Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-11-17, n. 202309872

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2023-11-17, n. 202309872
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202309872
Data del deposito : 17 novembre 2023
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 17/11/2023

N. 09872/2023REG.PROV.COLL.

N. 02014/2018 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2014 del 2018, proposto da
F Z, rappresentata e difesa dagli avvocati V C, P M, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato P M in Roma, via Mondragone n. 10;

contro

Comune di Rimini, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall'avvocato F G, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

Società F.lli Rattini &
Figli di Rattini Alfredo s.n.c., rappresentata e difesa dall'avvocato Fabio Rossi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Federica Stoppani in Roma, via Filippo Civinini n.12;
-OMISSIS-, in persona dell’avvocato Elisa Balestra quale amministratore di sostegno, rappresentata e difesa dall'avvocato Guido Mascioli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l'Emilia Romagna (Sezione Prima) n. -OMISSIS-;


Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rimini, della società F.lli Rattini &
Figli di Rattini Alfredo s.n.c. e della signora -OMISSIS-;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 28 settembre 2023 il consigliere P M e uditi per le parti gli avvocati, come da verbale;

Viste le conclusioni delle parti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO

1. La signora Zanni Florence, nella dichiarata qualità di erede del signor Zanni Giancarlo, ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna – Sezione prima ha respinto il ricorso proposto dal signor Zanni Giancarlo per l’annullamento del permesso di costruire, rilasciato dal Comune di Rimini in data 23 maggio 2008 prot. n. 93094, in favore della signora -OMISSIS-per la realizzazione di un nuovo fabbricato residenziale, previa demolizione dell’esistente, su un terreno sito in Rimini, frazione -OMISSIS-, via -OMISSIS- - via -OMISSIS-, oltre che per l’annullamento della disposizione contenuta nell’art. 4.04, comma 2, delle N.T.A. del P.R.G./Variante Normativa 1990, nella parte in cui esclude dal calcolo delle distanze i balconi di aggetto pari o inferiore a mt. 1,50.

1.1. Il giudice di primo grado ha condannato la parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in € 7.000,00, oltre accessori di legge (di cui €. 3.000,00 in favore del Comune di Rimini;
€ 3.000,00 in favore della società F.lli Rattini &
Figli s.n.c. ed € 1.000,00 in favore di signora -OMISSIS-).

1.2. L’appellante ha contestato la sentenza impugnata con quattro articolati motivi, che nel prosieguo del presente provvedimento saranno oggetto di specifica disamina.

2. Si sono costituiti in giudizio per resistere all’atto di appello la società Fratelli Rattini &
Figli di Rattini Alfredo s.n.c., la signora -OMISSIS-(controinteressata) e il Comune di Rimini.

3. Con memoria depositata in data 27 luglio 2023, la società Fratelli Rattini &
Figli di Rattini Alfredo s.n.c. ha eccepito l’inammissibilità dell’atto di appello, non avendo l’appellante indicato il pregiudizio che le sarebbe stato arrecato dalla edificazione del manufatto in forza del titolo edilizio impugnato e la concreta utilità che conseguirebbe dall’arretramento del fabbricato.

4. Con memorie difensive e di replica, le parti costituite hanno avuto modo di rappresentare compiutamente le rispettive tesi difensive.

5. All’udienza pubblica del 28 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.

6. Preliminarmente, il Collegio è chiamato ad esaminare l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per difetto di interesse, sollevata dalla società Fratelli Rattini &
Figli di Rattini Alfredo s.n.c.

6.1. L’eccezione è infondata.

6.2. Conformemente ai principi enunciati dalla Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 22/2021) è ravvisabile nella posizione giuridica soggettiva della odierna appellante sia la legittimazione al ricorso, in relazione al requisito della vicinitas , sia l’interesse al ricorso, in quanto il nuovo edificio autorizzato presenta un piano in più, maggiori superficie e volume e una diversa destinazione d’uso rispetto a quello demolito, con la conseguenza che la sua realizzazione può aver inciso sulle possibilità di godimento della proprietà della appellante (in termini di perdita di luce, aria, visuale e panorama).

7. Con il primo motivo, l’appellante deduce: violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1, n. 2, del d.m. n. 1444/1968 e dell’art.

4.03 delle N.T.A. del P.R.G./Variante normativa 1990, riguardanti l’obbligo di osservare la distanza inderogabile di 10 metri tra fabbricati.

7.1. In estrema sintesi, l’odierna appellante si duole del fatto che il giudice di primo grado abbia respinto il primo motivo di ricorso riguardante il dedotto mancato rispetto della distanza di mt. 10 tra costruzioni, di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444/1968.

Sostiene che le conclusioni del giudice di primo grado si pongano in contrasto con l’orientamento della giurisprudenza amministrativa e civile in ordine al criterio di calcolo delle distanze tra costruzioni.

In particolare, sostiene che la distanza di mt. 10 tra edifici con pareti finestrate debba essere osservata in modo assoluto e inderogabile sia in senso verticale, che in senso orizzontale (ovvero sia in altezza che in lunghezza) e, quindi, per tutto il fronte del nuovo edificio e non per la sola parte di esso che fronteggia l’edificio esistente.

A sostegno di quanto dedotto richiama alcune pronunce giurisprudenziali.

7.2. La censura è infondata.

7.3. Occorre premettere che l’intervento edilizio contestato dalla parte ricorrente in primo grado (odierna appellante) concerne la demolizione di un preesistente fabbricato, con destinazione ricettiva, e la ricostruzione di un nuovo fabbricato, con destinazione residenziale;
l’area oggetto dell’intervento ricade in zona B (“zone residenziali edificate”), di cui alla variante al vigente P.R.G., approvata con deliberazione di Giunta regionale n. 6129 del 6 dicembre 1994.

L’art. 9 del decreto del Ministero dei lavori pubblici del 2 aprile 1968, all’art. 9, rubricato “ Limiti di distanza tra i fabbricati ”, con riguardo ai nuovi edifici ricadenti in zone diverse dalla A prescrive “ la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti ”.

7.4. In primo luogo, deve rilevarsi che l’intervento edilizio contestato non è consistito in una “ nuova costruzione ”, ma nella demolizione di un preesistente edificio e nella ricostruzione di un nuovo edificio.

Questa Sezione ha già avuto modo di precisare che la disposizione dell’art. 9 n. 2 del d.m. n. 1444/1968 riguarda i “nuovi edifici”, “ ..intendendosi per tali gli edifici (o parti e/o sopraelevazioni di essi: Cons. Stato sez. IV, 4 agosto 2016 n.3522) “costruiti per la prima volta” e non già gli edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse ” (Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 settembre 2017 n. 4337).

Né può ritenersi che nel caso di specie si sia in presenza di una “ nuova costruzione ” per il fatto che il fabbricato realizzato al posto di quello preesistente ha una diversa tipologia e destinazione rispetto a quello demolito, in quanto, da un lato, il concetto di “ nuova costruzione ”, utilizzato ai sensi del d.P.R. n. 380/2001 per verificare la compatibilità dell’intervento con le disposizioni urbanistiche sopravvenute, non esplica effetti ai fini dell’applicabilità dell’art. 9 d.m. n. 1444/1968, dall’altro, ai fini della applicazione del limite inderogabile della distanza ivi previsto, ciò che rileva non è la formale definizione dell’intervento, ma il dato concreto della preesistenza di un immobile a distanza inferiore da quella prevista da detta norma (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 settembre 2017 n. 4337).

7.5. Oltre a ciò, la giurisprudenza amministrativa, anche di questa Sezione, ha da tempo evidenziato che la distanza tra fabbricati di cui all’art. 9 del d.m. n. 1444/1968 va computata in maniera lineare e non radiale e che la distanza deve concernere pareti finestrate (anche di diversa altezza);
non può invece ritenersi sussistente l’obbligo di rispetto della predetta distanza fra pareti che non si fronteggiano (ossia, ipotizzando una prosecuzione ideale delle pareti antistanti);
lo scopo della norma è quello di evitare intercapedini dannose per la salute, ma tale pericolo può sussistere solo tra pareti finestrate che si fronteggiano realmente e non sul piano ideale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 luglio 2023 n. 6438;
Sez. II, 10 luglio 2020 n. 4465)

Le predette conclusioni trovano conferma anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione in subiecta materia (Cassazione civile, Sez. II, 1 ottobre 2019 n. 24471);
in particolare, la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che: “ …ai fini del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, due fabbricati, per essere antistanti, non devono essere necessariamente paralleli, ma possono fronteggiarsi con andamento obliquo, purchè "fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l'avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento" (Cass. n. 4175/2001). Non danno luogo a pareti antistanti gli edifici posti ad angolo retto, nè quello in cui sono opposti gli spigoli a potersi toccare se prolungati idealmente uno verso l'altro. Poichè lo scopo del limite imposto dall'art. 873 c.c. è quello di impedire intercapedini nocive, "la norma non trova applicazione quando i fabbricati non si fronteggiano, ma sono disposti ad angolo retto in modo da non avere parti tra loro contrapposte" (Cass. n. 4639/1997). Le distanze fra edifici non si misurano perciò in modo radiale, come avviene per le distanze rispetto alle vedute, ma in modo lineare (Cass. n. 9649/2016) ”.

7.6. Nel caso di specie, la parte appellante non ha dimostrato in maniera idonea, come era suo onere che il nuovo fabbricato si trovi rispetto alla parete finestrata dell’immobile di sua proprietà ad una distanza inferiore ai 10 metri. Diversamente da quanto sostenuto dalla odierna appellante la distanza dei 10 metri prevista dall’art. 9 del d.m. sopra richiamato deve sussistere tra pareti finestrate che realmente si fronteggiano;
il fatto che il fabbricato della controinteressata sia stato realizzato con delle rientranze e quindi “s econdo una linea spezzata ” (secondo l’espressione utilizzata dalla appellante) non implica necessariamente una violazione della distanza minima prevista dal d.m. n. 1444/1968 esclusivamente per le “pareti finestrate”.

8. Con il secondo motivo, l’appellante deduce: violazione e falsa applicazione dell’art. 4.04, comma 1, punto 2, lett. a), delle N.T.A. del P.R.G./Variante Normativa 1990, contenente la disciplina della distanza degli edifici dal confine di proprietà.

8.1. Evidenzia che l’art. 4.04, comma 1, punto 2, lett. a), delle N.T.A. del P.R.G./Variante Normativa 1990 prevede nelle zone B l’obbligo di rispettare una distanza dal confine di proprietà pari a mt. 5 per le “ nuove costruzioni ”. Viceversa l’edificio assentito non rispetta la suindicata distanza di mt. 5 dal confine di proprietà, dal momento che una parte del medesimo risulta posizionata ad una distanza dal confine di soli mt. 3,41.

L’appellante contesta le conclusioni del T.a.r. che, nel respingere la censura, ha sostenuto che nel caso specifico non trovi applicazione la norma invocata dal ricorrente in primo grado (ossia, l’art. 4.04, comma 1, punto 2, lett. a), delle N.T.A. del P.R.G./Variante Normativa 1990), bensì la norma contenuta nella lettera successiva del medesimo articolo, ovvero la lett. b), che consente il mantenimento delle distanze preesistenti, con il minimo assoluto di mt. 3, nel caso di “sostituzione edilizia”, ovvero di “sopraelevazione” di un edificio esistente fino ad un’altezza di mt. 10.

Il giudice di prime cure sarebbe incorso in contraddizione sulla qualificazione dell’edificio;
in ogni caso, la normativa applicabile alla fattispecie de qua sarebbe quella contenuta nella lettera a) del suindicato art. 4.04, comma 1, punto 2, delle N.T.A. del P.R.G./Variante Normativa 1990 del Comune di Rimini, dal momento che non si tratta certamente di una mera ricostruzione o sopraelevazione di un edificio esistente, bensì della costruzione di un edificio nuovo, diverso dal precedente. Ne consegue che doveva essere rispettata la distanza di mt. 5 dal confine prevista dalla norma di P.R.G.

8.2. La censura è infondata.

8.3. L’appellante qualifica l’intervento edilizio contestato come “nuova costruzione”, mentre in realtà si tratta di una sostituzione edilizia (demolizione e ricostruzione di un edificio);
non è stata fornita dalla appellante (come era suo onere, in base al principio della vicinanza o della riferibilità degli elementi probatori) la prova che le distanze dal confine dell’edificio risultante dalla sostituzione siano state ridotte rispetto all’edificio preesistente.

Come sopra evidenziato, l’art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 riguarda i “ nuovi edifici ”, intendendosi per tali gli edifici o parti e/o sopraelevazioni di essi “ costruiti per la prima volta ” e non già gli edifici preesistenti, per i quali, in sede di ricostruzione, non avrebbe senso prescrivere distanze diverse (Consiglio di Stato, Sezione sesta, 27 aprile 2022 n. 3322;
Sez. IV n. 6282/2020;
Sez. IV n. 3522/2016).

L’intervento edilizio de quo ricade nella previsione dell’art. 4.04, comma 1, punto 2, lett. b, delle NTA PRG/Variante normativa 1990 del Comune di Rimini, che con riguardo ai casi di sostituzione di un edificio con un altro nuovo (come nel caso di specie) non stabilisce alcun limite quantitativo/qualitativo o condizione (peraltro, l’art. 4.04, comma 1, punto 2, lett. b, non risulta essere stato impugnato in parte qua dall’appellante).

9. Con il terzo motivo, l’appellante deduce: ulteriore violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 1) n. 2, del d.m. n. 1444/1968 e degli artt.

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