Consiglio di Stato, sez. VII, sentenza 2023-02-27, n. 202301958
Sintesi tramite sistema IA Doctrine
L'intelligenza artificiale può commettere errori. Verifica sempre i contenuti generati.Beta
Segnala un errore nella sintesiTesto completo
Pubblicato il 27/02/2023
N. 01958/2023REG.PROV.COLL.
N. 05435/2018 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Settima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5435 del 2018, proposto da A B, rappresentato e difeso dagli avvocati F C e A R, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Capaccio, in persona del legale rappresentante
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato P D L, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda) n. 643/2018, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Capaccio;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 13 gennaio 2023 il Cons. Giovanni Tulumello e viste le conclusioni delle parti come in atti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con sentenza n. 643 del 2018 il T.A.R. Campania, sezione distaccata di Salerno, sez. II, ha rigettato il ricorso proposto dall’odierno appellante per l’annullamento dell’ordinanza n. 97 del 29.06.2006 del Comune di Capaccio di demolizione di opere abusive, perché realizzate in assenza di titolo abilitativo;del verbale di sopralluogo per accertamento di opere edilizie, redatto e sottoscritto dall’U. T. C. di Capaccio in data 18.04.2006;della comunicazione del Corpo Forestale dello Stato, redatta a seguito di sopralluogo, pervenuta in data 2.05.2006, prot. n°16306;
La sentenza indicata è stata impugnata con ricorso in appello dal ricorrente in primo grado.
Il Comune di Capaccio si è costituito in giudizio, depositando una memoria.
2. La materia del contendere verte sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione e di remissione in pristino di opere abusive (una rampa di scale e una veranda chiusa con “invetriate in alluminio”) sul presupposto della mancanza di titolo abilitativo.
Il provvedimento è contestato dall’odierno appellante il quale preliminarmente ha rappresentato che la rampa di scale è stata regolarizzata in forza di permesso di costruire in sanatoria n. 49 del 6 maggio 2008: pertanto egli ne contesta la legittimità della sola parte riferita all’intervento di ampliamento della veranda.
3. L’appellante ha gravato la sentenza di primo grado, che ha ritenuto legittima l’ordinanza di demolizione, deducendo, con l’unico motivo, “ Error in judicando. motivazione erronea, illogica, contraddittoria e deficitaria ”.
L’appellante ha sostenuto che la statuizione del Tar risulta viziata da una serie di incongruenze ed errori, sia in fatto che in diritto.
3.1. In primo luogo è stata rilevata l’erroneità della sentenza nella parte in cui non ha accolto la terza e ultima doglianza del ricorso in primo grado ritenendola troppo generica.
A parere dell’appellante, invece, ad essere incerta e generica è piuttosto l’ordinanza di demolizione impugnata: la quale non avrebbe individuato con esattezza e precisione le parti di ampliamento della veranda ritenute abusive e da rimuovere.
Ne sarebbe conseguita l’impossibilità di ottemperare l’ordine di demolizione, essendo incerti i confini tra le parti abusive e quelle realizzate legittimamente;a sostegno viene invocato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale viola la normativa applicabile (art.31 del d.P.R. n.380/2001) l’ordine di demolizione generico: pertanto gli edifici e le parti da abbattere devono essere indicati in modo analitico e puntuale (Cons. Stato, Sez.VI, 4.07.2016 n.2963).
3.2. L’appellante ha inoltre censurato l’erroneità della decisione nella parte in cui ha richiamato la giurisprudenza per la quale non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento in caso di provvedimenti vincolati. L’appellante, invece, ha richiamato il recente indirizzo giurisprudenziale che giudica necessaria la comunicazione di avvio, nonostante la natura vincolata del potere esercitato, ogni qual volta, come nel caso in esame, il confronto procedimentale possa rilevarsi utile anche al fine di determinare l’esatta consistenza materiale dell’abuso contestato ( ex multis : Cons. Stato, Sez.VI., 7 maggio 2018, n. 2708).
3.3. Infine l’appellante ha lamentato l’erroneità della pronuncia nella parte in cui ha respinto la doglianza incentrata sulla carenza di legittimazione passiva. Il ricorrente, in qualità di semplice socio, ha affermato la sua estraneità all’abuso contestato. A tal proposito è stata richiamata la giurisprudenza per la quale la nozione di “responsabile dell’abuso” ricomprende non solo chi ha materialmente posto in essere lo stesso ma anche chi ha la disponibilità dell’immobile che, in qualità di detentore e utilizzatore, deve ottemperare all’ordine di demolizione (Consiglio di Stato, Sez. VI, 21. 11. 2016 n. 4849). L’appellante ha lamentato di essere privo di poteri di amministrazione e rappresentanza. Pertanto è la Società Hotel Ariston s.r.l. che, avendo la disponibilità giuridica e materiale dell’immobile, avrebbe dovuto essere destinataria dell'’ordine di demolizione.
4. Il primo argomento di censura dedotto attiene alla esatta individuazione dell’abuso, e in generale al contenuto dell’ordinanza di demolizione.
Il TAR ha dichiarato la censura inammissibile perché generica.
L’appellante ribatte che ad essere generica, sul punto, sarebbe l’ordinanza impugnata.
Il mezzo è infondato.
La censura era stata formulata in questi termini nel ricorso di primo grado: “ In ogni caso, l’ingiunzione demolitoria risulta non rigorosa ai sensi di legge, perché non soddisfa le esigenze tipizzate dal testo unico in materia edilizia, che come disposizione cogente è applicabile alla fattispecie” .
Il T.A.R. ha in proposito ritenuto che “ Quanto, poi, alla seconda parte della seconda censura (secondo cui l’ingiunzione demolitoria sarebbe risultata “non rigorosa ai sensi di legge”, perché non avrebbe soddisfatto “le esigenze tipizzate dal testo unico in materia edilizia, che come disposizione cogente è applicabile alla fattispecie”), non può che rilevarsene l’estrema genericità, tale da impedirne, all’evidenza, ogni favorevole delibazione ”.
La statuizione del primo giudice resiste alla censura in proposito proposta con il ricorso in appello, atteso che il corrispondente motivo del ricorso di primo grado non contiene gli elementi minimi per enucleare dei profili di critica al provvedimento impugnato.
In ogni caso quest’ultimo descrive analiticamente l’abuso, sicchè non risulta fondato il tentativo, strumentale, di accreditare come ammissibile una censura manifestamente generica in ragione della pretesa genericità del provvedimento impugnato, o di sostenere l’ineseguibilità del provvedimento medesimo.
5. Il secondo argomento di censura dedotto è parimenti infondato.
Per giurisprudenza assolutamente pacifica di questo Consiglio di Stato (da ultimo sez. VI, sentenza n. 348/2023) “ considerato che l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce, notoriamente, manifestazione di attività amministrativa doverosa, non risultano rilevanti le supposte violazioni procedimentali che avrebbero precluso un effettiva partecipazione degli interessati al procedimento, dovendosi ribadire anche a questo proposito che l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata della pubblica amministrazione, con la conseguenza che, ai fini dell'adozione dell'ordinanza di demolizione, non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all'annullamento dell'atto alla stregua dell'art. 21-octies, L. 7 agosto 1990, n. 241 (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 7 novembre 2022 n. 9715) ”.
Né può ritenersi, per quanto documentato in atti, che nel caso in esame una diversa o più intensa partecipazione procedimentale avrebbe diversamente orientato l’esercizio del potere, in ragione dell’infondatezza delle censure di carattere sostanziale.
6. Il terzo argomento di censura è anch’esso infondato.
Il T.A.R. ha ben evidenziato che l’ordinanza di demolizione impugnata ha richiamato la comunicazione del Corpo Forestale dello Stato, redatta a seguito di sopralluogo, in data 2 maggio 2006 (prot. n. 16306), dalla quale risulta che l’odierno appellante è risultato essere l’esecutore materiale degli abusi riscontrati, e che pertanto in tale qualità gli è stata notificata l’ordinanza medesima.
Ne consegue che la censura, reiterata in appello, con la quale si sostiene che egli, in qualità di semplice socio della società proprietaria dell’immobile, non sarebbe legittimato passivo dell’ordine di demolizione, è fuori fuoco, giacchè la legittimazione passiva nel caso di specie discende espressamente dalla materiale realizzazione delle opere abusive in questione.
7. Il ricorso in appello è pertanto manifestamente infondato, e come tale deve essere rigettato.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.
8. La presente decisione è stata assunta tenendo conto dell'ormai consolidato "principio della ragione più liquida", corollario del principio di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. pl., 5.1.2015, n. 5, nonché Cass., Sez. un., 12.12.2014, n. 26242), che ha consentito di derogare all'ordine logico di esame delle questioni e tenuto conto che le questioni sopra vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., Sez. II, 22.3.1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., Sez. V, 16.5.2012, n. 7663, e per il Consiglio di Stato, Sez. VI, 19.1.2022, n. 339), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.