazione della riserva di legge ex art. 23 Cost. (...)
Dalle considerazioni fin qui svolte risulta anche alquanto ridimensionata l’ulteriore questione di quali siano le specifiche disposizioni di legge (nazionale o regionale) individuabili quale “copertura” legislativa delle prescrizioni urbanistiche oggetto del presente contenzioso: si è visto, infatti, che queste ultime trovano il proprio fondamento in principi ben radicati nel nostro ordinamento, con riguardo da un lato al potere pianificatorio e di governo del territorio (quale disciplinato dalla legislazione urbanistica fin dalla legge 17 agosto 1942, nr. 1150) e dall’altro alla facoltà di stipulare accordi sostitutivi di provvedimenti (...)
Con ciò non si intende disconoscere l’opportunità che lo Stato intervenga a disciplinare in maniera chiara ed esaustiva la perequazione urbanistica, nell’ambito di una legge generale sul governo del territorio la cui adozione appare quanto mai auspicabile alla luce dell’inadeguatezza della normativa pregressa a fronte delle profonde innovazioni conosciute negli ultimi decenni dal diritto amministrativo e da quello urbanistico;tale auspicio va certamente condiviso proprio al fine di evitare l’insorgere di problemi di inquadramento quali quelli affrontati nel presente giudizio, aggravati dal fatto che nella specie trattasi di perequazione – per così dire – “di secondo grado”, ossia attuata non già mediante “decollo” e “atterraggio” di cubature edificabili da un suolo all’altro inter privatos, bensì a favore dell’Amministrazione in vista della realizzazione di interventi di interesse pubblico.
Tuttavia, la perdurante assenza di una tale normativa statale non può impedire (...) che tali ultimi principi vadano individuati sulla base del quadro normativo attuale, quale risultante dal complesso della legislazione urbanistica stratificatasi sul ceppo dell’originaria legge nr. 1150 del 1942 e dell’applicazione fattane dalla giurisprudenza (anche costituzionale): è in questo modo che può pervenirsi alla conclusione secondo cui tutte le specifiche disposizioni, le quali di volta in volta e per singoli profili potrebbero venire intese quali “copertura” legislativa degli istituti in contestazione, costituiscono in realtà espressione dei superiori e generali principi che si sono richiamati.
Ciò vale, invero, per i commi 258 e 259 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2007, nr. 244, a proposito dei quali vi è contrasto inter partes sulla questione se essi legittimino il meccanismo di cessione delle aree al Comune previsto in termini generali dall’art. 18 delle N.T.A., ma anche per il recentissimo art. 14, comma 16, lettera f), del decreto legge 31 maggio 2010, nr. 78, apparentemente emanato al preciso scopo di legittimare ex post (se ve ne fosse bisogno) la previsione del contributo straordinario da parte del Comune di Roma ” (dec. nr. 4545 del 2010, cit.).
4.2. La parte odierna appellata, per vero, non disconosce affatto la perfetta coincidenza della propria vicenda con quelle trattate nelle decisioni innanzi richiamate;sollecita tuttavia un “ approfondimento ” sul tema del contributo straordinario, sostanzialmente sulla base di tre argomenti:
a ) per verificare la legittimità dell’istituto occorrerebbe soffermarsi non tanto sui suoi principi ispiratori, ma sulla sua applicazione pratica;
b ) il contributo straordinario non sarebbe riconducibile, al contrario di altre previsioni delle N.T.A. del Nuovo P.R.G. di Roma, a finalità perequative, ma paleserebbe la propria natura meramente impositiva;
c ) nemmeno sussisterebbe la affermata natura consensuale dell’istituto.
La prima affermazione – al di là della sua discutibilità sul piano dell’inquadramento teorico degli istituti giuridici – non risulta adeguatamente esplicitata dalla società appellata: ché se i vizi emergenti nella “ applicazione pratica ” del contributo straordinario si riducono a quelli evidenziati ai due punti successivi, se ne vedrà la scarsa consistenza;se, invece, ci si riferisce a distorsioni e abusi posti in essere dagli organi comunali nella concreta applicazione delle previsioni delle N.T.A., è evidente che si fuoriesce dalla sfera di cognizione del giudice amministrativo, per rientrare semmai in altri ambiti di giurisdizione (essendo pacifico che la legittimità o meno dei provvedimenti amministrativi va valutata sulla base del loro contenuto, e non certo di condotte in ipotesi scorrette poste in essere dalla p.a. nella loro concreta applicazione).
Quanto al secondo profilo, il rilievo è condizionato da una ristretta accezione della nozione di perequazione urbanistica dalla quale parte appellata muove: in particolare, si assume che le finalità perequative in subiecta materia consisterebbero nell’intento di attribuire un’equilibrata distribuzione tra tutte le proprietà immobiliari dei diritti edificatori, in misura percentuale, in modo da evitare difformità di trattamento e sperequazioni.
Il rilievo è esatto, e però trascura completamente che tale obiettivo non può non essere realizzato se non distribuendo in modo ragionevole ed equilibrato anche il correlativo “peso” finalizzato alla realizzazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture che risultino indispensabili ad un equilibrato sviluppo del territorio;in tale prospettiva, la perequazione finanziaria costituisce il logico complemento della perequazione urbanistica, ed è precisamente in questa prospettiva che può giustificarsi la rinuncia allo strumento dell’imposizione di vincoli espropriativi (fortemente penalizzante per i proprietari interessati e gravoso per la stessa Amministrazione sotto il profili degli oneri procedimentali), in favore di meccanismi contributivi e “solidaristici” del tipo di quello che qui interessa (purché, come si è visto, ciò non si risolva nella surrettizia introduzione di moduli ablatori).
Infine, quanto al terzo argomento, lo stesso echeggia i rilievi sviluppati dalle parti istanti nelle decisioni più volte richiamate, laddove si escludeva il carattere consensuale del contributo straordinario a cagione della sua predeterminazione nelle stesse N.T.A.
Al riguardo, si è replicato che “ siffatta predeterminazione è coerente con l’interesse pubblico al cui perseguimento, giusta il citato art. 11 della legge nr. 241 del 1990, gli accordi in questione sono finalizzati: a tale interesse invero, proprio in quanto ricomprende gli obiettivi perequativi più volte richiamati, è intrinsecamente connessa l’esigenza di garantire la par condicio fra i privati proprietari di suoli soggetti a eguale disciplina urbanistica, esigenza che all’evidenza sarebbe frustrata qualora fosse rimesso integralmente al momento della contrattazione privata – quasi che questa fosse espressione di mera autonomia privata, e non coinvolgesse invece interessi di rilevanza pubblicistica - la definizione dei termini e delle modalità della “contropartita” che ciascun privato dovrà assicurare all’Amministrazione in cambio della volumetria edificabile aggiuntiva riconosciutagli dal Pian o” (cfr. dec. nr. 4545 del 2010).
5. L’acclarata fondatezza dell’appello principale proposto da Roma Capitale non esime il Collegio dall’esame dell’appello incidentale della società originaria ricorrente, con il quale sono censurati capi della sentenza impugnata autonomi e distinti rispetto a quelli gravati in via principale (è il caso delle doglianze relative alla mancata ripubblicazione del P.R.G.) ovvero articolate censure condizionate alla ritenuta fondatezza dell’impugnazione principale (è il caso delle ulteriori doglianze relative al contributo straordinario ed alla cessione compensativa).
Detto appello incidentale, peraltro, è infondato in tutti i suoi motivi.
6. Principiando dai primi due mezzi, con essi parte appellante incidentale si sofferma sulle modalità procedurali di approvazione del Piano lamentando, rispettivamente, l’omessa pronuncia del primo giudice sulla censura relativa alla mancata ripubblicazione dello stesso dopo la fase delle controdeduzioni e l’erroneità della reiezione della doglianza inerente al mancato pronunciamento del Consiglio Comunale sulle modifiche introdotte in sede di conferenza di copianificazione svoltasi ai sensi dell’art. 66- bis della legge regionale del Lazio 22 dicembre 1999, nr. 38.
6.1. Le dette doglianze sono, innanzi tutto, in larga misura inammissibili per carenza di interesse.
Al riguardo, giova richiamare quanto la Sezione ha avuto modo di affermare nell’occuparsi di altri ricorsi relativi al medesimo Nuovo P.R.G. di Roma, laddove si è rilevato che “ la nozione di “interesse strumentale” accolta nella specie dal primo giudice, così come configurata, appare ambigua e suscettibile di eccessiva dilatazione, con pregiudizio dei fondamentali principi in materia di interesse a ricorrere, nella misura in cui sembra legittimare l’assunto che qualsiasi proprietario di suoli ricompresi nel perimetro del Comune interessato dal P.R.G. abbia interesse a impugnare le prescrizioni del piano medesimo, indipendentemente dalla loro concreta incidenza sul suolo in sua proprietà, in vista dell’ottenimento del risultato utile consistente nella ripetizione dell’attività pianificatoria, dalla quale potrebbero discendere determinazioni a lui più favorevoli.
Tuttavia, non v’è chi non veda come siffatta conclusione contraddica i consolidati principi in tema di attualità e concretezza dell’interesse che deve fondare l’impugnazione, autorizzando una sorta di legittimazione generalizzata all’impugnazione del P.R.G., legata alla semplice qualità di proprietari di suoli compresi nel territorio comunale, ad onta della natura di atto generale dello strumento urbanistico e indipendentemente da una immediata lesività delle sue prescrizioni.
Al riguardo, l’orientamento della Sezione è nel senso di considerare con molta attenzione possibili fughe dallo stretto collegamento al criterio dell’interesse: si è così osservato (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2009, nr. 7441) “…che il c.d. interesse strumentale alla rinnovazione della gara, riguardato nella sua oggettività, non è altro che un interesse al rispetto della legalità, che viene paludato da riferimenti soggettivi (utilità di ripetere la procedura che il ricorrente si propone di conseguire con la deduzione di vizi che, ove fondati, sono in grado di travolgere l’intera gara), al fine di accreditarne la valenza personale, che è un requisito necessario per poter promuovere un ricorso giurisdizionale”.
Deve, infatti, rimarcarsi, come fa la decisione citata, “…che provare di essere in condizione di trarre dall’esito favorevole del giudizio un’utilità non significa per nulla provare di essere titolari di una posizione legittimante. La verifica della sussistenza di una posizione legittimante, ai fini del preliminare accertamento della ammissibilità del ricorso, è in altri termini un’operazione che precede e per certi versi è indipendente dalla stima della utilità che il processo è in grado di assicurare”.
Ciò che, quindi, va ben tenuto presente è lo stretto legame tra l’utilità che si vuole conseguire con il processo e la legittimazione del soggetto ricorrente, al fine di evitare che siano ammessi come parti processuali anche i portatori di un interesse di mero fatto.
Peraltro, è del tutto evidente la profonda differenza esistente, sotto il profilo dell’interesse a ricorrere, tra l’impugnazione degli atti di una procedura concorsuale o selettiva e quella di uno strumento urbanistico generale: mentre nel primo caso il ricorrente mira al perseguimento di un’utilità (aggiudicazione dell’appalto o posizionamento utile in graduatoria) che l’Amministrazione ha attribuito ad altro soggetto o ad altri soggetti specificamente individuati, nell’ambito di una procedura competitiva la cui ripetizione è ex se suscettibile di formare oggetto di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato, altrettanto non può dirsi per il secondo caso, in cui l’interesse del proprietario non direttamente inciso dalle prescrizioni del P.R.G. alla rinnovazione della pianificazione non si differenzia da quello di quisque de populo ad un diverso assetto del territorio comunale (salva la sola ipotesi – comunque non ricorrente nella specie – di doglianze di carattere procedimentale suscettibili di travolgere l’intera procedura di formazione del piano, imponendone la rinnovazione ab initio) ”.
Nel caso di specie parte istante, pur sostenendo che il Comune di Roma avrebbe illegittimamente contravvenuto al dovere di provvedere a nuova pubblicazione del P.R.G., ai sensi degli artt. 9 e 10 della legge 17 agosto 1942, nr. 1150, dopo la fase di controdeduzione alle osservazioni, all’esito della quale erano state introdotte molteplici e rilevanti modifiche allo strumento adottato, non chiarisce in alcun modo come e perché tale omissione le abbia cagionato uno specifico e immediato pregiudizio;in altri termini, non risulta precisato se e quali delle anzi dette modifiche – delle quali pure viene fornita una elencazione analitica e minuziosa – interessassero le aree in proprietà della società istante, di tal che la mancata ripubblicazione avrebbe leso un’ipotetica sua pretesa partecipativa, impedendole di interloquire sul punto.
Analoghe considerazioni possono farsi quanto al secondo motivo di appello incidentale, dal momento che anche delle modifiche intervenute in sede di conferenza di copianificazione – con la sola possibile eccezione di quella relativa all’introduzione del contributo straordinario, che sarebbe effettivamente avvenuta in tale momento dell’ iter formativo del Piano (ma il dato è contestato dall’Amministrazione, la quale evidenzia come già nel P.R.G. adottato, pur non impiegandosi la formula “ contributo straordinario ”, fosse contenuta la previsione della possibilità di un concorso finanziario dei proprietari alla realizzazione di opere pubbliche) – non viene in alcun modo esplicitata l’eventuale incidenza diretta e penalizzante sui suoli di proprietà della società istante.
6.2. Ma, anche al di là dei rilievi in rito che precedono, i motivi in questione risultano anche infondati nel merito, potendo richiamarsi quanto affermato dalla Sezione in occasione di precedente vicenda contenziosa conclusasi con la riforma di altra sentenza del T.A.R. laziale che aveva ritenuto sussistente il vizio de quo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 settembre 2009, nr. 5818).
Come osservato in tale occasione “ la circostanza che il legislatore regionale abbia introdotto un modulo procedimentale “speciale”, a fini di snellimento e semplificazione, per la formazione dello strumento urbanistico generale “de quo” non esclude, naturalmente, che a detto procedimento vadano comunque applicati, in quanto compatibili, i principi generali rivenienti dalla legge 7 agosto 1990, nr. 241, e dalla relativa applicazione giurisprudenziale;fra questi, vi è quello per cui l’Amministrazione che promuove il procedimento e cui spetta l’adozione del provvedimento finale (nella specie, il Comune) conserva, per tutta la durata del procedimento medesimo e fino all’adozione dell’atto conclusivo di esso, il potere di rilevare eventuali vizi di legittimità e di sollecitarne la rimozione, se del caso disponendo la rinnovazione di attività istruttorie ed endoprocedimentali.
Di conseguenza, anche a voler condividere l’impostazione del primo giudice secondo cui il Consiglio Comunale, investito del provvedimento di approvazione del P.R.G. e del relativo accordo di pianificazione, non avrebbe avuto – pur essendo fisicamente lo stesso organo cui è riferita la previsione del comma 5 dell’art. 66-bis – il potere di “approvare” le modifiche secondo quanto previsto da detta disposizione, non può negarsi che quanto meno esso avrebbe avuto la facoltà di rifiutare “in toto” l’approvazione del piano, richiedendo la rinnovazione dell’istruttoria, qualora avesse ritenuto che le modifiche apportate al P.R.G. avessero comportato un sostanziale stravolgimento dello strumento precedentemente esaminato;tale facoltà, che costituisce esplicazione dell’ordinario potere di approvazione (o di non approvazione) del P.R.G. che la legge attribuisce al Consiglio Comunale, non può certo dirsi eliso o abrogato dal particolare modello procedimentale adottato dal legislatore regionale “in subiecta materia” (...)
A questo punto, quindi, il problema diventa quello della natura “sostanziale” o meno delle modifiche introdotte dalla Conferenza di copianificazione;anche su tale punto vi è diversità di opinioni tra le parti, assumendo le Amministrazioni, e contestando la società appellata, che si sia trattato di modifiche meramente formali e marginali.
In via di principio, neanche su questo punto può condividersi l’impostazione del giudice di prime cure (che, come detto, ha sostenuto l’irrilevanza della natura sostanziale o meno delle modifiche “de quibus”): infatti, se è vero che il comma 5 dell’art. 66-bis escludeva dall’obbligo di “approvazione” del Consiglio Comunale le sole modifiche di adeguamento ad altri strumenti di pianificazione, non può per ciò solo ritenersi che qualsiasi altra modifica fosse, invece, soggetta a tale obbligo.
Al contrario, in omaggio al principio di non aggravamento procedimentale, e tenuto conto della complessità dell’iter delineato nella specie dalla legislazione regionale, tale da non escludere che in sede di Conferenza possano essere apportate anche modifiche formali o di dettaglio, non può ritenersi che anche queste ultime debbano sempre e comunque comportare un “ritorno” degli atti in Consiglio (dovendo al riguardo riconoscersi all’Amministrazione comunale un ragionevole margine di discrezionalità valutativa).
Tale conclusione appare in linea anche con l’impostazione generale della stessa l.r. nr. 38 del 1999, la quale nel prevedere la procedura “ordinaria” di formazione del P.R.G. per gli altri Comuni della Regione Lazio (art. 28 segg.), pur introducendo anche in tale contesto il meccanismo dell’accordo di pianificazione (art. 32), non contempla un siffatto obbligo di ulteriore passaggio in Consiglio Comunale delle eventuali modifiche introdotte dalla Conferenza: di tal che, come correttamente osservato nell’appello della Regione Lazio, la rigorosa interpretazione del T.A.R. produrrebbe l’effetto di rendere l’iter formativo del P.R.G. del Comune di Roma più complesso e farraginoso di quello degli altri Comuni laziali, in contrasto con le dichiarate esigenze di semplificazione e velocizzazione che ispirano il disposto ex art. 66-bis.
(...) Tutto ciò premesso, la Sezione è dell’avviso che l’opinione espressa dalla società appellata – e parzialmente condivisa anche dal primo giudice, malgrado l’affermazione dell’irrilevanza della problematica “de qua” -, secondo cui le modifiche apportate dalla Conferenza rivestirebbero rilevanza sostanziale, non trovi riscontro nella documentazione in atti.
Ed invero, in disparte la dubbia sussistenza di interesse a censurare gli atti di pianificazione anche sotto tale profilo (non risultando dimostrato che le modifiche in discorso abbiano interessato anche i suoli della società odierna appellata), appare evidente che le affermazioni di quest’ultima sono ancorate a una logica pressoché esclusivamente “quantitativa”, intesa a valorizzare il mero dato numerico (numero degli articoli e dei commi delle N.T.A. oggetto di intervento della Conferenza etc.), piuttosto che la concreta incidenza delle modifiche sulle scelte pianificatorie del Comune, sulla destinazione impressa ai suoli, sulla loro suddivisione e su tutti gli altri dati qualificanti uno strumento urbanistico generale.
In tale prospettiva, da un esame comparativo delle N.T.A. del P.R.G. quali si presentavano a seguito delle controdeduzioni comunali alle osservazioni dei privati e quali risultanti dal lavoro della Conferenza, nonché della relazione tecnica predisposta da quest’ultima, emerge che sono rimaste manifestamente inalterate non solo tutte le scelte di fondo operate in sede di adozione, ma anche quelle relative alla destinazione generale dei suoli ed al rapporto quantitativo fra le varie zone individuate dal piano;in sostanza, malgrado l’elevato numero delle modifiche apportate, le stesse hanno per lo più carattere formale, consistendo – come riconosciuto dalla stessa Conferenza – in semplici “errata corrige”, ovvero in riformulazioni di prescrizioni non mutate nella sostanza o in modifiche marginali intese a rendere coerenti le singole previsioni con altre norme tecniche, con quanto controdedotto a eventuali osservazioni o anche solo con l’impianto generale del P.R.G.
D’altra parte, tenuto conto della specifica competenza tecnica dei componenti la Conferenza, non desta meraviglia il fatto che uno strumento urbanistico, proveniente dalla fase delle osservazioni dei privati e delle relative controdeduzioni, richiedesse una consistente attività di riscrittura formale, al fine di renderlo organico e coerente, specie a fronte di una realtà urbanistica di estrema complessità quale indubbiamente è quella del Comune di Roma (sulla quale, per vero, andrebbe anche “tarato” il giudizio correlato all’entità numerica delle modifiche stesse) ”.
Non ravvisando la Sezione – come meglio appresso si dirà – valide ragioni per discostarsi dalle richiamate conclusioni nel caso che qui occupa, le stesse devono essere ritenute applicabili a fortiori anche alle modifiche intervenute all’esito della precedente fase di controdeduzione alle osservazioni dei proprietari interessati;al riguardo, va richiamato anche il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui le modifiche che, all’esito di tale piano, impongono al Comune una nuova pubblicazione del P.R.G. sono solo quelle che comportano uno stravolgimento dello strumento adottato ovvero un profondo mutamento dei suoi stessi criteri ispiratori, e non anche le modifiche, per quanto numerose sul piano quantitativo e incidenti in modo inteso sulla destinazione di singole aree o gruppi di aree, che comunque ne lascino inalterato l’impianto originario (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 marzo 2009, nr. 617;Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2006, nr. 2297;id., 5 settembre 2003, nr. 4980;id., 4 marzo 2003, nr. 1197;id., 20 novembre 2000, nr. 6178;id., 20 febbraio 1998, nr. 301;id.,11 giugno 1996, nr. 777).
6.3. Anche su questo punto, per vero, l’appello incidentale risulta dichiaratamente inteso a indurre nella Sezione una revisione del proprio pregresso orientamento, e tuttavia anche in questo caso gli argomenti a tal fine spesi dalla società istante non appaiono persuasivi in tal senso: in sostanza, nell’appello incidentale vengono analiticamente indicate le innovazioni, in ipotesi estremamente incisive e rilevanti, sopravvenute rispetto allo strumento adottato, tali da imporre – rispettivamente – una nuova pubblicazione ovvero un nuovo deliberato dell’organo consiliare dopo la conferenza di copianificazione.
Ebbene, come pure già in altra occasione rilevato, questo tipo di approccio non costituisce altro che un diverso modo di proporre quella logica meramente “quantitativa” della considerazione delle modifiche intervenute allo strumento urbanistico, che si è visto essere insufficiente allo scopo auspicato, senza peraltro riuscire a dimostrare l’assunto di base per cui nella specie si ricadrebbe nelle ipotesi eccezionali suindicate in cui è doveroso ripetere la pubblicazione del P.R.G. (cfr. la decisione nr. 4546 del 2010, cit.).
7. Privo di pregio è poi il terzo motivo di appello incidentale, col quale è stigmatizzata l’erroneità della sentenza impugnata laddove, pur accogliendo le doglianze sul punto della parte originaria ricorrente, ha escluso la natura tributaria del contributo straordinario di cui all’art. 20 delle N.T.A.
Al riguardo, la confermata appartenenza a pieno titolo di detta previsione agli istituti perequativi introdotti dal Nuovo P.R.G., per le ragioni precisate al punto 4 che precede, consente di escludere in radice che il contributo de quo – soprattutto in ragione della sua stretta connessione con l’assegnazione di volumetrie edificabili aggiuntive, rispetto alle quali viene a connotarsi in termini di corrispettività – possa assimilarsi a un’imposizione tributaria o paratributaria.
8. Infine, è infondato anche il terzo motivo di appello incidentale, col quale si lamenta l’omessa pronuncia sulle autonome doglianze articolate in relazione all’istituto della cessione compensativa di cui all’art. 22, applicabile alle aree normate a “ verde pubblico ” (omissione che nella specie era giustificata dall’avere il T.A.R. annullato la detta destinazione per altri e assorbenti motivi).
Sul punto, è sufficiente richiamare i rilievi svolti al già richiamato punto 4, e in particolare i richiami alle più volte citate decisioni nn. da 4542 a 4546 del 2010, laddove è stata evidenziata la piena legittimità delle previsioni in questione;rispetto a tali rilievi la appellante incidentale non fornisce significativi elementi nuovi, limitandosi a reiterare le considerazioni relative alla pretesa violazione dello statuto costituzionale della proprietà ed all’asserita carenza di copertura legislativa: questioni sulle quali, quindi, ci si può richiamare d’amblay a quanto diffusamente argomentato nelle decisioni innanzi citate.
9. In conclusione, s’impone una decisione di accoglimento dell’appello principale e di reiezione dell’appello incidentale, con la conseguente riforma della sentenza impugnata nel senso della integrale reiezione del ricorso di prime cure.
10. La complessità delle questioni esaminate e la peculiarità della vicenda esaminata giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi del giudizio.