Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-06-27, n. 202205265

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Sul provvedimento

Citazione :
Consiglio di Stato, sez. II, sentenza 2022-06-27, n. 202205265
Giurisdizione : Consiglio di Stato
Numero : 202205265
Data del deposito : 27 giugno 2022
Fonte ufficiale :

Testo completo

Pubblicato il 27/06/2022

N. 05265/2022REG.PROV.COLL.

N. 06014/2013 REG.RIC.

N. 04077/2021 REG.RIC.

N. 04082/2021 REG.RIC.

N. 04111/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6014 del 2013, proposto dai signori G D G e Concetta D’Esposito, rappresentati e difesi dagli avvocati V C I e M A L, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, via Dora, n. 1,

contro

il Comune di Sorrento, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso dall’avvocato L D L, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Luigi Napolitano in Roma, via Girolamo da Carpi, n.6;



sul ricorso numero di registro generale 4077 del 2021, proposto dai signori G D G e Concetta D’Esposito, rappresentati e difesi dagli avvocati Alfredo Messina, Annabella Messina e Laura Messina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Angelini in Roma, piazza Adriana, n. 4,

contro

il Comune di Sorrento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Maurizio Pasetto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



sul ricorso numero di registro generale 4082 del 2021, proposto dal signor N D G, rappresentato e difeso dagli avvocati Alfredo Messina, Annabella Messina e Laura Messina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Angelini in Roma, piazza Adriana, n. 4,

contro

il Comune di Sorrento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Maurizio Pasetto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;



sul ricorso numero di registro generale 4111 del 2021, proposto dal signor N D G, rappresentato e difeso dagli avvocati Alfredo Messina, Annabella Messina e Laura Messina, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Francesco Angelini in Roma, piazza Adriana, n. 4,

contro

il Comune di Sorrento, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Maurizio Pasetto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

quanto al ricorso n. 6014 del 2013:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, (Sezione Sesta) n. 1812/2013, resa tra le parti, concernente il diniego di condono ai sensi della l. n. 326 del 2003 e la conseguente demolizione di opere abusive;

quanto al ricorso n. 4077 del 2021:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, (sezione Sesta) n. 5005/2020, resa tra le parti, concernente rigetto di istanze di condono ai sensi della l. n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994 e ingiunzione a demolire;

quanto al ricorso n. 4082 del 2021:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, (sezione Sesta) n. 5006/2020, resa tra le parti, concernente rigetto di istanza di condono ai sensi della l. n. 724 del 1994 e ingiunzione a demolire;

quanto al ricorso n. 4111 del 2021:

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Napoli, (sezione Sesta) n. 5008/2020, resa tra le parti, concernente la cessazione dell’attività di trasformazione e vendita di prodotti agricoli di cui a precedente autorizzazione sanitaria.


Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Sorrento in tutti e quattro i procedimenti;

Vista l’ordinanza della Sez. VI n. 3564 dell’11 settembre 2013 nonché le ordinanze di questa Sezione n. 3528 del 30 marzo 2021 e n. 6658 del 6 ottobre 2021, rese nell’ambito del procedimento n.r.g. 6014 del 2013;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 maggio 2022, alla quale nessuno è presente per le parti, il Cons. Antonella Manzione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

1. I signori N D G, titolare di azienda agricola, G D G e Concetta D’Esposito, comproprietari del fondo ove la stessa viene esercitata, ubicato nel territorio del Comune di Sorrento alla via Malacoccola, n. 10, distinto in catasto al foglio n. 7, particella 625 (ex particelle 133, 136, 137 e 339), hanno presentato nell’arco temporale tra l’anno 1986 e l’anno 2004 undici istanze di sanatoria edilizia per interventi sui vari fabbricati che preesistevano in loco , nonché, da ultimo, per opere a corredo degli stessi, ivi comprese quelle viarie. In maggior dettaglio, la prima domanda è stata avanzata ai sensi della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (istanza prot. n. 28163 del 30 settembre 1986);
tre successive fanno riferimento alla legge 23 dicembre 1994, n. 724 (istanze prot. nn. 7525, 7526 e 7527 del 1 marzo 1995);
ulteriori sette sono formulate in base alla legge 24 novembre 2003, n. 326, di conversione, con modificazioni, del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269 (istanze prot. nn. 619,620, 621, 622,623,624 e 625 del 10 dicembre 2004). I provvedimenti di diniego sono stati adottati in data 20 ottobre 2000 (n. 300/57), poi reiterato con atto n. 221 del 12 giugno 2001, per respingere l’istanza del 30 settembre 1986 e quella del 1 marzo 1995, riferita ai fabbricati “A” e“B”;
in pari data (20 ottobre 2000), n. 299/57, avuto riguardo al fabbricato “C”;
infine il 7 novembre 2007 (prot. 40072), per le rimanenti istanze. Va altresì precisato che l’istanza del 1986 era stata presentata dalla sola signora Concetta D’Esposito;
quelle prot. n. 7525 e 7526 del 1 marzo 1995 (riferite al fabbricato “A” e al piano terra e primo del fabbricato “B”), da entrambi i coniugi comproprietari;
quella prot. n. 7527 del 1 marzo 1995 per il manufatto “C”, del quale si ipotizzava la demolizione e ricostruzione, con aggiunta di tettoia, dal signor N D G;
le rimanenti dal solo signor G D G.

1.1. Infine, in data 1 marzo 2012 l’Ufficio “Attività produttive” del Comune di Sorrento, ha inteso intimare al signor N D G la cessazione dell’attività di produzione di limoncello, mirto, mirtillo e finocchietto, marmellate artigianali, babà in bagna alcolica e creme di liquore aromatizzate alla frutta, già oggetto di autorizzazione sanitaria prot. n. 20747 del 16 giugno 1999, integrata in data 2 marzo 2000.

2. Con un primo ricorso al T.A.R. per la Campania, n.r.g. 414 del 2001, i signori G D G e Concetta D’Esposito hanno chiesto l’annullamento del provvedimento n. 300/57 del 20 ottobre 2000, di rigetto delle istanze del 30 settembre 1986 e nn. 7525 e 7526 del 1 marzo 1995, nonché, con motivi aggiunti, del provvedimento del 12 giugno 2001, riferito nuovamente all’istanza prot. 7526 e dell’ordinanza demolitoria del 13 giugno 2001.

2.1. Con autonomo ricorso al medesimo Tribunale, n.r.g. 541 del 2001, anche il signor N D G ha impugnato il provvedimento di rigetto n.299/57 del 20 ottobre 2000, riferito alla propria istanza prot. n. 7527 del 1 marzo 1995.

2.2. Con un terzo ricorso, n.r.g. 1469 del 2008, nuovamente i signori G D G e Concetta D’Esposito hanno impugnato il diniego di condono in data 7 novembre 2007, e la conseguente ingiunzione a demolire n. 165 del 3 gennaio 2008.

2.3. Infine, con ricorso n.r.g. 2302 del 2012, il signor N D G ha chiesto l’annullamento del provvedimento del 1 marzo 2012 di ingiunzione della cessazione dell’attività commerciale dallo stesso svolta nel complesso immobiliare “Malacoccola” sulla base delle autorizzazioni sanitarie del 1999 e del 2000.

3. Il Tribunale amministrativo adito, con autonome sentenze n. 1812 del 2013 e nn. 5005, 5006 e 5008 del 2020, ha respinto tutti e quattro i ricorsi, condannando i ricorrenti al pagamento delle spese di giustizia.

3.1. Il Collegio ritiene opportuno precisare da subito che la prima pronuncia in ordine di tempo (n. 1812 del 2013) si riferisce all’ultimo provvedimento adottato dal Comune di Sorrento (ovvero il diniego del 2007). Ciò impone nello scrutinio della vicenda un’inversione dell’ordine cronologico degli appelli, ripristinando la priorità di disamina degli atti intervenuti in epoca antecedente in quanto logicamente, prima che giuridicamente, presupposti. Un discorso a parte va invece sviluppato in relazione ai contenuti della sentenza n. 5008 del 2020 del T.A.R. per la Campania, in quanto attinge a problematiche di utilizzo degli immobili, sicuramente connesse, ma non esaurentesi nelle questioni urbanistico-edilizie poste a base delle altre tre vicende.

4. Con le sentenze n. 5005 e n. 5006 del 3 novembre 2020, dunque, sono stati respinti i ricorsi n.r.g. 414 del 2001 (proposto dai coniugi D G) e n.r.g. 541 del 2001 (proposto dal signor N D G), riferiti ai dinieghi delle prime quattro istanze di condono avanzate in relazione al complesso in controversia, una ex lege n. 47 del 1985 e le rimanenti “agganciando” la nuova finestra temporale aperta dalla l. n. 724 del 1994.

Punto centrale di entrambe le decisioni è la valorizzazione, da parte del primo giudice, della sostanziale diversità dei manufatti risultanti dalla pluralità di interventi posti in essere rispetto all’unità immobiliare originaria, ovvero, più correttamente, a quella per la quale si è chiesta la sanatoria, sì da snaturarne la consistenza, rendendone impossibile l’identificazione. In particolare, le opere per le quali sono state presentate le domande « non trovano più corrispondenza nell’attuale situazione dei luoghi, essendo state interessate da progressive trasformazioni che ne hanno sensibilmente modificato le caratteristiche, incrementandone la consistenza » (v. sentenza n. 4005 del 2020), tanto da creare di fatto un organismo del tutto diverso da quello relativo alla sommatoria delle distinte pratiche, ove succedutesi nel tempo.

5. Con la sentenza n. 1812 del 2013, invece, sviluppando un’argomentazione assai più di dettaglio, il Tribunale adito ha avallato la legittimità anche del procedimento avente ad oggetto il diniego delle ultime sanatorie richieste ex lege n. 326/2003, sulla base di molteplici considerazioni. In primo luogo, non ha inteso assecondare il tentativo delle parti di parcellizzare gli interventi, pretendendone una disamina atomistica, avulsa dalla risultante complessiva delle operazioni effettuate. Indi ha escluso la necessità di attendere gli esiti del procedimento di sanatoria paesaggistica, stante che la ratio della norma invocata, legge 15 dicembre 2004, n. 308, è quella di estinguere il fatto-reato, derogando al regime di insanabilità previsto dal d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, senza tuttavia legittimare ex post opere realizzate in difformità dagli strumenti di pianificazione paesaggistica. Il regime di inedificabilità assoluta vigente sull’area, soggetta al vincolo idrogeologico di cui al r.d. n. 3267 del 1923 e alla successiva l.r. n. 11/1996, nonché compresa in zona FS - Parco territoriale (circostanza quest’ultima non oggetto di contestazione), non consentiva di avallare nessuno degli interventi effettuati. Né è pensabile ribaltare sull’Amministrazione procedente l’onere di collocare temporalmente ciascuno di essi, trattandosi di incombente a esclusivo carico del richiedente.

6. La sentenza n. 5008 del 3 novembre 2020 ha molto sinteticamente ritenuto necessitato il provvedimento di interdizione dell’attività di produzione e vendita di prodotti alimentari ricavati dall’attività agricola, in ragione della accertata abusività dei locali sotto il profilo urbanistico-edilizio.

7. Avverso le sentenze sopra richiamate gli originari ricorrenti in primo grado hanno interposto appello chiedendone la riforma, in quanto errate in fatto e in diritto e segnatamente:

-con il ricorso n.r.g. 6014 del 2013 i signori G D G e Concetta D’Esposito hanno impugnato la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 1812 del 2013, avente ad oggetto il rigetto delle istanze di condono del 7 novembre 2007;

- con ricorso n.r.g. 4077 del 2021, le medesime parti hanno impugnato la sentenza n. 5005 del 2020, riferita al diniego di condono n. 300/57 del 20 ottobre 2000 e alla sua reiterazione del 2001;

-con ricorso n.r.g. 4082 del 2021 il signor N D G ha impugnato la sentenza n. 5006 del 2020, avente ad oggetto il diniego di condono opposto allo stesso, n. 299/57 del 20 ottobre 2000;

-infine, con ricorso n.r.g. 4111 del 2021 l’appellante di cui sopra ha impugnato la sentenza n. 5008 del 2020, riferita alla cessazione dell’attività commerciale disposta in data 1 marzo 2012.

7.1. Il Comune, regolarmente intimato, si è costituito in giudizio in tutti i procedimenti, chiedendo il rigetto degli appelli e la conferma delle sentenze di primo grado.

8. Con ordinanza n. 3564 dell’11 settembre 2013, resa nel procedimento n.r.g. 6014 del 2013, la sez. VI di questo Consiglio di Stato ha accolto l’istanza cautelare così sospendendo, tra l’altro, l’efficacia del provvedimento di ingiunzione a demolire gli interventi oggetto delle domande di sanatoria presentate nel 2004 e respinte con atto del 7 novembre 2007.

8.1. Con ordinanza n. 3528 del 30 marzo 2021 questa Sezione, nell’ambito del medesimo procedimento, ha ritenuto necessario disporre un supplemento di istruttoria a cura del Segretario generale del Comune di Sorrento, allo scopo di appurare se, quante e quali istanze di condono fossero state avanzate per i vari fabbricati componenti il complesso denominato “Malacoccola”, identificando anche ipotetiche sovrapposizioni di oggetto tra quelle in controversia e le precedenti, reiteratamente invocate da parte appellante allo scopo di argomentare pure istanze di rinvio motivate sull’assunto di una presunta trattativa in corso col Comune di Sorrento per circoscrivere esattamente l’ambito di illiceità attuale dello stato di fatto, scongiurando il ripristino dei luoghi ove non necessario o addirittura non dovuto.

8.2. Con successiva ordinanza n. 6658 del 6 ottobre 2021, preso atto dell’avvenuta trasmissione alla Sezione dei fascicoli inerenti gli appelli nn.r.g. 4077/2021, 4082/2021 e 4111/2021 con decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 169 del 2021, ne disponeva la riunione al ridetto n.r.g. 6014/2013 per ravvisata connessione oggettiva e, in parte, soggettiva. Con l’occasione, veniva reiterata la richiesta istruttoria, incaricando nuovamente il Segretario generale del Comune di Sorrento di ricostruire la cronologia delle domande di sanatoria riferite al complesso di via Malacoccola, specificando il regime urbanistico e vincolistico dell’area di riferimento e fornendo una descrizione sommaria dell’oggetto di ogni singolo intervento, per come desumibile dalla istanza di condono, con richiamo all’eventuale, precedente domanda avente, anche solo in parte, il medesimo oggetto, nonché degli esiti del procedimento, ivi compresa la fase esecutiva. Veniva altresì richiesto di chiarire il procedimento seguito per il rilascio dell’autorizzazione sanitaria e le sue successive modifiche, individuando i locali cui la stessa si riferiva e la loro situazione sotto il profilo urbanistico-edilizio all’epoca dell’originaria istruttoria favorevole.

8.3. In data 3 dicembre 2021 il Segretario generale del Comune di Sorrento ha versato in atti la relazione redatta dall’Ufficio “Edilizia privata” dello stesso, su sua delega, corredata da copiosa documentazione inerente tutti i procedimenti sfociati nei provvedimenti impugnati.

9. Le parti si sono scambiate memorie e memorie di replica. In particolare, la difesa degli appellanti ha insistito reiteratamente sulla portata “sanante” dei procedimenti sopravvenuti medio tempore , che confermerebbero la mancanza di esaustività e completezza delle pregresse istruttorie. Ha richiamato e documentato l’avvenuta presentazione di una serie di S.C.I.A. riferite in particolare ai necessari ripristini, sì da rendere inevitabile una nuova valutazione dello stato di fatto e di diritto dell’area, con riferimento alla quale le trattative con il Comune di Sorrento erano in avanzato stato di definizione, salvo avere subito da ultimo una inaspettata quanto immotivata battuta di arresto. Come dimostrato da apposita relazione tecnica, il vincolo di inedificabilità imposto solo a partire dal recepimento del Piano urbanistico territoriale (P.U.T.) dell’area sorrentino-amalfitana nel Piano regolatore generale (P.R.G.) del Comune di Sorrento del 1997, non ostava ai precedenti interventi, in quanto di sostanziale ristrutturazione e adeguamento funzionale degli immobili. Infine, a seguito dell’adozione del Piano urbanistico comunale approvato con decreto del Presidente dell’Amministrazione provinciale di Napoli n. 502 del 18 luglio 2011, pubblicato sul BURC n. 53 dell’8 agosto 2011, l’area D G ricade in parte in zona “F2 Parchi territoriali” e in parte in zona “TA- Aree di tutela dell’ambiente naturale”, con espressa possibilità di effettuare risanamenti e/o ristrutturazioni per gli edifici esistenti dal 1955 (artt.11 - 18 N.T.A.).

10. Alla pubblica udienza del 7 giugno 2022 le cause, già riunite con ordinanza n. 6658 del 6 ottobre 2021, sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

11. Preliminarmente il Collegio rileva come la vicenda in controversia sia resa di non agevole intellegibilità dalla stratificazione dei procedimenti avviati con riferimento al medesimo complesso immobiliare, nonché dalla sostanziale continuità dell’attività edilizia abusiva, che parte appellante tenta di dequotare attraverso una visione atomistica degli interventi, correttamente esclusa dal primo giudice. In alcun modo, infatti, è ipotizzabile onerare l’Amministrazione intimata affinché metta ordine nel coacervo delle istanze avanzate, in nome di una “leale collaborazione” (v. testualmente pag. 18 del ricorso in appello n.r.g. 6014/2013) invocata a senso unico dal privato che non ha inteso ispirarvi la propria condotta. Il continuo gioco di rimandi alla ricerca di margini di legittimità di singole opere, avulse dal contesto, non può d’altro canto trovare conferma nei contenuti della consulenza di parte che ex post attinge allo stato di fatto finale, pretermettendo il percorso di abusivismo seriale che ha portato allo stesso, senza soluzione di continuità, dalla prima all’ultima domanda di sanatoria.

11.1. In un contesto siffatto, solo all’esito della disposta ordinanza istruttoria il Collegio è stato messo in condizione di acquisire un quadro compiuto della vicenda, superando il profluvio di narrazioni delle parti, ora insistendo su singoli segmenti di opere edilizie, ora minimizzandone il percorso realizzativo, che comunque è letteralmente “attraversato” dalle istanze di sanatoria, senza che il contenuto descrittivo delle stesse abbia minimamente condizionato le condotte, funzionalmente orientate a perseguire una progettualità volta al futuro e come tale ontologicamente contraria alla stessa nozione di condono.

11.2. Sotto il profilo metodologico, dunque, il Collegio intende rinviare per maggiori dettagli ricostruttivi al contenuto della richiamata relazione versata in atti in data 3 dicembre 2021, con relativo corredo documentale, e in particolare ai prospetti riepilogativi, anche degli esiti ispettivi, distinti per fabbricato, salvo estrapolare taluni elementi ritenuti di maggiore significatività al solo scopo di agevolare la comprensione dello sviluppo argomentativo dell’odierna decisione. Non senza sottolineare, peraltro, la permanenza di zone chiaroscurali in particolare riferite alla fase esecutiva, di cui pure si era avanzata richiesta, laddove sembrerebbe emergere da parte del Comune di Sorrento un approccio operativo tutt’affatto lineare. Emerge infatti che tra i primi dinieghi (e conseguenti ingiunzioni a demolire), risalenti al mese di ottobre del 2000, e la presentazione delle nuove istanze di condono (10 dicembre 2004) sono trascorsi oltre quattro anni, senza che sia dato conoscere quali atti il Comune di Sorrento abbia posto in essere, pur avendo accertato in successive, plurime occasioni, il totale dispregio dei provvedimenti sospensivi, indi demolitori, via via adottati. A mero titolo di esempio, può sin d’ora ricordarsi come nel febbraio 2001 (rel. prot. 2958/01), ovvero successivamente al provvedimento del 20 ottobre 2000, con riferimento al fabbricato “B” è stato accertato un ulteriore ampliamento del piano seminterrato mediante realizzazione di un nuovo locale di circa m. 8,70 per 2,45, con altezza pari a m. 2,63, oggetto del diniego n. 221 del 12 giugno 2001 e contestuale ingiunzione a demolire. Né è di aiuto a tale riguardo la richiamata relazione del Segretario generale, non chiara sul punto, di tal che l’avvenuta acquisizione al patrimonio dell’Ente conseguente ad accertamento di inottemperanza, pure espressamente citata nel provvedimento di interdizione dell’attività commerciale e in quelli ad esso prodromici, non risulta in alcun modo menzionata, né men che meno, documentata, per cui non è dato sapere se sia effettivamente intervenuta e con quali effetti sui fatti di causa. Infine, egualmente perplesso si palesa il richiamo alle trattative attualmente in corso tra le parti, se si considera la natura indisponibile degli interessi in gioco che non parrebbe in alcun modo legittimare una qualche transazione sulle attività da effettuare in conseguenza degli atti impugnati, salvo un “ripensamento” della loro legittimità da parte dell’Amministrazione procedente, di cui tuttavia non è traccia agli atti di causa.

12. Chiarito quanto sopra, si rendono ora necessari ulteriori, brevi richiami in punto di fatto.

12.1. La controversia trae origine dal susseguirsi di tre successivi dinieghi di condono, in larga parte riferiti alle medesime opere effettuate sui medesimi corpi di fabbrica, salvo gli incrementi e le modifiche realizzati nell’intervallo di tempo tra gli uni e gli altri, via via accertati dal personale di vigilanza del Comune di Sorrento. Gli interventi, dunque, si concentrano per lo più su tre fabbricati, rispettivamente individuati con la lettera “A”, “B” e “C” negli elaborati grafici in atti, dei quali sono stati progressivamente modificati, senza attendere gli esiti del procedimento precedente, volume, superficie, sagoma e prospetti. In particolare, con riferimento al fabbricato “B”, destinato anche a civile abitazione, sia dopo la prima domanda del 1986, che successivamente a quella del marzo 1995, sono stati effettuati molteplici ulteriori lavori;
lo stesso è a dirsi per i fabbricati “A” e “C”, quest’ultimo utilizzato dal signor N D G per l’attività di produzione e vendita dei prodotti connessi con l’impresa agricola.

12.1.1. In maggior dettaglio, sul fabbricato “A”, originariamente descritto come “una baracca” addossata ad un muro di sostegno, ad uso deposito dell’impresa artigianale (v. verbale dell’Ufficio tecnico comunale del 5 dicembre 1987), insistono:

a) la domanda di condono (riferita anche ad opere inerenti il fabbricato “B”) presentata in data 1 marzo 1995, prot. n. 7526;

b) una delle sette domande di condono presentate il 10 dicembre 2004 (prot. 46442), conseguita alla serie di accertamenti di modifiche sopravvenute, dapprima limitatamente alla copertura (sopralluogo del 25 maggio 1997), indi con realizzazione di un locale interrato, di un vano d’ingresso ad arco, l’ampliamento dello spazio retrostante con sbancamento, l’apertura di porte e finestre, la delimitazione dello spazio antistante con muro di recinzione, ecc. (v. verbali del 1 marzo 1999, 31 marzo 1999 e 28 ottobre 1999).

Il fabbricato “B”, invece, composto da due piani e sottostante deposito e adibito ad abitazione, era stato oggetto:

a) di una istanza di condono in data 30 settembre 1986, conseguita all’accertamento dell’abuso già colpito da ordinanza demolitoria n. 141 del 24 maggio 1984, ove si quantificava la superficie interrata da sanare in mc.850 e la superficie in mq. 207;

b) di una nuova domanda di condono, nel contesto di quella avanzata in data 30 marzo 1995 con riferimento al fabbricato “A” (prot. 7526, cit. supra ), conseguita all’avvenuto accertamento del perpetrarsi degli abusi, essendo stata riscontrata in data 28 novembre 1987 la realizzazione del solaio a copertura del piano rialzato, di una scala interna e di un piano seminterrato di mq. 123,60 utilizzato per cellaio-dispensa;

c) di un’autonoma domanda, presentata in pari data (1 marzo 1995, prot. 7525);

d) infine di un’ulteriore istanza, rientrante nel pacchetto delle sette domande di condono (ri)presentate, almeno in parte, da entrambi i coniugi proprietari -prot. 46440- in data 10 dicembre 2004, per rimediare ai nuovi illeciti accertati in data 1 dicembre 1997, consistiti nell’ampliamento del seminterrato di mq. 21,30.

Si riferiscono al fabbricato indicato con la lettera “C”, originariamente consistente in un comodo rurale diruto, già oggetto di interventi di restauro e manutenzione straordinaria regolarmente assentiti:

a) l’unica istanza in data 1 marzo 1995 a firma del signor N D G (prot. 7527), per l’avvenuta ricostruzione del manufatto, asseritamente crollato nell’ambito delle opere di manutenzione straordinaria di cui all’autorizzazione n. 72 del 1991 rilasciata ai sensi della l. n. 457 del 1978;

b) un’altra delle sette istanze (ri)presentate in data 10 dicembre 2004 (prot. 46441) dai coniugi D G, ancora una volta indotti ad attivarsi dall’avvenuto accertamento di nuovi abusi edilizi, in data 21 maggio 1997 (ampliamenti mediante realizzazione al piano seminterrato di una ringhiera in ferro, al piano terra di una veranda esterna addossata al manufatto principale e al primo piano di un’ulteriore veranda conseguita alla trasformazione della preesistente tettoia).

Le rimanenti istanze di condono presentate ai sensi della l. n. 326 del 2003 hanno ad oggetto interventi sugli altri fabbricati di cui si compone il complesso immobiliare, rispettivamente indicati come “D”, “E”, “F”, nonché su aree, “G” e “H”, ove sono state realizzate opere di viabilità, sistemazioni esterne e piscina.

13. Quanto al regime giuridico vigente sull’area, essa è sottoposta a vincolo paesaggistico, preesistente agli interventi in quanto riveniente dal d.m. 26 gennaio 1962, nonché a vincolo idrogeologico;
è ricompresa in un Sito di interesse comunitario (S.I.C.) ai sensi della Direttiva “Habitat” n. 43 del 1992;
ricade in zona omogenea “F2-Parchi territoriali” in base al Piano urbanistico comunale (P.U.C.) approvato con delibera di Giunta provinciale n. 160 dell’8 marzo 2011, il cui regime è declinato all’art. 18 delle norme tecniche di attuazione (N.T.A.), nonché in zona 8, “Parchi territoriali” del Piano urbanistico territoriale (P.U.T.) dell’area sorrentino-amalfitana di cui alla l.r. n. 35 del 27 giugno 1987, come tale sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta ai sensi dell’art. 17 della legge stessa. Infine, nel Piano stralcio per l’assetto idrogeologico dell’Autorità di bacino della Regione Campania, oggi sostituito dall’Autorità di bacino distrettuale Appenino meridionale, rientra tra le zone a pericolosità e rischio da frana in parte moderata e in parte media.

14. Chiarito quanto sopra, può ora passarsi all’esame degli appelli n.r.g. 4077/2021 e n.r.g. 4082/2021, la cui sostanziale omogeneità contenutistica, seppure con le specifiche correlate alla diversità dei manufatti di riferimento (rispettivamente, fabbricati “A” e “B” e fabbricato “C”) ne consente la trattazione unitaria.

15. Con sentenza n. 5005 del 2020, dunque, il T.A.R. per la Campania ha ritenuto legittimo il diniego di sanatoria del 20 ottobre 2000, successivamente reiterato nel 2001, riferito alla istanza in data 30 settembre 1986 e 1 marzo 1995. Ciò in quanto la continua mutevolezza dello stato dei luoghi, inciso da reiterati interventi, non consente più di individuare l’organismo oggetto della richiesta originaria, di fatto stravolto nel tempo. L’avvenuta presentazione della nuova istanza di condono nel dicembre del 2004, d’altro canto, in quanto basata su diversi presupposti temporali di realizzazione dell’abuso, non preclude lo scrutinio della correttezza del diniego precedente, tanto più che esso, a differenza del successivo, su cui peraltro ancora pende contenzioso (ovvero il ricorso n.r.g. 6014/2013) non è mai stato oggetto di sospensione in via cautelare.

16. Con analoga motivazione il medesimo Tribunale (sentenza n. 5006 del 3 novembre 2020) ha respinto il gravame proposto dal signor N D G avverso il provvedimento prot. 299 del 20 ottobre 2000, di rigetto della propria istanza prot. 7527 del 1 marzo 1995. Né il primo giudice ha valutato sostenibile l’avvenuta maturazione dell’invocato silenzio assenso: « nel caso di abusi in area vincolata (come nel caso di specie) il termine per la formazione del silenzio-assenso decorre solamente dall’emanazione del parere favorevole, il che discende dalla previsione normativa di cui all’art. 32 L.n.47/1985 che ha riconosciuto natura vincolante al parere con conseguente impossibilità per l’Amministrazione procedente di rilasciare il condono in caso di valutazione negativa da parte della Autorità preposta […]».

17. Con ricorsi speculari n.r.g.4077/2021 e n.r.g.4081/2021 i signori G D G e Concetta D’Esposito e il signor Natale D’Esposito hanno impugnato, rispettivamente, la sentenza del T.A.R. per la Campania n. 5005/2020 e n. 5006 del 2020, ritenendole errate in fatto e in diritto. Con un unico, articolato motivo, essi contestano da plurime angolazioni la valutazione unitaria degli abusi commessi, ritenendo che, al contrario, il Comune, e conseguentemente l’adito Tribunale, avrebbero dovuto parcellizzarne la consistenza onde valutarne singolarmente la sanabilità. D’altro canto, tale distorta prospettiva unitaria finisce per accentuare il disvalore degli interventi complessivamente intesi, amplificandone l’impatto negativo sul territorio e sul paesaggio in misura assai maggiore di quanto conseguirebbe alla loro mera sommatoria. La necessità, poi, di individuare le opere oggetto di una successiva istanza di sanatoria impone a maggior ragione la valutazione caso per caso, tanto più che l’ingiunzione a demolire conseguita al rigetto anche di quest’ultima è stata sospesa cautelativamente da questo Consiglio di Stato (v. ordinanza n. 3564 del 2013, citata in epigrafe). Non a caso, infine, il Comune avrebbe avviato una trattativa in serio stato di avanzamento per individuare l’effettiva consistenza delle sole opere non sanabili, evitando di perfezionare il procedimento demolitorio delle altre.

18. La tesi non può essere condivisa.

19. La parola “condono”, seppure entrata nell’uso comune, a stretto rigore non figura in alcun testo legislativo, complice una certa ritrosia linguistica ad utilizzare un termine evidentemente evocativo della portata sanante di situazioni “sostanzialmente” illecite, previo pagamento di una sanzione pecuniaria che produce l’effetto di estinguere anche la fattispecie penale identificabile nella relativa costruzione. In particolare, in Italia si sono succedute tre leggi di condono: la prima è contenuta nei capi IV e V della l. n. 47/1985, e dunque si collocava almeno in un contesto di nuova regolamentazione della materia con l’introduzione di una serie di strumenti dissuasivi per gli abusi futuri;
le successive, invece, si inseriscono in testi del tutto eterogenei e per lo più finalizzati ad esigenze di pubblico erario, e si risolvono nella sostanziale estensione del lasso di tempo entro il quale l’abuso doveva essere stato ultimato per poter fruire del beneficio. Trattasi dell’art. 39 della l. 23 dicembre 1994, n. 724 (c.d. “secondo condono”), la cui disciplina procedimentale è stata completata con la l. n. 662 del 1996;
nonché dell’art. 32 della l. 24 novembre 2003, n. 326, di conversione del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, che ha applicato la disciplina del condono, quale risultante da ridetti capi IV e V della l. n. 47/1985, come modificati dall’art. 39 della l. n. 724/1994, alle opere abusive ultimate entro il 31 marzo 2003, seppure ponendo l’ulteriore limite che esse non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30 % della volumetria originaria o, in alternativa, superiore a 750 metri cubi.

19.1. Il fatto che le finestre temporali, pure prorogate, per accedere al condono si siano chiuse rispettivamente il 30 novembre 1985, il 31 marzo 1995 e il 10 dicembre 2004, non ha comunque reso obsoleto l’istituto: sebbene siano trascorsi alcuni decenni dalla presentazione delle istanze, infatti, non sono pochi i Comuni italiani presso i quali tali pratiche sono ancora in attesa di definizione, cosicché anche questa tipologia di istanza, al pari di quella ordinaria, deve essere tenuta presente in sede di analisi delle sanatorie edilizie.

19.2. Presupposto per la fruizione di ciascuno dei condoni sopra ricordati è l’avvenuta ultimazione dell’opera realizzata senza titolo entro una certa data. Il Collegio ricorda come la nozione di opera ultimata ai fini della fruibilità del condono presupponga, per costante giurisprudenza dai cui principi non è ragione di discostarsi, lo stato di “rustico” della stessa, termine con il quale si intende che essa è completa di tutte le strutture essenziali, necessariamente comprensiva della copertura e delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente calcolabili, ancorché mancante delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne). Si tratta del c.d. criterio “strutturale”, applicabile nei casi di nuova costruzione, cui vanno ricondotti anche quelli di modifica sostanziale della costruzione preesistente, in contrapposizione a quello “funzionale”, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale (sul punto, v. Cons. Stato, sez. II, 15 febbraio 2021, n. 1403).

19.3. Nel caso di specie, dunque, la prima istanza di condono è stata avanzata ai sensi della l. n. 47 del 1985, con riferimento al fabbricato “B”, dichiarando l’opera ultimata entro l’anno 1983, come richiesto dalla normativa. Con un successivo verbale di accertamento prot. 12906, tuttavia, nei mesi di febbraio e maggio 1984, veniva appurata la realizzazione di altre opere, con consistenti aumenti di volumetria, benché l’abuso fosse già stato colpito da ordinanza di demolizione n. 234 del 28 giugno 1984. Con un nuovo verbale di accertamento, n. 36085 del 5 dicembre 1987 (dunque ad oltre un anno di distanza dalla presentazione dell’istanza), veniva appurato che il manufatto era stato ancora ampliato, ed è in relazione a ciò che la proprietà si risolveva a presentare la seconda istanza di condono. Entrambe le domande venivano rigettate con provvedimento n. 300/57: la divergenza tra il dichiarato e l’accertato (con atto fidefacente fino a querela di falso), di per sé già giustifica il rigetto della istanza del 30 settembre 1986.

19.3.1 Del tutto simile è la situazione riscontrata dopo la presentazione della seconda istanza di condono, ovvero successivamente al 1 marzo 1995. Nel rinviare, come premesso, ai dettagli ricostruttivi contenuti nella relazione del 3 dicembre 2021, basti qui ricordare l’avvenuto accertamento, nel maggio del 1997, di ampliamenti volumetrici sui lati est e sud-ovest, la realizzazione di terrazzi, gli spostamenti di vani, tutti elementi non presenti in occasione del sopralluogo del 1987, i cui lavori risultavano ancora in corso di ultimazione nel dicembre 1997 (nuova relazione prot. n. 39804) e nel marzo 1999 (relazione prot. n. 8199).

19.3.2. Con riferimento al fabbricato “A”, che era stato oggetto anche di sequestro nel 1997, oltre al ripristino del manufatto già edificato in luogo della originaria baracca, veniva appurata la realizzazione aggiuntiva di un locale seminterrato con apertura ad arco e solaio di copertura e ampliamento volumetrico aggiungendo una sala di circa mq.45 mediante chiusura di un terrazzo (relazioni prot. 8189 del 1 marzo 1999 e 11956 del 31 marzo 1999).

19.4. Quanto infine al manufatto “C”, cui si riferisce il diniego n. 299/57, oggetto della sentenza n. 5006 del 2020, l’ampliamento successivo al 31 dicembre 1993 ne ha comportato un incremento quantificato in circa mq. 180,00, per un volume di circa mc. 520,58, « stravolgendone le aree esterne mediante l’esecuzione di opere funzionalmente connesse all’illegittima attività di agriturismo esercitata nel fondo […]».

20. Ma vi è di più.

Come chiarito nei paragrafi precedenti, le istanze presentate in data 30 marzo 1995 trovano fondamento nella legge 23 dicembre 1994, n. 724. L’art. 39, comma 1, di ridetta norma pone precise limitazioni agli incrementi volumetrici assentibili, con ciò ponendo anche nella sostanza specifiche limitazioni alla sanabilità degli illeciti edilizi, distinguendo a seconda che l’abuso abbia comportato l’ “ampliamento” di un immobile preesistente o la realizzazione di “una nuova costruzione”: nel primo caso, infatti, le opere abusive non devono aver comportato un ampliamento di volumetria superiore al 30% della costruzione originaria ovvero, a prescindere dalla percentuale di ampliamento, una cubatura superiore ai 750 metri cubi;
in caso di nuova costruzione, viceversa, l’unico limite è quello dei 750 metri cubi di volumetria.

20.1. Da quanto sopra detto emerge ancor più forte l’esigenza sostanziale che la richiesta di sanatoria si innesti su una situazione di certezza dell’organismo preesistente onde consentire all’Amministrazione di valutare l’effettiva entità dell’incremento che deve necessariamente avere riguardo all’ultimo stato di fatto legittimato con apposito titolo. Non a caso, in proposito i giudici di legittimità hanno più volte rilevato che la necessità di interpretare tale possibilità in termini estremamente restrittivi emerge in modo ancora più pressante ove si consideri che la legge del 1994 non prevede alcun limite massimo di sanabilità per l’opera nel suo complesso (a differenza di quanto previsto ad esempio dalla legge sul condono n. 326 del 2003, la quale prevede un limite volumetrico di mc.750 per ogni domanda di sanatoria, purché l’opera nel suo complesso non ecceda i mc. 3000). Per tale ragione, in materia di condono edilizio disciplinato dalla l. 24 novembre 1994, n. 724, ed ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario qualora faccia capo ad un unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad un’unica concessione in sanatoria, onde evitare l’elusione del limite legale di consistenza dell’opera (cfr. ex plurimis Cass., Sez. III, n. 20889 del 10 giugno 2020).

21. In sintesi, il condono non può essere concepito, come pretenderebbero gli appellanti, quale un rimedio “fluido”, che insegue l’abuso nel suo progressivo evolversi, legittimandolo in itinere : esso necessita di appuntarsi sulla fotografia di una situazione storicizzata e ormai statica, la cui accertata dinamicità è ex se incompatibile con la stessa essenza dell’istituto. Non è dunque in alcun modo viziato da carenza di istruttoria e di motivazione il rigetto di un’istanza di condono se non vi è certezza in ordine alla data di realizzazione delle opere, ovvero perfino sulla loro configurazione, stante che quelle descritte nella domanda, come nel caso di specie, sono diverse da quelle accertate in sede di sopralluogo – recte , finanche diverse da un sopralluogo ad un altro.

21.1. A ciò deve aggiungersi che l’onere di provare l’avvenuta ultimazione dei lavori in tempo utile, grava esclusivamente sul richiedente. Ciò in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili documenti che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione dell’abuso. La giurisprudenza ha peraltro anche affermato che tale prova deve essere rigorosa, non risultando a tal fine sufficienti dichiarazioni sostitutive di atto notorio, ma « richiedendosi invece una documentazione certa ed univoca, sull’evidente presupposto che nessuno meglio di chi richiede la sanatoria e ha realizzato l’opera può fornire elementi oggettivi sulla data di realizzazione dell’abuso » (cfr. ex multis , Cons. Stato, sez. VI, 1 ottobre 2019, n. 6578). In difetto della stessa, l’Amministrazione ha il dovere di negare la sanatoria ove emergano dati obiettivi inerenti un’epoca di costruzione incompatibile con il suo rilascio, ivi compresa la prosecuzione dei lavori successivamente alla presentazione dell’istanza.

22. Da quanto sopra discende il rigetto degli appelli nn.r.g. 4082/2021 e 4077/2021, con conseguente conferma delle sentenze del T.A.R. per la Campania del 27 ottobre 2005, n. 5005 e del 3 novembre 2020, n. 5006, rendendo superfluo lo scrutinio delle ulteriori censure avanzate dalle parti.

23. Va egualmente respinto il ricorso n.r.g. 6014/2013, per le ragioni meglio esplicitate nel prosieguo.

24. Oggetto di gravame è in questo caso il rigetto cumulativo delle sette distinte istanze di condono avanzate sia per gli interventi sui fabbricati “A”, “B” e “C”, che su altri, ovvero sull’area in genere, ai sensi dell’art. 32 della legge 24 novembre 2003, n. 326, sicché il termine da assumere a riferimento per l’ultimazione dei lavori viene ad essere il 31 marzo 2003. Quanto detto non senza rilevare che la astratta possibilità, quanto meno in relazione alle opere precedenti, di accedere ad un nuovo procedimento di condono ha potuto presentarsi in ragione dell’inerzia, o quanto meno del ritardo del Comune di Sorrento nel perfezionare l’ iter sanzionatorio, non dando seguito ai pregressi provvedimenti demolitori, seppure obbligatori ex lege .

24.1. Il provvedimento impugnato è motivato mediante richiamo per relationem alla proposta del funzionario competente, avuto riguardo ai numerosi vincoli, paesaggistici, idrogeologici ed urbanistici, vigenti sull’intera zona. La preesistenza dei manufatti all’apposizione del vincolo non legittima comunque gli aumenti di volumetria e le modifiche apportate, peraltro con modalità tali da rendere difficile, se non impossibile, per tutto quanto in precedenza precisato, perimetrare la consistenza originaria delle opere e quella relativa a ciascuna.

25. In maggior dettaglio, con un primo motivo di gravame le parti censurano il § 11 della sentenza, laddove essa pure non ritiene di valutare separatamente gli interventi oggetto delle sette istanze di condono, « occorrendo, invece, recuperare una visione di insieme delle stesse che metta in risalto il loro collegamento funzionale, giacché altrimenti parcellizzandole e considerandole isolatamente si perde di vista l’entità e l’impatto sul paesaggio e sull’ambiente circostante dell’attività edificatoria posta in essere nel corso di quasi dieci anni dai sigg.ri D G/D’Esposito ». A tale errore il primo giudice sarebbe stato indotto dalla portata complessiva del provvedimento impugnato, che ha inteso cumulare in un unico atto la pluralità dei dinieghi, con ciò aggravando la percezione globale del disvalore dell’intervento, ma soprattutto non valutando la condonabilità di alcune delle opere in quanto compatibili con l’art. 11 delle N.T.A. del P.U.C. di Sorrento, ovvero più genericamente ai sensi della l. n. 326 del 2003.

25.1. L’assunto non può essere condiviso.

La valutazione complessiva delle opere non ne ha comportato la sussunzione sotto l’egida di un unico paradigma definitorio dell’intervento effettuato. Essa tende a ricondurre al comune denominatore dell’unicità del contesto ambientale e paesaggistico la vasta pletora di opere effettuate, sicché alle esigenze di economia procedimentale che hanno indotto l’Amministrazione a concentrare in un unico atto tutti i dinieghi fa da contraltare la effettiva necessità della valutazione di insieme dell’impatto creato. Quanto detto a valere in particolare per le opere di sistemazione esterna, che assumono rilievo anche in quanto funzionali al complesso immobiliare cui accedono, esso pure composto da tutti i singoli edifici, individualmente considerati, giusta la consistenza degli interventi effettuati, e complessivamente intesi, stante la evidente finalizzazione delle opere alla valorizzazione della vocazione turistico-ricettiva o comunque lato sensu commerciale dell’area globalmente intesa.

25.2. Secondo gli appellanti, il rigetto è illegittimo anche per non avere atteso gli esiti del c.d. mini-condono ambientale, e il T.A.R. per la Campania avrebbe errato nel derubricarne la portata a mera sanatoria penale, incapace di incidere sulla regolarità amministrativa dell’opera.

25.2.1. Con la dizione “mini condono” paesaggistico si intende la sanatoria eccezionale introdotta una tantum dall’art. 1, comma 37, della legge n. 308 del 2004, entrata in vigore in data 15 dicembre 2004, ovvero a pochi mesi di distanza dal Codice dei Beni culturali (1 maggio 2004) approvato il 22 gennaio 2004. Essa era riferita agli interventi abusivi compiuti in zona sottoposta a vincolo paesaggistico entro e non oltre il 30 settembre 2004, purché la relativa istanza fosse presentata entro il termine perentorio del 31 gennaio 2005 e ha comportato l’estinzione del reato ambientale (ovviamente solo della figura contravvenzionale, mancando in relazione a quel periodo la previsione della figura delittuosa). Ciò a condizione che le tipologie edilizie realizzate e i materiali utilizzati rientrassero tra quelli previsti e assentiti dagli strumenti di pianificazione paesaggistica, ove vigenti, o altrimenti fossero giudicati compatibili con il contesto paesaggistico e i trasgressori avessero previamente pagato una sanzione amministrativa pecuniaria, in parte predeterminata dalla legge e in parte stabilita dall’autorità amministrativa competente. Ai fini dell’operatività del condono sulla domanda del proprietario, possessore o detentore dell’immobile l’autorità preposta alla gestione del vincolo poteva pronunciarsi senza limiti di tempo, previo parere della soprintendenza (comma 39).

25.2.2. Trattasi di una procedura ben diversa da quella prevista per l’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica sugli abusi ambientali “a regime”, di cui al comma 1 quater del novellato art. 181 del d.lgs. n. 42/2004: ai fini del mini-condono, come appena detto, la domanda doveva essere presentata entro un termine perentorio, ma la pronuncia non era soggetta a termini di decadenza e il parere della soprintendenza è solo consultivo, cioè obbligatorio ma non vincolante;
mentre per gli abusi “a regime” la domanda non è soggetta a termini di decadenza (salvo il limite temporale di una condanna penale passata in giudicato), la pronuncia deve essere emessa entro il termine di decadenza di centottanta giorni, e il parere della soprintendenza, da rilasciarsi entro il termine perentorio di novanta giorni, ha carattere vincolante.

25.2.3. Il procedimento di sanatoria edilizia, ai sensi dell’art. 32 del d.l. n. 269/2003, convertito nella l. n. 326/2003, ed il procedimento relativo alla sanatoria ambientale-paesaggistico, ai sensi della l. n. 308/2004, benché le relative fonti normative, peraltro distinte, siano pressoché coeve, sono del tutto autonomi e governati da presupposti eterogenei.

Come correttamente affermato dal primo giudice, la sanatoria paesaggistico- ambientale “speciale” ha risvolti solo in ambito penale, prevedendo, in caso di esito positivo, l’estinzione del reato ambientale, ma non riversa i suoi effetti sul regime giuridico della sanatoria edilizia ai sensi del d.l. n. 269/2003 e delle relative sanzioni amministrative, disciplinato su presupposti e fondamenti del tutto diversi. Ne consegue che non costituisce impedimento alla conclusione dell’ iter procedimentale relativo alla sanatoria edilizia di cui al d.l. n. 269/2003, la mancata risposta da parte della Soprintendenza ad un’eventuale istanza di condono paesaggistico.

25.2.4. A ben guardare, gli appellanti non sembrano in alcun modo distinguere tra procedimento di sanatoria ambientale ordinaria, comunque ammessa solo per interventi edilizi minori nominativamente individuati dalla norma (art. 181, comma 1 ter, d.lgs. n. 42 del 2004), ai quali non possono in alcun modo essere ricondotti quelli in controversia, e mini-condono paesaggistico. Ammesso e non concesso, infatti, che la parte avesse attivato tale procedimento presentando la relativa istanza successivamente all’entrata in vigore della l. n. 308 del 2004 (ovvero dopo il 15 dicembre 2004, laddove le domande di condono sono del 10 dicembre 2004), non vi era alcuna ragione di attenderne gli esiti, sia per la neutralità degli stessi sulla valutazione del condono, quand’anche positivi, sia in quanto la mancanza di termini per la definizione della pratica paesaggistica avrebbe sospeso ad libitum anche quella edilizia.

Non a caso, l’assenza di determinazione della Soprintendenza sulla sanatoria ambientale-paesaggistico, non è stata presa in considerazione dall’amministrazione comunale la quale, correttamente, si è soffermata su altri profili per giustificare il rigetto delle domande di sanatoria edilizia presentate dai ricorrenti.

26. Secondo l’appellante, la tipologia degli interventi realizzati non era in contrasto con il regime giuridico dei suoli, essendo stato il vincolo di inedificabilità assoluto introdotto con l’approvazione del P.U.C. nel 2011, mentre in precedenza il P.U.T. per l’Area sorrentino-amalfitana consentiva il recupero del patrimonio edilizio preesistente. Anche l’art. 11 delle N.T.A. del P.U.C., del resto, consente gli interventi di restauro, risanamento e adeguamento funzionale di immobili preesistenti.

26.1.L’art. 32, comma 27, lett. d), della l. n. 326 del 2003, ritiene non condonabili le opere « realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela degli interessi idrogeologici e delle falde acquifere, dei beni ambientali e paesistici, nonché dei parchi e delle aree protette nazionali, regionali e provinciali qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ». Nel caso di specie, come ben ricostruito dal Segretario generale del Comune di Sorrento (pagg. 2/7 della relazione istruttoria) non solo tutta l’area in controversia era vincolata già ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497, giusta decreto ministeriale 26 gennaio 1962, ma essa è stata successivamente ricompresa nell’Area sorrentino-amalfitana, indi in zona “Parco territoriale” F8 in base al P.R.G., adottato in conformità con le indicazioni del P.U.T. di ridetta area, oltre che soggetta a vincolo idrogeologico.

La tipologia di opere effettuate, in quanto hanno comportato aumenti di volumetria, oltre che modifiche di sagoma, superficie e prospetti, nonché di destinazioni d’uso, non sono in alcun modo riconducibili alla tipologia di interventi assentibili in quanto volti al recupero del patrimonio edilizio esistente, non al suo corposo incremento volumetrico.

27. E’ da respingere infine anche il quarto motivo di appello, volto a censurare l’affermazione del primo giudice in ordine alla insussistenza di difetto di istruttoria per non avere la parte « fornito elementi atti a collocare con esattezza ciascun abuso nell’arco temporale dall’1.1.1994 al 21.3.2013 ». Come già ricordato in relazione ai ricorsi scrutinati nei paragrafi precedenti, nell’ambito delle richieste di sanatoria l’onere probatorio grava sul richiedente, a maggior ragione laddove, come nel caso di specie, non debba essere dimostrata solo l’epoca di realizzazione di un singolo intervento, ma l’incidenza della pluralità degli stessi sull’organismo originario.

28. Pertanto, anche il ricorso n.r.g. 6014/2013 deve essere respinto.

29. Resta infine da dire dell’appello n.r.g. 4111/2021, la cui vicenda trae origine dai fatti di causa ampiamente ricostruiti sopra, salvo discostarsene in quanto ne ribalta le conseguenze sul piano dell’utilizzo dell’immobile ( recte , della porzione di immobile destinato all’attività di laboratorio per la produzione di liquori e prodotti alimentari, nonché alla loro vendita). Con il ricorso al T.A.R. per la Campania n.r.g. 2302 del 2012, dunque, il signor N D G ha impugnato l’ordinanza n. 66 del 1 marzo 2012 con la quale gli è stata ingiunta la cessazione dell’attività già autorizzata in data 16 giugno 1999, con successiva integrazione in data 2 marzo 2000, sul solo assunto che essa si svolge in locali privi di legittimità urbanistica. Secondo il primo giudice, cioè, « una volta accertata l’abusività dei locali destinati all’esercizio dell’attività commerciale non può che seguire la revoca dell’autorizzazione commerciale, senza che residui spazio a valutazioni di interessi o al disimpegno di attività discrezionale, atteggiandosi la revoca ad atto dovuto ».

30. L’appellante contesta la violazione della l. 30 aprile 1962, n. 283, dell’art. 23 del d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327 e della l. 11 giugno 1971, n. 426, avendo il responsabile comunale, peraltro incompetente su un atto della Azienda sanitaria locale, adottato un provvedimento sanzionatorio non previsto dalla cornice normativa di riferimento, che lo consente solo per ragioni igienico-sanitarie. Ciò a differenza di quanto previsto per le attività commerciali lato sensu intese dalla disciplina generale di settore vigente ratione temporis , ovvero la l. n. 426 del 1971, i cui contenuti sono stati in parte qua trasfusi nel successivo d.lgs. n. 114 del 1998. In particolare, il d.P.R. 26 marzo 1980, n. 327, recante Regolamento di esecuzione della legge del 1962, consente la chiusura, temporanea o definitiva degli esercizi, solo per situazioni di pericolo per la salute pubblica derivante dalla non igienicità delle operazioni di lavorazione o deposito, ovvero dalla natura o condizione delle sostanze prodotte o poste in vendita. Erroneamente pertanto non si è dato rilievo all’affidamento della parte invocando i principi dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato afferenti il ben diverso ambito delle sanzioni edilizie, con riferimento alle quali il lasso di tempo trascorso non può assumere rilievo: nel caso di specie il Comune ha di fatto revocato un provvedimento durevole di ben diversa natura (autorizzazione sanitaria) senza che fosse sopravvenuto alcun elemento di novità di natura strettamente igienico-sanitaria rispetto al momento di rilascio dell’originario titolo di legittimazione. In situazioni analoghe riferite ad altre aziende agricole della zona, peraltro, (v. azienda agricola all’insegna “Champagne s.r.l.”), egualmente destinatarie di provvedimenti repressivi per abusi edilizi, il Comune di Sorrento, nell’esprimere parere favorevole all’iscrizione nell’elenco degli operatori agrituristici con delibera di Giunta n. 347 del 25 ottobre 2001, ha affermato che « l’aspetto urbanistico non può incidere sulla richiesta […]», dando luogo a palese disparità di trattamento rispetto alla linea tenuta nel caso di specie.

31. Anche in questo caso, il Collegio ritiene necessarie alcune precisazioni preliminari, seppure chiaramente risultanti in atti. L’unica attività oggi in controversia è quella della quale è stata disposta la cessazione con l’ordinanza n. 66 del 2012, riferita a « produzione di limoncelli, mirto, mirtillo e finocchietto;
produzione di liquori con procedimento di infusione a freddo in alcool puro, produzione di marmellate artigianali, babà in bagna alcoolica e creme di liquore aromatizzate alla frutta
» di cui alla autorizzazione sanitaria prot. n. 20747 del 16 giugno 1999, come integrata in data 2 marzo 2000. Ciò rende superflua una più accurata disamina dei provvedimenti adottati in relazione alla più ampia attività di agriturismo con somministrazione di alimenti e bevande e alloggio, mai legittimata in passato, e già oggetto di apposita segnalazione in termini di esercizio abusivo da parte della Polizia di Stato.

32. Il Collegio ritiene che il ricorso debba essere accolto.

33. Come correttamente ricordato dall’appellante, l’attività di vendita da parte dei produttori agricoli dei prodotti derivanti dalla coltivazione dei loro terreni, ancorché preventivamente trasformati, non è assimilabile a quella commerciale vera e propria e gode di un regime di favore che è venuto via via ad accentuarsi nel tempo.

33.1. Il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114, recante « Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a norma dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 », vigente al momento di rilascio delle autorizzazioni sanitarie al signor N D G all’art. 4, rubricato « Definizioni e ambito di applicazione del decreto », comma 2, rinvia alla speciale disciplina di settore la regolamentazione dell’attività di vendita di prodotti agricoli, purché effettuata nei limiti di cui all’articolo 2135 del codice civile, alla legge 25 marzo 1959, n.125, e successive modificazioni, e alla legge 9 febbraio 1963, n. 59, e successive modificazioni da parte dei produttori agricoli, singoli o associati.

Già nell’originaria stesura di cui al codice del 1942, l’art. 2135 c.c. era composto da due commi, dei quali il primo delineava il contenuto dell’attività esercitabile dall’impresa agricola e distingueva tra le attività agricole « principali », ossia quelle dirette alla coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento del bestiame e le attività « connesse » alle prime, mentre il successivo si limitava a specificare che « si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura ». La parabola evolutiva della nozione tradizionale di agricoltore ha nel tempo portato all’innovazione legislativa intervenuta con l’art. 1 del d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228 che ha riguardato sia la stessa definizione dell’impresa agricola di cui all’art. 2135, sia il suo statuto disciplinare. Il nuovo testo dell’art. 2135 c.c., oggi composto di tre commi, ha ribadito la fondamentale distinzione tra attività agricole principali e attività agricole per connessione, ma ha meglio precisato i confini di tale “connessione”, anche avuto riguardo al possibile utilizzo di materie prime di provenienza estranea per la “trasformazione” dei prodotti del fondo. In primo luogo, la norma prende cioè in considerazione le attività che riguardano direttamente i prodotti ottenuti dai processi produttivi svolti nell’impresa agricola e che si collocano a valle della loro originaria realizzazione: per le attività relative alla « manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione » dei prodotti che l’impresa ha ottenuto direttamente dalla coltivazione e dall’allevamento, la norma considera sufficiente, ai fini della connessione, che i prodotti agricoli provenienti dalla medesima azienda siano prevalenti rispetto a quelli eventualmente acquistati da terzi.

Anche la previgente l. 9 febbraio 1963, n. 59, recante « Norme per la vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori produttori diretti », esonerava dal possesso della licenza di commercio i produttori agricoli, singoli o associati, che intendessero vendere al dettaglio nel proprio Comune o in quelli viciniori i prodotti derivanti dall’attività del proprio fondo.

La legge n. 125 del 1959, infine, con riferimento al commercio all’ingrosso, prevede che la relativa attività sia libera, purché vengano rispettate le norme igienico-sanitarie.

A ciò consegue che di regola l’imprenditore agricolo può vendere prodotti agricoli, anche manipolati o trasformati, già pronti per il consumo, mediante l’utilizzo perfino di strutture mobili nella disponibilità dell’impresa, ovvero in modalità itinerante su aree pubbliche o private;
può favorire il consumo immediato dei prodotti oggetto di vendita, utilizzando i locali e gli arredi nella sua disponibilità, con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e, appunto, con l’osservanza delle prescrizioni generali di carattere igienico-sanitario.

34. Le attività che comportano manipolazione di sostanze alimentari sono tuttavia sottoposte da sempre ad uno specifico regime giuridico di preventiva legittimazione sotto il profilo igienico-sanitario che non può non ricomprendere anche i produttori agricoli.

34.1. In passato, la “certificazione” della idoneità dei luoghi sotto tale aspetto avveniva con l’apposita autorizzazione sanitaria, disciplinata dall’ art. 2 della l. 30 aprile 1962, n. 283. Storicamente, essa, al pari di tutta la disciplina contenuta nella legge del 1962, nasce dall’esigenza di colmare le ampie lacune che caratterizzavano il testo unico delle leggi sanitarie di cui al r.d. 27 luglio 1934, n. 1265. Fino a quel momento era infatti assente nell’ordinamento una normativa di carattere generale applicabile a tutti gli alimenti e a tutte le fasi della catena produttiva, affastellandosi numerose e specifiche norme volte a disciplinare la composizione dei singoli prodotti alimentari.

La norma dunque assoggettava ad autorizzazione sanitaria « tutti gli esercizi per la ristorazione, la somministrazione di pasti e bevande e di latte nei quali le sostanze alimentari vengono manipolate, sottoposte a trattamento di natura culinaria che incide sulla loro intrinseca consistenza e se del caso servite con gli utensili necessari al loro consumo, a meno che non si tratti di alimenti già confezionati o, al più, da sottoporre a semplice riscaldamento che non altera in alcun modo né influisce sulla preparazione e sul confezionamento ».

34.2. Va infine ricordato come il sistema delle autorizzazioni sanitarie sia stato superato a seguito dell’entrata in vigore dei regolamenti comunitari di settore -in particolare Regolamento (CE) n. 852/2004 e Regolamento (CE) n. 853/2004- l’attuazione delle procedure previste dai quali è stata effettuata mediante l’emanazione del d.lgs. n. 193 del 6 novembre 2007. La presentazione della “notifica ai fini della registrazione”, in luogo della richiesta di autorizzazione, attesta oggi da parte del titolare dell’impresa l’esistenza di ogni “stabilimento” che esegua una qualsiasi delle fasi della produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti (quindi comprese la somministrazione e la vendita), per consentire all’autorità competente di conoscerne localizzazione e tipologia di attività ai fini dell’organizzazione dei controlli ufficiali. Essa sostituisce a tutti gli effetti la vecchia autorizzazione sanitaria e pertanto non è dovuto il rilascio di atti di assenso da parte della pubblica amministrazione.

34.3. Il Regolamento di esecuzione della legge n. 283 del 1962 ha espressamente previsto la sospensione o interdizione delle attività già legittimate con pregressa autorizzazione sanitaria, ma individuandone la motivazione nella sopravvenuta riscontrata carenza dei requisiti igienico sanitari.

Osserva il Collegio che anche l’art. 54 del Regolamento (C.E.) n. 882/2004 (“Azioni in caso di non conformità alla normativa”) prevede che « L’autorità competente che individui una non conformità interviene per assicurare che l’operatore ponga rimedio alla situazione », individuando poi, « a seconda dei casi, le seguenti misure: (…) e) la sospensione delle operazioni o la chiusura in toto o in parte dell'azienda interessata per un appropriato periodo di tempo;
(…) h) qualsiasi altra misura ritenuta opportuna dall’autorità competente
», senza indicare peraltro alcun termine per l’esercizio dei suddetti poteri di intervento, sicché i controlli ufficiali possono intervenire in qualsiasi momento e, in caso di riscontrata non conformità alla normativa applicabile, ne conseguono le azioni correttive ritenute più opportune, nell’ambito della discrezionalità che connota la materia, ma pur sempre e solo a tutela dell’igiene e della sanità pubblica.

35. Come si evince dalla più volte richiamata relazione istruttoria versata in atti dal Segretario generale, il possesso dei requisiti igienico-sanitari dei locali adibiti a trasformazione e vendita di prodotti agricoli sul fondo “Malacoccola” ha subito nel tempo alterne vicende, con riferimento alle quali la situazione di irregolarità urbanistico-edilizia (ben nota, evidentemente) è stata tuttavia continuativamente ritenuta neutra. Una prima autorizzazione sanitaria n. 40018 del 9 dicembre 1996, ad esempio, successivamente integrata in data 3 settembre 1997, veniva revocata con ordinanza sindacale n. 154 dell’11 maggio 1999, con contestuale ordine di cessazione dell’attività di laboratorio di produzione, su segnalazione del medico funzionario della ASL Napoli 5;
salvo “revocare la revoca” con analogo provvedimento n. 271 del 15 giugno 1999, giusta acquisizione di nuovo parere favorevole da parte della medesima ASL. In senso specularmente opposto, è sul parere positivo della ASL competente che ridetta autorizzazione è stata finanche integrata in data 2 marzo 2000, con l’indicazione nominalistica di nuovi prodotti alimentari, sino ad addivenire all’elenco contenutistico già precisato sopra. Entrambe le autorizzazioni, dunque, sono successive alla presentazione dell’istanza di condono del 1995, che comunque implicava l’ammissione di irregolarità edilizia del manufatto, ivi compreso il fabbricato “C”. Il rigetto della stessa, a sua volta, è datato 20 ottobre 2000, ovvero a pochi mesi di distanza dalla integrazione del titolo originario.

Il provvedimento impugnato, d’altro canto, diversamente dai precedenti, che comunque hanno caratterizzato la “burrascosa” vicenda aziendale del complesso Malacoccola, non reca alcun riferimento ad ipotetiche problematiche igienico-sanitarie, ma dà per (improvvisamente) accertati abusi edilizi preesistenti da anni, richiamando il provvedimento di rigetto del 2007 (ovvero comunque di cinque anni precedente l’adozione dell’atto impugnato). Il riferimento, infine, tanto nel provvedimento interdittivo, quanto nella relazione istruttoria del funzionario dell’ufficio “Edilizia privata” che ne ha sollecitato l’adozione, ad un non chiaro esito acquisitivo dei terreni dell’accertamento di inottemperanza, collide ulteriormente con i contenuti dei paralleli contenziosi concernenti i profili urbanistico-edilizi, nei quali tale zelo del Comune di Sorrento nel definire i procedimenti sanzionatori non appare affatto documentato. D’altro canto, finanche la sopravvenuta perdita della titolarità giuridica del bene immobile non sarebbe sufficiente di per sé a giustificare l’intimazione di cessazione dell’attività, laddove non si profilino, e non vengano evidenziati, elementi ostativi di natura igienico-sanitaria. Diversamente opinando, la cessazione di un’attività giuridicamente considerata estranea al perimetro di quelle commerciali stricto sensu intese, in quanto e nei limiti in cui è “strumentale” alla conduzione del fondo agricolo, finirebbe per divenire una sanzione accessoria dell’illecito urbanistico-edilizio, laddove se il legislatore ha ritenuto pregiudiziale l’accertamento di tale tipo di conformità dei locali allo svolgimento dell’attività, lo ha espressamente previsto (si pensi alla disciplina del commercio, già richiamata, ovvero alla somministrazione di alimenti e bevande).

35.1. D’altro canto, la circostanza che le riscontrate -dagli organi di vigilanza dotati delle necessarie competenze- carenze igienico-sanitarie fondino i provvedimenti interdittivi o sospensivi delle attività, rende recessiva l’individuazione della competenza ad adottare l’atto, che ben potrebbe attenere al Sindaco, vista l’urgenza di procedere, ovvero essere intestata al dirigente del settore, ove in tal senso disponga la legislazione regionale di riferimento.

36. Non priva di rilievo, infine, si palesa la circostanza che nel caso di specie il signor N D G ha nuovamente “legittimato” la propria attività presentando in data 8 gennaio 2013 e 8 aprile 2013 all’ufficio commercio del Comune di Sorrento la documentazione per la notifica all’Autorità competente delle attività in campo alimentare soggette a registrazione ai sensi dell’articolo 6 del Regolamento (CE) n. 852 del 2004 per la produzione di prodotti alimentari, la distillazione, la rettifica e miscelatura degli alcolici. Ne sono conseguiti, senza alcun rilievo né da parte del Comune, né da parte della ASL Napoli 3 Sud, due attestati di attribuzione del numero di registrazione a cura di quest’ultima;
un ulteriore analogo procedimento, sempre per il tramite del Comune di Sorrento, veniva avviato in data 9 ottobre 2017, questa volta in qualità di legale rappresentante della società “Diana Società agricola s.r.l.”.

36. In sintesi, il Collegio ritiene che debbano essere respinti gli appelli nn.rg. 6014/2013, 4077/2021 e 4082/2021, con conseguente conferma delle sentenze del T.A.R. per la Campania n. 1182 del 2013, n. 5005 del 2020 e n. 5006 del 2020. Deve invece essere accolto il ricorso n.r.g. 4111 del 2021, e per l’effetto, in riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania n. 5008 del 2020, deve essere accolto il ricorso di primo grado n.r.g. 2302 del 2012.

37.1. Le questioni vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.

37.2. La complessità in fatto della vicenda, anche in ragione del comportamento del Comune di Sorrento, nonché l’accoglimento di uno dei ricorsi, giustificano la compensazione delle spese del grado di giudizio.

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