Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2020-10-30, n. 202006687
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Pubblicato il 30/10/2020
N. 06687/2020REG.PROV.COLL.
N. 10365/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10365 del 2010, proposto dalla signora
R L G, rappresentata e difesa dall’avvocato V S, con domicilio eletto presso l’avv. Arturo Cancrini in Roma, piazza San Bernardo 101;
contro
il Comune di Acerenza, in persona del Sindaco
pro tempore
, rappresentato e difeso dall’avvocato R C, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Salaria 103;
per la riforma
della sentenza del al Tribunale amministrativo regionale della Basilicata n. 529/2010, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento del 4 maggio 2007 di revoca della concessione edilizia e contestuale ingiunzione a demolire una struttura precaria.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Acerenza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 settembre 2020 il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte appellata l’avvocato R C;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il 14 settembre 1985 il signor Giuseppe B richiedeva una autorizzazione per la installazione di una struttura precaria (baracca in lamiera) da collocare sul terreno di proprietà della signora Raffaella L G, da lui utilizzato in forza di contratto di locazione del 29 agosto 1985, da adibire a deposito di profilati metallici per la sua attività di carpenteria metallica;nella domanda era espressamente indicato l’impegno a rimuovere la struttura in qualsiasi momento “ venga richiesto dall’Amministrazione ”. Nel progetto si indicava la provvisorietà della installazione e la facilità dello smontaggio.
Il tecnico comunale il 13 settembre 1985 esprimeva parere favorevole con “ l’obbligo di rimuovere la struttura in qualsiasi momento la Amministrazione comunale lo dovesse ritenere opportuno ”.
Con provvedimento n. 36 del 4 ottobre 1985 è stata rilasciata “concessione a titolo gratuito” per una “baracca con struttura precaria”.
Successivamente il signor B, avendo trasferito la propria attività di carpenteria in altro sito del medesimo Comune, alienava la baracca alla signora L G con scrittura privata del 30 maggio 1995, che la utilizzava quale deposito di attrezzi agricoli.
Con provvedimento del 4 settembre 2003 il Comune rilasciava al signor B il permesso di costruire per la realizzazione di un capannone adibito alla attività di carpenteria in contrada Stoppelli.
Il Comune di Acerenza, pertanto, con nota dell’8 novembre 2006, inviata per conoscenza anche alla signora L G, ordinava al sig. B di rimuovere la baracca sul suolo di proprietà L G, in quanto il titolo era stato rilasciato per l’attività di carpenteria del B, ormai trasferitosi altrove.
Il 16 novembre 2006 la signora L G presentava osservazioni, con cui rappresentava di avere acquistato la baracca con atto a titolo oneroso e di avere confidato nella irrevocabilità della concessione edilizia rilasciata per la baracca.
Con provvedimento del 4 maggio 2007 indirizzato sia al signor B sia alla signora L G è stata revocata la concessione n. 36 del 4 ottobre 1985 ed è stata ordinata la demolizione della struttura precaria.
Con atto dell’8 giugno 2007 la Polizia municipale accertava l’inottemperanza alla demolizione.
Avverso tali atti sia il signor B che la signora L G hanno proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Basilicata, lamentando la violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, in relazione alla mancata comunicazione di avvio del procedimento;il difetto di motivazione circa l’interesse pubblico attuale alla demolizione;la violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380;dell’art. 4 comma 6 della legge L. n. 10/1977, sostenendo la irrevocabilità della concessione edilizia rilasciata, non espressamente subordinata ad un uso specifico della baracca.
Il giudice di primo grado ha respinto entrambi i motivi, risultando agli atti del giudizio la nota del responsabile del settore tecnico del Comune di Acerenza 8 novembre 2006, n. 5601, con cui alla signora L G era stata data comunicazione del procedimento, in seguito alla quale, inoltre, la signora L G ha aveva anche presentato osservazioni con la nota del 16 novembre 2006;ha poi affermato la natura precaria del titolo rilasciato con il provvedimento del 4 ottobre 1985 sulla base del parere del tecnico comunale che espressamente condizionava il rilascio all’obbligo del rimozione a richiesta dell’Amministrazione comunale, con esclusione, quindi, di qualsiasi affidamento sulla durata e irrevocabilità del titolo edilizio.
Avverso la sentenza è stato proposto il presente atto di appello dalla sola signora Raffaella L G, che ha riproposto i motivi di ricorso di primo grado sostenendo la violazione e falsa applicazione degli artt.7 e ss, della legge n.241/90 per la mancata partecipazione al procedimento relativo alla revoca della concessione, in quanto la nota dell’8 novembre 2006 non faceva espresso riferimento al procedimento di revoca della concessione;il difetto di motivazione circa l’interesse pubblico alla revoca e la violazione dell’affidamento dell’appellante;la violazione e falsa applicazione dell’art. 31, comma 2 D.P.R. 380/01 e dell’art. 4 comma 6 della legge n. 10/1977 per la irrevocabilità della concessione.
Si è costituito il Comune di Acerenza in data 17 gennaio 2011, contestando la fondatezza dell’appello.
La difesa appellante, nella memoria depositata il 26 novembre 2012, ha eccepito l’inammissibilità della costituzione in giudizio del Comune, per la nullità della delibera n. 63 del 10 dicembre 2012 di conferimento dell’incarico di rappresentanza del Comune di Acerenza all’avvocato F I, e quindi la violazione e falsa applicazione degli artt. 151 e 183 TUEL e art. 55 della legge 142/1992, non essendovi il parere di regolarità contabile né l’impegno di spesa.
Successivamente, il Comune di Acerenza, con determina dirigenziale n. 310 del 6 dicembre 2012, ha disposto l’acquisizione del bene e dell’area di sedime al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31 comma 3 del T.U. dell’edilizia DPR n. 380/2001.
A seguito di tale provvedimento, la parte appellante ha presentato istanza di sospensione della sentenza impugnata.
Nella memoria per la camera di consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare ha contestato anche la legittimità dell’atto di acquisizione al patrimonio comunale.
Con ordinanza n. 1578 del 30 aprile 2013 è stata respinta l’istanza cautelare, non sussistendo profili di fumus boni iuris, in relazione alla natura provvisoria del manufatto e al carattere temporaneo del titolo.
Il 22 luglio 2020 si è costituito in giudizio un nuovo difensore per il Comune di Acerenza, in sostituzione dell’avvocato F I, nel frattempo deceduto, depositando procura alle liti e delibera della Giunta comunale del 14 luglio 2020 n. 52.
Il Comune di Acerenza ha presentato memoria per l’udienza pubblica insistendo per la reiezione dell’appello.
Alla udienza pubblica del 29 settembre 2020 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio in via preliminare che la eccezione proposta dalla appellante nella memoria depositata il 26 novembre 2012 - relativa alla inammissibilità della costituzione in giudizio del Comune per asserita nullità della delibera n. 63 del 10 dicembre 2012 di conferimento dell’incarico di rappresentanza del Comune di Acerenza all’avvocato F I, per mancanza del parere di regolarità contabile e della indicazione della impegno di spesa - sia stata comunque superata dalla intervenuta costituzione in giudizio del nuovo difensore, nei confronti della quale non sono state proposte eccezioni.
In ogni caso, la eccezione era anche infondata, in relazione alla giurisprudenza consolidata della Cassazione, per cui “ la nullità correlata alla mancata previsione della spesa e della sua copertura non riguardi anche le deliberazioni relative alla partecipazione degli Enti a controversie giudiziarie, sia perché è incerta l'incidenza del relativo onere economico, condizionato alla soccombenza, e sia perché, nel bilancio dell'Ente, è di norma presente una voce generale nella quale possono essere inserite le prevedibili spese di lite” (Cass. civile, sezione II, 26 luglio 2019, ord. n. 20381;sez. I, ord. 22 maggio 2019, n. 13913;sez. VI-3 sent., 22 luglio 2015, n. 15454).
Ritiene, poi, il Collegio di precisare che si prescinde dall’esame dell’attualità dell’interesse a coltivare il presente giudizio da parte della signora L G - non risultando in atti l’avvenuta impugnazione dell’atto di acquisizione al patrimonio comunale del 6 dicembre 2012 e non potendosi ritenere idonea impugnazione la contestazione mossa a tale atto con la domanda cautelare proposta nel presente giudizio di appello - in relazione alla manifesta infondatezza dell’appello.
Con riferimento al primo motivo, con cui si lamenta la mancata partecipazione al procedimento, correttamente il giudice di primo grado ha rilevato che non solo la signora L G ha avuto conoscenza del procedimento con la comunicazione dell’ 8 novembre 2006, n. 5601, ma che la stessa ha anche presentato osservazioni con la nota del 16 novembre 2006, rappresentando di avere acquistato la baracca per atto a titolo oneroso e di non essere a conoscenza della precarietà del titolo edilizio.
Con il motivo di appello si specifica che la nota dell’8 novembre 2006 non facesse espresso riferimento alla revoca della concessione edilizia.
Anche tale profilo non è suscettibile di accoglimento.
La comunicazione dell’8 novembre 2006 ordinava lo smantellamento della baracca espressamente rappresentando che non aveva più “ ragione di esistere ”, con ciò indicando il venir meno di qualunque titolo abilitativo.
In ogni caso, con le osservazione del 16 novembre la signora L G ha manifestato la propria posizione al riguardo, con la conseguenza che la partecipazione procedimentale deve ritenersi pienamente avvenuta.
Sul punto deve essere richiamata la costante giurisprudenza di questo Consiglio per cui l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo non deve essere osservato in maniera meccanicistica e la validità dell’azione amministrativa non è inficiata se la conoscenza dell’inizio del procedimento sia comunque intervenuta e si sia concretamente raggiunto lo scopo al quale in via generale la previa comunicazione tende (Cons. Stato, sez. III, 9 aprile 2018, n. 2148;sez. IV, 27 ottobre 2016, n. 4508).
Inoltre, le norme in materia di partecipazione procedimentale non devono essere lette in senso formalistico, bensì avendo riguardo all’effettivo e oggettivo pregiudizio che la sua inosservanza abbia causato alle ragioni del soggetto privato nello specifico rapporto con la pubblica amministrazione, in relazione all’21- octies della stessa legge, secondo cui “ non è annullabile il provvedimento per vizi formali non incidenti sulla sua legittimità sostanziale e il cui contenuto non avrebbe potuto essere differente da quello in concreto adottato” . Tale disposizione, attraverso la dequotazione dei vizi formali dell’atto, mira a garantire una maggiore efficienza all’azione amministrativa, risparmiando antieconomiche ed inutili duplicazioni di attività, laddove il riesercizio del potere non potrebbe comunque portare all’attribuzione del bene della vita richiesto dall’interessato, l’atto amministrativo non può essere annullato (cfr. Cons. Stato, Sezione II, 17 settembre 2019, n. 6209;sezione III, 19 febbraio 2019, n. 1156;sezione IV, 11 gennaio 2019, n. 256;id., 27 settembre 2018, n. 5562).
Con riferimento al secondo motivo di appello, con cui si sostiene il difetto di motivazione, la violazione del principio di affidamento e la violazione degli articoli 2 comma 6 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e 4 della legge 10 del 1977, che qualificherebbero la concessione edilizia come irrevocabile, deve considerarsi che il titolo edilizio del 4 maggio 1985 è stato rilasciato al signor B a titolo gratuito, che la istanza riguardava espressamente una “autorizzazione” per la realizzazione di una struttura precaria per lo svolgimento della sua attività di carpenteria metallica, e che, sia nella istanza sia nel parere del tecnico comunale del 13 settembre 1985, era espressamente previsto l’obbligo di rimozione a richiesta dell’Amministrazione comunale.
Ne deriva che il titolo rilasciato il 4 ottobre 1985 non può ritenersi una concessione edilizia disciplinata dall’art. 4 comma 6 della legge n. 10 del 1977, per cui “ la concessione edilizia è trasferibile ai successori o aventi causa ”.
Il titolo riguardava solo una struttura precaria rimuovibile a richiesta dell’Amministrazione, destinata a servizio dell’attività del B per il deposito di materiale per lo svolgimento di attività di carpentiere metallico e per il suo rilascio non sono stati pagati oneri.
Infatti, ai sensi dell’art. 3 della legge 10 del 1977, nel testo allora vigente “ la concessione comporta la corresponsione di un contributo commisurato all'incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di costruzione ”.
Il mancato pagamento di oneri di urbanizzazione, nel caso, di specie, comporta la mancanza della trasformazione urbanistico-edilizia del territorio e della perdurante modifica dello stato dei luoghi, giustificata dalla natura precaria e temporanea del manufatto, il quale, dunque, non poteva essere mantenuto una volta cessate le esigenze temporanee per cui era stato ivi collocato.
Tale interpretazione è confermata dall’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, pur successivo al rilascio del titolo edilizio in questione, avvenuto nel 1985, per cui è considerata un intervento di nuova costruzione anche “ l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee ”( punto e.5).
Solo la natura temporanea del manufatto ha, quindi, consentito il suo rilascio a titolo gratuito senza corresponsione di oneri.
La valutazione della precarietà va, infatti, effettuata in considerazione all’uso al quale il manufatto è destinato e dell’ interesse finale al cui soddisfacimento l’opera stessa è destinata;pertanto “ solo le opere funzionali a soddisfare una esigenza oggettivamente temporanea - destinata a cessare dopo il tempo, normalmente non lungo, entro cui si realizza l'interesse finale - possono ritenersi di carattere precario e, in quanto tali, non richiedenti la concessione edilizia” (Cons. Stato, sez. III, 12 settembre 2012, n. 4850).
Nel caso di specie, dunque l’opera era funzionalmente destinata all’uso temporaneo nel tempo del sig. B, uso che deve ritenersi cessato quando lo stesso ha trasferito altrove la sua attività.
Le argomentazioni dell’appellante, per cui, una volta rilasciato il titolo, non rileverebbero i motivi per cui è stato rilasciato non possono, dunque, essere condivise, non essendo individuabile nel provvedimento del 1985 una concessione edilizia trasferibile agli aventi causa.
Sotto tale profilo, devono ritenersi infondate anche le ulteriori censure proposte con riferimento al difetto di motivazione e alla mancata valutazione dell’interesse pubblico per l’esercizio del potere di revoca.
Infatti, il provvedimento del 4 maggio 2007 neppure si può configurare come vera e propria revoca per “ sopravvenuti motivi di pubblico interesse ” o per “ mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell'adozione del provvedimento ” o per una “ nuova valutazione dell'interesse pubblico originario ”, presupposti per l’esercizio del poteri di revoca indicati dall’art.21 quinquies della legge n. 241 del 1990.
Si tratta piuttosto dell’accertamento da parte del Comune della cessazione delle esigenze precarie e temporanee che avevano giustificato il rilascio dell’autorizzazione, con esercizio, pertanto, di poteri vincolati e non dei poteri discrezionali posti a base di una eventuale revoca.
Pertanto, alcuna motivazione circa l’interesse pubblico doveva essere contenuta nell’atto impugnato in primo grado.
Inoltre, neppure doveva essere valutata la specifica situazione di affidamento della signora L G, che non aveva alcuna posizione tutelata dal titolo edilizio rilasciato al B.
Inoltre la stessa aveva avuto comunque conoscenza, al momento dell’acquisto della baracca, del titolo edilizio sulla base del quale il manufatto era stato realizzato, come risulta dalle osservazioni da lei presentate il 16 novembre 2006 al Comune di Acerenza in cui è riportata la circostanza che il B le aveva “presentato la concessione edilizia e il progetto”.
L’Amministrazione non era, dunque, tenuta a valutare un particolare bilanciamento della posizione dei privati né occorreva una specifica motivazione sull’interesse pubblico attuale alla revoca, in quanto il titolo aveva sostanzialmente esaurito i suoi effetti già al momento del trasferimento del B in altro sito, il quale aveva anche ottenuto un titolo edilizio per la realizzazione di un capannone.
Il provvedimento di revoca deve essere adeguatamente motivato quando incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, in considerazione delle posizioni consolidate in capo al privato e all'affidamento ingenerato nel destinatario dell'atto da revocare, salvo quando la revoca dell’atto costituisca un vero e proprio dovere dell'Amministrazione che sia tenuta a porre rimedio alle sfavorevoli conseguenze derivate dal perdurare dell’efficacia del provvedimento del quale sono venute meno le ragioni giustificatrici, non sussistendo in questo caso uno specifico obbligo di motivazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 25 gennaio 2011, n. 531).
La legittimità della revoca comporta la legittimità dell’ordine di demolizione di un manufatto ormai senza titolo.
Ritiene il Collegio, sul punto, di richiamare la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, per cui i provvedimenti di demolizione sono atti vincolati il cui presupposto è costituito esclusivamente dalla realizzazione di opere in assenza del titolo edilizio;per la adozione di tali atti non è richiesta, quindi, una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla demolizione, in quanto, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l'amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento, essendo la relativa ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore (Consiglio di Stato Sez. VI, 30 aprile 2019, n. 2821;n. 2822;id., 24 aprile 2019, n. 2627;id., 15 aprile 2019, n. 2438);né rileva, sotto tale profilo, l’eventuale decorso del termine dalla commissione dell’abuso, in quanto “ il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso ” (Adunanza Plenaria, 17 settembre 2017, n. 9;cfr. altresì Sez. VI, 30 ottobre 2018, n. 6176).
Applicando tali principi giurisprudenziali al caso di specie, si deve ritenere che il Comune neppure dovesse fornire una specifica motivazione in relazione al tempo trascorso dal trasferimento del B e di utilizzo della baracca da parte della signora L G.
Poiché il manufatto avrebbe dovuto essere rimosso dal momento di cessazione delle esigenze contingenti per cui era stata autorizzata la sua collocazione, l’utilizzo per alcuni anni da parte della signora L G non poteva ingenerare alcuna posizione di affidamento per il trascorrere del tempo.
Conclusivamente l’appello è infondato e deve essere respinto con conferma della sentenza appellata.
Le spese del presente grado di giudizio, liquidate in euro 2.500,00 (duemilacinquecento,00) oltre accessori di legge in favore del Comune di Acerenza, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della parte appellante.