Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 2018-05-18, n. 201802999
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Pubblicato il 18/05/2018
N. 02999/2018REG.PROV.COLL.
N. 05453/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 5453 del 2013 proposto dai signori E B e S C e M C, rappresentati e difesi dall'avvocato R B e - il solo M C - anche dall’avvocato M D, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato M C in Roma, via Camillo Peano, 11;
contro
Comune di Finale Ligure, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati M R e D V, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato D V in Roma, Lungotevere Marzio, 3;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Genova, Sezione I, n. 129 del 17 gennaio 2013, resa tra le parti, concernente restituzione di bene privato e risarcimento del danno da occupazione abusiva.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Finale Ligure;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 febbraio 2018 il consigliere Daniela Di Carlo e uditi per le parti gli avvocati Gaspare Salerno (su delega dichiarata dell’avvocato R B) e D V;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La controversia riguarda l’azione proposta dai signori E B, M C e S C per:
a) l’annullamento della nota prot. n. 20215 del 23 luglio 2007 con cui il comune di Finale Ligure ha respinto la loro richiesta di restituzione di una fascia di terreno prospiciente la loro proprietà;
b) la condanna del comune al risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione del bene privato (circa 28 mq nella sostanza adibiti ad ospitare, su una porzione di marciapiede, una panchina), oltre al pagamento della rivalutazione monetaria e degli interessi legali, per non essere stati mai adottati il decreto dichiarativo della pubblica utilità dell’area e quello di esproprio.
2. I ricorrenti riferiscono:
a) di essere comproprietari del terreno sito in comune di Finale Ligure, alla via degli Orti n. 5, distinto in Catasto al foglio 31, mappale 132;
b) che i propri danti causa (signori Giovanni e Franco Cola) vi hanno costruito un edificio adibito a civile abitazione in forza dei titoli edilizi n. 3776 del 12 dicembre 1968 e n. 20431 del 21 gennaio 1971;
c) che l’amministrazione comunale di allora ha condizionato il rilascio del titolo edilizio all’arretramento della recinzione di loro proprietà prospiciente la via degli Orti, per un estensione di circa tre metri, in modo da allineare la recinzione al fabbricato posto a ovest;
d) che, sulla fascia di terreno risultante dall’arretramento, è stata costituita una servitù di uso pubblico finalizzata all’ampliamento della sede stradale di via degli Orti, già astretta dall’altro lato dalla presenza della rete ferroviaria;
e) che detto progetto non è mai realizzato, giacché nel 1977 la ferrovia ha cessato di funzionare e l’area occupata dalla massicciata è stata utilizzata per ampliare la sede stradale;
f) che il comune, anziché restituire ai legittimi proprietari la fascia di terreno non più occorrente per l’ampliamento della strada, ha preferito inglobarla all’interno del marciapiede che percorre tutto il lato della via, senza mai – però – adottare valido decreto di occupazione o di esproprio, né corrispondere alcuna indennità di occupazione.
2.1. I ricorrenti, convinti che la cessazione dell’originario utilizzo dell’area per il pubblico transito abbia provocato l’estinzione del diritto di servitù pubblica, hanno formulato, dapprima, istanza di restituzione del bene (in data 11 novembre 2005) e, successivamente, proposta di rimozione dell’uso pubblico sull’area in cambio della donazione di un’area adiacente alla via degli Orti n. 3 (in data 27 dicembre 2006).
2.2. Avverso il silenzio serbato dal comune di Finale Ligure in relazione alle anzidette istanze, i signori Bonese-Cola hanno proposto ricorso ai sensi dell’art. 21- bis della legge n. 1034/1971. Il giudizio, definito dal T.a.r. per la Liguria, Genova, Sezione I, con la sentenza n. 1233/2007, è esitato in una declaratoria in parte di inammissibilità (con riguardo al capo di domanda teso a far valere l’illegittimità del silenzio sull’istanza più risalente, perché proposto ad oltre un anno dalla scadenza del termine per la conclusione del procedimento avviato a seguito dell’istanza e, dunque, fuori dal limite temporale stabilito dal quinto comma dell’art. 2 della legge n. 241/90, come sostituito dal D.L. n. 35/05, convertito in legge n. 80/05) e in parte di rigetto nel merito (si è ritenuto che la nota comunale del 23 aprile 2007, in risposta all’istanza dei privati del 27 dicembre 2006 e contenente rassicurazioni circa il fatto che “ il procedimento inerente l’offerta è stato normalmente istruito ” e che è “ in corso di valutazione nelle sedi competenti ”, vale come comunicazione di avvio del procedimento di valutazione della proposta del privato ai fini della conclusione dell’accordo di diritto pubblico ai sensi dell’art. 11 della legge n. 241/1990 e, dunque, essendo i termini ancora aperti al momento della decisione, non avrebbe potuto configurarsi, al tempo, alcuna inerzia sanzionabile).
2.3. Questo procedimento è esitato nella nota prot. n. 20215 del 23 luglio 2007 (oggetto dell’odierna impugnazione) con cui il comune di Finale Ligure ha respinto la proposta dei privati sul rilievo che “ Non è stato possibile ravvisare alcun vantaggio per il Comune dall’eventuale accettazione della proposta ”.
2.4. I ricorrenti hanno impugnato anche detta nota, deducendo i seguenti vizi:
a) incompetenza del dirigente del servizio tecnico comunale nell'emanare l'atto impugnato;
b) violazione dell’art. 10-bis della legge n. 241/1990 per l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza;
c) eccesso di potere per difetto e contraddittorietà della motivazione di rigetto della proposta transattiva formulata dai ricorrenti con la missiva 27 dicembre 2007.
2.4.1. Va precisato che nel corso del giudizio, e precisamente in sede di deposito della memoria integrativa del 15 giugno 2012 (l’udienza di discussione della causa era fissata per il 6 dicembre 2012), i ricorrenti hanno modificato la domanda originariamente proposta chiedendo, altresì, la restituzione del bene. Ciò a motivo della sopravvenienza, nelle more del giudizio, della sentenza della Corte costituzionale n. 293 del 2010, che ha abrogato l’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, consentendo così, di conseguenza, la restituzione del bene, pur a fronte di un’eventuale irreversibile trasformazione dello stesso, in assenza di un valido ed efficace decreto di esproprio.
3. Il T.a.r. per la Liguria, Genova, Sezione I, con la sentenza n. 129 del 17 gennaio 2013, ha:
a) accolto il motivo di ricorso concernente la violazione dell’art. 10- bis della legge n. 241/1990, ritenendo inapplicabile l’art. 21- octies della legge medesima sul rilievo della natura ampiamente discrezionale del provvedimento da adottarsi;
b) per l’effetto, annullato l’atto impugnato (tali capi non sono stati impugnati);
c) respinto, invece, la domanda di condanna al risarcimento del danno per il periodo di illegittima occupazione, sul rilievo dell’intervenuta usucapione, da parte del comune ligure, del bene in questione;
d) dichiarato prescritta, in ogni caso, la relativa azione dal momento del maturarsi dell’usucapione;
e) compensato tra le parti le spese di lite a motivo della reciproca soccombenza.
4. I signori E B, M C e S C hanno impugnato la sentenza deducendo le seguenti censure:
4.1. “ Infondatezza della dichiarazione di usucapione e ultrapetizione della stessa ”. Si assume che: a) l’amministrazione non ha mai chiesto o eccepito di avere usucapito l’area di cui si chiede la restituzione;
b) non è accertato il dies a quo del decorso del periodo prescrizionale utile all’usucapione;
c) non è provato l’ animus possidendi in capo all’amministrazione.
4.2. “ Illogicità, illegittimità ed erroneità del diniego di indennità per l’occupazione senza titolo dell’area di proprietà dei ricorrenti in relazione alla dichiarazione di avvenuta usucapione ”. Si sostiene la spettanza del diritto all’indennità per il periodo di illegittima occupazione a prescindere dall’eventuale perfezionamento dell’usucapione, la quale non sarebbe idonea ad escludere, in via retroattiva, le conseguenze indennitarie di un possesso materiale dell’area iniziato e protrattosi in mancanza di adozione di valido ed efficace decreto di occupazione.
4.3. “ Illegittimità, nullità ed evidente parzialità della dichiarazione d’ufficio della prescrizione dell’indennità dovuta dall’amministrazione ”. Si assume che l’amministrazione non ha mai eccepito la prescrizione del diritto all’indennità di occupazione, sicché anche sotto tale profilo la pronuncia impugnata è affetta da vizio di ultra petizione.
4.4. “ Omissione di giudicato su un punto decisivo della controversia ”. Si sostiene che il primo giudice sia incorso anche nel vizio (opposto) di infra petizione nella parte in cui ha mancato di esaminare la domanda restitutoria del bene e quella di condanna al pagamento, a titolo risarcitorio, dell’indennità per il periodo di illegittima occupazione, non esaminate sul presupposto del rilievo officioso (non consentito dall’ordinamento) di eccezioni riservate solamente alla parte (segnatamente, le eccezioni di usucapione e di prescrizione).
5. Si è costituito il comune di Finale Ligure chiedendo pronunciarsi l’inammissibilità, l’irricevibilità, l’improcedibilità o l’infondatezza, nel merito, dell’avverso gravame.
6. In data 18 gennaio 2018 è stato depositato atto di costituzione di nuovo difensore (avvocato M D), in aggiunta a quello precedentemente nominato (avvocato R B), con conferma della pregressa elezione di domicilio e delle conclusioni precedentemente rassegnate.
7. Le parti hanno insistito ulteriormente sulle rispettive tesi difensive mediante il deposito di memorie integrative (il comune in data 18 gennaio 2018) e di replica (il comune in data 1 febbraio 2018 e il signor M C in data 31 gennaio 2018).
8. All’udienza pubblica del 22 febbraio 2018 la causa è stata discussa e trattenuta dal Collegio in decisione.
Preliminarmente il Collegio rileva l’inammissibilità della domanda di restituzione del terreno (asseritamente oggetto di occupazione abusiva) reiterata in grado di appello ma non ritualmente introdotta nel giudizio di primo grado in quanto proposta con memoria non notificata (sulla ammissibilità del rilievo, per la prima volta in grado di appello, di questioni ed eccezioni esaminabili d’ufficio in quanto attinenti ai presupposti del processo ovvero alle condizioni dell’azione, cfr. da ultimo Cons. Stato, Ad. plen. n. 4 del 2018).
La domanda di restituzione del fondo occupato illegittimamente, infatti, è una domanda autonoma e nuova rispetto a quella di risarcimento del danno per equivalente monetario (quantomeno sotto il profilo del petitum ), e come tale non può essere proposta per la prima volta in appello (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, n. 5262 del 2017), ammettendosi solo che quella restitutoria sia ricompresa in quella di riduzione in pristino dello stato del fondo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 897 del 2017).
Costituisce del resto ius receptum che il thema decidendum del giudizio di appello amministrativo è costituito esclusivamente dalle domande e dai motivi ritualmente introdotti in prime cure con atto tempestivamente notificato e depositato secondo la disciplina sua propria (ricorso principale, ricorso incidentale, motivi aggiunti;cfr. sul punto Cons. Stato, Ad. plen. n. 5 del 2015, § 6.3.).
Coerentemente si ritiene che non possa configurarsi il vizio di omessa pronuncia sulla domanda nuova ad opera del giudice di appello, stante la natura di ordine pubblico del divieto (cfr., anche nella giurisprudenza civile, ex plurimis, Cass. civ., sez. III, n. 6094 del 2006;Cons. Stato, sez. V, n. 3913 del 2011).
9. In ordine logico-giuridico va previamente scrutinata la questione – su cui per altro si concentra l’ultimo motivo di appello – concernente l’omessa pronuncia, da parte del giudice di prime cure, in ordine a un punto decisivo della controversia, ovvero l’asserito mancato esame della domanda di condanna al pagamento di somme a titolo risarcitorio che ha costituito l’oggetto del giudizio principale promosso dai signori Bonese-Cola.
10. Il motivo è inammissibile prima ancora che infondato.
10.1. Dai documenti versati agli atti di causa è emerso che:
a) il comune di Finale Ligure ha rilasciato i titoli edilizi in base ai quali è stata consentita la costruzione dell’abitazione sita alla via degli Orti n. 5 prevedendo la seguente prescrizione: “ la recinzione sul lato Via degli Orti dovrà essere arretrata in allineamento con il fabbricato ad ovest, il terreno risultante dall’arretramento sopra citato dovrà essere incorporato nella sede stradale, sistemato a regola d’arte come tale soggetto ad uso pubblico ”;
b) gli odierni ricorrenti non hanno mai contestato, prima della proposizione dell’odierno giudizio, la sussistenza dell’uso pubblico sull’anzidetto bene, rivolgendo all’amministrazione comunale – anzi - ben due istanze volte alla mera rimozione del detto vincolo, e segnatamente:
b.1) l’istanza dell’11 novembre 2005 (non oggetto di contestazione nell’odierno giudizio);
b.2) l’istanza del 27 dicembre 2006 (il cui diniego è, invece, all’origine del presente contenzioso);
c) in quest’ultima istanza, in particolare, i ricorrenti hanno proposto al comune di rimuovere l’uso pubblico a fronte della donazione, in favore del medesimo, di una diversa area, pur sempre adiacente la via dell’Orto, presso cui posizionare l’arredo urbano (una panchina).
10.2. In reazione all’opposto diniego e, per la prima volta, in sede di impugnazione giurisdizionale, i ricorrenti hanno contestato al comune di avere posto in essere una condotta di occupazione di bene privato sine titulo , mai preceduta da adozione di decreto di occupazione o di esproprio, con conseguente loro diritto alla corresponsione della relativa indennità di occupazione.
10.3. L’assunto non merita condivisione, sebbene in virtù di un percorso argomentativo divergente da quello assunto dal giudice di prime cure.
10.4. Come chiarito dal Consiglio di Stato in Adunanza plenaria (sentenza n. 9 del 2014, “ il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata alla circostanza che l’instaurazione del giudizio non solo sia proposta da chi è legittimato al ricorso, ma anche che non appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto, pretese impossibili o contra ius ”.
10.5. Nel caso all’esame, fermo rimanendo l’accertamento (officioso, come confermato dal recente arresto dell’Adunanza plenaria n. 4/2018) delle ordinarie condizioni dell’azione (interesse ad agire, titolo o legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam ), assume importanza centrale proprio il riscontro dell’interesse ad agire che presuppone l’inadempimento dell’obbligo di provvedere.
Affinché si radichi l’interesse, infatti, è necessario che sia configurabile un obbligo di provvedere, un termine (officioso, perché individuato in via immediata dalla disciplina di settore, ovvero ritraibile dalla presenza di una istanza di parte non evasa nei termini direttamente o indirettamente divisati dall’art. 2, l. 241 del 1990) e la sua violazione (in termini è la costante giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4309;sez. V, 4 agosto 2014, n. 4143;sez. V, 11 luglio 2014, n. 3561;sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2511;sez. V, 27 giugno 2012, n. 3787;Cons. giust. amm., 26 aprile 2012, n. 430;Cons. giust. amm., 19 aprile 2012, n. 396;Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2010, n. 1468 e n. 1469;sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351;Corte cost., 17 luglio 2002, n. 355).
Come ribadito da questa Sezione (sentenza n. 829 del 9 febbraio 2018), l’obbligo di procedere a carico dell’amministrazione (e, simmetricamente, la legittimazione al ricorso della parte che agisce in giudizio) non si configura, tra i vari casi enucleati dalla giurisprudenza, a fronte di sollecitazioni all’adozione di provvedimenti di autotutela.
Detti provvedimenti, infatti, sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi l’adozione dell’atto.
Da ciò ne deriva che la richiesta dei privati, rivolta all’amministrazione, di esercizio dell’autotutela, è qualificabile come “denuncia”, con mera funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere (cfr. ex plurimis Cons. giust. amm., 6 settembre 2017, n. 380;Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2016, n.4642;Id., 22 gennaio 2015 n.273;Id., 3 ottobre 2012, n.5199;sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1469;sez. IV, 16 settembre 2008 n. 4362;sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4227;sez. VI, 4 febbraio 2002, n. 4453;sez. VI, 1 aprile 1992, n. 201, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.;in particolare su: istanza di riesame di un provvedimento edilizio, sez. V, 17 giugno 2014 n.3095;istanza di riesame, annullamento o revoca d'ufficio di un provvedimento divenuto inoppugnabile per mancata tempestiva impugnazione, sez. III, 22 ottobre 2009 n.1658, sez. VI, 12 novembre 2003, n.7250, sez. V, 14 aprile 2008, n.1610).
10.6. Il caso all’esame si ascrive tipicamente entro la cornice di questa categoria giuridica, giacché la richiesta del 27 dicembre 2006 - concernente la rimozione del vincolo di uso pubblico derivante dall’apposizione di una prescrizione conformativa al cui rispetto era stato condizionato il rilascio del titolo edilizio - altro non rappresenta, in termini materiali, se non l’estrinsecazione di una domanda volta alla riedizione del potere amministrativo di revisione. In difetto di accoglimento dell’istanza, le prescrizioni edilizie e urbanistiche rimangono vincolanti e devono essere rispettate dagli originari destinatari dei provvedimenti e dai loro aventi causa (Consiglio di Stato, sez. V, 27 dicembre 2013, n. 6283).
10.7. I ricorrenti, infatti, hanno sollecitato l’amministrazione a valutare ( rectius , rivalutare) l’interesse pubblico sotteso al vincolo impresso all’area, il quale – a loro avviso – avrebbe potuto essere soddisfatto in modo diverso (e altrettanto satisfattivo) per la collettività, proponendo addirittura la donazione di un’area contigua presso cui allocare l’arredo urbano (una panchina).
10.8. L’amministrazione ha fondato il proprio diniego sull’inesistenza di ragioni di interesse pubblico idonee a giustificare lo spostamento del vincolo su diversa area di sedime.
È indubbio che tale esercizio della discrezionalità ha rappresentato - in concreto ed a differenza di quanto divisato dal T.a.r. per la Liguria nella sentenza n. 1233 del 2007 - l’oggetto di un procedimento di secondo grado, in via di autotutela, esitato in un diniego, sicché la domanda volta alla restituzione delle aree (ma anche quella connessa e conseguenziale di risarcimento del danno per la perdita del godimento) si appalesano del tutto inammissibili (oltre che per le ragioni squisitamente processuali dianzi illustrate), altresì per la mancanza, sul piano logico-giuridico, del presupposto stesso dell’occupazione di un bene privato sine titulo .
10.9. Tutte le evidenze documentali sopra illustrate, infatti, dimostrano senza ombra di dubbio che il titolo sussisteva (e sussiste) ed è rappresentato dai permessi di costruire del 1968 e del 1971, nella parte contenente la prescrizione conformativa al cui rispetto era stato condizionato il loro stesso rilascio.
Tali provvedimenti, i quali nella loro consistenza documentale provano senza dubbio l’esistenza di un uso pubblico risalente, non sono stati del resto mai impugnati, con conseguente loro consolidamento anche in punto di esistenza materiale del fatto, in sé, dell’istituzione di un uso pubblico.
Un recente arresto del Consiglio di Stato (Sezione V, 14 luglio 2015, n. 3531), peraltro, in relazione a una fattispecie concernente un ordine di ripristino del libero transito su un cortile privato, ha addirittura ritenuto sufficienti, ai fini probatori, le convergenti dichiarazioni di persone aventi conoscenza dello stato dei luoghi, suffragate dal relativo accertamento da parte degli organi comunali, precisando non essere necessaria la prova dell'esistenza di un titolo legittimante l'uso pubblico.
L’indirizzo è stato seguito anche da un altro pronunciamento (Consiglio di Stato, Sezione IV, sentenza n. 4036 del 18 agosto 2017), da richiamarsi anch’esso ai sensi degli artt. 74, comma 1 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a., a mente del quale il Comune, ai sensi dell’art. 823 del codice civile e dell’art. 378 della legge n. 2248 del 1865 Allegato F, per tutelare l’uso pubblico di una corte privata non deve fornire nemmeno la prova della precedente esistenza di un titolo legittimante il diritto reale di servitù. In particolare - si afferma - il citato art. 378, disciplinando una ipotesi di autotutela possessoria di diritto pubblico, non presuppone la titolarità di un diritto reale di uso pubblico affinché l’Amministrazione comunale possa impedire che si formino ostacoli al libero transito.
10.10. Nel caso all’esame, invece, addirittura sussiste prova certa, in tutta la sua evidenza documentale, dell’esistenza di tale uso, che l’amministrazione è pienamente legittimata a tutelare, pure in sede di autotutela, laddove non ravvisi sussistente l’interesse pubblico allo spostamento del medesimo in altra area.
Ancorché, pertanto, non sia stato riproposto nel presente giudizio il motivo di impugnazione concernente l’eccesso di potere in cui sarebbe caduta l’amministrazione nel denegare la traslazione del diritto di uso pubblico da un’area ad un’altra, deve comunque apprezzarsi, sotto il profilo riguardante il diniego di autotutela, la adeguata specificazione delle ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza dei privati.
10.11. Parimenti da escludersi è il diritto al risarcimento del danno in presenza dell’annullamento del diniego per violazione dell’art. 10- bis l. n. 241 del 1990 (come disposto dall’impugnata sentenza).
E’ pacifico che l’annullamento di un atto amministrativo per vizi formali – in presenza della prova della non spettanza del bene della vita sostanziale – non costituisce il presupposto per dare ingresso alla tutela risarcitoria (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 2271 del 2018;arg. anche da Plenaria n. 5 del 2018 e n. 2 del 2017).
11. Le ragioni della decisione (fondate, come appena detto, sull’esclusione fenomenica dello stesso fatto materiale dell’occupazione sine titulo da parte del comune) importano, di conseguenza, l’assorbimento (logico – giuridico secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza Plenaria n. 5 del 2015), di tutti gli altri residui motivi di gravame con cui si contesta l’illegittimo rilievo officioso dell’eccezione di usucapione della proprietà del bene e della prescrizione del diritto alla spettanza dell’indennità di occupazione, sussistendo un rapporto di necessaria reciproca esclusione, sul piano logico-giuridico, tra la sollecitazione del potere discrezionale di autotutela ai fini della rimozione di un vincolo di uso pubblico su area privata e la tesi (sostenuta dal primo giudice) della usucapione da parte dell’amministrazione della piena proprietà dell’area medesima.
12. Per tutte le considerazioni esposte, la sentenza di primo grado va confermata ma con la diversa motivazione sopra spiegata.
13. Le spese del presente giudizio possono essere compensate in considerazione della novità delle questioni trattate alla luce dei motivi della decisione.